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Cassazione Civile 22429/2020 – Contratto preliminare – Impegno del promittente cedente ad assicurare un determinato risultato – Eccezione d’inadempimento

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Ordinanza 22429/2020 

 

Contratto preliminare – Impegno del promittente cedente ad assicurare un determinato risultato – Eccezione d’inadempimento

In tema di contratto preliminare, qualora una delle parti si sia impegnata ad assicurare un determinato risultato è legittimo il recesso dell’altra parte, a prescindere dalla mancanza di colpa in chi abbia promesso il risultato non raggiunto, trattandosi di garanzia che opera per il fatto oggettivo. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza d’appello che ha ritenuto legittimo il recesso dal preliminare di quote di una società da parte della promissaria cessionaria, a fronte dell’inadempimento dei promittenti cedenti all’obbligo di garantire la titolarità in capo alla medesima società oggetto di cessione, della maggioranza delle quote di altra società).

Cassazione Civile, Sezione 6-1, Ordinanza 16 ottobre 2020, n. 22429   (CED Cassazione 2020)

Art. 1385 cc (Caparra confirmatoria) – Giurisprudenza

Art. 1460 cc (Eccezione d’inadempimento) – Giurisprudenza

 

 

FATTI DI CAUSA

1.- Nell’ottobre del 2006, i signori Di. Ra., Al. D.A., Fl. Fu., Al. Me. e la s.r.l. Ra. Pa. hanno concluso un contratto preliminare di cessione di tutte le quote del capitale della s.a.s. Pe. con la s.r.l. I.O.. «A titolo di caparra confirmatoria, ai sensi dell’art. 1385 cod. civ.», la promittente compratrice ha contestualmente provveduto a versare ai promittenti venditori una somma di denaro. Tra le altre pattuizioni, il testo del preliminare ha stabilito che, al tempo di stipula del contratto definitivo, la Pe. risulti «titolare di quote societarie della s.r.l. Lo. per un valore nominale complessivo variabile tra il 51% e il 64%»: il possesso della maggioranza di quest’ultima società costituendo il «motivo essenziale» dell’operazione di acquisto, in ragione del fatto che la Lo. è proprietaria di un immobile a destinazione alberghiera, nel settembre dello stesso anno concesso in locazione ad altra società; l’acquisto essendo in modo espresso subordinato all’effettiva sussistenza di tale circostanza (con promessa di compera formulata «se ed in quanto»).

2.- Nel periodo intercorrente tra la conclusione del preliminare e la data stabilita per la stipula del definitivo, è venuto a emergere che, in quel tempo, risultava «pendente un contenzioso (n. 3665/2006) tra i soci … che avrebbe anche potuto apportare un rilevante mutamento della compagine sociale della Lo.». E’ seguito, attorno a questa circostanza, uno scambio di comunicazioni tra la promittente compratrice e i promittenti venditori. In esito al quale, la promittente compratrice ha dichiarato che «non avrebbe proceduto a rogitare, fino a che la causa pendente non fosse stata decisa».

I promittenti venditori hanno allora dichiarato di considerare risolto il contratto per inadempimento della promittente compratrice e di «trattenere la somma ricevuta in garanzia, ai sensi dell’art. 1385 comma 2 cod. civ.». A sua volta, la promittente compratrice ha dichiarato di recedere dal contratto, sempre ai sensi di questa norma, assumendo l’inadempimento dei promittenti venditori, perché «non erano nella piena e libera disponibilità» delle quote della s.r.l. Lo.; nel contempo, ha chiesto la corresponsione di una somma di denaro pari al doppio della versata caparra.

3.- Adito dalla s.r.l. I.O., il Tribunale di Forlì, con sentenza depositata nel giugno 2009, ha respinto le richieste attoree e accolto invece la domanda riconvenzionale dei convenuti, così dichiarando risolto il preliminare e legittima la «ritenzione» della ricevuta caparra». La s.r.l. I.O. ha proposto appello.

4.- Con sentenza depositata in data 11 novembre 2017, la Corte di Appello di Bologna ha accolto l’impugnazione proposta, ritenendo la legittimità del recesso dal preliminare effettuato dalla promittente compratrice e condannando i promittenti venditori al pagamento del «doppio della caparra ricevuta».

5.- I promittenti venditori — ha rilevato il giudice – «non hanno correttamente provveduto ad adoperarsi ai loro impegni contrattuali assunti con il contratto preliminare, ovvero a fare sì che la società Pe., al momento della conclusione del contratto definitivo, fosse effettivamente titolare della quota di maggioranza della società Lo.»: essi si «erano impegnati a garantire … la consistenza e il valore di ambo le società Pe. e Lo.»; a tali impegni gli stessi si sono resi inadempimenti.

Nei fatti, l’esito del contenzioso in essere tra i soci della Lo. «avrebbe potuto modificare la compagine sociale e dunque la successiva improduttività degli obblighi garantiti nel contratto preliminare»: la eventuale «violazione del patto di prelazione nei confronti dei soci pretermessi» – ha proseguito la pronuncia – «comporta effetti reali tramite la nullità e inefficacia della cessione della stessa e il divieto dell’acquirente di divenire socio, iscrivendosi nel relativo libro sociale». L’inadempimento dei promettenti venditori è dunque risultato «grave e rilevante ex art. 1455 cod. civ.».

Di conseguenza, I.O. «ha correttamente esercitato il suo diritto di rifiutare di adempiere alla sua obbligazione, ovvero quello di sottoscrivere il successivo contratto definitivo, ai sensi dell’art. 1460 cod. civ.». La stessa è altresì da ritenere, in via correlata, «legittimata a invocare il proprio diritto di recesso ex art. 1385 cod. civ.» dal contratto preliminare.

6.- Avverso questo provvedimento i signori Ra., D.A., Fu., Me. e la s.r.l. Ra. Pa. hanno proposto ricorso per cassazione, esponendo sei motivi.

Ha resistito, con controricorso, la s.r.l. I.O..

7.- I ricorrenti hanno anche depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

8.- Col primo motivo, i ricorrenti assumono la violazione e falsa applicazione dell’art. 20 comma 1 d.lgs. n. 5/2003, nonché, con riferimento all’art. 112 cod. proc. civ., un’«omissione di pronuncia, giacché la sentenza ha ravvisato l’ammissibilità dell’appello nonostante la mancanza di specificità dei motivi e nonostante tale mancanza sia stata oggetto tanto di eccezione di parte, quanto di rilievo di ufficio».

Nel concreto del suo contenuto, il motivo fa espressamente leva su un passaggio della sentenza impugnata, che risulta così concepito: «la società I.O. non formulava specifici motivi, offrendo una ricostruzione dei fatti che così può riassumersi». Sulla base della formulazione di questo passo, i ricorrenti sostengono che la sentenza, che accoglie l’appello, si pone in «palese e insanabile violazione delle regole … che configurano univocamente un dovere d’ufficio, il cui esercizio è stato sollecitato più volte dalla parte, il che comporta pure una omissione di pronuncia».

9.- Il motivo non può essere accolto.

La doglianza si sostanzia nello stralciare una singola frase della motivazione svolta dalla sentenza impugnata, astraendola dal contesto a cui essa, peraltro, risulta indissolubilmente legata. In effetti, la pronuncia – alla frase sopra riportata – fa subito seguire il dettaglio della «ricostruzione dei fatti» proposta dall’appellante (e oggi resistente), come per l’appunto contrapposta a quella che era stata per contro fornita dal Tribunale di Forlì.

D’altra parte, è pure da osservare che, secondo l’orientamento accolto dalla giurisprudenza di questa Corte, l’«appellante, che intenda dolersi di una erronea ricostruzione dei fatti da parte del giudice del primo grado può limitarsi a chiedere al giudice di appello di valutare ex novo le prove già raccolte e sottoporgli le argomentazioni difensive già svolte in primo grado, senza che ciò comporti di per sé l’inammissibilità dell’appello» (cfr. Cass., 8 febbraio 2018, n. 3115; Cass., 12 febbraio 2012, n. 2814).

10.- Il secondo e il terzo motivo di ricorso vanno esaminati insieme, in ragione della loro stretta contiguità.

Col secondo motivo si sostiene, in particolare, che la sentenza della Corte bolognese ha errato perché ha preso in considerazione – in relazione al punto dell’inadempimento dei promettenti venditori – il mero «fatto storico materiale», senza tenere in alcun conto dell’aspetto inerente all’«imputabilità del fatto stesso a titolo di dolo o colpa». Per poi ammonire che – ai fini della risoluzione del contratto, come pure del recesso ex art. 1385 cod. civ. – a contare, in ogni caso, è solo l’inadempimento che nei fatti si manifesti imputabile.

Col terzo motivo si assume poi, e in via consecutiva, che la sentenza non ha proprio preso in considerazione la circostanza secondo cui, all’epoca dei fatti, i promittenti venditori mandarono due «missive a mezzo legale» alla promittente compratrice in cui si dichiarava che il «libello introduttivo di quel contenzioso [in essere tra i soci della Pe.] si trovava “a disposizione” presso lo studio del legale».

11.- Il secondo e il terzo motivo sono infondati.

Per avviare in modo adeguato l’esposizione, si manifesta opportuno osservare che la sentenza del giudice bolognese ha inquadrato la previsione, relativa al possesso da parte della s.a.s. Pe. (e quindi dei soci di questa, promittenti venditori) della maggioranza delle quote della s.r.l. Lo., nell’ambito degli «impegni di garanzia», dal contratto preliminare posti a carico dei promittenti venditori (cfr. sopra, nell’ultimo periodo nel n. 5).

La Corte territoriale ha ritratto questo inquadramento dal tenore testuale del patto; come pure, e in via di conforto ulteriore, dalla funzione concreta della promessa di vendita (cfr. nel secondo capoverso del n. 2). Questa prospettiva – è anche da precisare – non è stato contestata dagli attuali ricorrenti.

12.- Ora, all’inquadramento, così raggiunto, consegue che il detto impegno implica – da parte dei promettenti venditori che lo hanno assunto stipulando il preliminare – l’assicurazione del risultato che viene così promesso, come in concreto rappresentato dalla titolarità della maggioranza delle quote della s.r.l. Lo. (per il tramite della s.a.s. Pe., la totalità delle quote di questa fungendo da oggetto diretto dell’operazione).

L’impegno in discorso si trova dunque inserito nell’ambito della categoria tradizionale – e di amplissimo riscontro nella pratica – dei c.d. obblighi di garanzia di risultato, di cui ad esempio fanno parte, nell’ambito degli obblighi di fonte legale, la garanzia per evizione (artt. 1483 ss. cod. civ.) e quella della veritas nominis in ipotesi di cessione dei crediti (art. 1266 cod. civ.) ovvero, nel contesto degli obblighi di fonte negoziale, della garanzia di buon funzionamento (come figura contemplata dalla norma dell’art. 1512 cod. civ.).

13.- E’ consentaneo all’assunzione di un impegno di garanzia del risultato che l’obbligato risponde per il caso di mancato verificarsi del risultato promesso anche quando ciò non si leghi al suo dolo o alla sua colpa: qui in effetti, la legge o il contratto pone direttamente in capo a un dato soggetto il rischio connesso al verificarsi di un dato risultato. E così, sempre a titolo di esempio, il venditore risponde nei confronti del compratore per l’evizione della cosa che gli ha alienato anche se, al tempo della convenuta alienazione, non era in mala fede.

In ragione di quest’ordine di rilievi, la giurisprudenza di questa Corte viene a escludere che, per ravvisare la sussistenza dell’inadempimento agli obblighi di questa specie, occorra un riscontro di colpevolezza del soggetto tenuto (cfr., tra le altre, Cass., 28 novembre 2019, n. 31314; Cass., 21 aprile 2015, n. 8102; Cass., 21 maggio 2012, n. 8002).

Si tratta – così si è venuto per l’appunto a precisare – di «garanzia che opera per il fatto oggettivo».

14.- Col quarto motivo, i ricorrenti assumono che la Corte bolognese ha errato nel ritenere che «la cessione delle quote dai signori Ra. + 4 a I.O. sarebbe messa a rischio dal contenzioso promosso» tra i soci della Pe., «per la presunta inosservanza della prelazione sull’assunto che tale contenzioso in caso di successo comporterebbe il riscatto delle quote».

15.- Il motivo è infondato.

La sostanza propria dell’affermazione della Corte bolognese – per cui la cessione di quote di s.r.l., che avvenga nel mancato rispetto del patto di prelazione statutario, rimane inefficace nei confronti della società – risponde al tradizionale orientamento di questa Corte (cfr., tra le altre pronunce, Cass., 22 giugno 2016, n. 12956: la «prelazione statutaria ha efficacia reale e, in caso di violazione, è opponibile anche al terzo acquirente»).

16.- Il quinto motivo di ricorso afferma che il contenzioso intercorso tra i soci della s.r.l. Lo. ha «visto la soccombenza dei soci che l’avevano promosso», come diversi, quindi dai ricorrenti attuali.

E, rilevato che di tale sopravvenienza si faceva cenno nella «memoria conclusionale di appello (p. 5)», assume la decisività di tale circostanza per l’esito del presente giudizio: «la presunta inosservanza della prelazione risultava irrilevante in base a una ricognizione ex post, oltreché … in base a una previsione ex ante».

17.- Il motivo non può essere accolto.

Esso difetta del necessario requisito dell’autosufficienza, posto che il testo del ricorso non ingloba né il dispositivo, né la motivazione delle decisioni a cui fa riferimento. Come pure sarebbe stato necessario, atteso che la sentenza della Corte bolognese, che qui è stata impugnata, non fa cenno alcuno dei provvedimenti che i ricorrenti intendono richiamare.

Per altro verso, appare opportuno per completezza anche aggiungere che l’esito della controversia intercorsa tra i soci della s.r.l. Lo. non potrebbe in ogni caso stimarsi evento «decisivo» per le sorti del giudizio qui in esame. La decisione relativa a questa controversia, infatti, non potrebbe possedere effetto negativo sullo scioglimento del preliminare di vendita delle quote della s.a.s. Pe. a suo tempo intervenuto tra le parti, né carattere purgativo del comportamento tenuto dagli attuali ricorrenti (come per l’appunto affermativo dell’intervenuta risoluzione del contratto) a fronte della dichiarazione di I.O. di sospendere l’esecuzione del preliminare fino alla sopravvenuta decisione di detta controversia (per il rilievo che la proposizione di una domanda giudiziale è fatto in sé stesso idoneo ad abilitare il contraente, protetto da un impegno di garanzia, a sospendere l’esecuzione della propria prestazione v. la già citata Cass., n. 31314/2019; Cass., 18 novembre 2011, n. 24340).

18.- Il sesto motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 360 n. 4 e dell’art. 112 cod. proc. civ., «omissione di pronuncia su tutte le argomentazioni dei signori Ra. + 4, nonché su tutte le questioni da valutarsi ex officio nell’interesse dei signori Ra. + 4, ossia carattere soltanto apparente della motivazione».

«La sentenza oggetto di gravame» – così si rileva – «trascura le eccezioni dei signori Ra. + 4 a livello non di singole deduzioni ma nel loro insieme, giacché nessun argomento riceve qualsivoglia menzione prima ancora che valutazione»: non quello di cui al primo motivo; non quello di cui al terzo motivo; non quello di cui al quinto motivo.

D’altra parte – incalzano i ricorrenti – «la sentenza oggetto di gravame trascura pure le questioni da valutarsi ex officio nell’interesse dei signori Ra. + 4»: non quella di cui al secondo motivo; non quella di cui al quarto motivo.

19.- Il motivo non può essere accolto.

Lo stesso si sostanzia infatti nel ripetere – e in termini di mero riepilogo – delle doglianze precedentemente dedotte. Il mancato accoglimento di ciascuna di queste viene pertanto a riflettersi direttamente sulla sorte di quest’ultima.

20.- In conclusione, il ricorso dev’essere respinto.

Le spese seguono la regola della soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella somma di € 8.100,00 (di cui € 100,00 per esborsi), oltre a spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.

Dà atto, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater d.p.r. n. 115/2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, secondo quanto stabilito dalla norma del comma 1 bis dell’art. 13.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile – 1, addì 17 giugno 2020.

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