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Cassazione Civile 22465/2018 – Decreto ingiuntivo – Esecutorietà per mancata opposizione – Formazione del giudicato – Ulteriore azione su medesimo titolo

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Ordinanza 22465/2018

 

Decreto ingiuntivo – Esecutorietà per mancata opposizione – Conseguenze – Formazione del giudicato – Ulteriore azione su medesimo titolo – Preclusione

Il principio secondo cui l’autorità del giudicato spiega i suoi effetti non solo sulla pronuncia esplicita della decisione, ma anche sulle ragioni che ne costituiscono sia pure implicitamente il presupposto logico-giuridico, trova applicazione anche in riferimento al decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro, il quale, in mancanza di opposizione o quando quest’ultimo giudizio sia stato dichiarato estinto, acquista efficacia di giudicato non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso, precludendo ogni ulteriore esame delle ragioni addotte a giustificazione della relativa domanda in altro giudizio. (Nella specie la S.C. ha ritenuto preclusa dal giudicato, formatosi a seguito dell’estinzione della causa di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto da un banca in relazione al saldo passivo di un conto corrente, la successiva domanda, proposta dal correntista, tesa ad ottenere la ripetizione delle somme indebitamente trattenute dall’istituto di credito in forza di clausole negoziali invalide).

Cassazione Civile, Sezione 1, Ordinanza 24-9-2018, n. 22465   (CED Cassazione 2018)

Art. 633 cpc (Condizioni ammissibilità decreto ingiuntivo) – Giurisprudenza

Art. 647 cpc (Esecutorietà del decreto ingiuntivo per mancata opposizione) – Giurisprudenza

Art. 653 cpc (Efficacia esecutiva del decreto ingiuntivo opposro) – Giurisprudenza

 

 

 

RILEVATO CHE:

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), quali eredi di (OMISSIS), citarono innanzi al Tribunale di Milano la (OMISSIS) e, premessa l’istanza d’accertamento della nullità delle clausole contrattuali per anatocismo e commissioni di massimo scoperto, chiesero la condanna della banca convenuta alla restituzione della somma indebitamente versata per tali titoli; si costituì la banca.

Intanto, in data successiva, la (OMISSIS) ottenne l’emissione di un decreto ingiuntivo nei confronti degli attori eredi (OMISSIS) per il pagamento del saldo negativo di conto corrente, pari a Lire 1.883.516.15. Gli eredi proposero opposizione al decreto ingiuntivo contestando la sussistenza del credito anche con riguardo alla clausola relativa al tasso degli interessi.

In data 2.11.98, le parti conclusero una transazione relativa al suddetto giudizio con pagamento alla banca della somma complessiva di Lire 400.000.000 a saldo dei residui crediti per capitale, interessi e spese, con abbandono della causa di opposizione, compensate le spese.

Detto ciò, nel giudizio in esame la banca aveva sollevato varie eccezioni tra cui quella di giudicato in ordine al giudizio d’opposizione al decreto ingiuntivo riguardo alla questione ivi non dedotta della nullità delle clausole contrattuali in ordine agli interessi anatocistici.

Il Tribunale accolse la domanda degli eredi (OMISSIS) e condannò la (OMISSIS) al pagamento della somma di Euro 286.835,00 oltre interessi legali.

La banca ha proposto appello, formulando un preliminare motivo d’inammissibilità della domanda degli attori per la preclusione del giudicato sul credito fondato sul rapporto di conto corrente. La Corte d’appello di Milano ha accolto l’impugnazione, dichiarando le domande dei (OMISSIS) precluse dal giudicato formatosi in relazione al decreto ingiuntivo opposto. Al riguardo, la Corte ha argomentato che: l’estinzione del giudizio di opposizione aveva determinato il giudicato circa l’accertamento della sussistenza e dell’entità delle ragioni di credito fatte valere dalla banca nei confronti degli eredi (OMISSIS), fondate sul rapporto di conto corrente intercorso tra le stesse parti; nel giudizio in questione la domanda di ripetizione d’indebito comportava necessariamente il riesame del contratto di conto corrente – quale fatto costitutivo del credito fatto valere dalla banca – sicchè l’accoglimento della stessa domanda avrebbe comportato effetti diretti sulla determinazione del saldo del conto corrente, divenuto intangibile in seguito all’estinzione del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo; le questioni inerenti alla validità delle clausole del contratto di conto corrente erano già state dedotte nel giudizio d’opposizione; pertanto, il credito oggetto del giudizio in esame costituiva oggetto di quello che sarebbe stato deducibile nell’altro giudizio.

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, anche nei confronti di (OMISSIS), originaria co-attrice. Si è costituita la banca con controricorso, illustrato con memoria.

CONSIDERATO CHE:

Con il primo motivo del ricorso è stata denunziata violazione e falsa applicazione degli artt. 2909, 1418 e 2033 c.c., artt. 324, 653, 181, 307, 308 e 309 c.p.c., art. 24 e 111 Cost., considerata la sentenza della Corte Costituzionale n. 425 del 17.10.2010 in ordine al Decreto Legislativo n. 342 del 1999, art. 25, comma 3, in quanto la Corte d’appello non aveva tenuto conto dell’orientamento secondo cui il giudicato formatosi nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo ha portata ed effetti diversi da quelli inerenti ai giudizi a cognizione piena e non si estenderebbe alle questioni non dedotte ma deducibili, anche considerando che l’azione di ripetizione dell’indebito per interessi anatocistici era stata basata su un fatto nuovo costituito dalla modifica normativa successiva al giudizio d’opposizione, a seguito della suddetta sentenza della Corte Costituzionale.

Con il secondo motivo è stata denunziata violazione e falsa applicazione degli artt. 36, 112, 324 e 653 c.p.c., art. 2909 c.c., artt. 24 e 111 Cost., poichè erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto il giudicato preclusivo pur non avendo gli attori proposto una domanda, nel giudizio estinto, ma solo eccezioni rispetto alla domanda della banca.

Il ricorso è infondato.

Il collegio intende dare continuità al consolidato orientamento di questa Corte secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile in relazione al medesimo oggetto e, pertanto, riguarda non solo le ragioni giuridiche e di fatto esercitate in giudizio ma anche tutte le possibili questioni, proponibili in via di azione o eccezione, che, sebbene non dedotte specificamente, costituiscono precedenti logici, essenziali e necessari, della pronuncia (Cass., n. 25745/17). Il principio secondo cui l’autorità del giudicato spiega i suoi effetti non solo sulla pronuncia esplicita della decisione, ma anche sulle ragioni che ne costituiscono, sia pure implicitamente, il presupposto logico-giuridico, trova applicazione anche in riferimento al decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro, il quale, ove non sia proposta opposizione, acquista efficacia di giudicato non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso, precludendo in tal modo ogni ulteriore esame delle ragioni addotte a giustificazione della relativa domanda in altro giudizio (Cass., n. 28318/17).

Dalla citata giurisprudenza si evince dunque che, nel caso concreto, il giudicato formatosi sul decreto ingiuntivo involge anche le questioni che i clienti avrebbero potuto proporre nel giudizio di opposizione (quale la richiesta di ripetizione d’indebito per la registrazione in conto corrente degli interessi anatocistici), come diritti deducibili in quanto fondati sul medesimo rapporto di conto corrente, a nulla rilevando che la legge sul divieto dell’anatocismo del 2000 sia successiva all’inizio del rapporto oggetto di causa, non costituendo ciò un limite alla preclusione derivante dal giudicato.

Al riguardo, parte ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello abbia ritenuto formatosi il giudicato sugli interessi anatocistici anche a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 425/10, che ha dichiarato l’incostituzionalità del Decreto Legislativo n. 342 del 1999, art. 25, comma 3, trattandosi di fatto nuovo che legittimava l’azione di ripetizione dell’indebito. Ora, è pacifico che tale sentenza della Corte Costituzionale sia stata emessa dopo l’estinzione del giudizio d’opposizione e, dunque, successivamente alla formazione del giudicato sugli interessi anatocistici su cui non può dunque esplicare alcun effetto.

Il secondo motivo è da ritenere assorbito.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della contro ricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di Euro 10.000,00 oltre Euro 200,00 per esborsi, maggiorazione del 15% per rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma lbis dello stesso articolo 13. esborsi e accessori di legge.

Così deciso nella camera di consiglio del 23 maggio 2018.