Ordinanza 21998/2018
Distanze tra costruzioni – Il muro di contenimento tra due fondi posti a livelli differenti deve considerarsi costruzione
Ai fini dell’applicazione delle norme sulle distanze dettate dall’art. 873 c.c. e segg. o dalle disposizioni regolamentari integrative del codice civile, per “costruzione” deve intendersi qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità ed immobilizzazione rispetto al suolo, indipendentemente dalla tecnica costruttiva adoperata, a secco o con [impiego di malta cementizia. Il muro di contenimento tra due fondi posti a livelli differenti, qualora il dislivello derivi dall’opera dell’uomo o il naturale preesistente dislivello sia stato artificialmente accentuato, deve considerarsi costruzione a tutti gli effetti e soggetta, pertanto, agli obblighi delle distane previste dall’art. 873 cod. civ. e dalle eventuali norme integrative.
Cassazione Civile, Sezione 6, Ordinanza 11-09-2018, n. 21998
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
La Sig.ra Sc. Ad. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in un unico motivo, avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli n. 1722/2017 (depositata il 14 aprile 2017), pronunciata in sede di rinvio a seguito della sentenza di questa Corte n. 237/2011, con la quale fu cassata (in accoglimento del primo motivo del ricorso in sede di legittimità ed assorbimento del secondo) la sentenza n. 649/2004 emessa dalla Corte di appello di Salerno, con la quale era stato respinto il gravame interposto nei confronti della sentenza di primo grado del Tribunale di Salerno.
Il giudizio aveva avuto origine con la proposizione di un atto di citazione da parte del sig. Gi. Fl. che, quale proprietario di un fondo rustico sito in Furore, composto da tre terrazzamenti di terreni sostenuti da muri a secco (c.d. macere), aveva agito in negatoria servitutis e con richiesta di risarcimento del danno, in forma specifica e/o per equivalente, dinanzi al suddetto Tribunale di Salerno nei riguardi della Sc. Ad., proprietaria di un fondo declive e confinante, alla quale l’attore attribuiva sia l’esecuzione di varie innovazioni edilizie in violazione dell’art. 873 c.c. (non essendo stata rispettata la distanza tra queste e la macera posta al confine), sia l’occupazione di tre mq. della sua proprietà.
Nel resistere in giudizio la convenuta Sc. formulava domanda in via riconvenzionale per l’accessione dell’area occupata ai sensi dell’art.938 c.c..
L’adito Tribunale respingeva la domanda negatoria (accogliendo in parte quella di risarcimento del danno in forma specifica) ed accoglieva quella riconvenzionale, con determinazione dell’indennità dovuta per effetto della riconosciuta accessione invertita.
La Corte di appello di Salerno, all’esito del giudizio di secondo grado, rigettava il gravame, ritenendo inapplicabile alla fattispecie l’art. 873 c. c., invocato dall’appellante.
Sul ricorso avanzato dagli eredi del Fl. Gi. e nella costituzione dell’intimata, questa Corte, con la richiamata sentenza n. 237/2011, cassava — accogliendo la prima censura (con assorbimento della seconda) – la sentenza di appello, enunciando i seguenti principi di diritto (ai quali avrebbe dovuto conformarsi la Corte di rinvio):
1) “ai fini dell’applicazione delle norme sulle distanze dettate dall’art. 873 c.c. e segg. o dalle disposizioni regolamentari integrative del codice civile, per “costruzione” deve intendersi qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità ed immobilizzazione rispetto al suolo, indipendentemente dalla tecnica costruttiva adoperata, a secco o con [impiego di malta cementizia”;
2) “il muro di contenimento tra due fondi posti a livelli differenti, qualora il dislivello derivi dall’opera dell’uomo o il naturale preesistente dislivello sia stato artificialmente accentuato, deve considerarsi costruzione a tutti gli effetti e soggetta, pertanto, agli obblighi delle distane previste dall’art. 873 cod. civ. e dalle eventuali norme integrative”.
Decidendo in sede di rinvio la Corte di appello di Napoli, con la richiamata sentenza n. 1722/2017, ha condannato la Sc. Ad. alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi per cui era stata incardinata la controversia, mediante arretramento delle fabbriche dalla stessa realizzate sul fondo sito in catasto al folio 2 part. 910, a distanza di tre metri dal confine con il fondo di proprietà Fiori°, in Furore alla v. S. Giacomo (in catasto al folio 2 partt. 191 e 188), il tutto come da relazione dei c.t.u..
Con l’unico motivo del ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza del giudice di rinvio la Sc. ha dedotto il vizio dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti, avuto riguardo alla natura antropica o naturale del dislivello caratterizzante il rapporto di confinazione tra i predetti fondi, in ordine al quale si sarebbe dovuto correttamente circoscrivere il perimetro dell’indagine di merito riservato alla fase rescissoria di rinvio.
Si sono costituite con controricorso tutte le parti intimate, le quali hanno instato per il rigetto del ricorso.
Su proposta del relatore, il quale riteneva che il motivo formulato con il ricorso potesse essere ritenuto manifestamente infondato in relazione all’art. 375, comma 1, n. 5), c.p.c., il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.. Rileva il collegio che l’unica censura formulata con il ricorso è del tutto destituita di fondamento, in tal senso trovando conferma la proposta già formulata dal relatore ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..
Invero, contrariamente a quanto assunto con il ricorso, non è affatto sussistente il prospettato vizio ricondotto al n. 5) del novellato comma 1 dell’art. 360 c.p.c., poiché la Corte di rinvio si è pienamente conformata ai su richiamati principi di diritto enunciati nella sentenza di questa Corte n. 237/2011 (e, perciò, anche al secondo) e ha deciso, di conseguenza, correttamente la controversia applicandoli sulla scorta delle risultanze istruttorie acquisite (e, segnatamente, anche in virtù degli accertamenti eseguiti e delle inerenti conclusioni raggiunte in sede di c.t.u.), pervenendo — per effetto di apposito mirato esame del fatto decisivo della controversia – al risultato giuridico di ravvisare la fondatezza dell’originaria domanda avanzata dal dante causa delle eredi Fl..
In particolare (v., specialmente, pagg. 6 e 7 della motivazione della impugnata sentenza), la Corte partenopea, dopo aver descritto la struttura della controversa macera (in base all’altezza e al suo posizionamento) e individuato la sua specifica funzione (di contenimento del terrazzamento della proprietà Fl.), ha concluso per la riconducibilità della stessa alla nozione di costruzione, rimanendo irrilevanti la tecnica della sua costruzione e il mancato impiego di malta cementizia. A tal proposito il giudice di rinvio, conformandosi al principio enunciato nella citata sentenza di questa Corte n. 237/2011 (secondo cui, qualora il dislivello derivi dall’opera dell’uomo o quello preesistente sia stato artificialmente accentuato, esso deve considerarsi costruzione a tutti gli effetti), è pervenuto — anche sulla scorta delle emergenze degli accertamenti peritali già compiuti nel corso del giudizio di appello celebratosi dinanzi alla Corte territoriale di Salerno — alla suddetta conclusione, ponendo in evidenza come lo stato originario dei luoghi era costituito da un banco roccioso in declivio sul quale l’attività dell’uomo aveva realizzato poi i terrazzamenti coltivabili. Alla stregua di tale esito sul piano della rivalutazione fattuale e dell’applicazione ad essa del principio di diritto dettato ai sensi dell’art. 384 c.p.c. nella sentenza di legittimità, la Corte di rinvio ha, quindi, ravvisato, di conseguenza, la necessità che l’odierna ricorrente dovesse attenersi al rispetto delle distanze codicistiche nell’edificazione della sua costruzione (sul presupposto dell’inefficacia del P.R.G.).
Così delineando la sua complessiva motivazione risulta evidente che il giudice di rinvio — in contrapposizione a quanto sostenuto dalla difesa della Sc. — ha del tutto adeguatamente e legittimamente esaminato, in senso esaustivo, il fatto controverso e decisivo per il giudizio (che aveva costituito l’aspetto centrale del contraddittorio tra le parti) per pervenire all’attribuzione della natura di costruzione alla macera oggetto di contenzioso. In tal senso deve, perciò, escludersi la sussistenza del denunciato vizio ricondotto dalla ricorrente al nuovo n. 5) del comma 1 dell’art. 360 c.p.c ..
Alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte il ricorso deve, dunque, essere rigettato, con conseguente condanna della soccombente ricorrente al pagamento, in favore delle parti controricorrenti, delle spese della presente fase di legittimità, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo. Sussistono, inoltre, le condizioni per dare atto — ai sensi dell’art. 1, comma 1, comma 17, della legge n. 228/2012, che ha aggiunto il comma 1- quater all’art. 13 del d.P.R. n. 115/2002 — dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidati in complessivi curo 2.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario al 15%, iva e cap nella misura e sulle voci come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228/2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2 Sezione civile della Corte di cassazione, in data 15 maggio 2018.