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Cassazione Civile 22580/2022 – Risarcimento del danno – Valutazione e liquidazione – Spese per riparare un bene strumentale – IVA

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Ordinanza 22580/2022

Risarcimento del danno – Valutazione e liquidazione – Spese per riparare un bene strumentale – IVA

In tema di danno patrimoniale il risarcimento si estende, in linea di principio, anche agli oneri accessori e conseguenziali, con l’effetto che la liquidazione determinata in base alle spese da affrontare per riparare un bene strumentale all’esercizio dell’attività d’impresa comprende anche l’iva, anche se la riparazione non sia ancora avvenuta; diversamente tale estensione non spetta allorché il danneggiato, per l’attività svolta, abbia diritto al rimborso o alla detrazione dell’Iva versata per tale riparazione.

Cassazione Civile, Sezione 2, Ordinanza 19-7-2022, n. 22580   (CED Cassazione 2022)

Art. 2043 cc (Risarcimento per fatto illecito) – Giurisprudenza

 

 

FATTI DI CAUSA

1.- Con citazione notificata il 6 luglio 1995, la (OMISSIS) S.p.A. conveniva, davanti al Tribunale di Parma, la (OMISSIS) S.p.A. e la (OMISSIS) S.n.c., già (OMISSIS) S.n.c., per sentirle condannare, in solido ovvero ciascuna per quanto di ragione, a corrispondere quanto necessario al rifacimento del manto di copertura di un proprio capannone, a titolo di risarcimento del danno cagionato all’attrice, in ragione delle lamentate infiltrazioni di acqua.

Al riguardo, l’attrice esponeva: che nell’anno 1988, a seguito di un uragano che si era abbattuto sulla zona di Castelguelfo, si era rivolta alla (OMISSIS) per il rifacimento del manto di copertura del proprio capannone; che tale copertura era stata eseguita con tegole bituminose fornite dalla (OMISSIS); che nell’anno 1994 si erano verificate alcune infiltrazioni dal tetto; che esse erano state denunciate con raccomandata del 17 novembre 1994; che la (OMISSIS) aveva garantito la impermeabilità delle tegole per un decennio.

Si costituiva in giudizio la (OMISSIS) S.p.A., la quale resisteva alla domanda, respingendo ogni addebito.

Si costituiva altresì in giudizio la (OMISSIS) S.n.c., la quale eccepiva l’intervenuta decadenza dalla garanzia ex articolo 1669 c.c. e comunque negava ogni responsabilità.

Nel corso del giudizio era espletata consulenza tecnica d’ufficio ed erano escussi i testimoni ammessi. Era inoltre autorizzata la produzione delle fatture attestanti la spesa sostenuta dalla (OMISSIS) S.p.A. per il rifacimento del manto di copertura.

Il Tribunale adito, con sentenza n. 43/2000 del 17 luglio 2000, in accoglimento della domanda, condannava la (OMISSIS) S.p.A. al pagamento, in favore della (OMISSIS) S.p.A., della somma di vecchie Lire 401.438.449, pari a Euro 207.235,66, corrispondente ai 4/5 dell’importo complessivo di vecchie Lire 514.250.000, pari a Euro 265.587,96, quantificato dal consulente tecnico d’ufficio a titolo di costi necessari per il ripristino della copertura del capannone, oltre rivalutazione e interessi.

2.- Sul gravame interposto dalla (OMISSIS) S.p.A., la Corte d’appello di Bologna, con sentenza n. 1033/2003 del 4 luglio 2003, previa riqualificazione del rapporto intrattenuto tra le parti quale compravendita e non già quale appalto, rigettava l’impugnazione e confermava la pronuncia appellata.

Quindi, in esecuzione della sentenza d’appello, la (OMISSIS) S.p.A. corrispondeva in data 28 novembre 2003, in favore della (OMISSIS) S.p.A., con valuta del 26 novembre 2003, la somma di Euro 285.588,50, comprensiva di rivalutazione e interessi, con riserva di ripetizione all’esito del giudizio di legittimità.

3.- Sul ricorso per cassazione proposto dalla (OMISSIS) S.p.A., questa Corte, con sentenza n. 20872/2009 del 24 giugno 2009, in accoglimento del terzo motivo, cassava la sentenza impugnata e rinviava la causa alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, perchè rideterminasse il danno risarcibile.

In proposito, statuiva che alcune delle spese sostenute dalla società (OMISSIS) trovavano causa in lavori che andavano ben oltre il ripristino della copertura danneggiata, risolvendosi in migliorie rispetto alle condizioni precedenti.

Per l’effetto, sosteneva che la Corte territoriale aveva errato nell’assumere come base per il risarcimento del danno le spese sostenute dalla committente, posto che non tutte le spese effettuate nel contesto dell’opera di rifacimento della copertura del tetto potevano essere addebitate alla società venditrice, ma solo quelle sostenute per ovviare direttamente e immediatamente all’inadempimento.

4.- Riassunta la causa, la Corte d’appello di Bologna, con la sentenza di cui in epigrafe, previo espletamento di altra consulenza tecnica d’ufficio, condannava la (OMISSIS) S.p.A. al pagamento, per il titolo indicato, in favore della (OMISSIS) S.p.A., dell’ulteriore somma di Euro 36.648,18, al netto di quanto già corrisposto in corso di causa.

A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte territoriale rilevava: a) che l’oggetto del contendere era limitato alla determinazione del quantum dovuto dalla (OMISSIS) alla (OMISSIS) in relazione all’evento dannoso accaduto nell’anno 1994; b) che, all’esito della rinnovazione delle indagini peritali, dovevano essere riconosciute le voci di costo indicate nella tabella conclusiva della relazione tecnica, limitatamente alla realizzazione di un nuovo pacchetto di copertura, alla fornitura e posa in opera di una nuova lattoneria, allo smontaggio delle tegole canadesi e del playwood danneggiato e non riutilizzabile, con fornitura e posa in opera di nuove lastre sempre in playwood, alla realizzazione del piano con tavolato in legno, alla fornitura e posa in opera di ferri esterni con tiranti per il sostegno del canale di gronda, alla fornitura e posa in opera di para-passeri, alla tinteggiatura interna e al nolo della piattaforma, mentre dovevano essere escluse le voci relative alla fornitura e posa in opera di morali in abete per lo “spessoramento” della falda, alla fornitura e posa in opera di lastre in policarbonato per lucernai e alle spese tecniche; c) che, per l’effetto, l’importo complessivo da riconoscere, quale effettiva spesa di ripristino, doveva essere determinato in vecchie Lire 398.140.526, corrispondenti a Euro 205.622,42, oltre iva; d) che le fatture considerate dal consulente d’ufficio, in ragione della tipologia delle forniture in esse esposte e della relativa data di emissione, erano soggette ad iva secondo l’aliquota del 19%, cosicchè la somma indicata doveva essere maggiorata di ulteriori Euro 39.068,26, a titolo di iva, per un totale complessivo di Euro 244.690,68; e) che, secondo quanto disposto dalla sentenza della Corte d’appello, dovevano essere posti, a carico di (OMISSIS), i 4/5 dell’intero, per un importo di Euro 195.752,54; f) che su tale somma dovevano essere riconosciuti gli interessi dalla domanda (recte dal 6 luglio 1995), ammontanti, sino all’attualità, ad Euro 126.512,13, per un totale di Euro 322.271,67; g) che – tenuto conto del fatto che la (OMISSIS) aveva versato alla (OMISSIS), in data 28 novembre 2003, la somma di Euro 285.587,49 – doveva essere disposta la condanna della predetta (OMISSIS) al versamento, in favore della (OMISSIS), dell’ulteriore somma di Euro 36.648,18.

5.- Avverso la sentenza emessa nel giudizio di rinvio ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, la (OMISSIS) S.p.A. Sono rimasti intimati la (OMISSIS) S.r.l. – (OMISSIS), già (OMISSIS) S.p.A., la (OMISSIS) S.n.c., (OMISSIS) e (OMISSIS).

6.- La ricorrente ha presentato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia, i sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 1224 c.c., in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articoli 4 e 19 per avere la Corte d’appello riconosciuto l’iva, che invece non doveva essere rifusa, in quanto il danneggiato, per l’attività svolta, aveva diritto al rimborso e alla detrazione dell’iva versata.

Secondo l’istante, i compensi erogati a terzi per la riparazione di un bene strumentale all’esercizio dell’attività produttiva – e, nella fattispecie, per il rifacimento del manto di copertura del capannone utilizzato per lo stoccaggio di cereali, costituente l’attività di impresa tipica della (OMISSIS) S.r.l. – e, in particolare, quanto pagato dalla società danneggiata a titolo di iva, avrebbero costituito un importo che la stessa poteva detrarre dal proprio debito d’imposta e, in quanto tale, non rientrante nel risarcimento.

1.1.- Il motivo è fondato.

Se, per un verso, in linea di principio, il risarcimento del danno patrimoniale si estende agli oneri accessori e consequenziali – con l’effetto che la liquidazione avvenuta in base alle spese da affrontare per riparare un bene strumentale all’esercizio dell’attività di impresa comprende l’iva, anche ove la riparazione non sia ancora avvenuta (nella fattispecie, risulta che detta riparazione è stata già effettuata a spese del danneggiato) -, nondimeno, per altro verso, tale estensione non spetta allorchè il danneggiato, per l’attività svolta, abbia diritto al rimborso o alla detrazione dell’iva versata (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1688 del 27/01/2010; Sez. 3, Sentenza n. 10023 del 14/10/1997).

Senonchè, sotto questo profilo, deve essere confutata l’affermazione del Giudice di rinvio, che per la prima volta ha riconosciuto l’iva – nei gradi di merito tale riconoscimento non era avvenuto -, in base all’assunto che il danno patrimoniale subito dalla (OMISSIS) S.r.l., già (OMISSIS) S.p.A., fosse comprensivo anche dell’imposta sul valore aggiunto dalla stessa pagata, in quanto pari alla perdita subita, intesa come differenziale fra il patrimonio detenuto prima e dopo l’evento dannoso.

Per contro, secondo gli artt. 4 e 19 del d.P.R. n. 633/1972, la danneggiata, in quanto società commerciale, aveva la possibilità di portare in detrazione l’iva corrisposta sulle prestazioni di servizi inerenti all’attività d’impresa, come quelle necessarie alla riparazione di un bene strumentale.

Pertanto, considerato che quanto versato dalla (OMISSIS) S.p.A., ora (OMISSIS) S.r.l., a titolo di imposta sul valore aggiunto, sarebbe stato da essa recuperato con il meccanismo della detrazione d’imposta, il danno effettivamente sofferto non poteva includere tale voce accessoria.

Posto, infatti, che la (OMISSIS) era una società per azioni, sarebbe spettato alla stessa dimostrare, in relazione alle concrete modalità e al contenuto oggettivo e soggettivo dell’attività svolta, la sussistenza dei presupposti per escludere la detraibilità dell’iva, ai sensi dell’articolo 19 citato Decreto del Presidente della Repubblica (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 75 del 08/01/2010).

Ne consegue che erroneamente il Giudice del rinvio, nel quantificare i danni patiti dalla predetta società, per fatto imputabile alla (OMISSIS) S.p.A., e consistiti nei compensi erogati a terzi per la riparazione della copertura del capannone funzionale all’esercizio dell’attività produttiva, ha tenuto conto anche di quanto pagato dalla società danneggiata a titolo di iva, trattandosi di importo che la stessa può detrarre dal proprio debito d’imposta (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 2786 del 12/02/2015).

2.- Con il secondo motivo la ricorrente prospetta, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione del  precedente giudicato e vizio di ultrapetizione, per avere la Corte di merito applicato l’aliquota iva, senza che le precedenti sentenze di merito avessero disposto il versamento di tale accessorio e senza che, in ordine a tale aspetto, vi fosse stata alcuna contestazione.

Nei termini anzidetti sarebbe stato violato il giudicato implicito intervenuto sul punto e, comunque, il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

2.1.- L’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento di detta censura.

3.- Con il terzo motivo la ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., della nullità della sentenza per violazione di un precedente giudicato e vizio di ultrapetizione, per avere la Corte d’appello in sede di rinvio erroneamente quantificato gli interessi legali dalla data della domanda giudiziale, a fronte della declaratoria del Tribunale di Parma – nel giudizio di prime cure -, secondo cui gli interessi dovevano essere applicati esclusivamente dalla data dei singoli esborsi, successivi all’instaurazione del giudizio di primo grado, statuizione, questa, non riformata, nè in sede di appello, nè in sede di legittimità, e dunque coperta dal giudicato interno.

Si lamenta, dunque, che il Giudice del rinvio avrebbe indicato altro dies a quo di decorrenza degli interessi, rispetto a quello individuato dal Giudice di prime cure e oggetto di giudicato.

3.1.- La censura è fondata.

Ed invero, la Corte territoriale, nel rideterminare il quantum dovuto secondo i precetti indicati dalla sentenza di legittimità, ha individuato un nuovo termine di decorrenza degli interessi rispetto a quello cristallizzato dalle pronunce di merito.

Sicchè, a favore di (OMISSIS) S.r.l., già (OMISSIS) S.p.A., sotto il profilo del dies a quo, sono stati riconosciuti gli interessi legali dalla domanda giudiziale e non invece dalla data dei singoli (successivi) esborsi, come disposto dal Tribunale di Parma in primo grado, con statuizione passata in cosa giudicata all’esito del primo giudizio d’appello.

E ciò altresì in violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Al riguardo, il giudice del rinvio è investito della controversia nei limiti segnati dalla decisione di legittimità, relativamente alle questioni da essa decise, e non può, quindi, riesaminare gli antecedenti logici e giuridici delle stesse (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 636 del 14/01/2019; Sez. 3, Sentenza n. 11939 del 22/05/2006).

Pertanto, il riconoscimento di detti interessi deve essere rivisto, lasciando fermo il dies a quo già determinato e ormai consolidatosi.

4.- Il quarto motivo investe, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per avere la Corte d’appello in sede di rinvio disposto l’applicazione degli interessi, a carico di (OMISSIS), fino all’anno 2016, nonostante quest’ultima avesse già pagato nel 2003 ben più di quanto dovuto, trasformandosi così la (OMISSIS) da creditrice in debitrice.

In proposito, la sentenza del Giudice del rinvio, pur riconoscendo che la (OMISSIS) aveva versato alla (OMISSIS) in data 28 novembre 2003, con valuta del 26 novembre 2003, la somma di Euro 285.587,49, in esecuzione della sentenza d’appello, con riserva di ripetizione ove il giudizio di legittimità avesse avuto un diverso esito, avrebbe individuato come dies ad quem di decorrenza degli interessi, non già la data di versamento della detta somma, bensì la data di emissione della pronuncia del 5 luglio 2016, continuando così ad applicare gli interessi anche successivamente alla soddisfazione della pretesa creditoria vantata dal danneggiato.

4.1.- La doglianza è fondata.

E tanto perchè la sentenza impugnata ha imputato, sulla somma determinata, a favore di (OMISSIS) S.r.l., già (OMISSIS) S.p.A., sotto il profilo del dies ad quem, interessi legali dalla domanda alla pronuncia della sentenza in sede di rinvio, omettendo di considerare l’intervenuto pagamento, avvenuto già con valuta del 26 novembre 2003 e quindi tredici anni prima della sentenza emessa a conclusione del giudizio di rinvio.

Cosicchè sono stati addebitati ben tredici anni di interessi successivamente al pagamento di una somma maggiore rispetto a quella dovuta.

Per converso, il Giudice del rinvio avrebbe dovuto calcolare gli interessi sino all’adempimento satisfattivo avvenuto il 26 novembre 2003, adempimento riconosciuto dalla stessa sentenza impugnata.

Che l’adempimento fosse satisfattivo si evince dal fatto che la (OMISSIS) aveva dato seguito alla pronuncia di condanna emessa a conclusione del giudizio di primo grado (confermata in appello), il cui importo è stato decurtato dal Giudice del rinvio.

Pertanto, gli interessi sarebbero spettati sino al saldo e non oltre tale momento.

Ora, il Giudice d’appello, in tema di liquidazione dei danni per debiti di valore, deve applicare gli interessi sino alla data della pronuncia, ma, nel compiere tale operazione, non può prescindere dagli eventuali pagamenti che siano stati già disposti in favore del creditore e dalle modalità e dai criteri, anche di carattere temporale, con cui si è proceduto alla liquidazione, con la conseguenza che, nell’attribuire ulteriori interessi, deve tener conto necessariamente dei detti pagamenti, debitamente motivando in ordine ai criteri seguiti per stabilire la decorrenza e modalità di calcolo degli ulteriori interessi (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16448 del 15/07/2009; Sez. 2, Sentenza n. 9230 del 04/05/2005, Sez. 2, Sentenza n. 9230 del 04/05/2005).

Segnatamente, nessun accessorio sarebbe spettato, all’esito della verifica della natura satisfattiva del pagamento effettuato in esecuzione della sentenza d’appello, per il periodo successivo al momento di tale pagamento.

5.- Alle considerazioni innanzi espresse consegue l’accoglimento, nei sensi di cui motivazione, del primo, terzo e quarto motivo, nonchè l’assorbimento del rimanente motivo.

La sentenza impugnata va cassata, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, che deciderà uniformandosi ai principi di diritto enunciati e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche alla pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

accoglie il primo, il terzo e quarto motivo, nei sensi di cui in motivazione, dichiara assorbito il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 13 giugno 2022.