Sentenza 23696/2004
Stato di necessità – Indennità – Nesso di causalità
Ai fini dell’attribuzione dell’indennità prevista dall’art. 2045 cod. civ., che costituisce un “minus” rispetto all’ordinario risarcimento, occorre che esista pur sempre un nesso di causalità fra l’atto necessitato e l’evento dannoso, che il danno sia cioè conseguenza immediata e diretta della condotta nel caso dall’agente mantenuta, il che è da escludersi qualora si ritenga che il danno lamentato si sarebbe egualmente verificato anche in assenza dell’azione necessitata (nell’affermare il suindicato principio la corte cass., nel rigettare le doglianze del ricorrente, ha confermato la sentenza del giudice di merito che aveva negato la corresponsione dell’indennità di cui all’art. 2045 cod. civ. richiesta dalla passeggera di un autobus dell’ATAC per i danni subiti in conseguenza delle lesioni riportate all’esito di una caduta avvenuta in ragione di una frenata operata dal conducente, per prevenire l’urto con un’autovettura che ne aveva intralciato repentinamente la traiettoria.
Assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile – Azione per il risarcimento dei danni – Osservanza dell’onere ex art. 22 legge n. 990 del 1969
In tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, l’onere che l’ art. 22 della legge n. 990 del 1969 pone a carico del danneggiato per la richiesta di risarcimento del danno va osservato anche quando l’assicuratore sia terzo chiamato in causa dal convenuto, senza che, atteso il tenore della norma, tale onere possa considerarsi altrimenti assolto, mediante l’atto di chiamata in causa da parte del convenuto o in virtù della comunicazione all’assicuratore da parte del danneggiante circa l’iniziativa giudiziaria intrapresa dal danneggiato.
Assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile – Azione per il risarcimento dei danni – Richiesta di risarcimento all’assicuratore – Condizione di proponibilità dell’azione di risarcimento
In tema di assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, l’onere imposto al danneggiato dall’art. 22 della legge 24 dicembre 1969, n. 990, di richiedere all’assicuratore il risarcimento dei danni almeno sessanta giorni prima di proporre il relativo giudizio, costituisce condizione di proponibilità della domanda risarcitoria la cui mancanza è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo, salva la preclusione del giudicato, sia pure implicito, per la mancata impugnazione di una pronunzia sul merito che presupponga la proponibilità della domanda, venendo quest’ultima in tal caso ad assumere rilievo quale presupposto necessario del giudicato esplicito formatosi sulla detta statuizione di merito (Principio dalla Corte Cass. affermato con riferimento ad una fattispecie in cui, non avendo la proponibilità della formulata domanda risarcitoria costituito oggetto di pronunzia espressa e non essendo conseguentemente neanche configurabile la formazione di un giudicato esplicito su di essa, sui presupposti della pronunzia di merito, impugnata da una delle parti, non poteva essersi formato nemmeno un giudicato implicito).
Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, Sentenza 21 dicembre 2004, n. 23696 (CED Cassazione 2004)
Articolo 2045 c.c. annotato con la giurisprudenza
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 2 ottobre 1992, Ri. Fi. conveniva davanti al Tribunale di Roma la Azienda Tranvie e Autobus del Comune di Ro. (d’ora in poi: Atac) e la sua società assicuratrice As., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti per le lesioni riportate a seguito di una caduta avvenuta il 6 dicembre 1991, mentre era trasportata su un autobus dell’Atac.
L’Atac restava contumace; si costituiva la società As., la quale sosteneva che la responsabilità del sinistro era di Fe. Ge., assicurato con La Na. S.p.A., il quale, alla guida di una autovettura, si era improvvisamente immesso dalla sosta nel traffico stradale, costringendo il conducente dell’autobus alla frenata che aveva determinato la caduta della trasportata. La As., pertanto, autorizzata dal giudice, chiamava in causa, con atto notificato il 30 gennaio 1993, il Fe. Ge. e La Na. S.p.A., trascorso lo spatium deliberandi dalla richiesta dei danni, inoltrata alla società assicuratrice.
Il Fe. Ge. restava contumace, mentre la società La Na. S.p.A. si costituiva, contestando la fondatezza della domanda. L’attrice Ri. Fi. estendeva la domanda nei confronti della società La Na. S.p.A. all’udienza del 2 marzo 1993 e notificava il 28 febbraio 1995 al contumace Fe. Ge. la domanda estesa anche nei suoi confronti.
Il Tribunale di Roma, con la sentenza depositata il 14 luglio 1997, respingeva la domanda nei confronti dell’Atac e dell’As. in quanto riteneva superata la presunzione di responsabilità del conducente dell’autobus, il cui comportamento era stato necessitato dall’irregolare condotta di guida del terzo; respingeva anche la domanda nei confronti dei chiamati in causa (Fe. Ge. e La Na. S.p.A.), per difetto di prova sulla individuazione del terzo responsabile.
La Ri. Fi. proponeva appello contro tutte le altre parti, lamentando, in subordine, il mancato esame della domanda sotto il profilo dell’art. 2045 c.c.. Si costituivano Le Assicurazioni di Ro. (già As.), nonché La Na. S.p.A. ed il Fe. Ge., mentre restava contumace l’Atac. Il giudizio era interrotto per la morte del difensore comune della società La Na. S.p.A. e del Fe. Ge.. Riassunto il processo dall’appellante Ri. Fi., si costituivano soltanto le due società assicurataci (Le Assicurazioni di Ro. e La Na. S.p.A.).
La Corte di Appello di Roma, con la sentenza depositata il 21 giugno 2001, ha confermato l’esclusione della responsabilità dell’autista Atac, la cui frenata fu determinata dal “repentino spostamento (senza freccia) di un’autovettura in sosta sulla destra”; ha dichiarato, in riforma della sentenza di primo grado, improponibile la domanda della Ri. Fi. contro il Fe. Ge. e la società La Na. S.p.A., perché la richiesta risarcitoria alla società assicuratrice, ex art. 22 della L. n. 990/1969, è stata inviata dalla Ri. Fi. nell’aprile 1993, mentre la domanda giudiziale è stata estesa al Fe. Ge. ed alla detta società nell’udienza del 2 marzo 1993; ha rigettato, infine, la domanda della Ri. Fi. diretta ad ottenere dall’Atac l’indennizzo previsto dall’art. 2045 c.c. perché il danno subito dalla trasportata “si sarebbe comunque verificato in conseguenza di una collisione con l’altro veicolo coinvolto, perciò pur in mancanza della brusca frenata”.
Avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma Ri. Fi. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi. La società Le Assicurazioni di Ro. ha resistito con controricorso.
Con ordinanza del 1 aprile 2004 questa Corte ha disposto il rinnovo della notifica del ricorso – inizialmente effettuata impersonalmente agli eredi del Fe. Ge. – ai singoli eredi dello stesso Fe. Ge., previa loro identificazione. La ricorrente ha effettuato tempestiva notifica alla moglie ed ai figli di Fe. Ge., che non si sono costituiti. Nell’udienza odierna si è costituita la società La Na. S.p.A..
MOTIVI DELLA DECISIONE
- – Con il primo motivo la ricorrente deduce “violazione dell’art. 360 n. 3 in relazione all’art. 324 codice di rito nonché agliartt. 2909c.c. ed art. 22 L. 990/69 per violazione del giudicato formatosi sulla proponibilità dell’azione risarcitoria dell’attrice Ri. Fi. nei confronti dei chiamati in causa La Na. Assicurazioni S.p.A. e Fe. Ge.”. La ricorrente premette che la sentenza di primo grado ha rigettato nel merito la domanda da lei proposta contro il Fe. Ge. e la menzionata assicuratrice della responsabilità civile del medesimo, domanda che pertanto era stata implicitamente ritenuta ammissibile. Poiché questi due soggetti hanno in appello chiesto la conferma della pronunzia di primo grado e non hanno proposto appello incidentale avverso la pronunzia implicita di proponibilità della domanda, su questo punto la sentenza di primo grado è passata in giudicato e, perciò, la non proponibilità della stessa domanda non poteva essere rilevata di ufficio dal giudice di appello.
Il motivo di ricorso è infondato.
La ricorrente non contesta l’orientamento di questa Corte, secondo cui l’ art. 22 della L. 24 dicembre 1969 n. 990, nel subordinare l’esercizio dell’azione risarcitoria alla preventiva richiesta del danno all’assicuratore, ed al decorso di sessanta giorni dalla medesima, fissa una condizione di proponibilità della detta azione, la cui sussistenza, da riferirsi al momento della introduzione della domanda, il giudice ha il potere-dovere di riscontrare anche di ufficio, in ogni stato e grado del processo, salva la preclusione derivante dalla formazione del giudicato, sia pure implicito, per la mancata impugnazione di una pronuncia sul merito (v., tra le altre,Cass. 22 novembre 1991 n. 12540; 21 maggio 2004 n. 9700). Si sostiene, nel ricorso, che il giudice di appello non poteva rilevare l’improponibilità della domanda risarcitoria della Ri. Fi. perché sulla proponibilità della stessa domanda si era formato il giudicato implicito. L’assunto della ricorrente non è fondato.
Il giudicato implicito, idoneo a precludere la rilevabilità di ufficio della improponibilità della domanda, si ha quando sia passata in giudicato una statuizione di merito che presupponga la proponibilità della domanda, onde tale proponibilità sia un presupposto necessario del giudicato esplicito formatosi sulla detta statuizione di merito. Nel caso di specie, la sentenza di primo grado che ha rigettato nel merito la domanda risarcitoria proposta dalla Ri. Fi. contro il Fe. Ge. e la società La Na. S.p.A. è stata appellata dalla Ri. Fi., e quindi non è passata in giudicato; consegue che nessun giudicato implicito può essersi formato sui presupposti della detta pronunzia di merito. Né, avendo la proponibilità della detta domanda formato oggetto di una pronunzia espressa della sentenza di primo grado, può essersi formato un giudicato esplicito sullo stesso punto.
L’assenza di un giudicato esplicito o implicito sulla proponibilità della detta domanda risarcitoria della Ri. Fi. ha consentito al giudice di appello di rilevare di ufficio l’improponibilità della domanda, pur senza apposita eccezione delle due parti interessate, in conformità dell’orientamento di questa Corte in precedenza qui richiamato.
- – Con il secondo motivo la ricorrente deduce “violazione dell’art. 360c.p.c. n. 3 e n. 5 in relazione agliartt. 22 e 23 L. 990/69, nonché in relazione agli artt. 90, 184, 198 c.p.c. vecchia formulazione ed artt. 2043, 2054 c. c. per non aver tenuto conto il giudice del merito dell’effettivo scopo dell’art. 22 legge citata, dal momento definitivo nel processo circa la estensione della domanda di parte attrice nei confronti di altre parti in causa, nonché per omessa motivazione della sentenza circa la posizione del responsabile Fe. Ge.”. Nel motivo di ricorso si formulano due censure diverse, che vanno esaminate separatamente.
2.1. – Con la prima censura la ricorrente sostiene che la comunicazione alla società assicuratrice del Fe. Ge. (La Na. S.p.A., chiamata in causa dalla As., convenuta dalla Ri. Fi.), imposta dall’art. 22 della L. n. 990/1969, era stata effettuata dalla As. prima della detta chiamata in causa, come risulta dalla comparsa della As. depositata all’udienza del 27 novembre 1992. Lo spatium deliberando di 60 giorni, pertanto, era già trascorso quando, nell’udienza del 2 marzo 1993, la domanda risarcitoria della Ri. Fi. fu estesa alla assicuratrice La Na. S.p.A., dovendosi quindi considerare priva di rilievo la richiesta inviata dalla Ri. Fi. alla società La Na. S.p.A. nell’aprile 1993 perché la Ri. Fi. non aveva l’onere di ripetere la comunicazione, essendo La Na. S.p.A. già a conoscenza del sinistro e della pretesa risarcitoria della Ri. Fi. (comunicata dalla As.). La ricorrente osserva ancora, e ovviamente in via subordinata, che la definitiva estensione della domanda risarcitoria nei confronti della società La Na. S.p.A. è avvenuta con la precisazione delle conclusioni formulate alla udienza del 21 novembre 1995, onde la richiesta di danni effettuata dalla Ri. Fi. alla detta società assicuratrice con lettera del 19 aprile 1993 ha comunque rispettato il citato art. 22.
La articolata censura sopra esposta è infondata.
Come ha affermato la sentenza impugnata, l’onere della preventiva richiesta del danneggiato all’assicuratore, previsto dall’art. 22 della L. n. 990/69, si applica anche quando l’assicuratore sia terzo chiamato in causa, secondo l’orientamento di questa Corte (Cass. 27 ottobre 1982 n. 5626; 18 gennaio 1988 n. 339; 21 maggio 2004 n. 9700). Né tale onere può ritenersi osservato per il fatto che la parte convenuta dal danneggiato abbia comunicato all’assicuratore l’iniziativa giudiziaria proposta dal danneggiato, posto che il citato art. 22 prevede, come presupposto di proponibilità dell’azione risarcitoria, che “il danneggiato abbia chiesto all’assicuratore il risarcimento del danno”, onde tale presupposto si è, nel caso di specie, realizzato soltanto con la richiesta della Ri. Fi. alla società La Na. S.p.A. di essere risarcita, non potendo tale presupposto essere identificato né con la richiesta rivolta dalla Ri. Fi. alla As., né con la comunicazione che quest’ultima ha effettuato alla società La Na. S.p.A. della domanda risarcitoria rivolta ad essa As. dalla Ri. Fi.. Consegue che è corretta la sentenza impugnata che ha considerato improponibile la domanda risarcitoria estesa dalla Ri. Fi. alla società La Na. S.p.A. nell’udienza del 2 marzo 1993, poiché la richiesta ex art. 22 è stata alla stessa inviata solo nell’aprile 1993.
Come ha affermato la sentenza impugnata, e come risulta dall’esame del verbale di udienza del 2 marzo 1993, l’estensione della domanda attorea alla società La Na. S.p.A. è avvenuta in detta udienza, onde l’introduzione della stessa domanda non può essere posticipata alla udienza di precisazione delle conclusioni, in cui tale domanda è stata soltanto confermata. L’ art. 22 della L. n. 990/1969, invero, prevede che l’onere della richiesta sia osservato prima della proposizione della domanda giudiziaria.
2.2. – Con la seconda censura (del secondo motivo) la ricorrente lamenta che la Corte di Appello abbia omesso di esaminare la domanda di risarcimento del danno proposta contro Fe. Ge., chiamato in causa dalla As., rimasto contumace ed a cui l’attrice aveva esteso la domanda risarcitoria nell’udienza del 5 aprile 1994, con successiva notifica allo stesso effettuata il 28 febbraio 1995. Rispetto alla domanda risarcitoria contro il Fe. Ge. l’ art. 22 della L. n. 990/1969 deve ritenersi osservato perché la richiesta all’assicuratore della sua responsabilità civile (società La Na. S.p.A.) è stata effettuata con la raccomandata del 19 aprile 1993. Erroneamente, pertanto, la domanda di risarcimento del danno proposta contro il Fe. Ge. è stata dichiarata improponibile dalla sentenza impugnata.
La censura è fondata.
La Corte di Appello ha dichiarato improponibile la domanda di risarcimento del danno diretta dalla Ri. Fi. non solo contro la La Na. S.p.A., ma anche contro Fe. Ge., perché ha ritenuto che tale domanda sia stata estesa ad ambedue tali soggetti (chiamati in causa) nell’udienza di primo grado del 2 marzo 1993. Ma tale affermazione è errata con riferimento alla domanda contro il Fe. Ge., perché, come risulta dal verbale della detta udienza (che questa Corte può direttamente esaminare per decidere sull’error in procedendo denunziato nel ricorso), la domanda della Ri. Fi. è stata estesa soltanto “nei confronti della La Na. S.p.A. oggi costituita”. Per quanto attiene, invece, al Fe. Ge., rimasto contumace, l’estensione allo stesso della domanda attorea è avvenuta nella udienza del 5 maggio 1994, in cui, su richiesta del procuratore della attrice, il giudice istruttore ha disposto la notifica del verbale al Fe. Ge.. La domanda nei confronti del Fe. Ge. è stata proposta soltanto con la notifica del verbale del 5 maggio 1994, onde è tempestiva la richiesta di risarcimento all’assicuratore della responsabilità civile effettuata dalla Ri. Fi. con lettera raccomandata con avviso di ricevimento il 19 aprile 1993. Consegue che è errata la sentenza impugnata che ha dichiarato improponibile la domanda della Ri. Fi. contro il Fe. Ge., per inosservanza dell’art. 22 della L. n. 990/1969.
- – Con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione dell’art. 360c.p.c. n. 3 e n. 5 in relazione agliartt. 1681, 2045, 2054 c.c. per falsa applicazione di legge nonché insufficiente e contraddittoria motivazione per avere il giudice di merito escluso ogni responsabilità a carico dell’Atac ed As. e, comunque, per non aver liquidato l’equo indennizzo. Anche questo motivo contiene due censure diverse, che vanno separatamente esaminate.
3.1. – Con la prima censura la ricorrente critica l’esclusione della responsabilità del conducente dell’Atac, sostenendo che la Corte di Appello non ha tenuto conto dello “anormale sbilanciamento della trasportata” Ri. Fi., la quale “andò a finire dalla parte posteriore del lungo automezzo all’estremità della parte anteriore, quasi sotto il sedile dell’autista”, onde è contraddittoria la sentenza impugnata che ha ritenuto “normale l’accelerazione iniziale” dell’autobus. Né è stato provato che il conducente dello stesso ha fatto tutto il possibile per evitare il danno, come è previsto dall’art. 2054 c.c..
La censura è infondata.
La sentenza impugnata, confermando sul punto la pronunzia di primo grado, ha ritenuto “superata la presunzione di responsabilità a carico del vettore prevista” dall’art. 1681 c.c.; il che importa superamento anche della analoga presunzione prevista dal primo comma dell’art. 2054 c.c.. Tale valutatone è fondata su una sufficiente e corretta motivazione, perché la Corte di Appello ha accertato che la ripresa della marcia dell’autobus dopo la fermata ove la Ri. Fi. era salita era “normale”, sulla base della deposizione della teste Ma., presente al fatto, e della considerazione del “breve tragitto percorso prima della brusca frenata (circa 50 metri, come affermato nell’atto di citazione) “, onde il giudice del merito ha espressamente escluso che il mezzo pubblico tenesse un’andatura “anomala”. La censura del ricorrente propone un riesame di questa motivata valutazione, che non rientra nei poteri di questo giudice di legittimità.
3.2. – Con la seconda censura la ricorrente critica la sentenza impugnata nella parte in cui ha negato l’indennità prevista dall’art. 2045 c.c. nel caso di fatto dannoso necessitato. La ricorrente osserva che tale indennità, da porsi a carico del soggetto necessitato, prescinde dal concorso di responsabilità del soggetto necessitante e si applica al trasportato a titolo oneroso, mentre la Corte di Appello ha fatto richiamo ad una sentenza della Cassazione (la n. 2238/1981), che si riferisce al trasporto a titolo di cortesia. La ricorrente ritiene, inoltre, che la sentenza sia contraddittoria perché “mentre si afferma che l’ art. 2045 c.c. si applica allorché si verifica un danno per evitare un pregiudizio e si dà atto del danno prodotto, nonché del pregiudizio evitato, poi se ne esclude l’applicazione in quanto si afferma che nel caso in esame, anche in assenza del fatto necessitato, il danno si sarebbe parimenti verificato”.
La censura è infondata.
La Corte di Appello ha accertato che “la frenata del conducente dell’autobus è stata dettata dalla necessità di prevenire l’urto con l’autovettura che ne aveva intralciato repentinamente la traiettoria, anche a tutela dell’incolumità dei passeggeri del mezzo pubblico e quindi anche della Ri. Fi.: questa, in definitiva, ha riportato un danno che verosimilmente si sarebbe comunque verificato in conseguenza di una collisione con l’altro veicolo coinvolto, perciò pur in mancanza della brusca frenata”.
Nella situazione di fatto accertata dal giudice del merito correttamente non si è fatta applicazione dell’art. 2045 c.c. perché tra l’azione necessitata prevista da quest’ultima disposizione normativa ed il danno subito dal danneggiato deve esistere il rapporto di causalità previsto in generale dall’art. 2043 c.c., onde l’indennità di cui all’art. 2045 va esclusa qualora si ritenga che il danno lamentato si sarebbe ugualmente verificato anche in assenza della condotta necessitata. In tal senso si è già espressa questa Corte con la sentenza 14 aprile 1981 n. 2238, che concerne fattispecie analoga a quella qui giudicata (indennità richiesta dalla passeggera di un’automobile, rimasta ferita per la brusca frenata che il conducente di tale veicolo era stato costretto a compiere per evitare la collisione con altro veicolo improvvisamente immessosi sulla strada). È irrilevante che tale precedente si riferisca ad una ipotesi di trasporto a titolo di cortesia, perché esso concerne pur sempre l’interpretazione dell’art. 2045 c.c., di cui non si contesta l’applicabilità in astratto nella presente fattispecie. L’esclusione dell’indennità quando l’atto necessitato sia stato compiuto nel tentativo di evitare un danno che, senza di esso, si sarebbe ugualmente verificato era stata, già in precedenza, affermata da Cass. 28 luglio 1966 n. 2087. Non sussiste, pertanto, alcuna contraddizione nella motivazione della sentenza impugnata relativa al diniego dell’indennità prevista dall’art. 2045 c.c..
- – In conclusione, il ricorso della Ri. Fi. va accolto nella sola parte in cui ha censurato la pronunzia di improponibilità della domanda proposta dalla attrice contro Fe. Ge., mentre va rigettato in tutte le altre censure dirette contro le statuizioni concernenti le altre parti (Atac ed As., nonché La Na. S.p.A.). Di conseguenza, la sentenza impugnata va cassata nella sola parte concernente la domanda della Ri. Fi. contro il Fe. Ge. (ed ora contro gli eredi dello stesso) e la causa va rinviata ad altra sezione della Corte di Appello di Roma per la decisione su quest’ultima domanda e sulle correlate spese processuali.
- – In ordine alle spese processuali del giudizio di cassazione, la presente sentenza chiude il processo tra la Ri. Fi. e le tre parti sopra indicate (Atac. As., La Na. S.p.A.), delle quali soltanto la società Le Assicurazioni di Ro. (già As.) e la società La Na. S.p.A. hanno svolto attività difensiva davanti a questa Corte. Pertanto, non vi sono spese per quanto attiene alla parte Atac, mentre sussistono giusti motivi per compensare le dette spese tra la soccombente Ri. Fi. e Le Assicurazioni di Ro. e La Na. S.p.A..
Si rimette invece al giudice di rinvio di pronunziare sulle spese del giudizio di cassazione tra la Ri. Fi. e gli eredi del Fe. Ge..
P.Q.M.
La Corte accoglie per quanto di ragione il secondo motivo del ricorso, che rigetta nel resto;
cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta; rinvia la causa ad altra sezione della Corte di Appello di Roma, anche per le spese del giudizio di cassazione nei rapporti tra la ricorrente e gli eredi del Fe. Ge.;
compensa le spese del giudizio di cassazione nei rapporti tra la ricorrente e le altre parti costituite.