Sentenza 22903/2018
Divieto del patto commissorio – Art. 2744 cc – Procura a vendere un immobile conferita dal mutuatario al mutuante contestualmente alla stipulazione del mutuo
Estendendosi il divieto di patto commissorio, ex art. 2744 c.c., a qualsiasi negozio che venga utilizzato per conseguire il risultato concreto vietato dall’ordinamento, ne consegue che anche la procura a vendere un immobile, conferita dal mutuatario al mutuante contestualmente alla stipulazione del mutuo, è idonea a integrare la violazione della norma suddetta, qualora si accerti che tra il mutuo e la procura sussista un nesso funzionale. Tale valutazione è demandata al giudice di merito che, nel compierla, non deve limitarsi ad un esame formale degli atti posti in essere dalle parti, ma deve considerarne la causa in concreto e, in caso di operazione complessa, valutarli alla luce di un loro potenziale collegamento funzionale, apprezzando ogni circostanza di fatto rilevante e il risultato stesso che l’operazione negoziale era idonea a produrre e, in concreto, ha prodotto.
Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, Sentenza 26 settembre 2018, n. 22903 (CED Cassazione 2018)
FATTI CAUSA
Con sentenza in data 6 dicembre 2006, il Tribunale monocratico di Termini Imerese rigettava le domande, proposte nei confronti di Co. Ga., con citazione del giugno 2001, con cui Le. An. Ma. aveva richiesto il rilascio dell’immobile sito in (OMISSIS) e la corresponsione di un’indennità per l’occupazione senza titolo del medesimo, pronunciando anche nei riguardi del terzo chiamato in causa, Le. Gi., genitore dell’attrice. Il giudice di prime cure era pervenuto a tale decisione previa dichiarazione della nullità della procura irrevocabile a vendere conferita il 12 novembre 1997 da Co. Ga. a Le. Gi. giusta rogito per notar Co. nonché della nullità del contratto poi concluso il 4 marzo 1999 tra il Le. Gi. e la Le. An. Ma.. In particolare, il Tribunale adito riteneva sussistente un nesso teleologico che collegava la procura al debito assunto dal Co. nei confronti del Le. Gi., posto che la rilevanza andava riferita alla data dell’atto di vendita e non alla procura, oltre ad essere emersa una sproporzione tra il valore del bene ed il prezzo della vendita.
Decidendo sull’appello proposto da Le. An. Ma. e Le. Gi. e nella costituzione dell’appellato, la Corte di appello di Palermo, con sentenza n. 1587/2013, rigettava il gravame e compensava per intero tra le parti le spese del grado.
A sostegno dell’adottata decisione, la Corte palermitana, disattesa la domanda di ammissione di prove non assunte nel giudizio di primo grado, escludeva, in primo luogo, che la procura a vendere dedotta in causa potesse costituire una vera e propria compravendita a favore del Le. Gi., non rinvenendosi, nel corpo dell’atto, alcuna volontà traslativa della proprietà dell’immobile né l’indicazione del prezzo del medesimo. Con riferimento alle altre prospettate censure, la Corte territoriale rilevava che non poteva dubitarsi della contestualità tra l’assunzione del debito ed il rilascio della procura e, di conseguenza, della funzione di garanzia rivestita da quest’ultima, considerandosi come il Le. non avesse indicato altra specifica funzione e che tale procura fosse stata rilasciata nell’interesse del procuratore, il quale avrebbe potuto vendere anche a se stesso, dovendosi aggiungere che, in casi come quello di specie, la coartazione del debitore era “in re ipsa”, non disponendo il medesimo di alcuna possibilità di evitare la perdita del bene costituito in garanzia.
Avverso la suddetta sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione Le. An. Ma. e Le. Gi., riferito a quattro motivi, al quale ha resistito con controricorso l’intimato Co. Ga..
Con ordinanza interlocutoria adottata all’adunanza camerale fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c. del 21 marzo 2018 (in prossimità della quale il difensore dei ricorrenti aveva depositato memoria ai sensi della stessa norma) la trattazione del ricorso veniva rimessa alla pubblica udienza, la quale veniva fissata per il 10 luglio 2018.
RAGIONI DELLA DECISIONE
- Con la prima censura i ricorrenti hanno dedotto – in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., nonché dell’art. 2697 c.c..
- Con il secondo motivo i ricorrenti hanno denunciato – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. – il vizio di nullità della sentenza o del procedimento per travisamento di fatti decisivi e delle risultanze probatorie in relazione all’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c..
- Con la terza doglianza i ricorrenti hanno prospettato – in ordine all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. – l’omesso esame circa uno o più fatti decisivi per il giudizio che avevano costituito oggetto di discussione tra le parti.
I ricorrenti, nel trattare congiuntamente i primi tre motivi tra loro connessi ancorché riferiti a diverse violazioni di legge (da qualificarsi come ammissibilmente formulate in virtù della sentenza delle Sezioni unite n. 17931/2013), hanno inteso censurare la sentenza di appello nella parte in cui, confermando la declaratoria della nullità della suddetta procura e ritenendo che la stessa dissimulava un patto commissorio, aveva respinto il gravame, trascurando, tuttavia, in relazione al principio sul riparto dell’onere probatorio come fissato nel citato art. 2697 c.c., che non poteva pretendersi da essi Le. l’assolvimento dell’onere probatorio che le somme erano state corrisposte (tra il 30 novembre 1997 e il 15 gennaio 1999) a titolo di corrispettivo della compravendita, dovendo, invero, gravare sul Co. (il quale aveva eccepito la nullità della procura rilasciata il 12 novembre 1997 e del correlato atto di trasferimento) l’onere di provare la diversa circostanza dallo stesso dedotta (ovvero che la procura fosse stata rilasciata a scopo di garanzia di un mutuo).
In effetti, hanno sostenuto i ricorrenti, la Corte di secondo grado si era limitata ad adottare una motivazione che si era sostanziata in una sintesi ermetica della pronuncia del primo giudice che non rendeva possibile evincere il suo impianto argomentativo e che, inoltre, con essa il giudice di appello aveva del tutto omesso di esaminare i fatti decisivi per il giudizio quali la trasformazione dell’immobile ad opera del Le. Gi., l’accatastamento e la regolarizzazione della sanatoria, l’archiviazione della denuncia presentata dal Co. e la complessiva condotta processuale di quest’ultimo.
- Con il quarto motivo i due ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata – in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – assumendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 2744 c.c., sul presupposto che la Corte territoriale , aveva illegittimamente ritenuto che la procura a vendere fosse stata concordata a garanzia di un prestito, solo perché una parte minima (£ 9.000.000) delle somme versate dal Le. Gi. era stata corrisposta in data antecedente al rilascio della procura e ciò ancorché l’integrazione del prezzo (ammontante a £ 162.000.000) fosse stata pagata successivamente, nel Co. di oltre un anno e mezzo fino al soddisfacimento definitivo, senza che il giudice di appello avesse valutato come la dazione di denaro effettuata in epoca successiva al patto, oltre ad essere sintomatica di un accordo diverso dal mutuo, sganciava funzionalmente lo strumento negoziale (la procura) dall’ipotesi del prestito, riconnettendosi alla compravendita, per quanto desumibile anche da altri elementi univocamente indiziari, come prima posti in risalto in relazione ai precedenti tre motivi. In altri termini, secondo la prospettazione dei ricorrenti, il giudice di secondo grado aveva ritenuto sussistente, in violazione del citato art.2744 c.c., un patto commissorio malgrado difettassero gli elementi sintomatici come stabiliti dalla giurisprudenza di questa Corte (si richiama la sentenza n. 10986/2013) consistenti nell’emergenza di un documento o titolo attestante l’obbligo di restituzione delle somme, la preesistenza o la contestualità di un debito significativo, la sproporzione del valore del bene con le somme corrisposte (e documentate), la coercizione e l’approfittamento.
- Rileva il collegio che i motivi possono essere esaminati congiuntamente perché tra loro intimamente connessi.
Essi sono fondati e, pertanto, meritano accoglimento nei sensi e per le ragioni che seguono.
In effetti, per come desumibile dalla riportata sintesi dei formulati motivi e dalla motivazione dell’impugna sentenza, la Corte palermitana ha confermato quella di primo grado, rigettando la domanda proposta da Le. An. Ma. diretta all’ottenimento della condAn. del Co. Ga. al rilascio dell’immobile (sito in Misilmeri, v. C/25) assunto come detenuto senza titolo oltre che al pagamento della relativa indennità di (illegittima) occupazione, sul presupposto che la stessa originaria attrice non fosse proprietaria di detto immobile poiché, per un verso, la procura irrevocabile a vendere conferita dal predetto Co. al sig. Le. Gi. (genitore della medesima attrice) fosse nulla e, per altro verso, il contratto di compravendita (stipulato con atto del 4 marzo 1999 tra la stessa Le. An. Ma. e il Co. Ga., quale alienante intervenuto all’atto a mezzo del suo procuratore speciale Le. Gi., in forza della pregressa procura irrevocabile rilasciata il precedente 12 novembre 1997, allegata al rogito) dissimulasse un patto commissorio.
Senonché, la Corte territoriale è giunta a tale conclusione in virtù di un perCo. logico apodittico ed essenzialmente apparente (donde l’ammissibilità della dedotte violazioni di cui ai primi due motivi), omettendo l’esame di fatti da ritenersi decisivi ai fini della risoluzione della controversia e costituenti oggetto di discussione fra le parti (da cui l’ammissibilità anche del terzo motivo ricondotto alla nuova formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., applicabile “ratione temporis”, poiché la sentenza di appello risulta pubblicata il 22 ottobre 2013), così incorrendo nella conseguente violazione dell’art. 2744 c.c. (come prospettata con il quarto motivo), ritenendo – illegittimamente – che, nel caso di specie, si fosse configurata una violazione del divieto di patto commissorio.
Invero, la Corte di secondo grado ha, fondamentalmente, desunto che il contratto di compravendita dissimulasse in realtà un patto commissorio argomentando, in via essenzialmente esaustiva (ma in modo del tutto superficiale), dalla ritenuta contestualità fra l’assunzione del debito ed il rilascio della procura, inferendo da ciò come quest’ultima dovesse, in effetti, intendersi come un negozio preposto ad assolvere ad una funzione di garanzia del debito contratto, sul presupposto che il Le. Gi. non avesse indicato altra finalità con essa perseguibile e che la procura stessa era stata rilasciata nell’interesse del procuratore, il quale avrebbe potuto alienare anche a se stesso, da tanto ricavandone il convincimento che la coartazione del debitore dovesse considerasi “in re ipsa”.
Tuttavia, il giudice di appello, per giungere a tale approdo, ha dato per scontato che le dazioni pecuniarie dovesse necessariamente ricollegarsi alla causa del prestito concesso in favore del Co., escludendo aprioristicamente – ovvero prescindendo dalla valutazione di qualsiasi idoneo riscontro probatorio (e, in particolare, anche della circostanza che, a rafforzare la vincolatività della procura, non era stata nemmeno prevista una garanzia ipotecaria o altra forma di garanzia atipica, presupposta dal meccanismo propriamente previsto dall’art. 2744 c.c.) – sul fatto che le singole prestazioni di danaro potessero, invece, svolgere la funzione di corresponsione di pagamento rateale del prezzo dell’immobile poi venduto dal Ga. Gi. in favore della figlia An. Ma. nel 1999 in virtù della procura conferitagli (circa un anno e mezzo prima) dal Co. stesso (la cui irrevocabilità, per come era stato concluso il negozio, doveva intendersi limitato esclusivamente ai rapporti tra mandante e mandatario: v. Cass. n. 1388/1998 e, da ultimo, Cass. n. 7038/2015).
Appare evidente che, sulla scorta di tale sommario percorso argomentativo adottato dal giudice di seconde cure, è rimasta esclusa la valutazione di rilevanti elementi fattuali necessari e potenzialmente decisivi (in funzione di un possibile esito diverso della controversia) dai quali si sarebbe potuta potenzialmente evincere la sussistenza del divieto contemplato dal citato art.2744 c.c., come l’effettiva coercizione morale illecita in danno del Co. Ga. (che, invece, è stata illegittimamente ed apoditticamente ritenuta sussistente in via automatica, senza, cioè, alcun diretto od indiretto conforto probatorio), l’approfittamento reale della condizione dello stesso Co. da parte del Le. Gi., l’accertamento della circostanza relativa all’effettività della preesistenza di un debito significativo, la verifica di un titolo attestante l’obbligo restitutorio, trascurando, altresì, di valorizzare il dato che la dazione di somme in epoca successiva all’asserito patto da parte dei Le. avrebbe potuto verosimilmente indirizzare verso il raggiungimento di un convincimento teso ad escludere il nesso di collegamento di tale condotta al dedotto prestito ed, invece, correlarla alla compravendita. Pertanto, non può affermarsi che, dalle sole circostanze considerate dalla Corte di appello, potesse, nella fattispecie, ritenersi effettivamente emersa la prova certa – il cui onere era posto, oltretutto, a carico di chi aveva dedotto la condotta elusiva del divieto contemplato dall’art. 2744 c.c. – della sussistenza di un univoco collegamento funzionale tra l’asserito mutuo e la procura a vendere (peraltro non può, in linea teorica, escludersi la possibile validità di un mandato ad alienare a scopo di garanzia – correlato al rilascio di una procura irrevocabile – qualora risultino insussistenti, nel caso concreto, le prove di un meccanismo idoneo a produrre condotte abusive del creditore-mandatario: cfr. Cass. n. 5440/2015).
Del resto la giurisprudenza di questa Corte (v., ad es., Cass. n. 6112/1993; Cass. n. 5740/2011 e Cass. n. 15486/2014) è chiaramente orientata in questo senso, essendo stato statuito il principio di diritto (al quale dovrà uniformarsi il giudice di rinvio, previa rivalutazione complessiva ed esaustiva della vicenda fattuale sottesa alla controversia) in base al quale la procura a vendere un immobile, conferita dall’asserito mutuatario al mutuante contestualmente alla stipulazione del dedotto mutuo (previa valutazione della sicura prova della sua sussistenza), può integrare la violazione del divieto del patto commissorio, qualora si accerti che tra il mutuo e la procura sussista un effettivo nesso funzionale; ovviamente, tale accertamento è demandato al giudice di merito, il quale tuttavia, nel compierlo, non deve limitarsi ad un esame formale degli atti posti in essere dalle parti, ma deve considerarne la causa in concreto, e, in caso di operazione complessa, valutare gli atti medesimi alla luce di un loro potenziale collegamento funzionale, apprezzando ogni circostanza di fatto rilevante ed il risultato stesso che l’operazione negoziale era idonea a produrre e, in concreto, ha prodotto (rendendo, altresì, eccessivamente gravosa la posizione dell’assunto mutuatario), così pervenendo, in modo logicamente consequenziale, all’accertamento dell’avvenuta violazione o meno del divieto previsto dall’art. 2744 c.c..
- In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente esposte, il riCo. va accolto, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della causa ad altra Sezione della Corte di appello di Palermo che, oltre a conformarsi all’enunciato principio di diritto e a valutare i fatti decisivi omessi nella sentenza impugnata (al fine della possibile configurazione della nullità contemplata dall’art. 2744 c.c.), provvederà a regolare anche le spese della presente fase giudiziale di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra Sezione della Corte di appello di Palermo.
Così deciso nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile in data 10 luglio 2018.