Sentenza 23780/2014
Ingiustificato arricchimento – Determinazione dell’indennità
In tema di azione di indebito arricchimento, conseguente all’assenza di un valido contratto (nella specie, avente ad oggetto prestazioni a favore di degente ricoverato in casa di cura), l’indennità prevista dall’art. 2041 cod. civ. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dalla parte nell’erogazione della prestazione e non in misura coincidente con il mancato guadagno che la stessa avrebbe potuto trarre dall’instaurazione di una valida relazione contrattuale (individuabile, nella specie, in base alle tariffe contrattuali di degenza).
Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, Sentenza 7 novembre 2014, n. 23780 (CED Cassazione 2014)
Articolo 2041 c.c. annotato con la giurisprudenza
SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO
Nel maggio 2003 la cooperativa sociale a r.l. (OMISSIS) conveniva in giudizio (OMISSIS), nella sua qualità di tutore dell’interdetto (OMISSIS), chiedendone la condanna al pagamento della somma di euro 7957,57 a titolo di rette di ricovero del (OMISSIS), dall’aprile all’agosto 2001, presso una casa di cura gestita da essa attrice. Con la memoria ex articolo 183 c.p.c. chiedeva, in via subordinata, che la sua domanda venisse accolta a titolo di arricchimento ex articolo 2041 cod. civ..
Nella costituzione in giudizio del (OMISSIS) – che contestava la sussistenza di un contratto di degenza in capo al (OMISSIS), ed otteneva di chiamare in giudizio il comune di Lerici che aveva assegnato quest’ultimo alla casa di cura nell’ambito di un intervento di tipo socioassistenziale – interveniva la sentenza n. 318/08 con la quale il tribunale di La Spezia, in parziale accoglimento della domanda della società attrice, condannava il (OMISSIS) – ex articolo 2041 cod. civ. – al pagamento della somma di euro 6000,00 oltre interessi e spese.
Proposti appello principale dalla (OMISSIS) ed appello incidentale dal (OMISSIS), veniva emessa la sentenza n. 687/11 con la quale la corte di appello di Genova confermava la sentenza del tribunale e compensava tra le parti le spese del grado.
Avverso questa sentenza viene dalla cooperativa (OMISSIS) proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, ai quali resiste con controricorso il (OMISSIS).
Il comune di Lerici non ha svolto attività difensiva in questa sede. La ricorrente ha depositato in data 11.9.14 memoria ex articolo378 cod. proc. civ..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1 Con il primo motivo di ricorso la cooperativa lamenta, ex articolo360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione o falsa applicazione degli articoli 116 e 132 cod. proc. civ., nonchè articolo 2041 cod. civ.; oltre ad omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Ciò perchè la corte di appello non aveva esaminato il tenore di tre lettere non contestate ex adverso (da essa prodotte sub doc.nn.1-2-3) dalle quali emergeva la prova che l’importo dovuto dal (OMISSIS) ammontava al maggior importo di euro 7957,57.
Con il secondo motivo di ricorso la cooperativa deduce analoghe violazioni sotto lo specifico profilo che la corte di appello, violando il disposto dell’articolo 112 c.p.c., non si era pronunciata – ovvero si era pronunciata con motivazione insufficiente – in ordine al motivo di appello da essa formulato avverso la mancata considerazione da parte del primo giudice delle suddette lettere; di per sè attestanti il quantum dovuto secondo le tariffe contrattuali vigenti per la degenza.
1.2 I due motivi di ricorso sono suscettibili di trattazione unitaria perchè entrambi incentrati, nella prospettiva ora della violazione normativa ed ora del vizio motivazionale, sulla mancata considerazione da parte del giudice di merito di documentazione comprovante il maggior credito contrattualmente spettante alla cooperativa.
Si tratta di motivi infondati, posto che la corte di appello, investita di gravame sul punto, ha ritenuto di confermare l’accoglimento da parte del tribunale non già della domanda proposta dalla cooperativa ex contractu, bensì di quella da essa subordinatamente proposta a titolo di arricchimento. Questa statuizione non è stata fatta oggetto di impugnazione alcuna, sicchè non vi è dubbio che la fattispecie debba oggi essere riguardata esclusivamente con riferimento all’articolo 2041 c.c..
In tale ottica, le lettere in questione dovevano effettivamente ritenersi ininfluenti, dal momento che esse attestavano – al più – l’importo che sarebbe spettato alla cooperativa in base alle tariffe contrattuali di degenza; vale a dire, in base a parametri non applicabili, per costante giurisprudenza di legittimità, alla determinazione dell’indennità di arricchimento. Indennità commisurata alla diminuzione patrimoniale subita dalla parte nell’erogazione della prestazione; non coincidente con il (mancato) guadagno che la stessa avrebbe potuto trarre dalla conclusione di un valido contratto di degenza di contenuto corrispondente. Mancato guadagno viceversa rilevante, a titolo di lucro cessante, nella diversa fattispecie dell’inadempimento e della responsabilità contrattuale; nella quale ha luogo non il riconoscimento meramente indennitario di un impoverimento, ma la reintegrazione patrimoniale tramite risarcimento del danno.
Ciò è esattamente quanto ritenuto dalla corte di appello la quale, dopo aver citato a riferimento la giurisprudenza di legittimità (formatasi in materia di arricchimento della PA, ma sulla base di considerazioni di ordine generale: v. anche SSUU n. 23385 del 11/09/2008; Sez. 1 n. 20648 del 07/10/2011), ha poi osservato che (sent., pag.7): a nulla rileva dunque chiarire se sia stata o meno fornita una valida prova delle tariffe applicate dalla cooperativa . Tale motivazione, ancorchè succinta, appare sufficientemente chiara ed esauriente nel far discendere la mancata considerazione delle lettere in oggetto dalla ritenuta loro irrilevanza ai fini di causa. Tanto più che da esse la cooperativa voleva trarre non già un mero parametro comparativo di determinazione quantitativa dell’indennità spettantele (discrezionalmente stabilita dal giudice di merito), bensì la dimostrazione del diritto ad un corrispettivo contrattuale pieno che, per le indicate ragioni, non le competeva. A nulla rilevando, in ipotesi, che da quelle lettere potesse risultare la mancata contestazione ex adverso della effettiva conformità degli importi richiesti a quelli di tariffa (circostanza di cui tenere conto solo qualora la controversia dovesse essere decisa sulla scorta di questi ultimi).
In ordine alla censura strettamente motivazionale, poi, si deve qui altresì confermare il principio (Cass. n. 15502 del 02/07/2009; Cass. n. 14611 del 12/07/2005) per cui il giudice di merito non ha l’obbligo di respingere espressamente e motivatamente tutte le richieste di prova avanzate dalla parte qualora i fatti risultino già accertati a sufficienza, ed i mezzi istruttori formulati appaiano, alla luce della stessa prospettazione della parte, inidonei a vanificare, anche solo parzialmente, detto accertamento. Allorquando il giudice di merito reputi sufficientemente istruito il processo, egli non è tenuto – in particolare – a specificamente motivare sulla superfluità dei mezzi dedotti e non ammessi; potendo tale giudizio di ultroneità desumersi dalle argomentazioni in fatto e diritto della sentenza.
In definitiva, stante la corretta applicazione dell’articolo 2041 c.c.e la congruità della motivazione così come complessivamente desumibile dal ragionamento della corte territoriale, debbono essere esclusi entrambi i vizi censurati; con la conseguenza che la valutazione della corte di appello sul quadro probatorio e, in particolare, sul quantum debeatur a titolo indennitario – discrezionalmente stimato dal giudice di merito – non può trovare nuovo ingresso in sede di legittimità.
2. Con il terzo motivo di ricorso, la cooperativa si duole di violazione o falsa applicazione degli articoli 91 e 132 cod. proc. civ., posto che la corte territoriale aveva erroneamente ritenuto generico il motivo di appello da essa formulato avverso la decisione con la quale il tribunale, nonostante il deposito di nota-spese, aveva ridotto l’importo delle spese di lite ad essa attribuite senza specificamente indicare le voci non riconosciute, ovvero quelle ritenute meritevoli di essere ridotte.
Si tratta di motivo inammissibile, posto che – fermo restando il principio per cui in tema di liquidazione delle spese processuali il giudice, in presenza di una nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa, non può limitarsi ad una globale determinazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato in misura inferiore a quelli esposti, ma ha l’onere di dare adeguata motivazione dell’eliminazione e della riduzione di voci da lui operata (tra le altre:Cass. Ord. n. 7293 del 30/03/2011) – la doglianza in esame appare ancor più generica di quella proposta davanti alla corte d’appello (v. sent. impugnata, pag. 8). Ciò perchè essa si limita a contestare la congruità della quantificazione delle spese da parte del tribunale (complessivi euro 2715,00 di cui euro 15,00 per esposti, euro 1300,00 per diritti ed euro 1400,00 per onorari) senza: – riportare la nota spese o quantomeno indicare dove essa sia reperibile; – indicare in che misura la liquidazione da parte del tribunale sia stata inferiore a quanto ivi richiesto; specificare se la riduzione abbia comportato violazione dei parametri tariffari. Dal che si evince come il motivo di ricorso in oggetto faccia altresì difetto del necessario requisito di autosufficienza.
Ne segue il rigetto del ricorso, con condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di cassazione che si liquidano, come in dispositivo, ai sensi del Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in euro 1900,00, di cui euro 200,00 per esborsi ed il resto per compenso professionale; oltre rimborso forfettario spese generali ed accessori di legge.