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Cassazione Civile 23500/2021 – Rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo – Sentenza che non pronunci sull’esecutività del decreto – Qualità di titolo esecutivo del decreto opposto

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Ordinanza 23500/2021

 

Rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo – Sentenza che non pronunci sull’esecutività del decreto – Qualità di titolo esecutivo del decreto opposto

Qualora sia integralmente respinta l’opposizione avverso un decreto ingiuntivo non esecutivo con sentenza che non pronunci sulla sua esecutività, il titolo fondante l’esecuzione non è quest’ultima, bensì – quanto a sorte capitale, accessori e spese da quello recati – il decreto stesso, la cui esecutorietà è collegata, appunto, alla sentenza, in forza della quale viene sancita indirettamente, con attitudine al giudicato successivo, la piena sussistenza del diritto azionato, nell’esatta misura e negli specifici modi in cui esso è stato posto in azione nel titolo, costituendo, invece, la sentenza titolo esecutivo solo per le eventuali ulteriori voci di condanna in essa contenute.

Cassazione Civile, Sezione 1, Ordinanza 26-8-2021, n. 23500   (CED Cassazione 2021)

Art. 645 cpc (Opposizione a decreto ingiuntivo) – Giurisprudenza

Art. 653 cpc (Efficacia esecutiva del decreto ingiuntivo opposto) – Giurisprudenza

 

 

RILEVATO CHE

1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’appello di L’Aquila ha rigettato l’appello proposto dall’Azienda Sanitaria Locale di Avezzano, Sulmona e L’Aquila avverso la sentenza del Tribunale di Avezzano n. 104/2010 del 4 marzo 2010, che aveva rigettato l’opposizione a decreto ingiuntivo, con il quale era stato intimato il pagamento della somma di euro 1.366.470,05, a titolo di compenso per le prestazioni di fisioterapia domiciliare erogate, in regime di convenzione, nel corso dell’anno 2006.

2. I giudici di secondo grado hanno affermato che i giusti motivi previsti dall’art. 641 cod. proc. civ. ai fini della riduzione del termine per la proposizione dell’impugnazione erano stati specificati dal ricorrente e, pertanto, il primo giudice aveva correttamente disatteso l’eccezione di nullità del decreto ingiuntivo; che la convenzione conclusa dalle parti il 7 luglio 1993 per il servizio di fisioterapia domiciliare in favore dei soggetti minorati fisici aveva durata annuale e che la clausola che prevedeva la rinnovazione tacita della convenzione, in difetto di disdetta tre mesi prima della scadenza, era nulla ai sensi dell’art. 6, comma 1, della legge n. 537/1993; che l’appellata aveva stipulato, ai sensi dell’art. 8 quinquies del decreto legislativo n. 502/1992, in data 30 marzo 2005, in qualità di struttura transitoriamente accreditata, in quanto convenzionata alla data del primo gennaio 1993, un contratto con la Regione Abruzzo, Ufficio Unico degli Acquisti, in nome e per conto delle Aziende sanitarie locali della Regione stessa, avente ad oggetto le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale esterna, che aveva fissato il budget di spesa relativo agli anni 2005, 2006 e 2007; che poteva dirsi, quindi, sussistente (diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice) un valido titolo idoneo a fondare il pagamento stesso; che non sussisteva il difetto di legittimazione passiva dedotto dalla Regione perché il contratto era stato stipulato dall’Ufficio Unico Acquisti della Regione Abruzzo in nome e per conto delle Aziende sanitarie della Regione, il pagamento delle prestazioni fatturate era eseguito dalla società FIRA ancora per conto delle medesime Aziende, cui le fatture erano comunque comunicate ai fini contabili; l’Ufficio Acquisti era stato investito da leggi regionali della competenza a stipulare i contratti per la fornitura di beni e servizi in nome e per conto delle Aziende Sanitarie; i moduli di richiesta di trattamento domiciliare sottoscritti dal responsabile dell’Azienda sanitaria e in cui era specificato che l’onere di spesa era a carico dell’Azienda sanitaria medesima documentavano il credito azionato; che correttamente il giudice aveva rigettato l’opposizione e, previa conferma del decreto ingiuntivo, condannato l’opponente al pagamento di sorte, accessori e spese, senza che ciò determinasse una duplicazione del titolo di spesa.

3. L’Azienda Sanitaria Locale n. 1, Avezzano, Sulmona, L’Aquila ha impugnato la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila con ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

4. La società (OMISSIS) s.r.l. ha resistito con controricorso.

5. L’Azienda Sanitaria Locale n. 1, Avezzano, Sulmona, L’Aquila ha depositato memoria.

CONSIDERATO CHE

1. Con il primo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 8 quinquies del decreto legislativo n. 502/1992, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., avendo la Corte di appello ritenuto che il titolo di pagamento discendesse dall’art. 8 quinquies del decreto legislativo n. 502/1992 e non avendo considerato che gli accordi tra Aziende sanitarie e case di cura prevedevano un limite di spesa annuale, che nel caso in esame non era stato rispettato.

1.1 Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

1.2 I giudici di merito, infatti, dopo avere affermato che la convenzione, conclusa dalla parti il 7 luglio 1993, non poteva costituire il titolo negoziale sul quale fondare la pretesa monitoria perché aveva durata annuale e la clausola che prevedeva la rinnovazione tacita della convenzione, in difetto di disdetta tre mesi prima della scadenza, era nulla ai sensi dell’art. 6, comma 1, della legge n. 537/1993, hanno evidenziato che l’appellata aveva stipulato, ai sensi dell’art. 8 quinquies del decreto legislativo n. 502/1992, in data 30 marzo 2005, in qualità di struttura transitoriamente accreditata, in quanto convenzionata alla data del primo gennaio 1993, un contratto con la Regione Abruzzo, Ufficio Unico degli Acquisti, in nome e per conto delle Aziende sanitarie locali della Regione stessa, avente ad oggetto le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale esterna, che aveva fissato il budget di spesa relativo agli anni 2005, 2006 e 2007. I giudici di secondo grado hanno, quindi, ritenuto che il titolo negoziale, che fondava il credito azionato in sede monitoria era il contratto del 30 marzo 2005 stipulato dalla Regione Abruzzo, Ufficio Unico degli Acquisti, in nome e per conto di tutte le Aziende sanitarie locali della Regione stessa, e la società (OMISSIS) s.r.I., contratto che prevedeva, per l’appunto, il budget di spesa relativo anche all’anno 2006.

E’ inammissibile, invece, il profilo di censura che attiene al mancato rispetto del limite annuale previsto per l’anno 2006 nel contratto del 20 marzo 2005 perché questione nuova proposta per la prima volta in questa sede e che non risulta in alcun modo esaminata nella decisione impugnata (Cass., 13 giugno 2018, n. 15430).

2. Con il secondo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e conseguentemente dell’art. 633 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., avendo la Corte di appello ritenute sufficientemente provate le prestazioni di cui si chiedeva il rimborso sulla base di alcune prescrizioni mediche non protocollate e comunque non vidimate dalla Azienda sanitaria, spettando l’onere della prova al convenuto in senso formale del giudizio di opposizione, attore sostanziale.

3. Con il terzo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame della idoneità probatoria dei moduli di richiesta di trattamento domiciliare, che in realtà erano sottoscritti da un medico, che non era il responsabile dell’Azienda sanitaria e che comunque non aveva il potere di impegnarla finanziariamente, e del potere di controllo che gravava sulla struttura in ordine alla verifica della compatibilità della spesa con i fondi stanziati dalla Regione (nel 2006 pari a soli euro 167.159,85).

3.1 I motivi, che vanno trattati unitariamente, perché connessi, sono inammissibili.

3.2 Ed invero, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate dalla norma; non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia ritenuto assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (Cass, 5 settembre 2006, n. 19064; Cass., 10 febbraio 2006, n. 2935).

3.3 In realtà, con le denunciate violazioni l’Azienda ricorrente intende ottenere – lungi dal denunciare l’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa in quella astratta recata da una norma di legge o l’omesso esame di fatti decisivi – una diversa ricostruzione dei fatti di causa, censurando la negata congruità dell’interpretazione fornita dalla Corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova acquisiti, che correttamente ha ritenuto provato il credito monitorio sulla base dei moduli di richiesta di trattamento domiciliati prodotti dalla parte appellata, affermando non solo che gli stessi erano stati sottoscritti dal responsabile dell’Azienda sanitaria appellante, ma anche (con ragioni del decidere che non sono state minimamente censurate dall’Azienda ricorrente) che negli stessi si specificava che l’onere delta spesa era a carico dell’Azienda medesima e che i moduli riscontravano che le prestazioni era state richieste ed autorizzate dalla Azienda sanitaria e sottoscritti dai medici responsabili del servizio riabilitazione dell’Azienda sanitaria locale Avezzano – Sulmona. Si tratta, pertanto, di argomentazioni critiche con evidenza diretta a censurare una erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa, che non costituiscono vizio di violazione di legge (Cass., 19 agosto 2020, n. 17313).

3.4 Inoltre, con specifico riguardo al profilo di censura di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., va rilevato che il vizio non può consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass., 3 ottobre 2018, n. 24035; Cass., 8 ottobre 2014, n. 21152; Cass., 23 maggio 2014, n. 11511); né la Corte di cassazione può procedere ad un’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa (Cass., 7 gennaio 2014, n. 91; Cass., sez. U., 25 ottobre 2013, n. 24148).

4. Con il quarto motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 653 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., avendo errato la Corte di appello a condannare l’attore- opponente all’adempimento, dovendo piuttosto confermare il decreto ingiuntivo opposto e ciò al fine di evitare la duplicazione del titolo di pagamento.

4.1 D motivo è infondato.

La Corte, sul punto, ha affermato che la statuizione del giudice di primo grado non determinava la duplicazione del titolo esecutivo, facendo corretta applicazione del principio affermato da questa Corte e pure richiamato dai giudici di secondo grado, secondo cui in caso di rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo, il titolo esecutivo è comunque costituito dal decreto ingiuntivo e non dalla sentenza di rigetto dell’opposizione, se non limitatamente alle spese del giudizio di opposizione con essa liquidate (Cass., Sez. U., 22 febbraio 2010, n. 4071).

Ed ancor più di recente, questa Corte ha precisato che, qualora sia integralmente respinta l’opposizione avverso un decreto ingiuntivo non esecutivo, con sentenza che non pronunci sulla sua esecutività, il titolo fondante l’esecuzione non è quest’ultima, bensì, quanto a sorte capitale, accessori e spese da quello recati, il decreto stesso, la cui esecutorietà è collegata, appunto, alla sentenza, in forza della quale viene sancita indirettamente, con attitudine al giudicato successivo, la piena sussistenza del diritto azionato, nell’esatta misura e negli specifici modi in cui esso è stato posto in azione nel titolo, costituendo, invece, la sentenza titolo esecutivo solo per le eventuali, ulteriori voci di condanna in essa contenute (Cass., 27 agosto 2013, n. 19595).

5. In conclusione, il ricorso va rigettato e l’Azienda ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla società controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Azienda ricorrente al pagamento, in favore della società controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 12.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell’Azienda ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27 maggio 2021.