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Cassazione Civile 22615/2020 – Consulente tecnico – Obbligo comunicazioni

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Ordinanza, 22615/2020

 

Consulente tecnico – Obbligo comunicazioni

Il consulente tecnico, ai sensi dell’art. 194, comma 2, c.p.c. e dell’art. 90, comma 1, disp. att. c.p.c., deve dare comunicazione del giorno, ora e luogo di inizio delle operazioni peritali, mentre analogo obbligo di comunicazione non sussiste quanto alle indagini successive, incombendo sulle parti l’onere di informarsi sul prosieguo di queste al fine di parteciparvi.

Cassazione Civile, Sezione 6-3, Ordinanza, 16 ottobre 2020,  n. 22615   (CED Cassazione 2020)

 

 

Fatti di casusa

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 17/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. Cristiano Valle, osserva:

E’ impugnata per cassazione, con atto affidato a tre motivi, sentenza n. 00017/2019 della Corte d’Appello di Lecce, Sez. Dist. di Taranto, depositata il 09/01/2019, che ha rigettato l’appello di So. Ca. avverso sentenza del Tribunale di Taranto, di condanna, nei suoi confronti, al risarcimento dei danni causati ai Cellamare dalla cattiva manutenzione del tratto di pertinenza di un canale di deflusso delle acque insistente tra vari fondi agricoli, tra i quali quelli di proprietà della stessa Ca. e dei Ce.-Cel..

Resistono con controricorso Vi. e Mi. Cel..

Do. Ce., Gr. e Co. Cel. sono rimasti intimati.

La proposta del Consigliere relatore, di definizione in adunanza camerale non partecipata, è stata ritualmente comunicata.

So. Ca. ha depositato memoria.

I motivi di ricorso così censurano la sentenza d’appello:

il primo per violazione e falsa applicazione dell’art. 190 cod. proc. Civ. e dell’art. 99 disp. att. stesso codice, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello disatteso l’eccezione di nullità della consulenza tecnica di ufficio per omessa comunicazione del secondo, e determinate, accesso.

Il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 4 e 5 cod. proc. civ., per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in merito all’eccezione di nullità della c.t.u espletata in via preventiva e sollevata tempestivamente.

Il terzo, e ultimo, mezzo censura la sentenza della Corte territoriale per ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e 4 cod. proc. civ. in relazione all’art. 2697 cod. civ., in quanto il giudice avrebbe gravato dell’onere della prova parte diversa da quella cui lo avrebbe dovuto addossare sulla base della norma stessa.

E’ opportuno evidenziare che nella specie si verte in tema di accertamento tecnico preventivo, recepito successivamente tra gli atti sui quali il Tribunale ha fondato la decisione.

Il primo motivo ed il secondo di ricorso, riguardanti la nullità della c.t.u, o, più correttamente, dell’a.t.p., per mancata comunicazione del secondo accesso e la mancata considerazione di detta nullità, intesa quale fatto — sebbene sul punto possa permanere più di un dubbio di qualificazione — devono essere disattesi, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, alla quale il Collegio intende dare seguito (Cass. n. 18598 del 07/07/2008 Rv. 604460 — 01 e n. 06195 del 18/03/2014 Rv. 630565 – 01), secondo la quale: «ai sensi dell’art. 194, secondo comma, cod. proc. civ. e dell’art. 90, primo comma, disp. alt. cod proc. civ., alle parti va data comunicazione de/giorno, ora e luogo di inizio delle operazioni peritali, mentre analogo obbligo di comunicazione non sussiste quanto alle indagini successive, incombendo sulle parti l’onere d’informarsi sul prosieguo di queste al fine di parteciparvi».

Nella specie la deduzione, e ancora prima l’allegazione difensiva, circa il concreto pregiudizio subito dalla Ca. a seguito del mancato avviso, incontroverso, del consulente tecnico di ufficio, o meglio, del perito designato ai fini dell’accertamento tecnico preventivo è del tutto mancato e, in ogni caso la deduzione manca di adeguata specificità, né la ricorrente ha, in ipotesi, allegato di avere cercato di contrastare le conclusioni del consulente tecnico di ufficio con un proprio elaborato peritale (anche, se del caso, depositandolo in fase di appello, essendosi limitata a prospettare la nullità e chiesto di essere ammessa a prova contraria, come adeguatamente rileva la sentenza in scrutinio).

Il terzo motivo è in prima battuta inammissibile, in quanto non è pertinente il richiamo all’art. 2697 cod. civ., posto che la violazione o la falsa applicazione, di questo precetto è configurabile soltanto nell’ipotesi che il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata, non anche quando, a seguito di una valutazione delle acquisizioni istruttorie ritenuta incongrua, si deduca avere il giudice errato nel ritenere che la parte onerata non abbia assolto tale onere, in questo caso prospettandosi soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova (da ultimo, v. Sez. Un., 31 maggio 2016, n. 11383; ma in precedenza, tra le altre, v.: Cass. n. 19064 del 05/09/2006; n. 15107 del 17/06/2013; n. 26110 del 30/12/2015) ed è altresì, infondato.

La Corte territoriale ha, invero, adeguatamente dato conto del proprio convincimento richiamando le deposizioni testimoniali, affermando che tutti i testi avevano affermato che i proprietari dei fondi provvedevano alla pulizia del tratto di proprio terreno confinante con il canale di deflusso, mentre la sola Ca., in sede di interrogatorio, aveva affermato che non esisteva alcun canale.

Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza della ricorrente e, tenuto conto del valore della controversia, sono liquidate come da dispositivo in favore della parte controricorrente.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d. P.R. n. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13 (Sez. U n. 04315 del 20/02/2020 Rv. 657198 — 04).

P.Q.M.

rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in euro 2.300,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario al 15%, oltre CA e IVA per legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d. P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, in data 17 settembre 2020.

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