Ordinanza 21940/2018
Rivendicazione – Probatio diabolica a carico dell’attore
In tema di azione di rivendicazione, ai fini della “probatio diabolica” gravante sull’attore, tenuto a provare la proprietà risalendo, anche attraverso i propri danti causa, fino all’acquisto a titolo originario, ovvero dimostrando il compimento dell’usucapione, non è sufficiente produrre l’atto di accettazione ereditaria, che non prova il possesso del dante causa, né il contratto di acquisto del bene, che non prova l’immissione in possesso dell’acquirente.
Corte di Cassazione, Sezione 6 civile, Ordinanza 10 settembre 2018, n. 21940 (CED Cassazione 2018)
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Il Tribunale di Agrigento – Sezione distaccata di Licata con sentenza n. 41 del 2010 ha accolto la domanda proposta da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS), volta all’accertamento della stia piena proprietà, in forza di successione testamentaria del de cuius (OMISSIS), che a sua volta lo aveva acquistato con atto notarile dell’8.5.1974, di terreno sito in agro di (OMISSIS), cespite occupato abusivamente per circa 50 mq dal convenuto, che vi aveva realizzato anche una recinzione, respingendo la domanda riconvenzionale di usucapione di quest’ultimo e ciliegia risarcitoria dell’attore.
In virtù di gravame interposto dal (OMISSIS), la Corte di appello di Palermo, nella resistenza dell’appellato, con sentenza n. 600 maggio 2016, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la domanda attorea di rivendicazione non ritenendo provato il diritto di proprietà dell’area in questione vantato sulla sola base della successione testamentaria, non pertinente l’assunto atto di acquisto del suo dante causa cd eliminato la pronuncia di rigetto sulla domanda riconvenzionale, per avere il convenuto – appellante formulato esclusivamente un’eccezione di usucapione.
Il (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione con un solo complesso motivo.
(OMISSIS) ha resistito con controricorso.
Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettalo, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’articolo 380 bis c.p.c., in relazione all’articolo 373 c.p.c., comma 1, n. 3), su proposta del relatore, regolarmente comunicata ai difensori delle il presidente ha fissato l’adunanza della Camera di consiglio.
Atteso che:
l’unico motivo di ricorso (con il quale è dedotta la violazione e la falsa applicazione dei principi relativi all’onere della prova in materia di azione di rivendicazione, riconoscendo lo stesso ricorrente di avere posto a fondamento del diritto esercitato la sola dichiarazione di successione testamentaria) è privo di pregio.
La Corte d’appello ha ritenuto che l’originario attore non avesse fornito la prova della proprietà dell’area in questione con il rigore della cosiddetta probatio diabolica, che comporta l’onere, a carico di chi agisca per rivendicare la proprietà di un bene, di provare quest’ultima risalendo, anche attraverso i propri danti causa, sino all’acquisto titolo originario, ovvero dimostrando il compimento dell’usucapione (ex plurimis, Cass. n. 705 del 2013).
L’atto di accettazione dell’eredità non è idoneo a provare un titolo di acquisto originario, giacchè la prova della successione del possesso presuppone la prova del possesso del dante causa (cfr. Cass. n. 718 del 1973; di recente, Cass. 25643 del 2014); allo stesso modo, il contratto di vendita di un bene non prova, di per sè, l’acquisto del possesso da parte dell’acquirente, occorrendo a tal fine la prova del possesso del venditore e dell’immissione nel possesso dell’acquirente (cfr. Cass. n. 2334 del 1995).
A fronte della rilevata carenza di prova della proprietà in capo al (OMISSIS) nei termini appena indicati, il principio dell’attenuazione dell’onere della prova – invocato espressamente dal ricorrente (v. pag. 6 del ricorso) – non è pertinente al caso concreto, in quanto diversamente da quanto sostenuto dal (OMISSIS), il convenuto (OMISSIS) ha specificamente contestato sin dalla comparsa di costituzione la pretesta proprietà del bene, come ampiamente evidenziato dalla Corte di appello (v. pag. 5 della sentenza impugnata). In detta ottica risulta vano, anche in fatto, tutto l’impianto del ricorso che vorrebbe provare la proprietà attraverso il richiamo alle risultanze della c.t.u. fondate sui dati catastali, nonchè la circostanza che il convenuto possessore non avesse dato prova di un proprio titolo di proprietà, in mancanza della richiesta probatio diabolica, unica ratio decidendi su cui è incentrata la sentenza impugnata, non intaccata dalle argomentazioni del ricorso.
In conclusione il ricorso deve pertanto essere rigettato.
Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’alt 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore del controricorrente che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario e agli accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2^ Sezione Civile, il 1° febbraio 2018.