Ordinanza 22645/2018
Discrimine tra l’azione di rivendica e quella di regolamento dei confini
Poiché il “discrimen” tra l’azione di rivendica e quella di regolamento dei confini è la ricorrenza di una situazione di incertezza sul confine tra due fondi, ma non sul diritto di proprietà degli stessi, anche se oggetto di controversia è la determinazione quantitativa delle rispettive proprietà, la seconda azione non muta natura, trasformandosi nella prima, nel caso in cui l’attore sostenga che il confine di fatto non sia quello esatto per essere stato parte del suo fondo usurpato dal vicino. (In applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha inquadrato la vicenda nell’ambito dell’azione di regolamento di confini, a fronte di una domanda dell’attore che assumeva l’avvenuta realizzazione di una costruzione su di una parte del suo fondo e di una difesa della convenuta la quale, senza contestare il titolo del primo, si era limitata a sostenere che in realtà il suo titolo prevedeva il trasferimento di un bene avente dimensioni tali da includere anche la porzione interessata dalla domanda attorea).
Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, Ordinanza 25 settembre 2018, n. 22645 (CED Cassazione 2018)
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO
- Con atto di citazione notificato in data 8 giugno 1981 (OMISSIS) conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Messina (OMISSIS) deducendo di essere proprietario di un appezzamento di terreno sito in (OMISSIS), acquistato con atto del 31/12/1969 da tal (OMISSIS), evidenziando altresì che su parte di tale terreno la convenuta aveva abusivamente realizzato una villa.
Per l’effetto chiedeva accertare il suo diritto di proprietà sulla porzione di terreno interessata dalla costruzione, con condanna della convenuta al rilascio dell’immobile edificato, ormai acquistato per accessione.
Si costituiva la convenuta la quale deduceva che il terreno da lei acquistato in data 12 ottobre 1978, da tal (OMISSIS) in (OMISSIS), non si identificava con quello dell’attore, invocando in subordine l’intervenuta usucapione della proprietà.
Chiedeva di essere autorizzata a chiamare in causa la propria venditrice al fine di essere manlevata per l’ipotesi di accoglimento della domanda attorea.
Autorizzata la chiamata in causa, si costituiva la venditrice che si opponeva alla domanda.
Interrottosi il giudizio, non veniva riassunto nei confronti della terza chiamata, e nel corso del prosieguo interveniva (OMISSIS), moglie separata dell’attore, la quale deduceva di essere divenuta proprietaria del terreno oggetto di causa a seguito di provvedimento di assegnazione nell’ambito del procedimento di separazione personale.
Depositata CTU e resi chiarimenti, disattesa la richiesta di riunione del giudizio con quello separatamente intentato dalla convenuta nei confronti sempre della (OMISSIS), il Tribunale con la sentenza n. 1307 del 17 luglio 2006 estrometteva dal giudizio l’ (OMISSIS), dichiarava l’estinzione della domanda di garanzia, ed accertava lo sconfinamento in danno della (OMISSIS), condannando la (OMISSIS) al rilascio in favore della prima di una striscia di terreno di mq. 436,29.
Avverso tale sentenza proponevano appello principale la (OMISSIS) ed appello incidentale la (OMISSIS), e la Corte d’Appello di Messina con la sentenza n. 625 del 19 settembre 2013 rigettava entrambi i gravami.
Quanto al primo motivo dell’appello principale, con il quale si contestava che il Tribunale avesse fatto proprie le conclusioni del CTU, la Corte distrettuale osservava che l’occupazione del terreno da parte della convenuta emergeva dal mero raffronto tra la superficie di terreno effettivamente occupata e quella invece risultante dal titolo di acquisto della (OMISSIS), in quanto la superficie indicata in tale atto era significativamente inferiore a quella in fatto occupata.
Risultava, poi, sempre dai titoli che lo sconfinamento si fosse prodotto in danno della proprietà della controparte, e ciò sempre alla luce del raffronto tra la situazione concreta e le emergenze del titolo di provenienza.
Il CTU aveva puntualmente ricostruito le varie vicende catastali dei fondi, avendo altresì sovrapposto la planimetria reale a quella catastale rinvenendo quindi conferma dell’avvenuto sconfinamento.
Osservava altresì che, ancorchè il frazionamento relativo al titolo della (OMISSIS) fosse stato effettuato solo nel 1995, tuttavia lo stesso riproduceva fedelmente la situazione del terreno come graficamente delineata nella planimetria allegata all’atto di acquisto dell’ (OMISSIS) del 1969.
Del pari era da disattendere la contestazione circa l’assenza, alla data di tale acquisto, dei punti fiduciali poi utilizzati dall’ausiliario d’ufficio, posto che l’indagine aveva comunque fatto affidamento su punti certi opportunamente verificati.
In relazione al secondo ed al terzo motivo di appello con i quali la (OMISSIS) deduceva l’erroneo accoglimento della domanda di rivendica, pur in mancanza della prova della proprietà in capo agli istanti, secondo quanto prescritto dall’articolo 948 c.c., la sentenza rilevava che l’onere della probatio diabolica si attenua nel caso in cui il convenuto, come avvenuto nel caso di specie, abbia dedotto in via di domanda riconvenzionale o di eccezione l’acquisto per usucapione, che non sia in contrasto con l’appartenenza del bene rivendicato al dante causa dell’istante, sicchè per tale ipotesi è sufficiente la sola dimostrazione dell’esistenza di un valido titolo di acquisto.
Infine, era disatteso anche il quarto motivo di appello relativo alla condanna alle spese di lite.
La sentenza di appello esaminava poi i motivi di impugnazione incidentale con i quali la (OMISSIS) assumeva che in realtà lo sconfinamento avesse maggiori dimensioni, rilevando che non era censurabile l’accertamento compiuto dall’ausiliario d’ufficio supportato anche da validi accertamenti grafici.
Quanto invece al rigetto della domanda dei frutti civili relativi alla porzione occupata, si osservava che il bene occupato era un terreno non avente caratteristiche intrinsecamente fruttifere, non potendosi quindi fare ricorso al metodo secondo cui va attribuito un danno cd. figurativo commisurato al valore locativo del bene occupato.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) sulla base di quattro motivi.
(OMISSIS) non ha svolto attività difensiva in questa sede.
- Preliminarmente rileva la Corte che la difesa del ricorrente ha dedotto di non aver potuto produrre le retate di notifica a mezzo posta del ricorso, e ciò nonostante abbia avanzato richiesta di rilascio di duplicato rivolta nei confronti delle (OMISSIS), richiesta che non ha avuto risposta.
Ha pertanto fatto richiesta di rimessione in termini al fine di provvedere ad una rinnovazione della notifica del ricorso.
Rileva il Collegio che ancorchè non emerga la prova dell’avvenuta notifica del ricorso, occorra ribadire che il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo (derivante dall’articolo 111 Cost., comma 2 e dagli articoli 6 e 13 della Convenzione Europea dei diritti del l’uomo e delle libertà fondamentali) impone al giudice (ai sensi degli articoli 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, espresso dall’articolo 101 c.p.c., da sostanziali garanzie di difesa (articolo 24 Cost.) e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità (articolo111 Cost., comma 2) dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti (Cass. 17 giugno 2013 n. 15106; Cass. 8 febbraio 2010 n. 2723;Cass., Sez. Un., 3 novembre 2008, n. 26373; Cass., Sez. 3, 7 luglio 2009, n. 15895; Cass., Sez. 3, 19 agosto 2009, n. 18410; Cass., Sez. 3, 23 dicembre 2009, n. 27129).
In applicazione di detto principio, essendo il presente ricorso (per le ragioni che andranno ad esporsi nel prosieguo) prima facie infondato, appare superflua la fissazione di un termine per la rinnovazione della notifica, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti.
- Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo111 Cost., articoli112 e 132 c.p.c., in quanto la Corte d’Appello non ha dato riscontro alcuno alle puntuali osservazioni e contestazioni mosse in sede di appello alla consulenza tecnica d’ufficio, alla quale si era rifatto anche il Tribunale.
Si rileva che tali critiche erano supportate anche da una consulenza di parte in primo grado che non è stata minimamente esaminata dal giudice di appello.
In particolare non si era dato riscontro al rilievo che le operazioni peritali si erano svolte con un intervallo di ben 18 anni, dandosi altresì prevalenza ad un atto di frazionamento predisposto, chiaramente nel suo interesse, dall’ (OMISSIS) solo nel 1995 a circa 26 anni di distanza dal suo acquisto.
Non si era tenuto conto della particolare natura della zona ove sono ubicati i fondi, connotata da movimenti tellurici e trasformazioni geologiche.
La mera adesione alle conclusioni del CTU da parte del giudice di appello determina pertanto che la motivazione sia gravemente insufficiente e quindi implichi la nullità della decisione.
Il motivo deve essere disatteso.
Ed, invero, giova ribadire che la sentenza gravata è stata pubblicata in data successiva all’entrata in vigore della novella di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ad opera della L. n. 134 del 2012, che ha ridotto fortemente le possibilità di sindacato del giudice di legittimità sulla motivazione del giudice di merito.
La corretta interpretazione della norma è stata fornita dalle Sezioni Unite di questa Corte che ha affermato che il vizio denunciabile è limitato all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione fra le parti, essendo stata così sostituita la precedente formulazione (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio). La riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata (a prescindere dal confronto con le risultanze processuali). Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. S.U. 8053/2014). Pertanto, non possono essere sollevate doglianze per censurare, ai sensi dell’articolo 360, n. 5 citato, la correttezza logica del percorso argomentativo della sentenza, a meno che non sia denunciato come incomprensibile il ragionamento ovvero che la contraddittorietà delle argomentazioni si risolva nella assenza o apparenza della motivazione (in tal caso, il vizio è deducibile quale violazione della legge processuale ex articolo 132 c.p.c.).
Le Sezioni Unite (Cass. 8054/2014) hanno altresì sottolineato che “L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie”.
Nella fattispecie la motivazione del giudice di appello risulta ampiamente soddisfare i requisiti necessari affinchè possa reputarsi che la stessa non sia assente ovvero apparente, non potendosi, sempre alla luce della novella, più addurre come motivo di invalidità della decisione il mancato riscontro delle osservazioni del consulente di parte, specialmente laddove il richiamo alle conclusioni del CTU, come accaduto nella vicenda in esame, valga quanto meno in via implicita, a fornire una risposta alle deduzioni del perito di parte.
Inoltre, non può non osservarsi che i vari punti che a detta della ricorrente non sarebbero stati esaminati dalla sentenza d’appello (presentazione del frazionamento da parte dell’ (OMISSIS) solo nel 1995, connotazione geologica della zona oggetto di causa, utilizzo di punti fiduciali non affidabili) sono stati comunque oggetto di disamina e di risposta da parte del giudice di appello, la cui motivazione dà adeguatamente contezza delle ragioni per le quali, avvalendosi di un potere di apprezzamento in fatto, comunque non censurabile in sede di legittimità, ha reputato di dover condividere le conclusioni alle quali era pervenuto l’ausiliario d’ufficio.
- Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo948 c.c., in quanto con il secondo motivo di appello si era contestato che la domanda attorea fosse stata accolta anche in assenza di prova, ed in particolare, come poi specificato nel terzo motivo di appello, senza che fosse stato soddisfatto il requisito della probatio diabolica in tema di azione di revindica.
La Corte di merito invece si è soffermata solo sulle risultanze catastali trascurando che ai fini dell’azione di rivendica non è possibile attribuire portata risolutiva alle emergenze del catasto le quali hanno valenza probatoria, e peraltro di carattere sussidiario, solo per l’azione di regolamento di confini.
Il terzo motivo di ricorso, da trattare congiuntamente per l’evidente connessione, lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 938, 1158, nonchè il mancato adempimento dell’obbligo di motivazione in violazione dell’articolo 111 Cost., articoli 112 e 132 c.p.c., quanto al rigetto del motivo di gravame con il quale si contestava il mancato raggiungimento della prova della proprietà da parte dell’attore.
La sentenza gravata si è limitata ad affermare che l’onere probatorio gravante sul rivendicante risulta attenuato nel caso in cui il convenuto si difenda deducendo di essere divenuto proprietario per usucapione, e quindi sulla base di un titolo che non contrasti con l’affermazione di originaria appartenenza del bene alla controparte o ad un suo dante causa.
L’affermazione è però erronea, in primo luogo perchè trascura la circostanza che la questione concernente l’usucapione era stata avanzata solo in via subordinata, e senza che sulla stessa vi sia stata pronuncia da parte del giudice di merito.
In secondo luogo l’attenuazione dell’onere della prova per il rivendicante presuppone che il possesso utile ad usucapire sia iniziato in epoca successiva alla formazione del titolo dell’attore, mentre nel caso in esame la (OMISSIS) non aveva mai fornito la prova dell’appartenenza del bene ai suoi danti causa. I motivi sono infondati e devono essere disattesi, non senza però doversi sottolineare la necessità di procedere alla correzione della motivazione della sentenza gravata.
A tal fine reputa il Collegio che non possa prescindersi da un diverso inquadramento giuridico della domanda attorea che, in ragione del suo contenuto e dello stesso tenore delle difese della controparte, deve essere correttamente qualificata in termini di azione di regolamento di confini.
Ed, invero, l’ (OMISSIS) ha sin dall’atto introduttivo del giudizio sostenuto di essere titolare, in virtù del proprio titolo di acquisto di un terreno avente però una superficie ben maggiore di quella invece fruita per effetto della attuale confinazione, e su tale presupposto ha dedotto che la convenuta, che a sua volta era divenuta proprietaria di un terreno in zona (giusta atto di vendita da tal (OMISSIS) che a sua volta lo aveva acquistato da (OMISSIS)), aveva realizzato una villetta avvalendosi di una porzione del suo fondo.
La (OMISSIS), come si ricava dalla narrazione dei fatti di causa contenuta nella sentenza gravata, ha contestato la fondatezza della domanda, sostenendo in via principale che il terreno da lei acquistato non si identificava con quello dell’attore, e quindi assumendo che avesse costruito proprio sul fondo oggetto del suo titolo di acquisto, proponendo solo in via subordinata domanda di usucapione.
Ebbene, a fronte di tali allegazioni in punto di fatto e di diritto, reputa il Collegio che la domanda proposta non possa che essere fatta rientrare nel novero dell’azione di regolamento di confini di cui all’articolo 950 c.c..
In primo luogo non appare idonea a confutare la correttezza di tale inquadramento la circostanza che l’attore avesse avanzato anche richiesta di rilascio della porzione del fondo che asseriva essere oggetto di indebita occupazione ad opera della convenuta, essendosi reiteratamente affermato che (cfr. Cass. n. 6148/2016) nell’azione di regolamento di confini, compatibile con quella di rivendica, tanto da essere configurata come una “vindicatio incertae partis”, l’attore è dispensato dall’avanzare un’espressa domanda di rilascio della porzione di terreno indebitamente occupata dalla controparte, giacchè implicita nella proposizione di detta azione, rappresentando un corollario del relativo accertamento.
Inoltre, se effettivamente va qualificata come azione di rivendica (cfr. Cass. n. 23121/2015) quella volta al rilascio di un fondo ed esercitata in base al titolo di proprietà dell’attore e all’assenza di titolo dell’occupante, viceversa (cfr. Cass. n. 28349/2011) deve ritenersi che ci si trovi al cospetto di un’azione di regolamento dei confini, volta ad individuare la demarcazione tra fondi per rimuovere la relativa incertezza, allorquando quest’ultima, oggettiva o soggettiva, cada sul confine tra due fondi, ma non sul diritto di proprietà degli stessi, anche se oggetto di controversia è la determinazione quantitativa delle rispettive proprietà.
In tal senso si è ribadito che (cfr. Cass. n. 15304/2006) poichè il discrimen tra le due azioni è la ricorrenza di una situazione di incertezza sul confine tra due fondi, ma non sul diritto di proprietà degli stessi, anche se oggetto di controversia è la determinazione quantitativa delle rispettive proprietà, l’azione di regolamento di confini non muta natura, trasformandosi in azione di rivendica, nel caso in cui l’attore sostenga che il confine di fatto non sia quello esatto per essere stato parte del suo fondo usurpato dal vicino.
In tal caso si afferma altresì che (così Cass. n. 12891/2006) la controversia tra proprietari confinanti in cui, senza porre in discussione i titoli di proprietà, si dibatta esclusivamente sulla estensione dei rispettivi fondi va qualificata come regolamento di confini, con l’effetto che l’onere della prova, diversamente da quanto avviene nel giudizio di rivendica, incombe su entrambe le parti e che il giudice, se esso non è compiutamente assolto, è comunque tenuto a provvedere nel merito, indicando il confine come delineato nelle mappe catastali.
A ciò deve aggiungersi che (Cass. n. 20144/2013) allorchè il proprietario, convenuto con azione di regolamento dei confini, proponga un’eccezione di usucapione, con cui faccia valere una situazione sopravvenuta, idonea ad eliminare l’incertezza sul confine, senza con ciò mettere in discussione il titolo d’acquisto vantato dall’attore, non muta la natura di detta azione, come invece accade nell’ipotesi in cui il convenuto invochi un acquisto per usucapione anteriore all’acquisto dell’attore, del quale, in conseguenza, viene contestata la validità (conff. Cass. n. 18870/2013; Cass. n. 5899/2001).
Nella vicenda in esame, a fronte della domanda dell’attore che assumeva l’avvenuta realizzazione di una costruzione su di una parte del suo fondo, adducendo che ciò si ricaverebbe dal suo titolo di acquisto, la convenuta, senza contestare il titolo del primo, si è semplicemente limitata a sostenere che in realtà il suo titolo prevedeva il trasferimento di un bene avente dimensioni tali da includere anche la porzione interessata dalla domanda attorea, sicchè la vicenda deve essere rettamente ricondotta ad un’ipotesi di azione di regolamento di confini.
Non è peraltro causale che l’oggetto del contendere tra le parti abbia riguardato proprio l’individuazione delle superfici rispettivamente acquistate, sulla scorta dei rispettivi titoli di provenienza, la cui validità non è reciprocamente posta in discussione, essendosi risolte le attività demandate all’ausiliario di ufficio nella corretta individuazione dei confini tra i fondi limitrofi, alla luce di quanto emergeva dai titoli e dalle planimetrie agli stessi allegati, tenuto conto altresì dell’evoluzione delle vicende catastali.
Quanto poi all’eccezione di usucapione proposta dalla ricorrente, la stessa, a fronte di un atto di acquisto dell’ (OMISSIS) risalente al 1969, assume che la propria dante causa avrebbe iniziato a possedere anche la porzione oggetto della richiesta di rilascio a far data dal 9 luglio 1971, avendo poi proseguito a possedere una volta divenuta proprietaria del fondo con atto del 12 ottobre 1978.
Trattasi all’evidenza, ove anche la richiesta de qua risultasse fondata, di un acquisto della proprietà intervenuto in data successiva al titolo di acquisto dell’attore, e che pertanto, per quanto sopra detto, non appare idoneo ad immutare la natura giuridica dell’azione proposta.
La riconduzione della vicenda nell’ambito di applicazione dell’articolo 950 c.c. denota quindi l’infondatezza dei motivi in esame, in quanto fondati sul non condivisibile assunto della necessità di dover fare applicazione delle più rigorose regole in materia probatoria dettate dell’articolo 948 c.c., laddove a contrario va ribadito che (cfr. Cass. n. 15013/2000), venendo in discussione, non i titoli di acquisto, ma solo la determinazione quantitativa dell’oggetto della proprietà dei fondi confinanti, l’attore è sollevato dall’onere di fornire la dimostrazione del suo diritto di proprietà in virtù di un titolo di acquisto originario o derivativo risalente ad un periodo di tempo atto all’usucapione, in quanto su entrambe le parti ricade l’onere probatorio con la conseguenza che ogni mezzo di prova, anche tecnico o presuntivo, può essere utilizzato per la formazione del convincimento del giudice.
Ne deriva altresì che non è necessario ai fini dell’accoglimento della domanda attorea assolvere all’onere della prova circa la titolarità del bene secondo i principi ricavabili dall’articolo 948 c.c., ma ben può farsi riferimento, come appunto avvenuto nella fattispecie, dapprima all’esame dei titoli di acquisto delle rispettive proprietà e del frazionamento agli stessi allegato (come evidenziato dal riscontro effettuato dal CTU tra le superfici catastali ivi indicate e l’estensione attuale dei fondi alla luce della confinazione esistente), facendo poi riferimento ad ogni altro mezzo di prova, tra cui anche le risultanze catastali, nel caso in cui il solo esame dei titoli non dissolva ogni margine di incertezza.
- Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1158c.c. e articolo 112c.p.c., anche in riferimento all’articolo 111 Cost. e articolo 132 c.p.c..
Deduce la ricorrente che, come già evidenziato con il terzo motivo, aveva sollevato, sebbene in via subordinata, eccezione riconvenzionale di usucapione della parte di terreno controversa, articolando anche appositi mezzi istruttori, volti a dimostrare che sin dal 1971, allorquando la (OMISSIS), dante causa della (OMISSIS), aveva acquistato il bene, aveva posseduto l’intero terreno.
Tuttavia i giudici di merito hanno omesso di pronunciare su tale eccezione, con la conseguente violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
In effetti come si ricava dalla lettura della sentenza di primo grado, il Tribunale aveva disatteso l’eccezione di usucapione abbreviata ritenendo che i mezzi istruttori a tal fine articolati fossero inidonei ad offrire la prova dei relativi presupposti.
Infatti, nel caso di omessa disamina, la sentenza andava impugnata già in appello lamentando la violazione dell’articolo 112 c.p.c..
Poichè la questione era stata decisa e disattesa, atteso che la domanda attorea era stata già accolta in primo grado, il motivo di ricorso non riferisce affatto circa l’effettiva proposizione di un motivo di appello, in quanto si parla genericamente di quattro motivi di gravame, dei quali la sentenza dà specifico conto (in particolare il quarto motivo è quello relativo alle spese di lite), e la lettura dell’atto di appello denota che effettivamente non era stata investita dai mezzi di gravame anche la statuizione di rigetto dell’eccezione di usucapione.
Nè appare idonea a sovvertire tale conclusione la circostanza riferita nelle memorie depositate in prossimità della Camera di Consiglio secondo cui alla pag. 16 dell’atto di appello fosse stata reiterata la richiesta di interrogatorio formale, non potendosi attribuire equipollenza ad una richiesta istruttoria rispetto alla necessaria proposizione di un motivo di appello.
- Il ricorso deve essere rigettato, nulla dovendosi disporre in punto di spese atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimata.
- Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui alDecreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, in data 14 giugno 2018.