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Cassazione Civile 22858/2017 – Illecito disciplinare del magistrato – Ingiustificata interferenza del magistrato nell’attività giudiziaria di altro magistrato

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Sentenza 22858/2017

Illecito disciplinare del magistrato – Ingiustificata interferenza del magistrato nell’attività giudiziaria di altro magistrato

In tema di illecito disciplinare del magistrato, per integrare la fattispecie di ingiustificata interferenza nell’attività giudiziaria, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. e), del d.lgs. n. 109 del 2006, è sufficiente l’astratta idoneità del comportamento addebitato ad influire sul corretto svolgimento della decisione che il destinatario è chiamato ad assumere, avuto riguardo al modello del magistrato medio, mentre non rileva la percezione della gravità dell’interferenza da parte del medesimo destinatario né la manifestazione esterna di detta percezione a mezzo di specifici comportamenti.

Cassazione Civile, Sezioni Unite, Sentenza 29-09-2017, n. 22858  (CED Cassazione 2017)

 

 

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 20/10/2016-9/3/2017, la Sez. disciplinare C.S.M. ha assolto la Dott. (OMISSIS) dall’incolpazione di cui al Decreto Legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, art. 2, lettera d), diversamente qualificato il fatto di cui all’incolpazione (“per avere, nell’esercizio delle sue funzioni di sostituto Procuratore generale presso la Corte di Appello di Salerno, posto in essere un’ingiustificata interferenza nell’attività giudiziaria del Dott. (OMISSIS), giudice presso il Tribunale di Salerno, investito della trattazione del processo penale monocratico n. 581/2014 a carico di (OMISSIS),… per i reati di lesioni colpose gravissime – colpa medica – e falso…”), ritenendo non configurabile l’illecito, per trattarsi di fatto di scarsa rilevanza.

Nello specifico, la Sez. disciplinare, premessa la ricostruzione dei fatti come esposta dal denunciante a verbale dell’udienza del 20/10/2016 (il Dott. (OMISSIS) aveva riferito di due incontri: il primo, avvenuto il 19/2/2015 nello studio della Dott. (OMISSIS), nel corso del quale questa aveva riferito che il Dott. (OMISSIS) era disperato per essere imputato nel processo penale affidato al dott. (OMISSIS), entrando poi nel merito ed aggiungendo che era difficilissimo condannare in ipotesi del genere; il secondo, avvenuto per caso nel corridoio del Tribunale dopo circa 15-20 giorni, nel quale la (OMISSIS) aveva chiesto al collega come fosse finito quel processo, che doveva essere ancora deciso), ha ritenuto l’incolpazione incentrata solo sul primo episodio, da cui l’irrilevanza sul piano disciplinare del successivo incontro del marzo; ha escluso che “l’invito ad esaminare con attenzione le risultanze processuali, la rappresentazione dei rischi derivanti nei successivi gradi di giudizio in caso di decisione poco ponderata in una materia delicata ed ad alto tasso di complessità tecnico-giuridica, seppure uniti al manifestato apprezzamento per la persona di uno degli imputati” potessero costituire l’espressione della volontà della Dott. (OMISSIS) di interferire nell’esito del processo penale, come percepito dallo stesso Dott. (OMISSIS), che si era determinato a presentare l’esposto nei confronti della collega solo dopo il secondo episodio; ha ritenuto rientrare la condotta della (OMISSIS), in quanto “caratterizzata da uno scostamento oggettivo da regole di correttezza, ma non intenzionalmente orientato a condizionare l’attività giurisdizionale di un altro magistrato” nell’ipotesi dell’illecito di cui alla L. n. 109 del 2006, art. 2, lettera d); ha concluso per l’esimente di cui all’art. 3 bis, considerata l’unicità dell’episodio nel percorso professionale della Dott. (OMISSIS) e la sostanziale ininfluenza dello stesso sulla serenità di giudizio del (OMISSIS).

Ricorre il P.G., facendo valere tre motivi di ricorso.

La Dott. (OMISSIS) ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Col primo motivo di ricorso, il P.G. denuncia il vizio di motivazione, sotto il profilo della mancanza e della manifesta illogicità.

Deduce che la sentenza impugnata ha del tutto omesso di valutare che all’udienza del 20/10/2016, il Dott. (OMISSIS) ha affermato che la collega, oltre a tessere le lodi dell’imputato, aveva aggiunto che “non le sembrava potesse far nulla di queste cose delle quali era imputato” e, a specifica domanda del rappresentante dell’accusa, che la (OMISSIS) aveva espresso le proprie personali perplessità sulla responsabilità penale del (OMISSIS).

Il teste ha inoltre specificamente dichiarato che nel primo incontro si era manifestata quella che “era in qualche maniera, una interferenza, almeno per come l’ho vista io, nella mia attività giurisdizionale…”, così rimanendo smentita la tesi della sentenza, secondo cui l’interferenza sarebbe maturata e sarebbe stata percepita come tale solo nel secondo incontro, rimanendo così palesemente contraddetta dai fatti la ritenuta “evidente ambiguità di discorsi ed atteggiamenti” nell’incontro del febbraio.

La sentenza ha altresì omesso di valutare lo sfondo di tutta la vicenda, e cioè che il colloquio tra i due magistrati è stato caratterizzato da una sorta di metus reverentialis del (OMISSIS), vista la diversa anzianità e la funzione di controllo ricoperta dalla Procura generale, nè si giustifica la conclusione assunta, che il (OMISSIS) fosse meramente infastidito per quanto dettogli dalla collega a fronte delle dichiarazioni del teste come riportate, ed è illogico affermare il carattere autonomo del secondo incontro, che invece costituisce solo il riscontro probatorio dell’interferenza realizzatasi già nel primo incontro.

Col secondo motivo, il P.G. si duole della inosservanza ed erronea applicazione del Decreto Legislativo n. 106 del 2009, art. 2, comma 1, lettera e), sostenendo che la norma si riferisce alle “interferenze” proprio per includere forme sottili, allusive, indirette di condizionamento, e l’illecito in questione costituisce illecito di pericolo e non di evento, come sembra orientata a ritenere la sentenza impugnata.

Col terzo mezzo, la Procura generale si duole dei due vizi, ex art. 606, comma 1, lettera b) ed e), per avere la Sez. disciplinare applicato una incriminazione del tutto residuale in luogo di quella specifica oggetto di contestazione, motivandola in negativo e non già per la positiva inclusione nella categoria della “grave scorrettezza”, se non per implicito e dunque de residuo, e in ogni caso, per essere la statuizione della “scarsa rilevanza ” priva di motivazione e, per altri aspetti, contraddittoria.

I tre motivi di ricorso, da valutarsi congiuntamente in quanto strettamente collegati nei limiti e per le ragioni che si vanno ad indicare, sono fondati.

Come affermato nella pronuncia di queste Sez. U. del 26/11/2014, n. 25136, l’ingiustificata interferenza nell’attività giudiziaria costituisce illecito disciplinare del magistrato, ai sensi del Decreto Legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, art. 2, comma 1, lettera e), solo quando la condotta del magistrato interferente sia idonea, almeno astrattamente, a mettere in pericolo la libertà di determinazione e la serenità di giudizio del magistrato destinatario;e, alla stregua della chiara natura di pericolo e non di evento dell’illecito, con la pronuncia del 24/6/2010, n. 15314, queste Sez. U. hanno concluso per la sussistenza dell’illecito disciplinare nel caso di sollecitazione di un magistrato ad altro magistrato, intesa ad ottenere una soluzione più rapida della controversia, in quanto “rappresenta una forma di interferenza che, se non giustificata dall’esercizio di un’attività giurisdizionale, attenta ai valori di correttezza ed ai criteri di trasparenza nell’esercizio della funzione giurisdizionale”.

Ora, il ricorso nella norma all’espressione “ingiustificata interferenza” vale ad individuare tutte quelle forme di condizionamento, anche indirette, allusive, come la realtà effettuale insegna, che, in una valutazione ex ante, si palesino idonee ad influire sulla indipendenza del giudice, dato che la ratio della previsione dell’illecito disciplinare in oggetto è proprio nella tutela della soggezione del magistrato solo alla legge e della indipendenza dello stesso.

Nell’individuare e dare riscontro (nel caso, negativo) dei connotati propri dell’illecito, la Sez. disciplinare, considerato che il comportamento dell’incolpata del febbraio 2015 non manifestava univocamente la volontà di orientare in senso favorevole il processo del conoscente, ha ritenuto rilevante nel caso il comportamento del magistrato destinatario e, nello specifico, la mancata assunzione da parte di questi di ogni formale iniziativa prima del secondo episodio. Ora, così statuendo, la Sez. disciplinare ha espresso un principio di diritto non condivisibile.

Ed infatti, la natura di pericolo e non di evento dell’illecito di cui del Decreto Legislativo n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lettera e), comporta che si debba ritenere integrata la fattispecie in presenza dell’astratta idoneità del comportamento ad influire sul corretto svolgimento della decisione da assumersi da parte del destinatario, avuto riguardo al modello medio di magistrato.

Se così è, il profilo soggettivo dell’illecito si limita al riscontro della volontà di interferire per il fine perseguito da parte dell’incolpata e della percezione di detto comportamento da parte del destinatario, dovendosi nel resto compiere la valutazione oggettiva ed in astratto della idoneità del comportamento ad influire sulla decisione, condotta con riferimento al parametro del magistrato medio, non richiedendosi altresì la precipua percezione da parte del destinatario della gravità dell’interferenza e la manifestazione all’esterno della percezione a mezzo di specifici comportamenti.

Ne consegue anche l’irrilevanza delle ragioni che hanno indotto il (OMISSIS) a portare successivamente a conoscenza dell’episodio altri colleghi ed a denunciare il fatto, sulle quali insiste in particolare la difesa della (OMISSIS) nella memoria.

I rilievi sopra svolti possono essere sintetizzati nel seguente principio di diritto:

“Deve ritenersi integrata la fattispecie dell’illecito disciplinare della ingiustificata interferenza nell’attività giudiziaria di altro magistrato, di cui al Decreto Legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, art. 2, comma 1, lettera e), in presenza dell’astratta idoneità del comportamento addebitato ad influire sul corretto svolgimento della decisione da assumersi da parte del destinatario, avuto riguardo al modello del magistrato medio, non richiedendosi altresì la precipua percezione da parte del destinatario della gravità dell’interferenza nè la manifestazione di detta percezione all’esterno a mezzo di specifici comportamenti”.

Le statuizioni e le argomentazioni della sentenza impugnata prestano il fianco altresì ad ulteriori censure.

La Sez. disciplinare ha diversamente qualificato il fatto come illecito del Decreto Legislativo n. 109 del 2006, ex art. 2, comma 1, lettera d), ritenendo il minore disvalore sul piano deontologico della “condotta caratterizzata da uno scostamento oggettivo da regole di correttezza, ma non intenzionalmente orientato a condizionare l’attività giurisdizionale di un altro magistrato”.

Ora, a tale valutazione la sentenza impugnata è pervenuta richiedendo, come si è visto, la compresenza di ulteriori elementi costitutivi dell’illecito ed escludendoli nel caso di specie, sgombrando il campo dal secondo episodio, perchè non contestato (e considerandolo del tutto illogicamente come distinto dal primo e ragionevolmente ” decisivo nel determinare il proposito del dott. (OMISSIS) di sporgere denuncia”), obliterando del tutto la valenza probatoria dello stesso, per poi far rifluire il fatto nella categoria della “grave scorrettezza”, che è da considerarsi del tutto residuale, a fronte della tipizzazione dei comportamenti illeciti.

Ed infatti, come osservato dal P.G., il sistema della tipizzazione degli illeciti disciplinari non consente di pervenire alla derubricazione come illecito generico di comportamenti che sono invece tipizzati (e, a riprova della impraticabilità di detta qualificazione, si osserva come non a caso la sentenza impugnata si è limitata sul punto a negare l’ingiustificata interferenza e ad affermare la ricorrenza della grave scorrettezza senza argomentare in positivo in relazione a detto illecito).

Conclusivamente, va accolto il ricorso nei limiti di quanto sopra esposto e va cassata la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame alla Sezione disciplinare del C.S.M..

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Sezione disciplinare del C.S.M..

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