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Cassazione Civile 23506/2023 – Inefficacia del recesso dal preliminare di vendita esercitato soltanto da alcuni dei promittenti venditori

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Sentenza 23506/2023

Inefficacia del recesso dal preliminare di vendita esercitato soltanto da alcuni dei promittenti venditori

In caso di parte contrattuale unica plurisoggettiva, il recesso può essere validamente esercitato soltanto collettivamente da tutti i contraenti, restando inefficace quello esercitato solo da alcuni di essi. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione che in relazione ad un contratto preliminare di compravendita immobiliare, in difetto di domanda congiunta di tutti i promittenti venditori, aveva respinto quella formulata da alcuni di essi diretta ad ottenere sentenza costitutiva del trasferimento ex art. 2932 c.c., senza trarre le medesime conseguenze in ordine alla richiesta degli altri convenuti del riconoscimento del loro diritto a trattenere la caparra confirmatoria ricevuta).

Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 02/08/2023, n. 23506   (CED Cassazione 2023)

Art. 2932 cc (Esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto)

 

 

Fatti di causa

Con sentenza n. 576 del 29. 3. 2018 la Corte di appello di Brescia, in riforma
della decisione di primo grado, dichiarò l’illegittimità del recesso esercitato da
(OMISSIS) dal contratto preliminare di acquisto del complesso immobiliare
denominato (OMISSIS) sito in Porto Rotondo, località Punta Volpe, stipulato
in data 17. 12. 2007 con (OMISSIS) e (OMISSIS), con (OMISSIS)
e (OMISSIS), con (OMISSIS) e (OMISSIS) e con (OMISSIS),
rispettivamente proprietari delle quattro unità immobiliari costituenti il
compendio e, pro quota, delle parti comuni, dichiarando questi ultimi
legittimati, previo esercizio del diritto di recesso, ove non già esercitato, a
trattenere le somme ricevute a titolo di caparra.

Il giudizio di primo grado fu promosso da (OMISSIS), che chiese fosse
accertata la legittimità del recesso dal contratto preliminare da lei comunicato
in data l’11. 3. 2009 ai promittenti venditori a causa del loro inadempimento,
costituito dal fatto che il complesso immobiliare, come da lei appreso nel giugno
2008, a seguito di indagini tecniche svolte dopo la stipula del compromesso,
presentava una situazione di gravissima irregolarità edilizia ed urbanistica, che
ne rendeva giuridicamente impossibile il trasferimento, in contrasto con
l’impegno della controparte, assunto in preliminare, di vendere l’immobile
conforme alla normativa ed alle prescrizioni edilizie ed urbanistiche vigenti.

Chiese altresì la condanna dei convenuti al pagamento del doppio della caparra
loro versata, oltre al rimborso delle spese di commissione e delle altre
sopportate per gli accertamenti tecnici eseguiti.

All’esito del giudizio, in cui si costituirono i convenuti opponendosi alle domande
e venne svolta consulenza tecnica d’ufficio, il Tribunale di Bergamo dichiarò la
risoluzione del contratto preliminare per inadempimento dei convenuti, che
condannò al pagamento del doppio della caparra ricevuta.

Proposti distinti appelli da parte dei convenuti ed appello incidentale da parte
della (OMISSIS), riuniti i procedimenti, la Corte di appello di Brescia riformò
totalmente la decisione di primo grado, rigettando le domande proposte dalla
attrice.

A sostegno di tale conclusione la Corte territoriale affermò che non aveva
trovato positiva conferma l’assunto della esponente secondo cui l’atto di
trasferimento non poteva essere stipulato, pena la sua nullità, avendo il
consulente tecnico d’ufficio verificato sì la presenza nel compendio immobiliare
di difformità rispetto ai titoli edilizi, ma anche inequivocabilmente accertato
che nessuna di esse dava luogo ad abusi primari, cioè alla realizzazione di
manufatti in mancanza o totale difformità dal provvedimento autorizzatorio,
unica fattispecie che renderebbe nullo, ai sensi degli artt. 40 legge n. 47 del
1985 e 46 d.p.r. n. 380 del 2001, l’atto di vendita. Aggiunse che le difformità
riscontrate dal consulente tecnico non potevano nemmeno assumere rilievo in
termini di inadempimento a carico dei promittenti venditori, rispetto al loro
impegno di vendere l’immobile in regola con le norme urbanistiche, atteso che
la (OMISSIS) aveva accettato tali irregolarità con la sottoscrizione del contratto
preliminare di vendita, essendo già a conoscenza, in quel momento, della
situazione di fatto e di diritto dell’immobile, per avere, prima dell’acquisto,
incaricato tecnici qualificati di eseguire sopraluoghi e di compiere le visure
necessarie presso gli uffici degli enti locali preposti e risultando gli stessi tecnici
in possesso di tutta la documentazione amministrativa, catastale e documentale
relativa allo stato edilizio urbanistico della villa, che la stessa parte, in sede di
contratto preliminare, dichiarava di avere visionato con riguardo alle effettive
consistenze dell’immobile, compresa la parte cortilizia e tutti i relativi accessori.
Per la cassazione di questa sentenza, notificata il 12. 4. 2018, con atto notificato
l’11. 6. 2018, ha proposto ricorso (OMISSIS), affidandosi a cinque motivi.

(OMISSIS) e (OMISSIS) hanno notificato controricorso e proposto ricorso
incidentale condizionato, sulla base di due motivi, come pure (OMISSIS), (OMISSIS)
Francesco e (OMISSIS), sulla base di un solo motivo, cui ha replicato
con controricorso la ricorrente principale.

(OMISSIS) e (OMISSIS) hanno notificato controricorso.
Sia il Procuratore Generale che le parti private hanno depositato memoria.

Ragioni della decisione

Preliminarmente va esaminata e quindi disattesa l’eccezione di improcedibilità
del ricorso principale sollevata dai controricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS) e (OMISSIS) e
(OMISSIS), per non avere la parte depositato copia della sentenza notificatale in
data 12. 4. 2018.

L’eccezione è infondata, atteso che dagli atti risulta che la copia della sentenza
munita della sua relazione di notifica è stata depositata tempestivamente
insieme all’indice del fascicolo in data 28. 6. 2018, entro il termine di 20 giorni
dalla notifica del ricorso prescritto dall’art. 369 cod. proc. civ.

Il primo motivo del ricorso principale denuncia omessa o falsa applicazione
degli artt. 31, 32, 44 e 46 d.p.r. n. 380 del 2001, dell’art. 40 legge n. 47 del
1985 e degli artt. 5 e 50 legge Regione Sardegna n. 23 del 1985, censurando
la sentenza impugnata per avere ritenuto che le irregolarità edilizio urbanistiche
presenti nell’immobile, non rientrando tra gli abusi primari, cioè non
determinando la totale difformità del bene rispetto ai titoli autorizzativi, non
rendessero nullo il futuro atto di vendita, ai sensi degli artt. 40 legge n. 47 del
1985 e 46 d.p.r. n. 380 del 2001.

Premesso che la relazione del consulente tecnico d’ufficio richiamata dalla Corte
di appello aveva accertato la sussistenza negli immobili compromessi di “
difformità di minore gravità “ e di “ abusi gravi “, sostiene la ricorrente che la
conclusione accolta è erronea ed illegittima, per non avere il giudicante
considerato che, essendo i beni compresi in area sottoposta a vincolo
paesaggistico ed ambientale, le difformità riscontrare come “ abusi gravi “
avrebbero dovuto portare a qualificare le opere eseguite in totale difformità dal
titolo, ai sensi dell’art. 32 d.pr. n. 380 del 2001, secondo cui gli interventi che
determinano variazioni essenziali su immobili sottoposti a vincolo paesaggistico
ed ambientale sono sempre considerate “ in totale difformità dal permesso “ di
costruire.

La ricorrente precisa che l’errore commesso da giudice a quo discende dal
recepimento acritico delle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, che,
andando al di là del compito affidatogli, aveva escluso l’applicazione dell’art. 32
d.p.r. n. 380 del 2001 per la ragione che la legge Regione Sardegna n. 23 del
1985, all’epoca vigente, nel definire quali fossero gli interventi edilizi da
considerarsi “ variazioni essenziali “ delle opere, non aveva riprodotto la
disposizione della legge statale sopra menzionata. L’interpretazione seguita dal
consulente era però all’evidenza errata e avrebbe dovuto essere corretta e non
seguita dalla Corte di appello, non potendo la legge regionale, a cui l’art. 32
d.p.r. citato demanda solo il compito di stabilire “ quali siano le variazioni
essenziali al progetto approvato “, derogare alle diposizioni generali fissate dalla
legge statale.

La conclusione a cui è giunta la Corte di appello, di ritenere che gli abusi
riscontrati non si traducessero in totale difformità delle opere e non
determinassero la nullità del successivo atto di trasferimento, è pertanto viziata
per omessa applicazione dell’art. 32 citato.
Il motivo non può essere accolto, risultando le censure sollevate inammissibili.
Va premesso che dalla lettura della sentenza impugnata emerge che l’attrice
aveva giustificato il proprio recesso dal contratto per l’impossibilità giuridica di
trasferire il bene compromesso, assumendo che le difformità edilizie ed
urbanistiche presenti nel compendio immobiliare erano di tale gravità che ne
avrebbero reso nullo l’acquisto, alla luce della disposizione dell’art. 40 legge n.
47 del 1985, che sanziona con la nullità il trasferimento di immobili qualora
nell’atto non siano indicati gli estremi della licenza o della concessione ad
edificare, fattispecie che include anche i casi in cui l’immobile sia privo di
autorizzazione ovvero sia stato edificato in totale difformità della stessa.

Nel rigettare la domanda proposta la Corte ha affermato, richiamando le
conclusioni del consulente tecnico di ufficio, che le irregolarità accertate, pur
consistendo alcune di esse in “ abusi gravi “, non portavano a concludere che i
beni fossero stati realizzati in totale difformità da quanto autorizzato e che
pertanto gli immobili erano commerciabili e che il relativo atto di vendita, se
fosse stato stipulato, non sarebbe stato nullo. In particolare, richiamando la
consulenza tecnica, la Corte ha precisato che le irregolarità riscontrate nelle
strutture accessorie a servizio delle pertinenze comuni e le difformità di cui alle
varianti interne era sanabili con accertamento di conformità, non essendo
necessari provvedimenti concessori in sanatoria, mentre le restanti irregolarità
urbanistiche erano emendabili o “ con il ripristino delle condizioni previste nei
progetti originari, a mezzo di molteplici opere edili, ovvero adibendo gli
ambienti, dove gli abusi sono stati accertati, a destinazioni equivalenti a quelle
accertate “.

Tanto precisato, le censure svolte dal motivo che denunziano l’erronea
applicazione della legge Regione Sardegna n. 23 del 1985 sono inammissibili,
in quanto investono considerazioni che si assumono svolte nella consulenza
tecnica d’ufficio, ma che non risultano anche riprodotte o fatte proprie dalla
sentenza impugnata, che di esse non fa alcuna menzione né contiene alcun
riferimento alla citata disposizione della legge regionale. Il ricorso per
cassazione, quale mezzo di impugnazione, deve rivolgersi avverso le
argomentazioni poste dal giudice a fondamento della sua decisione, non contro
quelle svolte dal consulente tecnico, tanto più laddove esse non siano
richiamate quale presupposto delle conclusioni accolte o non emerga alcun
collegamento materiale, logico o fattuale, tra le une e le altre.
Inammissibile appare anche la dedotta violazione od omessa applicazione
dell’art. 32 d.p.r. n. 380 del 2001.

Ciò perché, come dedotto dai controricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS), la relativa
censura appare fondata su un presupposto indimostrato, che vale a dire le
irregolarità riscontrate sugli immobili oggetto di compromesso, ovvero talune
di esse, integrassero e fossero qualificabili “ variazione essenziali “, secondo la
formula impiegata da tale disposizione. Il ricorso non spiega le ragioni, fattuali
e giuridiche, di tale conclusione ed omette altresì anche di descrivere in cosa
tali difformità consistano in concreto, mancanza che evidentemente impedisce
a questa Corte di formulare qualsiasi valutazione al riguardo, cioè, nella specie,
in ragione del controllo di legittimità ad essa demandato, di verificare la
corrispondenza di esse, per la loro obiettiva consistenza, alla nozione di “
variazione essenziale “ posta dalla normativa nazionale ( art. 32, comma 1,
d.p.r. citato ) e, per effetto del rinvio dalla stessa operato alla competenza delle
Regioni, dalla legge regionale e quindi di esercitare il controllo sulla sua corretta
applicazione.

Il secondo motivo di ricorso, che denuncia violazione o falsa applicazione degli
artt. 1385 e 1372 cod. civ. e degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ., assume che
la Corte di appello, nel valutare la legittimità del recesso dal contratto esercitato
dalla odierna ricorrente, non avrebbe dovuto limitarsi a riscontrare se nella
fattispecie ricorressero o meno ipotesi di nullità dello stipulando contratto
definitivo di compravendita, ma avrebbe dovuto anche accertare se le difformità
riscontrate sugli immobili integrassero un inadempimento grave da parte dei
promittenti venditori, verifica che avrebbe dovuto portare ad esito positivo, alla
luce della clausola “ F “ del contratto preliminare, in forza della quale i convenuti
si erano assunti lo specifico obbligo di trasferire un immobile “ conforme alla
normativa ed alle prescrizioni edilizie ed urbanistiche vigenti “.

Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione o falsa applicazione degli artt.
1362, 1363 e 1366 cod. civ., censurando la sentenza impugnata per avere
respinto la contestazione di inadempimento della controparte sollevata
dall’attrice a causa delle difformità riscontrate sugli immobili compromessi.

L’errore in cui è incorsa la Corte di appello sta nell’avere ritenuto che la clausola
negoziale con cui i promittenti venditori garantivano la conformità edilizia ed
urbanistica dei beni fosse “ una formula generica, a cui non poteva ricollegarsi
alcun speciale obbligo dei venditori, laddove, come nel caso di specie, risulta
riportata con precisone nel preliminare l’elencazione delle sanatorie esistenti,
individuate ed espressamente menzionate nel dettaglio “ ed in ragione del fatto
che la situazione di fatto e di diritto degli immobili era conosciuta dalla (OMISSIS)
già prima della conclusione del contratto preliminare, che l’aveva pertanto
accettata, ritenendola non ostativa all’acquisto. Il ragionamento svolto dalla
Corte di appello, assume il ricorso, palesa una evidente violazione delle regole
di interpretazione del contratto, nella specie dei criterio letterale e logico,
nonché dei principi secondo cui, nel ricostruire la volontà dei contraenti, il
giudice deve tener conto del comportamento complessivo delle parti e del
principio di buona fede. In particolare, costituisce un salto logico l’affermazione
secondo cui il richiamo contenuto nelle premesse del preliminare al fatto che la
promissaria acquirente avesse avuto la disponibilità della documentazione
amministrativa degli immobili comportasse anche la sua effettiva conoscenza
di tutte le difformità esistenti e, a maggior ragione, delle eventuali difformità
tra le risultanze di tale documentazione e l’effettivo stato dei luoghi.

L’apposizione della clausola di garanzia da parte dei venditori della conformità
edilizia ed urbanistica stava in realtà a significare che l’odierna ricorrente non
aveva mai rinunciato a pretendere che il complesso immobiliare dovesse essere
in regola con la suddetta normativa. La predetta clausola andava comunque
interpretata alla stregua del criterio della buona fede, essendo palese che era
stata inserita a protezione dell’interesse della acquirente a conseguire l’effettiva
utilità del contratto, mentre l’oggettiva svalutazione del suo significato operata
dalla Corte di appello ha fornito un’interpretazione dell’accordo totalmente
sbilanciata a favore della controparte.

Il secondo e terzo motivo possono esaminarsi insieme, per la parziale
sovrapponibilità delle critiche svolte.

La censura, sollevata con il secondo motivo, con cui la ricorrente lamenta un
vizio di omessa pronuncia in ordine alla contestazione con cui ha denunziato
l’inadempimento dei promittenti venditori, appare manifestamente infondata.

Come risulta chiaramente dalla lettura della sentenza, la Corte territoriale ha
valutato le difformità degli immobili lamentate dalla parte attrice non solo sotto
il profilo della loro incidenza sulla validità del contratto definitivo di
compravendita, con ciò rispondendo al principale assunto difensivo secondo cui
esse non avrebbero consentito di stipulare un valido atto di trasferimento, ma
ha esaminato le dedotte irregolarità anche per la loro rilevanza sotto l’aspetto
degli obblighi di adempimento gravanti sui promittenti venditori, tema che, del
resto, è quello investito dalle critiche svolte dai motivi in esame.

Per il resto le censure, laddove contestano la decisione impugnata nella parte
in cui ha escluso l’inadempimento dei convenuti, sono inammissibili.

La ragione, principalmente, va ravvisata nel fatto che i motivi non investono in
maniera completa ed esauriente tutte le argomentazioni poste dalla Corte di
appello a sostegno della sua statuizione sul punto.

Il giudice territoriale ha escluso che le difformità riscontrate dal consulente
tecnico d’ufficio sugli immobili integrassero inadempimento degli obblighi
assunti dai promittenti venditori di trasferire i beni in regola con le norme
urbanistiche per la ragione che dalle risultanze istruttorie era emerso che la
parte attrice era perfettamente a conoscenza della situazione di fatto e di diritto
dei beni già nella fase delle trattative, prima della sottoscrizione del contratto
preliminare, inferendo da ciò la conseguenza che esse erano state accettate
dalla parte o comunque, può aggiungersi, ritenute dalla stessa non rilevanti ai
fini della sua determinazione all’acquisto, con implicita rinuncia alla loro
contestazione successiva.

Il convincimento della Corte in ordine alla conoscenza da parte della attrice
delle denunziate difformità appare motivato dal rilievo che, prima dell’acquisto,
la (OMISSIS) aveva effettuato sopraluoghi sull’immobile a mezzo di tecnici
qualificati, che erano state fatte visure e accessi presso gli uffici preposti
all’urbanistica e all’edilizia, comunali e regionali, ed era stata acquisita tutta la
documentazione amministrativa, catastale e relativa alla situazione urbanistica
della villa. La Corte ha quindi dato atto che, in sede di preliminare, era stato
espressamente precisato che la promissaria acquirente aveva la disponibilità ed
aveva preso visione “ della documentazione tecnica e amministrativa relativa
alle effettive consistenze dell’immobile, ivi compresa l’area cortilizia e tutti i
relativi accessori “, nonché riportate con precisione l’elencazione delle sanatorie
esistenti, individuate ed espressamente menzionate nel dettaglio.

Tanto premesso, le censure sollevata dalla ricorrente si appuntano
sull’interpretazione data dalla Corte di appello alla clausola del contratto
preliminare con cui la parte promittente assumeva l’obbligo di vendere
l’immobile in regola con le norme urbanistiche vigenti, senza investire le
argomentazioni relative alla acquisita conoscenza da parte della attrice, prima
del preliminare, della situazione concreta, di fatto e di diritto, dell’immobile, che
invece costituisce, nell’impianto motivazionale della decisione, uno snodo
fondamentale.

Sotto altro profilo, si osserva che la critica all’interpretazione data dal giudice
a quo della suddetta clausola di garanzia appare generica e non sviluppata con
argomenti decisivi, risolvendosi in una mera contrapposizione tra
l’interpretazione censurata e quella alternativa invocata. Ed invero la Corte ha
precisato che la suddetta clausola era destinata a rimanere una formula
generica proprio alla luce della acquisita conoscenza da parte della acquirente
delle difformità presenti nell’immobile e della elencazione, contenuta nel
preliminare delle sanatorie esistenti, individuate ed espressamente menzionate
nel dettaglio. Al riguardo la censura è generica, perché la parte non deduce la
presenza di difformità edilizie ed urbanistiche scoperte successivamente alla
stesura del contratto preliminare, che non avrebbe potuto conoscere sulla base
delle indagini tecniche effettuate, né appare circostanziata la contestazione in
ordine alla non corrispondenza della documentazione amministrativa con la
situazione di fatto dell’immobile.

Va poi ribadito il principio, formulato più volte da questa Corte, che
l’interpretazione del contratto costituisce un’operazione demandata dalla legge
alla esclusiva competenza del giudice di merito, suscettibile di sindacato di
legittimità solo per violazione dei criteri legali ermeneutici, e che, per sottrarsi
a censura, quella data dal giudice non deve essere l’unica interpretazione
possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili,
interpretazioni ( Cass. n. 9461 del 2021; Cass. n. 28319 del 2017; Cass. n.
27136 del 2017; Cass. n. 24536 del 2009; Cass. n. 10131 del 2006). Nel caso
di specie, la soluzione della Corte di appello di non attribuire alla clausola di
garanzia in discorso una rilevanza autonoma ed ulteriore rispetto al ricostruito
assetto degli interessi dei contraenti, tale da poter superare la conoscenza
acquista dalla parte in ordine allo situazione degli immobili ed i riferimenti a
tale stato contenuti nello stesso atto contrattuale, appare una conclusione non
arbitraria, ma plausibile e motivata in modo né illogico né contraddittorio.

Il quarto motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per
vizio di ultrapetizione, per avere la Corte di appello dichiarato il diritto degli
appellanti, previo esercizio del diritto di recesso, ove non già esercitato, a
trattenere la somma ricevuta a titolo di caparra. Tale accertamento, si sostiene,
vìola il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, atteso che i
convenuti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) non avevano mai esercitato la facoltà di
recedere dal contratto, né mai chiesto al giudice adito di accertare in loro favore
tale diritto.

Il quinto motivo di ricorso denuncia violazione degli artt. dal 1292 al 1313 e dal
1314 al 1320 cod. civ., “ per avere la Corte di appello erroneamente interpretato
le conseguenze in tema di obbligazione complessa in capo ai promittenti
venditori “. Premesso che oggetto del preliminare era l’intero compendio
immobiliare e che esso era formato da beni di proprietà esclusiva dei singoli
gruppi di venditori, oltre che di beni comuni alle varie proprietà, assume il
ricorso che i convenuti avevano assunto, in giudizio, posizioni diverse rispetto
alla sorte del contratto, avendo chiesto i (OMISSIS) (OMISSIS) l’adempimento, con
conseguente trasferimento del bene ex art. 2932 cod. civ., mentre gli altri
avevano domandato che, stante l’inadempimento della controparte, fosse loro
riconosciuto il diritto a trattenere la caparra ricevuta. Ne discende che la Corte
ha errato nel riconoscere il diritto al trattenimento della caparra, atteso che
esso presuppone l’esercizio del diritto di recedere dal contratto a mente dell’art.
1385 cod. civ. e che, dovendo considerarsi i promittenti venditori come un’unica
parte contrattuale, il recesso, per poter essere efficace, avrebbe dovuto essere
esercitato da tutti collettivamente.

Il quinto motivo di ricorso, che pone una questione generale avente carattere
preliminare dal punto di vista logico e giuridico, va esaminato per primo rispetto
al quarto ed accolto, in adesione alle conclusioni rassegnate dal Procuratore
Generale.

La stessa sentenza impugnata, nel rigettare la domanda di adempimento
proposta dai convenuti (OMISSIS) e (OMISSIS), dà invero atto che il contratto
preliminare prevedeva l’impegno congiunto e non distinto di ciascun
promittente venditore alla cessione di beni in parte di proprietà esclusiva ed in
parte comuni e che l’oggetto del contratto non era divisibile. La Corte di appello
ha quindi, in difetto di domanda congiunta di tutti i promittenti venditori,
respinto la domanda di (OMISSIS) e (OMISSIS) diretta ad ottenere sentenza
costitutiva del trasferimento ex art. 2932 cod. civ., ma ha errato nel non trarre
le medesime conseguenze in ordine alla richiesta degli altri convenuti del
riconoscimento del loro diritto a trattenere la caparra confirmatoria ricevuta.
Tale riconoscimento presuppone, ai sensi dell’art. 1385 cod. civ., l’esercizio del
diritto di recesso dal contratto per inadempimento della controparte, come
esattamente dedotto dalla ricorrente. L’errore consiste allora nell’avere ritenuto
che, nel caso di parte contrattuale unica plurisoggettiva, il recesso possa
validamente essere esercitato soltanto da alcuni contraenti e non da tutti,
collettivamente. In realtà, avendo i diversi promittenti venditori assunto,
rispetto all’oggetto del contratto ed alla volontà in esso manifestata, la
posizione di unica parte contrattuale, è evidente che il recesso, per essere valido
ed efficace, avrebbe dovuto essere esercitato collettivamente da tutti i
contraenti. L’unitarietà e insieme inscindibilità della posizione da essi rivestita
impediscono che il contratto possa ritenersi sciolto per alcuni contraenti e
proseguire per gli altri ( Cass. n. 2969 del 2019; Cass. n. 9042 del 2016; Cass.
n. 27302 del 2005 ).

Né l’ostacolo rappresentato dalla necessità del recesso collettivo può essere
superato, come sembra aver fatto la Corte di appello, riconoscendo in astratto
il diritto di trattenere la caparra a tutti i convenuti, “ previo esercizio del
recesso, ove non già esercitato “. La volontà di recedere dal contratto, che come
si è sottolineato doveva nel caso di specie provenire da tutti i promittenti
venditori, deve infatti, per produrre effetto, essere manifestata, essere, cioè,
effettiva e reale e non ipotetica e futura.

Il quarto motivo del ricorso principale risulta di conseguenza assorbito,
risultando il vizio di ultrapetizione denunciato superato dall’accoglimento del
quarto motivo.

Assorbiti devono infine dichiararsi i ricorsi incidentali proposti da (OMISSIS)
e (OMISSIS) e da (OMISSIS), (OMISSIS) Francesco e (OMISSIS), che
sono stati espressamente avanzati in via condizionata all’accoglimento del
primo e terzo motivo di ricorso principale. Vero è che i ricorsi incidentali
pongono questioni di inammissibilità, di carattere necessariamente preliminare,
assumendo che il primo motivo del ricorso principale investe un tema il cui
esame sarebbe precluso da giudicato interno ( ricorso di (OMISSIS) e (OMISSIS) ),
mentre il terzo motivo è relativo al rigetto di una domanda, quella di
inadempimento, che sarebbe tardiva perché proposta oltre i termini previsti
dall’art. 183 cod. proc. civ. ( ricorsi Borga (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS) ). Ma tale
considerazione deve ritenersi recessiva e quindi superata dal rilievo che i relativi
motivi del ricorso principale sono stati dichiarati inammissibili, giungendo alla
medesima conclusione, sia pure per una ragione diversa, invocata dai ricorrenti
incidentali.

In conclusione, va accolto il quinto motivo del ricorso principale, rigettato il
secondo, dichiarati inammissibili il primo ed il terzo, dichiarati assorbiti sia il
quarto motivo che i ricorsi incidentali. La sentenza va pertanto cassata in
relazione al motivo accolto e la causa rinviata alla Corte di appello di Brescia,
in diversa composizione, che si atterrà, nel decidere, ai principi di diritto sopra
enunciati e provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di
legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il quinto motivo del ricorso principale, dichiara inammissibili il primo
ed il terzo, rigetta il secondo, dichiara assorbiti il quarto motivo del ricorso
principale ed i ricorsi incidentali; cassa la sentenza impugnata in relazione al
motivo accolto e rinvia la causa, anche per la liquidazione delle spese, alla Corte
di appello di Brescia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 4 luglio 2023.