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Cassazione Civile 22514/2014 – Incidente stradale – Illecito del minore – Responsabilità dei genitori ex art. 2048 cc –

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Sentenza 22514/2014

Incidente stradale – Illecito del minore – Responsabilità dei genitori ex art. 2048 cc

Il principio di cui all’art. 1227 cod. civ. (riferibile anche alla materia del danno extracontrattuale per l’espresso richiamo contenuto nell’art. 2056 del codice) della riduzione proporzionale del danno in ragione dell’entità percentuale dell’efficienza causale del soggetto danneggiato si applica non solo nei confronti del danneggiato, che reclama il risarcimento del pregiudizio direttamente patito e al cui verificarsi ha contribuito la sua condotta, ma anche nei confronti dei congiunti che, in relazione agli effetti riflessi che l’evento di danno subito proietta su di essi, agiscono per ottenere il risarcimento dei danni subiti “iure proprio”. (Nella specie, a seguito di un incidente stradale in cui la minorenne danneggiata aveva concorso a cagionare il danno, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ridotto, in proporzione alla colpa della ragazza, anche il risarcimento spettante ai genitori a titolo di danno da lesione del rapporto familiare e di danno morale, pervenendo a tale conclusione non solo in applicazione dell’art. 2048 c.c., e dunque del principio per cui del fatto illecito del minore erano tenuti a rispondere i genitori, ma anche dell’art. 1227, primo comma, cod. civ.).

Corte di Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza, 23 ottobre 2014,  n. 22514   (CED Cassazione 2014)

Articolo 1227 c.c. annotato con la giurisprudenza

Articolo 2048 c.c. annotato con la giurisprudenza

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. (OMISSIS) e (OMISSIS), in proprio e nella qualità di esercenti la potestà dei genitori sulla figlia minorenne (OMISSIS), convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Marsala, (OMISSIS), (OMISSIS) e l’ (OMISSIS) s.p.a., chiedendo che fossero condannati in solido al risarcimento dei danni conseguenti al sinistro stradale, verificatosi in data (OMISSIS), nel quale la predetta figlia, alla guida del proprio ciclomotore, era stata investita dalla FIAT Panda condotta dal (OMISSIS) e di proprietà del (OMISSIS).

Specificarono, a sostegno della domanda, che l’incidente era stato determinato dalla velocità eccessiva tenuta dal (OMISSIS) il quale, per superare un ostacolo sito sul lato destro della propria carreggiata, aveva invaso quella opposta, investendo la minore che, a seguito dell’impatto, era rimasta incastrata sotto la vettura, riportando un danno biologico permanente nella misura del 100 per cento.

Si costituì in giudizio la società assicuratrice, mentre il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) rimasero contumaci.

Nel corso del giudizio intervennero (OMISSIS), fratello di (OMISSIS), quest’ultima in proprio, frattanto divenuta maggiorenne, nonchè i medesimi genitori in luogo della ulteriore figlia minorenne (OMISSIS).

Il Tribunale, all’esito dell’istruttoria, pervenne alla conclusione di non poter accertare in positivo l’esatta dinamica del sinistro, per cui fece applicazione della presunzione di pari responsabilità tra i conducenti; operò poi un’ulteriore riduzione (pari al 10 per cento) del risarcimento spettante alla (OMISSIS), per il fatto che la stessa non indossava il casco; e liquidò, con le predette riduzioni, il danno biologico della giovane in euro 115.157,22, il danno morale in euro 57.578,26 (pari alla metà del danno biologico), il danno da inabilità temporanea in euro 3.809 e il danno da perdita della capacità di lavoro in euro 60.000. Liquidò poi, in favore di ciascuno dei genitori, oltre al danno derivante dalle spese mediche, anche l’intero danno morale riflesso e il danno da compromissione del rapporto familiare, determinando l’entità del risarcimento in euro 143.946,56 per ciascun genitore e per ciascuna voce di danno. Ciò sul rilievo che (OMISSIS) era corresponsabile di tale danno, ma che i genitori potevano pretendere l’intero da ciascuno dei responsabili, salvo il diritto di regresso.

2. La sentenza è stata appellata dalla (OMISSIS) in via principale, e da (OMISSIS), (OMISSIS), in proprio e quali legali rappresentanti della figlia minore (OMISSIS), nonchè da (OMISSIS) e (OMISSIS) in via incidentale.

La Corte d’appello di Palermo, con sentenza del 28 luglio 2010, in parziale riforma della decisione di primo grado e per quanto di interesse in questa sede, ha accolto il primo motivo dell’appello principale ed ha stabilito che il danno risarcibile in favore dei genitori di (OMISSIS) non poteva essere liquidato per l’intero, bensì solo per la quota decurtata in considerazione del concorso di colpa riconosciuto a carico della sfortunata ragazza; sicchè la relativa somma – liquidata dal Tribunale, per entrambi, in complessivi euro 294.187,35 – doveva essere ridotta nella somma di euro 58.837,47 per ciascuno dei genitori (con la riduzione del 60 per cento in considerazione della prevalente colpa della figlia), dalla quale andava detratta la provvisionale di lire 100 milioni a suo tempo liquidata in favore dei medesimi.

Quanto all’appello incidentale dei (OMISSIS), la Corte palermitana ha osservato che doveva essere confermata la decisione del Tribunale secondo cui la domanda di risarcimento del danno esistenziale in favore della vittima (OMISSIS) era da ritenere inammissibile, siccome avanzata dalla medesima soltanto in comparsa conclusionale.

La Corte d’appello ha poi confermato, nel resto, la sentenza di primo grado.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Palermo propongono ricorso (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS), con unico atto affidato a cinque motivi ed affiancato da memoria.

Resiste l’ (OMISSIS) s.p.a. con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., primo comma, n. 3) e n. 5), violazione dell’articolo 116 cod. proc. civ., oltre ad omessa ed insufficiente o contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio.

Rilevano i ricorrenti che la Corte d’appello avrebbe errato nel porre la responsabilità del sinistro a carico di entrambi i conducenti in uguale misura. Sul luogo del sinistro non furono rilevate tracce di frenata ed il (OMISSIS), sentito nell’immediatezza del fatto dai Carabinieri, dichiarò di aver visto la (OMISSIS) perdere improvvisamente il controllo della moto da lei condotta e procedere a zig zag. La sentenza non avrebbe considerato, quindi, che il (OMISSIS) aveva ritardato la frenata per propria evidente disattenzione e non avrebbe valutato il fatto che egli procedeva, probabilmente, a velocità elevata.

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., primo comma, n. 3) e n. 5), violazione dell’articolo 2054 c.c., secondo comma, oltre ad omessa ed insufficiente o contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio.

Rilevano i ricorrenti che la sentenza in esame avrebbe completamente omesso di valutare i segni di arrotamento che erano stati riscontrati sulla testa e sul corpo di (OMISSIS). L’arrotamento, in particolare, sarebbe la prova della macroscopica disattenzione del (OMISSIS) che, pur avendo avvistato la (OMISSIS) che aveva sbandato, non era riuscito ad attuare alcuna manovra idonea ad evitare l’impatto; all’esito della c.t.u. era emerso, anzi, che la giovane era stata trascinata rimanendo sotto la vettura investitrice, il che prova che il conducente dell’auto era disattento o che la sua velocità non era consona al luogo ed alle circostanze.

Vi sarebbe, poi, anche violazione del citato articolo 2054 c.c., poichè l’applicazione di detta norma non esclude una diversa e concreta attribuzione delle rispettive responsabilità, con possibilità per il giudice di compiere la relativa graduazione.

3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., primo comma, nn. 3) e 5), violazione dell’articolo 1227 c.c., primo comma, oltre ad omessa ed insufficiente o contraddittoria motivazione circa il mancato uso del casco da parte della (OMISSIS) e circa il conseguente aggravio di responsabilità posto a suo carico.

Osservano i ricorrenti che la sentenza sarebbe errata nella parte in cui non ha dato conto delle ragioni per le quali il mancato uso del casco avrebbe concorso in misura così importante nella realizzazione del danno. In particolare, proprio in considerazione dell’avvenuto arrotamento della (OMISSIS), la Corte d’appello avrebbe dovuto spiegare in che misura l’uso del casco avrebbe potuto mitigare le conseguenze dannose dell’incidente, anche ammettendo l’ulteriore c.t.u. sul punto, che i ricorrenti avevano sollecitato. Immotivato sarebbe, inoltre, il riconoscimento di un concorso di colpa della (OMISSIS) nella misura del 60 per cento.

4. I primi tre motivi di ricorso, da trattare congiuntamente in considerazione della stretta connessione che li unisce, sono tutti privi di fondamento.

4.1. Costituisce giurisprudenza consolidata di questa Corte il principio secondo cui, in tema di sinistri derivanti dalla circolazione stradale, l’apprezzamento del giudice di merito relativo alla ricostruzione della dinamica dell’incidente, all’accertamento della condotta dei conducenti dei veicoli, alla sussistenza o meno della colpa dei soggetti coinvolti e alla loro eventuale graduazione, al pari dell’accertamento dell’esistenza o dell’esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l’evento dannoso, si concreta in un giudizio di mero fatto, che resta sottratto al sindacato di legittimità, qualora il ragionamento posto a base delle conclusioni sia caratterizzato da completezza, correttezza e coerenza dal punto di vista logico-giuridico (v., tra le altre, le sentenze 23 febbraio 2006, n. 4009, e 25 gennaio 2012, n. 1028).

4.2. Nel caso specifico la Corte d’appello – alla quale erano state poste, in sostanza, tutte le medesime questioni in fatto oggetto dei motivi di ricorso in esame – con una motivazione accurata, coerente e del tutto priva di vizi logici, ha accertato le seguenti circostanze:

– che il furgone parcheggiato lungo il margine destro della carreggiata, nel senso di marcia del (OMISSIS), sporgeva di poco sulla strada, sicchè tale posizione non giustificava un improvviso e vistoso spostamento a sinistra della vettura oltre la mezzeria;

– che non risultava provata la condotta di guida “attenta e prudente” da parte del (OMISSIS), ma neppure da parte della (OMISSIS);

– che, anche ammettendo che il (OMISSIS) avesse frenato (per un’ipotetica distrazione) solo dopo aver impattato la moto condotta dalla (OMISSIS), ciò non consentiva di ritenere che la sua velocità fosse eccessiva (la Corte parla di 20/25 km orari);

– che la sterzata a destra dell’automobilista non implicava che egli si fosse portato al centro della carreggiata ed oltre la mezzeria;

– che gli “unici dati certi”, alla luce della c.t.u., erano che la (OMISSIS), dopo aver perso il controllo del proprio

ciclomotore, era scivolata col medesimo, finendo sotto la vettura del (OMISSIS);

che l’assenza di testimoni e di tracce di frenata rendevano impossibile individuare con certezza il punto d’urto, così come stabilire a chi fosse da addebitare la perdita di controllo del ciclomotore;

che, comunque, dato il tipo di incidente ed il conseguente trascinamento del corpo della (OMISSIS) sotto la vettura condotta dal (OMISSIS), l’uso del casco da parte della sfortunata ragazza avrebbe certamente mitigato il gravissimo trauma cranico riportata dalla medesima, con la conseguente sofferenza parenchimale e tutto quanto ne era derivato;

– che, in conclusione, non poteva farsi altro che applicare la presunzione di pari responsabilità di cui all’articolo 2054 c.c., comma 2, con ulteriore diminuzione della percentuale di danno risarcibile, in favore della vittima, a causa del mancato uso del casco.

Si tratta, come facilmente si percepisce, di una ricostruzione precisa e corretta, nei limiti di quanto ragionevolmente si può pretendere in considerazione del tipo di incidente.

4.3. Le censure di cui ai primi tre motivi, pertanto, non fanno altro che tornare a proporre all’esame della Corte una serie di profili di fatto, già valutati dalla Corte d’appello, sollecitando il giudice di legittimità ad una nuova e non consentita valutazione del merito della vicenda.

5. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione degli articoli 2043 e 2059 c.c..

Osservano i ricorrenti, al riguardo, che la domanda di risarcimento del danno esistenziale non implica una diversità di petitum rispetto alle altre voci di danno di cui (OMISSIS) aveva chiesto il risarcimento. L’interpretazione dell’articolo 2059 c.c., alla luce della nota sentenza 11 novembre 2008, n. 26972, delle Sezioni Unite di questa Corte, implica che in quella norma è ricompreso tutto il danno non patrimoniale, derivante dalla lesione di valori ed interessi di rango costituzionale. E nel caso specifico è certo, dagli atti, che le condizioni di (OMISSIS), non più suscettibili di ulteriori miglioramenti, le precluderanno per sempre ogni parvenza di normale vita di relazione.

5.1. Il mezzo non è fondato, pur dovendosi sul punto correggere la motivazione della sentenza in esame.

È esatto, infatti, il rilievo dei ricorrenti secondo cui – alla luce della giurisprudenza di questa Corte – la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale è una domanda di carattere onnicomprensivo, non potendosi considerare domanda nuova quella di risarcimento del danno esistenziale quando era stata già proposta domanda di risarcimento del danno non patrimoniale (v., da ultimo, la sentenza 11 ottobre 2013, n. 23147). D’altra parte, in tema di risarcimento dei danni da responsabilità civile, l’unitarietà del diritto al risarcimento e la normale non frazionabilità del giudizio di liquidazione comportano che, quando un soggetto agisca in giudizio per chiedere il risarcimento dei danni a lui cagionati da un dato comportamento del convenuto, la domanda si riferisce a tutte le possibili voci di danno originate da quella condotta. Ne consegue che, laddove nell’atto introduttivo siano indicate specifiche voci di danno, a tale specificazione deve darsi valore meramente esemplificativo dei vari profili di pregiudizio dei quali si intenda ottenere il ristoro, a meno che non si possa ragionevolmente ricavarne la volontà di escludere dal petitum le voci non menzionate (sentenze 17 dicembre 2009, n. 26505, e 31 agosto 2011, n. 17879). E tale volontà di esclusione certamente non sussisteva nel caso di specie.

L’esattezza del rilievo, dal quale dovrebbe trarsi la fondatezza del motivo, non giova peraltro ai ricorrenti, perchè la censura è generica e non allega alcun fatto sul quale fondare il risarcimento di un danno ulteriore rispetto a quello già riconosciuto dalla Corte d’appello. La parte danneggiata, infatti, avrebbe dovuto dimostrare in questa sede di avere già allegato in sede di merito, oltre alla prova dei danni che sono stati risarciti, anche l’esistenza di un danno ulteriore rispetto a quello che normalmente consegue ad un incidente con esiti così drammatici come quello oggi in esame (v. le sentenze 20 novembre 2012, n. 20292, 22 agosto 2013, n. 19402, e 23 gennaio 2014, n. 1361).

La genericità della censura comporta il rigetto del motivo in esame.

6. Con il quinto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione o falsa applicazione dei principi in tema di responsabilità solidale, in relazione al risarcimento spettante ai genitori in proprio.

Si osserva, al riguardo, che i danni liquidati dal Tribunale nella loro integrità sono danni diretti, patiti dai genitori di (OMISSIS) in conseguenza dell’incidente; la Corte d’appello, invece, ha ridotto l’entità della liquidazione, sulla base della percentuale di colpa riconosciuta alla (OMISSIS). In tal modo, però, sarebbero stati violati i criteri in tema di solidarietà passiva, in quanto il danneggiato può pretendere l’intero da ciascuno dei coobbligati, le cui percentuali di responsabilità rilevano solo ai fini della ripartizione interna.

6.1. Il motivo non è fondato.

La questione sulla quale questa Corte è chiamata a pronunciarsi riguarda un problema del tutto particolare connesso alla portata dell’articolo 1227 c.c., comma 1. Si tratta di stabilire se – essendo ormai accertato che la responsabilità dell’incidente in questione è da attribuire in misura del 50 per cento a carico di ciascuno dei due conducenti, con ulteriore aggravio del 10 per cento a carico di (OMISSIS) per il fatto di non aver indossato il casco al momento del fatto – i genitori di (OMISSIS), chiedendo il risarcimento del danno da loro patito in proprio, abbiano diritto di ottenere dall’altro corresponsabile del sinistro l’intero risarcimento o se, invece, tale risarcimento vada ridotto in corrispondenza della quota di responsabilità attribuito alla loro figlia. In altri termini, si tratta di stabilire quali rapporti esistano tra i principi in tema di obbligazione solidale e l’articolo 1227, primo comma, cit.; decidendo, cioè, se i genitori della (OMISSIS) – la quale è danneggiata e, nello stesso tempo, responsabile del danno da lei patito – possano essere considerati terzi rispetto a quel danno o, viceversa, se il loro diritto esista nei soli limiti in cui esiste il diritto della loro figlia.

Il problema è stato affrontato e risolto in modo opposto dai due giudici di merito, avendo il Tribunale riconosciuto l’intero risarcimento e la Corte d’appello il solo risarcimento pro quota. A sostegno della propria tesi, la Corte palermitana ha richiamato la sentenza 10 febbraio 2005, n. 2704, di questa Corte la quale, in effetti, costituisce il precedente che maggiormente si attaglia al caso in esame. I ricorrenti, invece, hanno invocato l’autorità delle sentenze 5 ottobre 2004, n. 19934, e 18 gennaio 2011, n. 291 (che è in linea con la precedente).

6.2. A ben vedere, però, i precedenti indicati nel ricorso non si adattano al caso di specie, in quanto hanno affrontato un problema diverso, e cioè quello del collegamento esistente tra gli articoli 1292 e segg. e l’articolo 2055 c.c.. Le menzionate pronunce hanno stabilito che l’articolo 2055 costituisce una specificazione delle regole in tema di obbligazione solidale, sicchè la persona danneggiata da un fatto illecito imputabile a più persone legate dal vincolo della solidarietà (caso classico è quello dei due responsabili di un sinistro stradale nei confronti del terzo trasportato in uno dei due veicoli coinvolti) “può pretendere la totalità della prestazione risarcitoria anche da una sola delle persone coobbligate”, sicchè “il giudice del merito adito dal danneggiato può e deve pronunciarsi sulla graduazione delle colpe solo se uno dei condebitori abbia esercitato l’azione di regresso nei confronti degli altri, o comunque, in vista del regresso abbia chiesto tale accertamento in funzione della ripartizione interna” (sentenza n. 19934 del 2004). Ed è da sottolineare che il punto venne in quella sede affrontato al fine di risolvere un problema del tutto diverso da quello odierno.

Il caso attuale, invece, è, sia pure in relazione ad una fattispecie diversa, assimilabile a quello risolto dalla sentenza n. 2704 del 2005, avendo ad oggetto un concorso di colpa da parte di un incapace (minorenne).

Questa pronuncia, infatti, affrontando e ricostruendo funditus la complessa vicenda dell’applicabilità dell’articolo 1227 c.c., primo comma, al fatto colposo commesso da un soggetto incapace di intendere o di volere, è pervenuta alla conclusione – richiamando il remoto precedente delle Sezioni Unite 17 febbraio 1964, n. 351, seguito dalla successiva giurisprudenza, nonchè l’ordinanza n. 14 del 1985 della Corte costituzionale – per cui il principio di cui all’articolo 1227 c.c. (riferibile anche alla materia del danno extracontrattuale per l’espresso richiamo contenuto nell’articolo 2056 c.c.) della riduzione proporzionale del danno in ragione dell’entità percentuale dell’efficienza causale del soggetto danneggiato si applica anche quando questi sia incapace di intendere o di volere per minore età o per altra causa. Tale riduzione deve essere operata non solo nei confronti del danneggiato, che reclama il risarcimento del pregiudizio direttamente patito al cui verificarsi ha contribuito la sua condotta, ma anche nei confronti dei congiunti che, in relazione agli effetti riflessi che l’evento di danno subito proietta su di loro, agiscono per ottenere il risarcimento dei danni iure proprio. Il principio è stato poi sostanzialmente ribadito dalle successive sentenze 22 giugno 2009, n. 14548, e 2 marzo 2012, n. 3242.

6.3. L’odierna pronuncia intende dare continuità a tale orientamento. È appena il caso di ricordare, infatti, che (OMISSIS) era minorenne all’epoca del fatto; per cui – come si osserva nel controricorso dell’ (OMISSIS) s.p.a. – del suo fatto illecito erano tenuti a rispondere i genitori. Portando alle estreme conseguenze le ragioni poste a fondamento del motivo di ricorso in esame, si dovrebbe pervenire alla conclusione, assurda, per cui i genitori della sfortunata ragazza avrebbero potuto chiedere l’intero risarcimento, ragionando in astratto, anche alla loro stessa figlia, siccome corresponsabile del danno da loro patito.

Si tratta, com’è evidente, di un paradosso, che è però utile per verificare la tenuta del ragionamento e per confortare la conclusione che il danno del quale gli odierni ricorrenti chiedono il risarcimento, ancorchè iure proprio, è comunque un danno riflesso; e non può prescindere dal fatto che alla determinazione dello stesso ha causalmente concorso anche la figlia minorenne. Tale conclusione – valevole certamente nella fattispecie in esame, nella quale è in gioco l’applicazione dell’articolo 2048 c.c. – dovrebbe peraltro costituire una regola che va oltre il caso del danno cagionato dall’incapace; quando, infatti, la vittima primaria sia corresponsabile dell’evento dannoso che l’ha colpita, ai soggetti danneggiati di riflesso deve applicarsi la regola generale dell’articolo 1227 c.c., primo comma, non essendo ragionevole immaginare che costoro possano ottenere un risarcimento pieno.

7. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

In considerazione, peraltro, della drammaticità dell’incidente e della complessità e delicatezza delle questioni trattate, la Corte stima equo procedere all’integrale compensazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile, il 20 giugno 2014.

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