Ordinanza 23192/2020
Mandato conferito nell’interesse del mandatario con attribuzione di procura – Irrevocabilità del mandato
Nel mandato conferito nell’interesse del mandatario con attribuzione di procura, la irrevocabilità del mandato e’ limitata al rapporto interno tra il mandante ed il mandatario e, pertanto, la validità del contratto concluso con il terzo dal mandatario, resta subordinata alla permanenza del potere di rappresentanza ed alla mancanza di revoca della procura. Com’e’ noto, infatti, la procura costituisce un negozio unilaterale, ricettizio ed astratto, essenzialmente revocabile in quanto autonomo rispetto al negozio gestorio sottostante, sicchè la revoca della procura determina l’estinzione del potere di rappresentanza.
Cassazione Civile, Sezione 6, Ordinanza 23-10-2020, n. 23192
Art. 1396 cc annotato con la giurisprudenza
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Premesso che il 28 marzo 2006 il Fallimento della Società I.A. S.R.L., quale promittente venditrice, aveva stipulato con Ma. Gu., promissario acquirente, una scrittura preliminare di vendita di un appartamento ad uso abitativo con annesse cantina e autorimessa di pertinenza, sito in Modena, via (OMISSIS), nella quale era convenuto il versamento di una caparra pari a € 150.000,00 al momento della sottoscrizione del preliminare con contestuale immissione anticipata nel possesso, fermo l’obbligo di saldare la differenza, rispetto al corrispettivo totale di € 250.000,00, al momento della stipula del definitivo, prevista entro il 31/12/2006, attesa la mancata conclusione del contratto definitivo, il Fallimento conveniva in giudizio il promissario acquirente affinché fosse pronunciata la nullità, inefficacia, o inopponibilità della scrittura privata del 28/03/2006, per pretesa invalidità della procura e simulazione della data del contratto preliminare e del versamento della caparra o, in subordine, lo scioglimento del contratto ex artt. 72 e 66 L. fall. e 2901 c.c.
Si costituiva il convenuto chiedendo il rigetto delle domande avverse e, in via riconvenzionale, una sentenza costitutiva del trasferimento ex art. 2932 c.c. o, in subordine, la risoluzione del contratto per inadempimento del Fallimento, con restituzione del doppio della caparra.
Il Tribunale di Modena, con la sentenza n. 261/2015 dell’08/01/15, in accoglimento della domanda, accertava la simulazione della data e della quietanza di pagamento del contratto preliminare di compravendita del 28/03/06, e conseguentemente dichiarava la sua inefficacia, ai sensi dell’art. 1398 c.c., nei confronti del Fallimento. Condannava alle spese secondo la soccombenza.
Il Tribunale respingeva la domanda della curatela di nullità ed inefficacia del suddetto contratto per difetto di valida procura in capo a Ga. Da., valorizzando la circostanza che il preliminare di compravendita concluso tra Da. Ga., in nome e per conto della I.A., ed il convenuto Ma. Gu. era datato 28/03/2006, giorno in cui Ga. era ancora dotato dei poteri di rappresentanza della società.
Dall’istruttoria orale e documentale era emerso che Ga. Mi., in qualità di amministratrice unica e legale rappresentante della società Au. S.R.L., con atto del 27/03/2006 a ministero del notaio Mancioli, aveva nominato procuratore speciale della società il nipote, Ga. Da., per la vendita della porzione immobiliare oggetto della controversia. Tuttavia, il 30/03/2006, data in cui il procuratore speciale aveva fissato un appuntamento presso il notaio per la stipula di un contratto di vendita degli immobili a favore di Vi. Ma., Mi. Ga., temendo che il nipote sottraesse dal patrimonio sociale parte del corrispettivo di vendita dell’immobile, manifestava al notaio la volontà di revocare la procura speciale e si recava presso il suo studio per impedire la stipula del rogito notarile e ottenere la restituzione dell’originale della procura in possesso del notaio.
Il Tribunale accoglieva la domanda di accertamento della simulazione relativa del preliminare, per avere le parti apposto al contratto una data non veritiera, antecedente al 30/03/2006, data in cui il promittente venditore era stato privato del potere di rappresentare la società, nonché falsamente quietanzato il pagamento in contanti dell’acconto di e 150.000,00 sul prezzo convenuto di € 250.000,00.
Riteneva che gli elementi acquisiti in giudizio fornissero un quadro indiziario idoneo a provare la simulazione, secondo i requisiti di cui all’art. 2729 c.c., essendo consentito al Curatore, quale terzo, fornire la prova della simulazione senza limiti, ai sensi dell’art. 1417 c.c. In questo senso, il Tribunale evidenziava il fatto che il contratto preliminare, pur risultando sottoscritto il 28/03/2006, era stato registrato solo il 27/07/2006; che fosse inverosimile che, nello stesso giorno in cui era stata impedita la conclusione del contratto con Vi. Ma., il procuratore speciale avesse concluso il preliminare di vendita con Gu. Ma., ricevendo la somma di € 150.000,00; che appariva contraddittoria e priva di riscontro probatorio la giustificazione addotta da Ga. Da., secondo cui a seguito della maggiore offerta di Ma. aveva preferito recedere dal preliminare con Ma., tenuto conto del breve lasso di tempo intercorso, degli effetti pregiudizievoli che tale scelta avrebbe comportato per la società, che si sarebbe impegnata alla restituzione del doppio della caparra, del fatto che la zia non era stata informata di tale accordo; che nel 2005 Ma. Gu., d’accordo con Ga. Da., cui era legato da un rapporto di amicizia fraterna, si era fatto consegnare un assegno di € 13.400,00 emesso dalla società per ottenere il rilascio di una polizza fideiussoria a garanzia del rimborso di un credito IVA, che poi non era stato utilizzato a favore della I.A.; che era inverosimile che il promissario acquirente, nonostante il pagamento della caparra in contanti, non avesse chiesto l’esibizione dell’originale della procura; che Ma. Gu. non aveva dimostrato di aver pagato l’acconto di € 150.000,00 non potendo valere a tal fine la quietanza di cui al preliminare, inopponibile al curatore a causa dell’incertezza dell’effettività del pagamento quietanzato, non essendo plausibile il versamento in contanti di una somma di così ingente entità, assoggettata ai divieti della normativa antiriciclaggio, con conseguente necessità di una traccia documentale dell’effettivo versamento; che appariva più verosimile che Ga. Da., amministratore di fatto della società o avente un cointeresse nella società, avesse deciso, nonostante il dissesto e la revoca della procura conferitagli, di sottrarre il patrimonio sociale alla garanzia dei creditori, promettendo ad un amico la vendita degli immobili ad un prezzo inferiore al loro valore reale; quest’ultima circostanza appariva confermata dalla condotta del Ma. successiva alla stipula del preliminare.
Ma. Gu. proponeva appello avverso la sentenza, lamentando l’erronea regolamentazione delle spese di lite secondo il principio della soccombenza e chiedendo l’integrale riforma della sentenza con rigetto di tutte le domande ex adverso proposte e accoglimento della sua domanda riconvenzionale ex 2932 c.c.
Si costituiva il Fallimento, che proponeva altresì appello incidentale, censurando la sentenza nella parte in cui, dopo aver correttamente dichiarato l’inefficacia del contratto preliminare di compravendita, non aveva accolto la domanda della curatela di condanna del Ma. al rilascio dei relativi immobili, nonché nella parte concernente la regolamentazione delle spese.
La Corte d’Appello di Bologna, con la sentenza n. 652/2019 del 25/02/2019, rigettava l’appello principale e in accoglimento dell’appello incidentale condannava Ma. Gu. al rilascio dell’immobile oggetto della controversia ed al pagamento delle spese di lite.
La Corte d’Appello perveniva al rigetto di tutti i motivi dell’appello principale.
Quanto al secondo, osservava che il Tribunale correttamente avesse valutato la tardiva registrazione del contratto preliminare, non quale circostanza che ne inficiasse in qualche modo la validità, ma quale indizio del fatto che la data del preliminare era simulata e finalizzata a far apparire l’atto come concluso nel periodo in cui Ga. Da. era ancora investito del potere di rappresentanza della società; quanto al terzo motivo, con cui l’appellante censurava la valutazione della testimonianza di Ga. Da., la Corte rilevava che il Tribunale aveva ritenuto inattendibile il teste, dopo aver accertato la simulazione dell’atto, deducendo che il predetto fosse amministratore di fatto della società dalla deposizione di Mi. Ga. e che la società fosse in dissesto già nel 2006, come emergeva dalla sentenza dichiarativa di fallimento; correttamente quindi il Tribunale aveva considerato priva di riscontro probatorio, nella deposizione del notaio Mancioli, la circostanza secondo cui il Ma. avrebbe telefonato al notaio per avere la conferma della procura a vendere, posto che dal verbale di assunzione delle prove non risultava alcuna domanda in merito della difesa.
Rigettava il quarto motivo con cui l’appellante si doleva del mancato accoglimento dell’eccezione di incapacità a deporre di Mi. Ga., posto che la relativa eccezione non era stata sollevata dalla difesa nell’udienza di escussione della teste, risultando quindi sanata ai sensi dell’art. 157 c.p.c. In ogni caso, l’asserzione secondo cui Mi. Ga. avrebbe indebitamente trattenuto, senza versarla nelle casse sociali, la somma di € 150.000,00 avrebbe configurato un mero interesse di fatto di Mi. Ga. all’esito del giudizio, inidoneo a integrare i presupposti di cui all’art. 246 c.p.c.
Riteneva inammissibile il quinto motivo di gravame con il quale l’appellante aveva denunciato l’erronea motivazione sulla prova del pagamento del prezzo, non avendo censurato la parte della sentenza che aveva affermato che al Curatore, essendo terzo rispetto al preliminare, non era opponibile la quietanza di pagamento, posto che l’esborso di € 150.000,00 avrebbe dovuto trovare riscontro in strumenti finanziari incontestabili. L’insufficienza della censura rendeva ininfluente accertare le ragioni che avevano portato il fallimento a concludere una transazione con Mi. Ga., a fronte del versamento a favore della Curatela di € 25.000,00 (circostanza emersa ex actis).
L’appellante principale con i motivi sesto e settimo aveva censurato poi l’erroneo utilizzo delle presunzioni fatto dal Tribunale che, dalla revoca della procura a vendere da parte di Mi. Ga., avrebbe presunto che il Ma. fosse stato informato della stessa e conseguentemente che si fosse accordato con Ga. Da. per la simulazione della data del contratto preliminare, così avvalendosi di una presumptio de presumpto vietata dall’art. 2729 c.c. Lo stesso errore sarebbe stato commesso nella parte in cui, dallo stato di dissesto societario e dalla presunta qualifica di Ga. Da. quale amministratore di fatto della società, la sentenza del Tribunale avrebbe presunto l’interesse a sottrarre i beni alla garanzia patrimoniale della società architettando una compravendita ad un prezzo inferiore al valore reale dei beni, senza che fosse mai stato contestato che il valore dei beni promessi in vendita fosse corrispondente al prezzo pattuito. La Corte rigettava il motivo osservando che non era stata contestata da parte dell’appellante l’affermazione del giudice di prime cure che aveva ritenuto provato che il 30/03/2006 Mi. Ga. avesse revocato la procura, ottenendo la restituzione dell’originale da parte del notaio alla presenza del nipote, privando così Ga. Da. del potere di agire in nome e per conto della società.
Il Tribunale aveva valorizzato una serie di circostanze provate e incontestate (il fatto che tra Ga. Da. e Ma. Gu. vi fosse un’amicizia fraterna, che Ga. Da. fosse amministratore di fatto della società, che la società fosse in stato di dissesto all’epoca dei fatti) quali indizi, rispettivamente, della simulazione della data del contratto preliminare e della conoscenza da parte del Ma. dell’intervenuta revoca della procura e dell’interesse del Ga. a sottrarre beni sociali ai creditori; non era, pertanto, configurabile alcuna doppia presunzione vietata, a parere della Corte. Né il Tribunale aveva mai affermato che il prezzo di € 250.000,00 risultante dal preliminare fosse inferiore al valore di mercato degli immobili, ritenendo viceversa che il prezzo di vendita fosse simulato e ridotto nella misura di soli € 100.000,00, somma inferiore al valore effettivo dei beni, a fronte della mancata prova del versamento dell’acconto di € 150.000,00, in virtù dell’accordo simulatorio.
Rigettava altresì l’ottavo motivo, relativo all’omessa considerazione del verbale di immissione nel possesso dell’immobile e di consegna delle chiavi del 28/03/2006, avendo il Tribunale ritenuto che tale documento provasse la reale intenzione delle parti di trasferire la proprietà, limitando la simulazione alla sola data del contratto, ritenendo implicitamente che anche la data apposta al verbale di consegna dei beni fosse simulata.
In accoglimento dell’appello incidentale, la Corte d’Appello riformava la sentenza, essendo la domanda di condanna di restituzione dei beni immobili stata proposta dalla curatela fin dall’atto di citazione e ribadita in sede di precisazione delle conclusioni.
Quanto alla regolamentazione delle spese, la Corte rigettava il motivo dell’appellante principale avendo il Tribunale fatto corretta applicazione del principio della soccombenza, risultando il Ma. totalmente soccombente rispetto alle domande proposte; ma accoglieva il motivo dell’appellante incidentale, secondo cui, a seguito del venir meno dei requisiti per l’ammissione del Fallimento al patrocinio a spese dello Stato, le spese di soccombenza dovevano essere riconosciute direttamente a favore della curatela senza alcuna distrazione a favore dello Stato.
Ma. Gu. propone ricorso per la cassazione della suddetta sentenza della Corte d’Appello di Bologna affidato a due motivi, illustrati da memorie.
L’intimato Fallimento della società I.A. S.R.L. si è difeso con controricorso.
Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1387 e ss. c.c. in materia di rappresentanza volontaria, così come integrati dagli artt. 1703 e ss. c.c. in materia di contratto di mandato.
La sentenza di merito sarebbe erronea nelle parti in cui ha ritenuto che Ma. Gu. fosse a conoscenza dell’intervenuta revoca della procura, nonostante che la disciplina della modificazione ed estinzione della procura imponga che detti eventi debbano essere portati a conoscenza dei terzi con mezzi idonei, valorizzando la mancata richiesta del Ma. di esibizione della procura ai fini di dimostrare l’intento simulatorio delle parti, sebbene la verifica dei poteri sia una mera facoltà per il terzo contraente.
Con la censura, il ricorrente sostiene altresì la validità della procura anche successivamente alla data della presunta revoca, argomentando che la procura sarebbe stata conferita anche nell’interesse del procuratore nominato, così dando luogo a un contratto di mandato che non sarebbe stato revocabile con un atto unilaterale.
Il motivo è inammissibile.
La censura, nella parte in cui assume che la procura sarebbe stata irrevocabile in quanto conferita nell’interesse anche del rappresentante, propone una questione nuova sollevata dal ricorrente solo in sede di legittimità e, come tale, è inammissibile.
La giurisprudenza di questa Corte richiede che ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (cfr. Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 2038 del 24/01/2019; Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 32804 del 13/12/2019; Cass., Sez. L, Sentenza n. 20518 del 28/07/2008). Il giudizio di cassazione ha, per sua natura, la funzione di controllare la difformità della decisione del giudice di merito dalle norme e dai principi di diritto, sicché sono precluse non soltanto le domande nuove, ma anche nuove questioni di diritto, qualora queste postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito che, come tali, sono esorbitanti dal giudizio di legittimità (cfr. Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 15196 del 12/06/2018; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 19350 del 04/10/2005).
Nel caso di specie, alla mancata allegazione della deduzione della censura nei giudizi di merito, si aggiunge la considerazione che la stessa pone un problema di accertamento in fatto quanto alla verifica dell’interesse del mandatario e della sua specifica rilevanza al momento del conferimento del mandato, che è precluso in sede di legittimità; ciononostante, anche a ritenere che un tale accertamento sia possibile, non è sufficiente a configurare la sussistenza di un mandato in rem propriam la previsione nella procura della mera facoltà del rappresentante di stipulare un contratto con sé stesso, che richiederebbe, altresì, che nella procura siano predeterminate le modalità concrete di conclusione del contratto, in particolare con riferimento al prezzo (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 5080 del 2012; Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 29959 del 19/11/2019, secondo cui in tema di contratto concluso dal rappresentante con se stesso, l’art. 1395 c.c. contiene una presunzione “iuris tantum” di conflitto di interessi, che è onere dello stesso rappresentante superare mediante la dimostrazione di una delle due condizioni tassativamente previste, in via alternativa, dalla legge, vale a dire la predeterminazione del contenuto di tale contratto da parte del rappresentato o l’autorizzazione specifica di quest’ultimo, la quale può considerarsi idonea ove sia accompagnata dalla puntuale indicazione degli elementi negoziali sufficienti ad assicurare la tutela del rappresentato medesimo).
L’assunto del ricorrente mira, evidentemente, a sostenere l’invalidità dell’atto di revoca della procura conferita a Ga. Da., ma, sotto tale profilo, non può che ribadirsi il principio affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui nel mandato conferito nell’interesse del mandatario con attribuzione di procura, la irrevocabilità del mandato è limitata al rapporto interno tra il mandante ed il mandatario e, pertanto, la validità del contratto concluso con il terzo dal mandatario, resta subordinata alla permanenza del potere di rappresentanza ed alla mancanza di revoca della procura. Com’è noto, infatti, la procura costituisce un negozio unilaterale, ricettizio ed astratto, essenzialmente revocabile in quanto autonomo rispetto al negozio gestorio sottostante, sicché la revoca della procura determina l’estinzione del potere di rappresentanza (cfr. Cass., sez. 2, Sentenza n. 7038 del 08/04/2015; Cass., sez. 2, Sentenza n. 14067 del 2016; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 5080 del 2012; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 21897 del 2011; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 1388 del 11/02/1998).
Nella specie, Ga. Da. ha alienato al ricorrente il bene per il quale aveva ricevuto la procura a vendere quando già gli era stata revocata, atteso l’accertamento della simulazione della data apposta al contratto preliminare e, pertanto, correttamente la sentenza impugnata, una volta accertata la conoscenza di tale revoca da parte del promissario acquirente, ha affermato l’inefficacia del contratto ai sensi dell’art. 1398 c.c. nei confronti del fallimento.
Rispetto a quest’ultimo profilo, la Corte d’Appello ha fatto corretta applicazione dell’art. 1396 c.c., il cui disposto prevede che le modificazioni e la revoca della procura devono essere portate a conoscenza dei terzi con mezzi idonei.
In mancanza, esse non sono opponibili ai terzi, se non si prova che questi le conoscevano al momento della conclusione del contratto. La Corte d’Appello ha ritenuto corretta la sentenza di primo grado nella parte in cui ha presunto la simulazione della data del preliminare con l’indicazione di una data antecedente a quella della revoca della procura, sulla base di una serie di elementi indiziari, tra cui la incontestata e provata amicizia fraterna tra Ga. Da. e Ma. Gu., e la loro compartecipazione ad operazioni economiche, come nell’episodio risalente al 2005 che del pari aveva visto impegnato il nome della società fallita. Una volta provato l’accordo simulatorio, correttamente deve reputarsi che la conoscenza da parte del Ma. della revoca della procura conferita all’amico si presentava come presupposto elemento implicito dell’accordo simulatorio.
Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 2727 ss. c.c., in materia di presunzioni, in combinato disposto con gli artt. 1414 e ss. c.c. in materia di simulazione.
I giudici di merito avrebbero supposto l’esistenza di un accordo simulatorio tra Ga. Da. e Ma. Gu. facendo erronea applicazione dell’istituto della presunzione. In particolare, non avrebbero accertato l’effettiva conoscenza della revoca della procura da parte del Ma., desumendola da un generico rapporto di amicizia tra le parti; avrebbero desunto la simulazione della data del contratto da quella della registrazione della stessa (nonostante che la registrazione sia un incombente fiscale, la cui inosservanza dà luogo a sanzioni pecuniarie ma non incide sulla validità e sostanza del contratto; nonché che, anche laddove la registrazione fosse stata tempestiva, avrebbe comunque potuto intervenire successivamente alla data della revoca della procura); avrebbero desunto la simulazione della quietanza dall’assenza di qualsiasi riferimento a mezzi di pagamento tracciabili, previsti dalla normativa antiriciclaggio, sebbene il problema dell’effettivo incasso della somma riguardasse esclusivamente i rapporti tra Da. Ga. e la società. Infine, la sentenza sarebbe erronea nella parte in cui ha valorizzato, ai fini dell’accertamento della simulazione, una serie di circostanze emerse dalle prove testimoniali del tutto estranee e indipendenti dalla volontà e dalla conoscenza del Ma..
Il motivo è inammissibile.
La censura si risolve nel tentativo di sostituire a quella fatta propria dai giudici di merito la propria personale ricostruzione del materiale istruttorio e pertanto è inammissibile.
Allorquando la prova addotta sia costituita da presunzioni, rientra nei compiti del giudice del merito il giudizio circa l’idoneità degli elementi presuntivi a consentire illazioni che ne discendano secondo il criterio dell’ “id quod plerumque accidie, essendo il relativo apprezzamento sottratto al controllo in sede di legittimità se sorretto da motivazione immune dal vizi logici o giuridici e, in particolare, ispirato al principio secondo il quale i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza, richiesti dalla legge, devono essere ricavati in relazione al complesso degli indizi, soggetti a una valutazione globale, e non con riferimento singolare a ciascuno di questi, pur senza omettere un apprezzamento così frazionato, al fine di vagliare preventivamente la rilevanza dei vari indizi e di individuare quelli ritenuti significativi e da ricomprendere nel suddetto contesto articolato e globale (cfr. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 17858 del 24/11/2003; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 16831 del 10/11/2003; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 1404 del 01/02/2001).
I giudici di merito, al fine di accertare la simulazione del contratto, hanno valorizzato una serie di circostanze, tra cui non solo la tardiva registrazione del preliminare e l’amicizia fraterna tra le parti, menzionate dal ricorrente, ma anche l’inverosimile circostanza che nello stesso giorno in cui era stato fissato l’appuntamento per la stipula del contratto con tal Ma., poi non verificatasi, il Ga. abbia sottoscritto un contratto con il Ma.; l’incoerenza della giustificazione sul punto fornita dal Ga.; la mancata richiesta di esibizione della procura da parte del Ma., nonostante l’assunzione di un rilevante onere finanziario; la mancata prova del pagamento dell’acconto di € 150.000,00; la qualità di amministratore di fatto di Da. Ga., denotante quindi un evidente interesse a sottrarre i beni della società alla garanzia patrimoniale, promettendo la vendita degli immobili ad un prezzo inferiore al loro valore reale; la condotta del Ma. successiva alla stipula del preliminare.
E tale valutazione del materiale istruttorio appare incensurabile in sede di legittimità, in quanto sorretta da una argomentazione logica ed esente da vizi, alla luce della giurisprudenza che ritiene che, per la configurazione di una presunzione giuridicamente valida ai sensi degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto – in forza di una regola d’esperienza – come conseguenza meramente probabile, secondo un criterio di normalità (Sez. 2, Sentenza n. 22656 del 31/10/2011); in altre parole, è sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull’id quod plerumque accidit (in virtù di una inferenza di natura probabilistica), sicché il giudice può trarre il suo libero convincimento dall’apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, presi in esame e valutati dal giudice tutti insieme e gli uni per mezzo degli altri allo scopo di verificare la concordanza delle presunzioni che da essi possono desumersi (c.d. convergenza del molteplice), purché dotati dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza, mentre è da escludere che possa attribuirsi valore probatorio ad una presunzione fondata su dati meramente ipotetici (Sez. L, Sentenza n. 2632 del 05/02/2014).
Quanto alla censura relativa alla mancata valutazione della quietanza va richiamata la giurisprudenza di questa Corte che ha affermato che in tema di prova per presunzioni della simulazione di un contratto, la dichiarazione relativa al versamento del prezzo di una compravendita immobiliare, seppur contenuta nel rogito notarile, non ha valore vincolante nei confronti del creditore di una delle parti – ovvero del legittimario, come nel caso analizzato dal precedente in esame – che abbia proposto azione diretta a far valere la simulazione dell’alienazione, poiché questi è terzo rispetto ai soggetti contraenti. Spetta in questo caso al giudice del merito valutare l’opportunità di fondare la decisione sulla prova per presunzioni e di apprezzare l’idoneità degli elementi presuntivi a consentire deduzioni che ne discendano secondo rid quod plerumque accidit”, restando il relativo apprezzamento incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e giuridico (cfr. Cass., Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 29540 del 14/11/2019; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 903 del 18/01/2005; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 1404 del 01/02/2001).
Inoltre, rileva il fatto che la censura mira ad isolare, nella complessiva valutazione del materiale probatorio, alcuni specifici elementi di carattere indiziario, trascurando che il giudizio del giudice di merito si fonde, correttamente, su di una valutazione sintetica e complessiva degli argomenti di carattere presuntivo, che ha indotto a reputare che, anche in ragione dei pregressi rapporti di amicizia ed economici intercorsi tra il procuratore della venditrice ed il ricorrente, questi non potesse ignorare, e che anzi fosse pienamente partecipe dell’accordo simulatorio incidente sulla data del preliminare.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al rimborso delle spese che liquida in complessivi € 7.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi ed accessori di legge;
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio dell’8 ottobre 2020.