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Cassazione Civile 21892/2023 – Responsabilità civile per diffamazione a mezzo stampa – Diritto di critica – Efficacia esimente – Condizioni

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Ordinanza 21892/2023

Responsabilità civile per diffamazione a mezzo stampa – Diritto di critica – Efficacia esimente – Condizioni

In tema di responsabilità civile per diffamazione a mezzo stampa, il diritto di critica non si concreta nella mera narrazione di fatti, esprimendosi in un giudizio avente carattere necessariamente soggettivo rispetto ai fatti stessi; per riconoscere efficacia esimente all’esercizio di tale diritto, occorre tuttavia che il fatto presupposto ed oggetto della critica corrisponda a verità, sia pure non assoluta, ma ragionevolmente putativa per le fonti da cui proviene o per altre circostanze soggettive. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che – in relazione a taluni articoli nei quali si insinuava che la nomina del direttore generale di un ente pubblico fosse stata favorita da un ministro interessato all’esito di un giudizio pendente dinanzi alla Corte presieduta dal padre del primo – aveva ritenuto oltrepassato il limite del diritto di critica, per essere stati espressi giudizi lesivi della reputazione del magistrato, senza un adeguato controllo della verità dei fatti presupposti e senza specificare in che modo sarebbe stata esercitata la sua influenza in ordine alla decisione riguardante il ministro, essendo stata invece appurata la circostanza della sua astensione).

Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 21-7-2023, n. 21892   (CED Cassazione 2023)

Art. 2043 cc (Risarcimento per fatto illecito)

 

 

Rilevato che,
con sentenza resa in data 5/8/2019, la Corte d’appello di Roma, in
accoglimento dell’appello proposto da (OMISSIS), e in riforma
della decisione di primo grado, ha condannato (OMISSIS),
(OMISSIS) e la (OMISSIS) s.p.a., in solido tra loro, al
risarcimento dei danni subiti dal (OMISSIS) a seguito della pubblicazione, sul quotidiano l’(OMISSIS) (edito dalla (OMISSIS)
s.p.a. e diretto da (OMISSIS)), di taluni articoli a firma di
(OMISSIS) dal contenuto diffamatorio;

secondo il giudizio della corte territoriale, la diffamazione consumata dai convenuti ai danni del (OMISSIS) (all’epoca giudice componente la Corte costituzionale) sarebbe consistita nella diffusione, con
modalità surrettizie o suggestive, di fatti non veri (o non completamente veri, sia pure sul piano putativo), avendo l’autrice dei testi pubblicati costantemente dato per presupposto il fatto dell’avvenuta nomina del figlio del (OMISSIS) a direttore generale dell’Enac esclusivamente a causa dell’intervento del ministro (OMISSIS), ed avendo altresì
contestualmente presupposto l’avvenuto esercizio, da parte del (OMISSIS), di una qualche influenza in un procedimento condotto all’esame
della Corte costituzionale interessante la persona del ministro (OMISSIS),
inducendo in tal modo la convinzione di uno scambio di favori intercorso tra il giudice costituzionale e il politico favorito;

a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha rilevato come gli articoli a firma di (OMISSIS) non avessero adeguatamente rispettato il criterio della verità (anche putativa) dei fatti riportati a fondamento dei testi pubblicati, la cui natura, insieme di cronaca e di critica politica, avrebbe in ogni caso imposto un più adeguato
approfondimento informativo, tanto con riguardo al controllo di tutti i
fatti e le circostanze che condussero alla nomina del figlio del (OMISSIS)
a direttore generale dell’Enac, quanto in relazione alle modalità con le
quali il comportamento del (OMISSIS) avrebbe in ipotesi influito sulle
decisioni assunte dalla Corte costituzionale nel procedimento riguardante il ministro (OMISSIS);
avverso la sentenza d’appello, (OMISSIS) e (OMISSIS)
propongono ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo d’impugnazione;

(OMISSIS) resiste con controricorso;

tutte le parti hanno depositato memoria;

considerato che,

con l’unico motivo proposto, le ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione degli artt. 595 e 51 c.p., nonché dell’art. 21
Cost. e dell’art. 10 della Cedu (in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.), per
avere la corte territoriale erroneamente ricondotto, alla categoria del
‘fatto’ storico (così impropriamente deducendone il difetto di verità,
anche putativa), il contenuto delle valutazioni critiche, di carattere meramente soggettivo, espresse dall’autrice degli articoli de quibus in relazione ai fatti in esso richiamati, in tal modo pervenendo alla illegittima esclusione della liceità dei testi denunciati, nella specie correttamente contenuti entro i limiti della legittima espressione del diritto di
critica politica in relazione a fatti di indiscusso interesse pubblico;

il motivo è infondato;

osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della
giurisprudenza di legittimità, in tema di responsabilità civile per diffamazione, il diritto di critica non si concreta nella mera narrazione di
fatti, ma si esprime in un giudizio avente carattere necessariamente
soggettivo rispetto ai fatti stessi; per riconoscere efficacia esimente
all’esercizio di tale diritto occorre, tuttavia, che il fatto presupposto ed
oggetto della critica corrisponda a verità, sia pure non assoluta, ma
ragionevolmente putativa per le fonti da cui proviene o per altre circostanze soggettive (Sez. 3, Ordinanza n. 25420 del 26/10/2017, Rv.
646634 – 03; conf. Sez. 3, Sentenza n. 7847 del 06/04/2011, Rv.
617513 – 01);

infatti, in tema di responsabilità aquiliana da diffamazione a mezzo
stampa, il significato di verità oggettiva della notizia va inteso in un
duplice senso, potendo tale espressione essere intesa non solo come
verità del fatto oggetto della notizia, ma anche come verità della notizia
come fatto in sé e quindi indipendentemente dalla verità del suo contenuto. In quest’ultima ipotesi, peraltro, occorre che tale propalazione
costituisca di per sé un ‘fatto’ così rilevante nella vita pubblica che la
stampa verrebbe certamente meno al suo compito informativo se lo
tacesse, fermo restando che il cronista ha inoltre il dovere di mettere
bene in evidenza che la verità non si estende al contenuto del racconto
e di riferire le fonti per le doverose e conseguenti assunzioni di responsabilità. Questi doveri, inoltre, debbono essere adempiuti dal cronista
contestualmente alla comunicazione in modo da garantire la fedeltà
dell’informazione che nella specie consiste nella rappresentazione al
lettore o all’ascoltatore della esatta percezione che egli ha avuto del
fatto (Sez. 3, Sentenza n. 1205 del 19/01/2007, Rv. 595637 – 01);

ciò posto, varrà evidenziare come la corte territoriale abbia avuto
cura di esporre in modo corretto i principi di diritto che presiedono
all’esercizio del diritto di cronaca e del diritto di critica politica, facendone corretta applicazione al caso di specie, avendo sottolineato l’avvenuta propalazione, da parte della giornalista, quale presupposto della
parte critica dei propri testi, di fatti oggettivamente lesivi della reputazione del (OMISSIS), senza operare i dovuti controlli circa la nomina del
figlio a direttore dell’Enac (quale pretesa contropartita che il (OMISSIS)
avrebbe ottenuto in cambio dell’influenza esercitata nel procedimento
contro il ministro (OMISSIS)) e senza specificare i modi concreti dell’asserita influenza del (OMISSIS) sulla decisione della corte riguardante il
(OMISSIS) (una volta appurata la relativa astensione dal giudizio sul procedimento relativo al ministro (OMISSIS));

la censura della decisione sotto il profilo della ritenuta confusione
tra fatti e opinioni critiche deve dunque ritenersi priva di fondamento,
avendo il giudice d’appello propriamente rimproverato alla giornalista
un carente approfondimento, e una superficiale verifica della verità dei
fatti presupposti all’argomentazione critica, nel rispetto dei principi
enucleati dalla giurisprudenza di legittimità a fondamento del rapporto
tra la fattispecie della diffamazione e la scriminante dell’esercizio della
libertà di manifestazione del pensiero, anche sotto il profilo dell’esercizio del diritto di critica su fatti di cronaca di interesse pubblico;

la verifica dell’eventuale effettiva sussistenza, o meno, della ridetta
carenza di approfondimento e di controllo da parte della giornalista finirebbe per costituire una rilettura nel merito dei fatti di causa, come
tale non consentita in sede di legittimità, dovendo trovare nella specie
applicazione il principio ai sensi del quale, in tema di azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo della stampa, la ricostruzione
storica dei fatti, la valutazione del contenuto degli scritti, l’apprezzamento in concreto delle espressioni usate come lesive dell’altrui reputazione e la valutazione dell’esistenza o meno dell’esimente dell’esercizio dei diritti di cronaca e di critica costituiscono oggetto di accertamenti in fatto, riservati al giudice di merito ed insindacabili in sede di
legittimità se sorretti da argomentata motivazione; pertanto, con specifico riguardo al diritto di cronaca, il controllo affidato alla Corte di
cassazione è limitato alla verifica dell’avvenuto esame, da parte del
giudice del merito, della sussistenza dei requisiti della continenza, della
veridicità dei fatti narrati e dell’interesse pubblico alla diffusione delle
notizie, nonché al sindacato della congruità e logicità della motivazione,
secondo la previsione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., applicabile
ratione temporis, restando estraneo al giudizio di legittimità l’accertamento relativo alla capacità diffamatoria delle espressioni in contestazione (Sez. 3, Ordinanza n. 18631 del 09/06/2022, Rv. 665016 – 01;
conf. Sez. 3, Ordinanza n. 5811 del 28/02/2019 Rv. 652997 – 01);

nel caso di specie, dall’esame dei passaggi della sentenza impugnata emerge con evidenza come la corte territoriale abbia espressamente e compiutamente analizzato i requisiti dell’interesse pubblico
della notizia, della verità, anche putativa, dei fatti narrati e della continenza delle espressioni utilizzate dall’odierno ricorrente, pervenendo,
nell’esercizio dei propri poteri di valutazione discrezionale dei fatti di
causa, ad escludere l’effettiva contestuale compresenza di tali requisiti
nel contesto degli articoli pubblicati dalle odierne ricorrenti, conseguentemente escludendo che le stesse potessero legittimamente avvalersi
del richiamo all’esercizio del diritto di cronaca e di critica nei confronti
della controparte;

si tratta di considerazioni che il giudice d’appello ha elaborato,
nell’esercizio della discrezionalità valutativa ad esso spettante, nel
pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica dell’interpretazione e
di congruità dell’argomentazione, immuni da vizi d’indole logica o giuridica e, come tali, del tutto idonee a sottrarsi alle censure in questa
sede illustrate dai ricorrenti;

sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva infondatezza
delle censure proposte, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso,
con la condanna delle ricorrenti al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, secondo la liquidazione di
cui al dispositivo;

dev’essere infine attestata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per i ricorsi, a
norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002;

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti al rimborso, in favore del
controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 3.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del
15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per
legge.

Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per i ricorsi, a norma del
comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione
Civile della Corte Suprema di Cassazione del 17/4/2023.