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Cassazione Civile 23326/2018 – Azione revocatoria ordinaria – Atto di disposizione successivo al sorgere del credito – Conoscenza del terzo del pregiudizio

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Ordinanza 23326/2018

 

Azione revocatoria ordinaria – Atto di disposizione successivo al sorgere del credito – Conoscenza del terzo del pregiudizio

In tema di azione revocatoria ordinaria, ove l’atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito, condizione per il suo esercizio è la conoscenza che il debitore abbia del pregiudizio delle ragioni creditorie, nonché, per gli atti a titolo oneroso, l’esistenza di analoga consapevolezza in capo al terzo, la cui posizione, sotto il profilo soggettivo, va accomunata a quella del debitore; ne consegue, in questo secondo caso, che l’accoglimento della predetta azione dipende dalla conoscenza, da parte del terzo, che il proprio dante causa sia già vincolato verso creditori e che l’atto posto in essere arrechi pregiudizio alla garanzia patrimoniale del disponente.

Cassazione Civile, Sezione 1, Ordinanza 27-09-2018, n. 23326

 

 

FATTI DI CAUSA

  1. — Banco di Brescia San Paolo CAB s.p.a. domandava di insinuarsi al passivo del fallimento di Bo. Do., dichiarata fallita, quale socia, in estensione del fallimento della Az. Ag. Me. s.s., per la somma di € 2.042.621,28, e ciò in via ipotecaria: l’insinuazione, secondo l’istante, trovava ragione nel residuo credito avente ad oggetto il rimborso di un mutuo da lei contratto, che era assistito da ipoteca.

Il Tribunale ammetteva il credito in chirografo, avendo la curatela eccepito che la prestazione della garanzia ipotecaria era soggetta a revocatoria.

  1. — Proposta opposizione, il Tribunale di Brescia la respingeva. Osservava che il mutuo ipotecario era stato utilizzato per munire di una garanzia reale la pregressa esposizione debitoria chirografaria della società fallita e di Bo. s.p.a.: società, queste, appartenenti entrambe al «gruppo Mo.» e risultate essere le effettive destinatarie del finanziamento richiesto da Do. Bo.. Rilevava che l’accensione dell’ipoteca era suscettibile di revocatoria, a norma dell’art. 2901 c.c.; infatti: quanto al danno, la banca avrebbe dovuto dimostrare l’esistenza di altri cespiti capienti e facilmente aggredibili da parte dei creditori; quanto alla preesistenza di creditori pregiudicati dall’operazione, il Tribunale poneva in evidenza l’ingente esposizione debitoria della società fallita e di Do. Bo., quale socia illimitatamente responsabile, siccome desumibile dalle istanze di insinuazione al passivo prodotte dalla curatela; riguardo all’elemento soggettivo della banca, infine, veniva osservato che esso poteva desumersi dall’architettura dell’operazione, che aveva comportato un impoverimento per Do. Bo., alla quale la somma mutuata era stata sottratta per ripianare i debiti delle società del gruppo.
  2. — Contro il decreto del Tribunale bresciano il Banco di Brescia ha proposto un ricorso per cassazione che si basa su due motivi. Resiste con controricorso il fallimento di Do. Bo., che ha pure depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

  1. — Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2901, 2729 e 2697 c.c., 66 I. fall., 115 e 116 c.p.c.. Premesso che la consapevolezza dell’evento dannoso consiste nella conoscenza del pregiudizio che l’atto a titolo oneroso possa arrecare alle ragioni degli altri creditori, viene negato che tale consapevolezza in concreto vi fosse: la ricorrente esclude che in capo ad essa potesse configurarsi alcuna scientia damni e pone l’accento sulla mancata evidenza di posizioni a sofferenza riferibili a Do. Bo. presso la Centrale rischi, oltre che sui dati riferiti alla levata dei protesti in danno della medesima. L’istante contesta, infine, che la scientia damni potesse argomentarsi muovendo dal rilievo che l’operazione di mutuo era volta, in sé, a danneggiare gli altri creditori, giacché era proprio questo il fatto che la controparte era onerata di dimostrare.

Col secondo motivo la ricorrente si duole dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Lamenta che il Tribunale abbia mancato di valutare che la banca, prima di procedere all’erogazione del mutuo e all’iscrizione ipotecaria, aveva diligentemente verificato, con il supporto dei mezzi a propria disposizione, l’insussistenza, in capo a Do. Bo. e alla società dalla stessa rappresentata, di obbligazioni in essere con altri creditori. Viene spiegato, in particolare, che la banca aveva constatato, attraverso verifiche presso la Centrale rischi e la ricognizione dei protesti, che sulla fallita non gravavano obbligazioni.

  1. — I due motivi possono scrutinarsi congiuntamente, in quanto nella loro articolazione le singole censure attengono alla medesima questione, seppur riguardata da distinte prospettive: la violazione o falsa applicazione della norma sostanziale di cui all’art. 2901 c.c.; la violazione o falsa applicazione delle disposizioni che regolano l’onere della prova e la formazione del convincimento del giudice; il vizio motivazionale di cui all’art.360, n. 5 c.p.c..

Deve ritenersi che il decreto impugnato abbia fatto non corretta applicazione della richiamata disposizione sostanziale in tema di azione revocatoria ordinaria, e ciò con particolare riguardo all’elemento della scientia damni.

Occorre considerare che in tema di azione revocatoria ordinaria, quando l’atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito, unica condizione per il suo esercizio è la conoscenza) che il debitore abbia del pregiudizio delle ragioni creditorie, nonché, per gli atti a titolo oneroso, l’esistenza di analoga consapevolezza in capo al terzo, la cui posizione, sotto il profilo soggettivo, va accomunata a quella del debitore (per tutte: Cass. 22 marzo 2016, n. 5618; Cass. 30 dicembre 2014, n. 27546). A tal fine non è necessaria la conoscenza, da parte del terzo, dello specifico credito per cui è proposta l’azione, invece richiesta qualora quest’ultima abbia ad oggetto un atto, a titolo oneroso, anteriore al sorgere di detto credito (Cass. 5 luglio 2013, n. 16825). Nondimeno — deve precisarsi — il terzo deve essere a conoscenza del fatto che il proprio debitore abbia già assunto obbligazioni verso terzi e che, in conseguenza, l’atto revocando possa nuocere, in concreto, ai creditori dello stesso, non essendo di contro sufficiente la consapevolezza che l’atto medesimo comporti una semplice alterazione, in senso peggiorativo, del patrimonio del suddetto debitore. Ove così non fosse, l’inefficacia dell’atto dipenderebbe dalla conoscenza, da parte del creditore, del solo fatto che esso possa nuocere al disponente: laddove, di contro, l’azione revocatoria ha la funzione di tutelare il creditore contro gli atti dispositivi che sono in grado di porre in pericolo la garanzia patrimoniale del debitore, sicché la scientia damni non può che essere correlata a tale ragione di pregiudizio, la quale implica, di necessità, la conoscenza, ancorché generica, da parte del terzo, dell’esposizione debitoria del disponente (che è suo debitore) nei confronti di altri. Questa Corte ha difatti in più occasioni precisato che la scientia damni ha ad oggetto anche la condizione debitoria del disponente (si veda, in proposito, Cass.8 novembre 1985, n. 5451, secondo cui ai fini dell’azione revocatoria ordinaria è richiesta la consapevolezza del fatto che il dante causa del terzo, «già vincolato verso creditori», mediante l’atto di disposizione diminuisca la sua sostanza patrimoniale e con essa la garanzia spettante alle ragioni di credito altrui, arrecando così pregiudizio; cfr. altresì Cass. 19 marzo 1996, n. 2303, per cui il requisito della consapevolezza, da parte del terzo acquirente, del pregiudizio arrecato dall’atto dispositivo alle ragioni del creditore dell’alienante investe la riduzione delle garanzie offerte dal debitore, in relazione alla consistenza patrimoniale considerata ed ai «vincoli già esistenti nei confronti di altri creditori»).

Come si è visto, il decreto impugnato reputa che lo stato soggettivo della banca, rispetto all’atto di prestazione della garanzia ipotecaria, oggetto della domanda revocatoria, discenda dall’architettura dell’operazione, che aveva comportato un impoverimento del patrimonio di Do. Bo.: in tal modo, però, il Tribunale ha conferito rilievo a un dato intrinsecamente neutro, mentre ha mostrato di disinteressarsi della questione, centrale ai fini della scientia damni, vertente sulla consapevolezza, da parte della banca, del fatto che la fallita, all’epoca del compimento dell’atto dispositivo, avesse ulteriori debiti nei confronti di terzi.

  1. — Il ricorso va dunque accolto, per quanto di ragione; il decreto è cassato e la causa rinviata al Tribunale di Brescia, cui è pure demandato di statuire sulle spese del giudizio di legittimità.

Il giudice del rinvio dovrà fare applicazione del seguente principio di diritto: «In tema di azione revocatoria ordinaria, ove l’atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito, condizione per il suo esercizio è la conoscenza che il debitore abbia del pregiudizio delle ragioni creditorie, nonché, per gli atti a titolo oneroso, l’esistenza di analoga consapevolezza in capo al terzo, la cui posizione, sotto il profilo soggettivo, va accomunata a quella del debitore; ne consegue, in questo secondo caso, che l’accoglimento della predetta azione dipende dalla conoscenza, da parte del terzo, che il proprio dante causa sia già vincolato verso creditori e che l’atto posto in essere arrechi pregiudizio alla garanzia patrimoniale del disponente».

P.Q.M.

La Corte

accoglie nei sensi di cui in motivazione i due motivi di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa al Tribunale di Brescia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della la Sezione Civile, in data 13 giugno 2018.

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