Sentenza 22166/2023
Locazione ad uso non abitativo – Pignoramento dell’immobile – Mancata autorizzazione del g.e. alla rinnovazione del contratto – Indennità di avviamento
In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, nel caso in cui, intervenuto il pignoramento del bene prima della seconda scadenza contrattuale, il contratto venga a cessare per la mancata autorizzazione del giudice dell’esecuzione alla relativa rinnovazione, al conduttore spetta l’indennità di avviamento ex art. 34 della l. n. 392 del 1978, la cui corresponsione, da parte dell’acquirente in forza del decreto di trasferimento, si pone quale condizione per il rilascio, con la conseguenza che, fino a tale momento, il conduttore è tenuto a versare soltanto la somma convenuta a titolo di canone, restando escluso il maggior danno ex art. 1591 c.c.
Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 24/07/2023, n. 22166 (CED Cassazione 2023)
Art. 34 Legge 392/1978 (Indennità per la perdita dell’avviamento)
Art. 27 Legge 392/1978 (Durata delle locazioni)
Art. 28 Legge 392/1978 (Rinnovazione del contratto)
FATTI DI CAUSA
1. La (OMISSIS) S.r.l., resasi acquirente di immobile sito in Roma, località Valle Aurelia, piano seminterrato, terra e primo, in forza di aggiudicazione per effetto di vendita coattiva intervenuta nella procedura esecutiva immobiliare in cui detto immobile era stato pignorato con trascrizione effettuata il 19 marzo 2001, ed una volta ottenuto il decreto di trasferimento del Giudice dell’Esecuzione presso il Tribunale di Roma in data 5 febbraio 2008, intimava — con citazione notificata il 2 maggio 2008 dinanzi al Tribunale di Roma — licenza per finita locazione per la scadenza del 31 maggio 2008 alla S.r.l. (OMISSIS), la quale conduceva in locazione l’immobile per essere subentrata alla s.r.l. (OMISSIS) nel contratto locativo, stipulato il 1° settembre 1993 per un primo periodo di 87 mesi (ai sensi dell’art. 5 del contratto locativo), venuti a scadere il 30 novembre 2000, e, quindi rinnovatosi sino al 31 maggio 2008 per un secondo periodo di durata previsto in 90 mesi.
L’intimazione di licenza veniva effettuata dall’aggiudicataria nel presupposto che il contratto locativo non si fosse rinnovato alla detta seconda scadenza, in quanto, stante la soggezione dell’immobile alla procedura esecutiva, la rinnovazione si sarebbe dovuta autorizzare dal giudice dell’esecuzione ai sensi del secondo comma dell’art. 560 c.p.c. [rectius: del terzo comma, nel testo di detta disposizione applicabile nella specie ratione temporis].
L’intimata si opponeva alla convalida eccependo che il contratto doveva ritenersi rinnovato per altri novanta mesi in mancanza di disdetta.
Il Tribunale negava l’ordinanza di rilascio ai sensi dell’art. 665 c.p.c. e disponeva la prosecuzione del giudizio previo mutamento del rito con assegnazione di termini per depositare memorie integrative.
Con memoria depositata in data 5 marzo 2009 la (OMISSIS) S.p.a., nell’insistere nella domanda principale di accertamento dell’intervenuta cessazione del rapporto e di rilascio, proponeva anche domanda di risarcimento danni ex art. 1591 cod. civ., in relazione alla protratta detenzione dell’immobile, deducendo l’esistenza di un maggior danno (rispetto a quello ex lege commisurato all’importo del canone) da lucro cessante.
All’esito della cognizione piena il Tribunale, respingendo la prospettazione dell’intimante, dichiarava cessata la locazione alla scadenza del 31 maggio 2014, disattendendo la prospettazione della conduttrice circa l’operare della nuova rinnovazione secondo la durata convenzionale.
2. Tale decisione era confermata dalla Corte d’appello di Roma che, con sentenza n. 3212 del 2011, respingeva il gravame interposto dalla (OMISSIS) e la condannava alle spese del grado.
3. Avverso tale decisione la (OMISSIS) S.p.a. proponeva ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
4. Questa Corte, con sentenza n. 11168 del 2015, accoglieva il primo, con assorbimento del secondo, e, per l’effetto, cassava la sentenza impugnata in relazione, enunciando — sulla scia del principio affermato da Cass. Sez. U. n. 11830 del 2013 e sviluppandone gli argomenti in relazione alla specifica questione posta — il seguente principio di diritto: «in tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, poiché il mancato esercizio della facoltà di disdetta immotivata alla seconda scadenza contrattuale costituisce una libera manifestazione di volontà negoziale, si deve ritenere che, qualora l’immobile venga pignorato prima che si sia consumata la possibilità di esercizio di quella facoltà, la provocazione della rinnovazione della locazione richieda l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, prevista dall’art. 560 cod. proc. civ., comma 2».
Per l’effetto, pronunciando nel merito sulla domanda di finita locazione della ricorrente, dichiarava cessato il rapporto alla scadenza del 31 maggio 2008, per la mancata autorizzazione da parte del giudice dell’esecuzione della procedura esecutiva immobiliare; condannava la resistente al rilascio alla ricorrente di tale unità immobiliare con termine per il rilascio ai sensi dell’art. 56 della 1. n. 392 del 1978 sino a tre mesi dalla pubblicazione della presente; rinviava la decisione sulla domanda, rimasta assorbita, di risarcimento danni ai sensi dell’art. 1591 c.c., nonché sulla domanda di condanna al pagamento del dovuto fino al rilascio, ad altra Sezione della Corte d’Appello di Roma, comunque in diversa composizione, cui demandava anche il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
5. Pronunciando, dunque, in sede di rinvio sul residuo tema di lite, la Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 2587 del 2019, ha rigettato il gravame della (OMISSIS), compensando integralmente le spese del primo e del secondo grado di giudizio, nonché quelle del giudizio di cassazione e del giudizio di rinvio.
5.1. Rilevato, infatti, che era pacifico in causa che la conduttrice aveva sempre continuato a pagare il canone pattuito con l’ordinario contratto, ha ritenuto, quanto alla domanda di risarcimento del maggior danno, che ad essa ostasse, come eccepito dalla appellata, il mancato pagamento dell’indennità ex art. 34 legge 27 luglio 1978, n. 392. In tal senso ha: — da un lato, negato fondamento alla tesi dell’istante secondo cui nella particolare fattispecie è rinvenibile un recesso della conduttrice per il solo fatto che non si fosse attivata per richiedere al giudice dell’esecuzione l’autorizzazione al rinnovo del contratto e ciò in quanto «in pendenza della procedura esecutiva le scelte negoziali afferenti al contratto competono, nell’interesse della procedura, al custode e vengono valutate dal giudice dell’esecuzione … per cui non è affatto vero che la prosecuzione o meno del rapporto locativo sia rimessa alla sola volontà del conduttore che chiedendo o non chiedendo l’autorizzazione alla continuazione della locazione al giudice dell’esecuzione sia arbitro di provocarne o meno la prosecuzione», con la conseguenza che «l’eventuale inerzia non può essere equiparata ai fini della debenza o meno dell’indennità di avviamento al recesso»;
— dall’altro, ritenuto, di conseguenza, applicabile alla fattispecie il principio enunciato da Cass. Sez. U. n. 1177 del 2000, secondo cui «nelle locazioni di immobili urbani adibiti ad attività commerciali, disciplinate dagli artt. 27 e 34 della legge 27 luglio 1978, n. 392, e, in regime transitorio, dagli artt. 69, 71 e 73 della stessa legge, scaduto il contratto, il conduttore che rifiuta la restituzione dell’immobile in attesa di ricevere dal locatore il pagamento dell’indennità per l’avviamento a lui dovuta, è obbligato al pagamento del corrispettivo convenuto, ma solo di questo».
5.2. Ai fini del regolamento delle spese di lite ha poi osservato che «la circostanza che, quanto alla data di cessazione del rapporto, siano intervenute nel corso del giudizio di cassazione, le Sezioni Unite a dirimere il contrasto insorto sulla necessità o meno dell’autorizzazione del giudice dell’esecuzione al rinnovo alla seconda scadenza, giustifica senz’altro la compensazione delle spese di tutti e tre i gradi di giudizio precedenti. Quanto alle spese del presente giudizio di rinvio, poiché la peculiarità della fattispecie relativa alla scadenza della durata del contratto in pendenza ancora della procedura esecutiva ha inciso, come sottolineato anche dalla Suprema Corte, anche sulle vicende relative al rilascio dell’immobile sussistono anche in questo caso serie ragioni per compensarle interamente tra le parti».
6. Avverso tale decisione la (OMISSIS) S.p.a. propone ricorso per cassazione articolando tre motivi, cui resiste la (OMISSIS) Soc. Coop., succeduta alla S.r.l. (OMISSIS) per fusione per incorporazione, depositando controricorso.
Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Nell’imminenza dell’udienza il Relatore designato è stato sostituito con il Presidente del Collegio, a causa di un suo impedimento.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello compensato le spese legali di tutti i giudizi tra le parti alla luce del contrasto giurisprudenziale esistente in materia e sul quale solo nel 2013 sono intervenute le Sezioni Unite.
Deduce l’erroneità di tale motivazione atteso che il contrasto giurisprudenziale riguardava il rinnovo tacito alla prima scadenza contrattuale e non alla seconda e, dunque, con riferimento alle scadenze successive alla prima, la sentenza delle Sezioni Unite n. 11830 del 2013 non avrebbe fatto altro che ribadire un orientamento già consolidato.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., Violazione e falsa applicazione di legge: art. 1591 c.c. e art 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma I n. 3 c.p. c.>>.
Nella illustrazione si assume testualmente quanto segue: <La Corte territoriale in violazione dell’art. 112 c.p.c. ha omesso di pronunciarsi sulla domanda, avanzata in primo grado e reiterata nei gradi successivi, circa l’obbligo della conduttrice/occupante senza titolo in mora a restituire la cosa a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna a norma dell’art. 1591 c.c.. In sede di rinvio, come anche nei precedenti gradi, la (OMISSIS) S.p.A. ha concluso, tra l’altro, chiedendo: “Dichiarare la (OMISSIS) S.r.l. (ora (OMISSIS) soc. coop.) in persona del legale rappresentante pro tempore tenuta al pagamento
del corrispettivo convenuto (€ 27.880,14 + IVA – totale € 34.013, 77 – bimestrali con aumenti ISTAT annuali) fino al rilascio dell’immobile… “. La domanda richiedeva una espressa pronuncia da parte della Corte di Appello di Roma che invece è mancata in violazione dell’art. 112 c.p.c. che impone al giudice di pronunciarsi su tutta la domanda. Il contratto è cessato per effetto della pronuncia della Corte di Cassazione n. 1 1168/2015 che nel pronunciarsi aveva dichiarato: …. cessata alla scadenza del 31 maggio 2008, per la mancata autorizzazione da parte del giudice dell’esecuzione della procedura esecutiva immobiliare n.r.g. 351 del 2001, del Tribunale di Roma, la locazione dell’unità immobiliare Sita in Roma, località Valle Aurelia, Viale Valle Aurelia n. 124 piano seminterrato, terra e primo piano. Condanna la resistente al rilascio alla ricorrente di tale unità immobiliare con termine per il rilascio ai sensi dell’art. 56 della l. n. 392 del 1978 sino a tre mesi dalla pubblicazione della presente. Rinvia la decisione sulla domanda di risarcimento danni ai sensi dell’art. 1591 c.c. proposta dalla ricorrente nella memoria integrativa ai sensi dell’art. 667 c.p.c. e rimasta assorbita, nonché sulla domanda di condanna al pagamento del dovuto fino al rilascio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Roma Ne consegue che, a prescindere dalla circostanza se l’occupante abbia continuato a pagare il corrispettivo convenuto, è interesse della (OMISSIS) S.p.A. ottenere una specifica pronuncia in merito essendo venuto meno il titolo, nella specie il contratto di locazione, per esigere il pagamento di quanto dovuto fino al rilascio>.
3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1591 c.c., 2923 c.c., 1460 c.c., 560 c.p.c., 27 e 34 legge 27 luglio 1978, n. 392, per avere la Corte d’appello ritenuto non dovuto il maggior danno ex art. 1591 c.c., non avendo la locatrice corrisposto o offerto alla conduttrice l’indennità ex art. 34 legge eq. can., ritenuta in sentenza condizione necessaria per poter qualificare il conduttore in mora.
3.1. Sostiene al riguardo, in primo luogo, che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto applicabile alla fattispecie l’art. 34 l. cit., in mancanza dei suoi presupposti.
Osserva infatti che:
— in caso di pignoramento dell’immobile condotto in locazione il locatore perde ogni facoltà di esercitare il diritto di disdetta del contratto e che ai fini della rinnovazione occorre un’espressa autorizzazione del giudice dell’esecuzione;
— per converso è l’inerzia del conduttore che provoca la cessazione del rapporto contrattuale non potendosi ipotizzare un’autorizzazione al rinnovo emessa dal giudice dell’esecuzione per sua autonoma iniziativa o d’ufficio;
— peraltro, mancava altro presupposto per l’applicazione della norma dal momento che essa locatrice non era in possesso di titolo esecutivo per il rilascio, questo essendo stato conseguito solo con la sentenza della Corte di Cassazione che ha fissato il termine per l’esecuzione a tre mesi dalla pubblicazione della sentenza stessa e dunque al 31 agosto 2015;
— l’inapplicabilità dell’art. 34 l. n. 392 del 1978 nell’ipotesi considerata discende, più in generale, dal rilievo che, ove per ipotesi l’immobile tornasse nella disponibilità del proprietario/debitore esecutato (per mancanza di offerte, per rinuncia dei creditori o per qualsiasi altro motivo anche formale che comporti l’estinzione della procedura) lo stesso si troverebbe nella situazione di dover versare l’indennità di avviamento senza aver potuto operare alcuna scelta, o anche potrebbe accadere che il conduttore, cessato il contratto per difetto di autorizzazione del Giudice al rinnovo, decida di rilasciare l’immobile nel corso della procedura esecutiva esigendo l’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale, ponendosi in tal caso il problema di stabilire su chi debba gravare il pagamento dell’indennità.
3.2. Sotto altro profilo afferma che la mancata corresponsione o la mancata offerta dell’avviamento commerciale riguarda una fase diversa del rapporto ed in particolare quella esecutiva, e non incide dunque sul diritto al risarcimento del danno ex art. 1591 cod. civ. che matura sin dalla data di cessazione del rapporto.
4. Prima di procedere allo scrutinio dei motivi, si deve rilevare che entrambe le parti danno atto in memoria che, nelle more (a febbraio del 2022), l’immobile è stato rilasciato e che è stata emessa sentenza d’appello che ha confermato l’accoglimento della opposizione all’esecuzione per rilascio dell’immobile proposta, ex art. 615 cod. proc. civ., dalla società ex conduttrice a motivo del mancato pagamento dell’indennità ex art. 34 l. eq. can.: giudizio nel quale dunque si agitavano le medesime questioni poste ad oggetto del terzo motivo circa la spettanza di tale indennità nel caso di bene pignorato.
Contro detta sentenza d’appello (App. Roma n. 6200/2022 del 6/10/2022) è stato proposto ricorso per cassazione, iscritto al n. 30078/2022 R.G. e risulta che è stato depositato anche controricorso e che la causa è in fase di spoglio.
Il Collegio ritiene che non ricorrano ragioni per rinviare la trattazione del presente ricorso al fine di una eventuale trattazione congiunta con il detto ricorro.
Per ragioni evidenti di priorità logica l’esame del primo motivo di ricorso va posposto a quello degli altri due.
5. Il secondo motivo è fondato. Va premesso che, al contrario di quanto sostiene parte resistente, il motivo è ammissibile.
L’eccezione di errata invocazione del n. 3, anziché del n. 4 dell’art. 360 c.p.c. è superabile sulla base degli insegnamenti di Cass., Sez. Un., n. 17931 del 2013.
La ragione di fondatezza del motivo si rinviene considerando che l’oggetto della domanda – che parte ricorrente, nel rispetto dell’art. 366 n. 6 c.p.c., ha indicato specificamente come oggetto della conclusioni del giudizio di rinvio – proposta documentato era quello di vedere riconoscere la debenza di quanto corrispondente al canone fino al momento del rilascio e del maggior danno ex art. 1591 c.c.
Ebbene, su detta domanda, come esattamente lamenta parte ricorrente, non è dato rinvenire un decisum nella sentenza impugnata.
Non è possibile ricavare dalla sentenza impugnata che la Corte territoriale abbia inteso rendere una pronuncia sulla detta domanda con il rilievo secondo cui «(è) circostanza pacifica … il fatto che la conduttrice abbia sempre continuato a pagare il canone pattuito con l’ordinario contratto».
L’affermazione registra un fatto, ma non ne dà giustificazione alcuna riconducibile al tenore della domanda di cui trattasi e dunque non può essere intesa come una decisione resa sulla domanda di cui trattasi.
Ciò, in disparte il fatto che l’espressione della sentenza allude al canone e così a quanto corrisponde al canone dopo la scadenza impositiva del rilascio, e non anche all’eventuale maggior danno.
L’accoglimento del motivo comporta la cassazione parziale della sentenza per l’omessa pronuncia sull’indicata domanda. Il giudice di rinvio dovrà provvedere sulla domanda, pronunciando su di essa, osservati, naturalmente, i vincoli proprio del giudizio di rinvio.
6. Il terzo motivo è infondato.
L’art. 34, comma primo, legge 27 luglio 1978, n. 392, esclude il diritto alla indennità per la perdita dell’avviamento previsto in favore del conduttore di immobili ad uso non abitativo in caso di cessazione del rapporto (e nel concorso degli altri presupposti ricavabili a contrario dall’art. 35), nei soli casi tassativamente previsti in cui detta cessazione sia dovuta a «risoluzione per inadempimento o disdetta o recesso del conduttore o a una delle procedure previste dal regio decreto 16 marzo 1942, n. 267».
Non si ricava da tale previsione e non ha dunque alcun fondamento, né testuale né logico, la premessa da cui più o meno esplicitamente muove la ricorrente, secondo cui presupposto del diritto all’indennità sarebbe la necessaria riconduzione della cessazione del rapporto ad una disdetta del locatore, con la conseguenza che, là dove il relativo potere non ha modo di esplicarsi, come nell’ipotesi considerata in cui, alla seconda scadenza, per gli effetti del pignoramento del bene locato iscritto anteriormente al termine per il suo esercizio, la tacita rinnovazione del contratto è comunque esclusa per essere necessaria, ex art. 560, comma secondo, cod. proc. civ., nel testo applicabile ratione temporis, l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, verrebbe meno anche l’applicabilità della norma.
Vero è, al contrario, che la previsione della necessaria autorizzazione del giudice dell’esecuzione ha il solo effetto – alla stregua del principio enunciato da Cass. n. 11168 del 2015 — di rendere inoperante il meccanismo di rinnovazione automatica per mancanza di tempestiva disdetta, ma non esclude affatto la possibilità di ricondurre la mancata rinnovazione ad una scelta consapevole (rendendola anzi più meditata) dei soggetti chiamati a compiere le relative valutazioni ex latere locatoris: ossia, da un lato, il debitore o il custode del bene pignorato, dall’altro, il giudice dell’esecuzione cui compete il potere autorizzativo.
Anziché da una disdetta l’opzione di non rinnovare il contratto è in tal caso manifestata dalla mancata richiesta o dalla mancata concessione della autorizzazione a rinnovare il contratto. Ciò non toglie però che essa determina la cessazione del rapporto per causa non imputabile al conduttore (ossia al suo inadempimento ovvero ad una sua iniziativa diretta a quel fine: disdetta o recesso) e che pertanto rimangono anche in tal caso intatte le esigenze di tutela sottese all’art. 34 della l. n. 392 del 1978.
Le due norme — l’art. 560, comma secondo, cod. proc. civ., da un lato, e, dall’altro, l’art. 34 — operano su piani distinti e perseguono obiettivi di tutela diversi e perfettamente compatibili.
La prima contempla il rapporto di locazione avente ad oggetto il bene pignorato in quanto bene facente parte della garanzia patrimoniale che si tratta di preservare in funzione satisfattiva degli interessi dei creditori esecutanti; la seconda se ne occupa invece dal punto di vista del conduttore, perseguendo l’obiettivo di riparare il danno subito per la perdita dell’avviamento e più in generale di tutelare l’attività imprenditoriale anche nel pubblico interesse.
Non si tratta dunque di norme che possano entrare in conflitto. Il peso che, su di un piano strettamente economico, certamente assume il credito indennitario per legge spettante al conduttore ex art. 34 l. eq. can. nella ponderazione da farsi nella gestione del rapporto secondo la prospettiva dell’esecuzione forzata costituisce dato indipendente derivante da norma di legge e come tale noto o comunque conoscibile in partenza anche a chi quella ponderazione è chiamato a compiere. Tale valutazione, per effetto del pignoramento, è sottratta al debitore ed affidata al custode ed al giudice dell’esecuzione, ma non vi è ragione di coinvolgere negli effetti della procedura anche l’altra parte del rapporto, che rimane terzo rispetto ad essa.
In tale prospettiva ben si comprende come l’art. 560 cod. proc. civ. entri in conflitto con le norme, gli artt. 28 e 29 l. eq. can., che attribuiscono al locatore, alla seconda scadenza del rapporto, la libertà di scelta tra la rinnovazione tacita ovvero la disdetta del contratto, prevalendo su di esse, nei limiti e nei termini indicati da Cass. Sez. U. n. 11830 del 2013 e da Cass. n. 11168 del 2015 (cui adde Cass. n. n. 19522 del 2019). Ma non v’è ragione, né logica né sistematica, che possa far desumere da essa anche l’obliterazione dei diritti garantiti dall’ordinamento all’altra parte del rapporto.
Tanto più evidente risulta, in tale prospettiva, l’insostenibilità della tesi secondo cui, stante il meccanismo autorizzativo dettato dall’art. 560 cod. proc. civ. per la rinnovazione del rapporto, spetterebbe al conduttore l’onere di attivarlo con la conseguenza che la sua inerzia al riguardo andrebbe parificata ad una disdetta agli effetti dell’art. 34 l. eq. can..
Ai fini di tale disposizione il conduttore non ha alcun onere di attivarsi per la rinnovazione del rapporto: solo una sua iniziativa contraria alla rinnovazione assume nella chiara formulazione della norma e secondo la sua ratio rilievo ostativo al sorgere del diritto all’indennità.
Ma anche il secondo comma dell’art. 560 cod. proc. civ. osta, nel suo dato testuale, ad una siffatta interpretazione. La norma, infatti, non è riferita al conduttore (terzo estraneo alla procedura) ma al debitore e al terzo nominato custode; ad essi è fatto «divieto di dare in locazione l’immobile pignorato se non sono autorizzati dal giudice dell’esecuzione». Il che significa che resta comunque ad essi affidato l’impulso per attivare il rinnovo, benché poi subordinato alla autorizzazione del giudice.
Al contrario di quanto dedotto in ricorso la sentenza di cassazione con rinvio svolge considerazioni pienamente coerenti con quelle sopra esposte, che possono anzi già in esse considerarsi implicite.
Si osserva in essa, invero, che il «mancato compimento» (del negozio unilaterale di disdetta alla seconda scadenza del rapporto) «si risolve in una tacita volontà di proseguirla e per tale ragione si concreta in una fattispecie che, sul piano funzionale, non è dissimile da quella la cui possibilità di realizzazione l’art. 560, olim secondo comma ed ora terzo comma, c.p.c., voleva e vuole escludere attribuendo invece, con una sorta di sostituzione a quanto implicherebbe la privata autonomia, al potere del giudice dell’esecuzione l’autorizzazione ad una nuova locazione» (Cass. n. 11168 del 2015, in motivazione, § 3.4, pag. 9) ed ancora, poco più oltre, che «alla scadenza del secondo periodo viene in rilievo la mera volontà del locatore di consentire o negare la rinnovazione, che è pertanto apparentabile alla situazione sottesa al secondo (terzo) comma dell’art. 560 c.p.c. Norma che interviene a disciplinare, imponendo un’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, l’ipotesi che l’immobile pignorato possa essere dato in locazione ex novo, cioè con un contratto che si stipula dopo il pignoramento».
Si pone in tali passaggi un chiaro parallelismo tra disdetta immotivata alla seconda scadenza e mancata richiesta o denegata autorizzazione di rinnovo del contratto alla seconda scadenza relativo a bene immobile pignorato; a tale affiancamento non può in coerenza non conseguire anche un eguale trattamento agli effetti della previsione di cui all’art. 34 l. eq. can., la quale, giova ancora rimarcare, prescinde dal come si sia giunti, ex latere locatoris, alla cessazione del rapporto, limitandosi ad attribuire rilievo ostativo all’indennità, all’opposto e soltanto, alla riconduzione della cessazione a fatto del conduttore, nelle tassative ipotesi di risoluzione per inadempimento, disdetta o recesso per iniziativa dello stesso, apertura di procedura concorsuale ex lege n. 267 del 1942.
Non è poi l’ottenimento di un titolo esecutivo per il rilascio a condizionare il sorgere del diritto all’indennità ma piuttosto, al contrario, è il pagamento dell’indennità condizione dell’esecuzione forzata per rilascio.
E’ per tale ragione che non può assumere rilevanza quanto si argomenta a pag. 19 del ricorso adducendo che il rilascio è stato disposto dalla sentenza di rinvio di questa Corte per una scadenza individuata nel 31 maggio 2008.
Comunque, la condanna al rilascio allora disposta acclarava la cessazione della locazione e dunque l’obbligo di rilasciare fin da quella scadenza.
Nessuna consistenza argomentativa è poi possibile riconoscere alla considerazione delle situazioni che si verificherebbero ove l’immobile pignorato tornasse nella disponibilità del proprietario/debitore esecutato ovvero all’ipotesi in cui il conduttore, a seguito del non autorizzato rinnovo, decidesse di rilasciarlo quando è ancora in corso la procedura esecutiva. È agevole osservare che entrambe le situazioni troverebbero piana regolazione nell’ordinamento senza dar luogo ad alcun effetto paradossale: nel primo caso, invero, il debito indennitario ricadrebbe in capo al debitore locatore, senza che in ciò possa vedersi alcuna antinomia alla luce delle considerazioni sopra svolta; nel secondo caso, il debito ricadrebbe, quale posta passiva, sul patrimonio separato cui dà luogo il pignoramento e la nomina di un custode.
La tesi, infine, secondo cui la mancata corresponsione o la mancata offerta dell’avviamento commerciale riguarda una fase diversa del rapporto ed in particolare quella esecutiva e non incide dunque sul diritto al risarcimento del danno ex art. 1591 cod. civ. si pone frontalmente in contrasto con il principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte e richiamato in sentenza, secondo cui «nelle locazioni di immobili urbani adibiti ad attività commerciali disciplinate dagli artt. 27 e 34 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (e, in regime transitorio, dagli artt. 68, 71 e 73 della stessa legge), il conduttore che, alla scadenza del contratto, rifiuti la restituzione dell’immobile, in attesa che il locatore gli corrisponda la dovuta indennità di avviamento, è obbligato al solo pagamento del corrispettivo convenuto per la locazione, e non anche al risarcimento del maggior danno» (Cass. Sez. U. n. 1177 del 15/11/2000 e succ. conff.).
Mette conto, in fine, di rilevare che in chiusura della sentenza di rinvio di questa Corte, dopo la cassazione e decisione nel merito sula domanda di finita locazione e sul conseguente rilascio, il rilievo svolto nel senso che, non constando domanda di accertamento dell’indennità la questione avrebbe potuto se del caso porsi – come si è posta – in sede di eventuale opposizione all’esecuzione, implicò soltanto il riconoscimento della salvezza della pretesa alla corresponsione dell’indennità quale eventuale fatto ostativo all’esecuzione del disposto rilascio.
Quella precisazione non fu in alcun modo relativa alla rilevanza della questione della debenza dell’indennità come fatto incidente sull’obbligazione di cui all’art. 1591 c.c. e dunque non escluse affatto che sotto tale profilo ed appunto come mezzo di eccezione contro la domanda relativa a tale obbligazione, per la quale venne disposto il rinvio, dovesse esaminarsi, come è stata esaminata dalla corte di rinvio.
Ne segue che, l’essere stata dedotta la spettanza dell’indennità, o meglio la sua mancata corresponsione, come fatto impeditivo del riconoscimento del maggior danno rispetto all’ammontare di quanto corrispondente al canone (secondo la ricordata giurisprudenza) a giusta ragione è stato un punto esaminato dalla sentenza impugnata nell’àmbito del disposto giudizio di rinvio sulla domanda ai sensi dell’art. 1591 c.c.
Il motivo è, dunque, rigettato sulla base del seguente principio di diritto: <In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, qualora l’immobile venga pignorato prima che si sia consumata la possibilità di esercizio della facoltà di disdetta immotivata alla seconda scadenza contrattuale e non abbia luogo la provocazione della rinnovazione della locazione tramite la necessaria autorizzazione del giudice dell’esecuzione, prevista dall’art. 560 cod. proc. civ., così verificandosi alla scadenza l’automatica cessazione della locazione, si deve ritenere che al conduttore, se ne ricorrano i presupposti, spetti l’indennità di cui all’art. 34 c.p.c. Ne consegue che l’acquirente dell’immobile in forza di decreto di trasferimento intervenuto prima della cessazione della locazione è tenuto a corrispondere l’indennità e la debenza della stessa quale condizione per il rilascio esclude che il conduttore sia tenuto alla corresponsione del maggior danno fino al rilascio, essendo invece tenuto solo a corrispondere l’ammontare di quanto dovuto a titolo di canone>.
7. Venendo a questo punto al primo motivo, se esso fosse stato esaminabile, se ne sarebbe dovuta rilevare l’infondatezza.
Senza che metta conto valutare se la motivazione offerta nella sentenza impugnata sia oppure no idonea a dar ragione dell’espresso convincimento circa la sussistenza di giusti motivi per compensare, la relativa statuizione si rivela comunque conforme a diritto in presenza di un esito finale e complessivo del giudizio solo parzialmente vittorioso per l’odierna ricorrente, che si è vista infatti bensì accogliere la domanda di cessazione del rapporto alla scadenza del 31 maggio 2008 e di conseguente condanna al rilascio ma che è rimasta soccombente sulla domanda di risarcimento del danno ex art. 1591 cod. civ., in tal modo determinandosi una situazione di soccombenza reciproca che, ai sensi dell’art. 92 cod. proc. civ., legittima comunque, ipso iure, la compensazione delle spese senza onerare per essa il giudice di alcuna motivazione: il che rende irrilevante che questa invece ci sia e sia, in ipotesi, errata.
È noto, infatti, che non può configurarsi vizio di motivazione in relazione a questioni di mero diritto. Ciò in quanto il giudice di legittimità è investito, a norma dell’art. 384 cod. proc. civ., del potere di integrare e correggere la motivazione della sentenza impugnata, con la conseguenza che, se chiamato a valutare la conformità a diritto della decisione impugnata, la sua valutazione ben può prescindere dalla motivazione che, in punto di diritto, sia contenuta nella sentenza impugnata, quando il giudice del merito sia, comunque, pervenuto ad una esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame (Cass. 17/11/1999, n. 12753; 08/05/2012, n. 7880).
Tuttavia, il motivo in esame resta prioritariamente assorbito, poiché l’accoglimento del secondo motivo comporta la caducazione della statuizione delle spese ai sensi del primo comma dell’art. 336 c.p.c.
8. Conclusivamente, per le considerazioni che precedono è accolto il secondo motivo, è rigettato il terzo ed è dichiarato assorbito il primo.
La sentenza è cassata in relazione al motivo accolto con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma, comunque in diversa composizione, perché rimedi all’omissione di pronuncia riscontrata in accoglimento del secondo motivo. Al giudice del rinvio è rimesso di regolare le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso, rigetta il terzo, dichiara assorbito il primo. Cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma, comunque in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 febbraio 2023.