Roma, Via Valadier 44 (00193)
o6.6878241
avv.fabiocirulli@libero.it

Cassazione Civile 23838/2007 – Notifica presso la residenza del collaboratore di giustizia

Richiedi un preventivo

Ordinanza 23838/2007

Notifica eseguita presso la residenza anagrafica del destinatario di un atto processuale a persona sottoposta allo speciale programma di protezione previsto per i collaboratori di giustizia

È valida la notifica, eseguita presso la residenza anagrafica del destinatario, di un atto processuale a persona sottoposta allo speciale programma di protezione previsto per i collaboratori di giustizia dalla legge 15 marzo 1991, n. 82 e, pertanto, dimorante in un luogo conosciuto solo dal competente Servizio Centrale di Protezione del Ministero dell’Interno, atteso che, se é pur vero che le risultanze anagrafiche hanno solo valore presuntivo e che l’istante è tenuto a provvedere alla notificazione nel luogo di residenza anagrafica del destinatario, a meno che non conosca o non sia in grado di conoscere, usando l’ordinaria diligenza, la diversa residenza effettiva del destinatario, nella specie fa – e deve fare – difetto proprio la conoscenza del luogo di effettiva residenza del destinatario, tenuto segreto per ragioni di sicurezza, né rileva la conoscenza da parte del notificante della non coincidenza della residenza anagrafica del destinatario dell’atto da notificare con il luogo di soggiorno dello stesso, di cui il notificante non ha, comunque, contezza per ovvie ragioni di sicurezza.

Corte di Cassazione, Sezione 1 civile, Ordinanza 19 novembre 2007, n. 23838   (CED Cassazione 2007)

Articolo 43 c.c. annotato con la giurisprudenza

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 

1. – Con ricorso depositato in data 8 marzo 2002, La. Ro. To., deducendo il deterioramento della propria situazione economica, chiese al Tribunale di Palermo la modifica delle condizioni della separazione consensuale dalla moglie, Bo.Mi., omologata il 23 aprile 2001. Il Tribunale adito, dato atto della mancata costituzione di quest’ultima, ritualmente evocata in giudizio, a seguito di rinnovazione della notifica del ricorso, avvenuta a mezzo posta alla residenza anagrafica di (OMESSO), dopo un primo tentativo effettuato presso la precedente residenza anagrafica in (OMESSO), con decreto depositato il 31 ottobre 2002, accolse per quanto di ragione la domanda, dichiarando cessato l’obbligo del ricorrente di corrispondere in favore della moglie i ratei dell’assegno una tantum, già quantificato in lire 1.300.000.000, in scadenza dal 31 gennaio 2003 in poi.

Avverso detto provvedimento, parimenti notificato alla Bo. a mezzo posta presso la sua residenza anagrafica, la stessa propose reclamo in data 20 febbraio 2003, chiedendo dichiararsi la nullità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, nonchè della notificazione del decreto reclamato, e, conseguentemente, di tutti gli atti del processo di primo grado e del medesimo decreto, nonchè, in subordine, la riforma integrale di quest’ultimo, con il rigetto di ogni avversa domanda. Rilevò la reclamante che, sottoposta sin dal 23 aprile 2002 a speciale programma di protezione a cura del Servizio Centrale di Protezione del Ministero dell’interno, pur risultando anagraficamente residente in (OMESSO), risiedeva di fatto stabilmente in altra località, fuori della (OMESSO), nota, per ragioni di sicurezza, soltanto al Servizio medesimo, il quale utilizzava l’immobile ubicato nel capoluogo (OMESSO) per i propri compiti istituzionali, ed, in particolare, per la raccolta della corrispondenza diretta ai soggetti sottoposti al programma di protezione. Deduceva la reclamante che la copia del decreto impugnato, ivi recapitata il (OMESSO), le era stata materialmente consegnata solo in data (OMESSO), aggiungendo di non essere venuta a conoscenza della pendenza del procedimento conclusosi con il decreto reclamato e di avere solo successivamente accertato che il ricorso introduttivo del giudizio, a seguito della rinnovazione della notificazione disposta dal Tribunale, le era stato notificato a mezzo del servizio postale nell’indicato indirizzo di (OMESSO), e, più precisamente, era stato depositato presso il locale Ufficio postale il (OMESSO) per temporanea assenza del destinatario, e, non essendo stato ritirato nei successivi dieci giorni, era stato restituito al mittente il 16 agosto successivo. Dedusse, quindi, la reclamante la nullità della notificazione del ricorso introduttivo del giudizio, che avrebbe dovuto essere correttamente eseguita ai sensi dell’articolo 143 cod. proc. civ. o, meglio, presso l’indirizzo del Servizio di protezione, atteso che il La. Ro. era al corrente che la reclamante abitava in località secretata e che il recapito di ogni comunicazione era possibile solo attraverso detto Servizio.

Il La. Ro., costituitosi all’udienza del 9 maggio 2003, eccepì la inammissibilità del gravame e chiese, incidentalmente, la riforma del decreto del Tribunale di Palermo nella parte in cui non aveva esteso la cessazione dell’obbligo al rateo dell’assegno scaduto il 31 gennaio 2002.

2. – La Corte d’appello di Palermo, con decreto depositato il 6 febbraio 2004, dichiarò inammissibile il reclamo principale, ed inefficace quello incidentale del La. Ro., affermando, per quanto rileva nella presente sede, la tardività del primo, depositato il 20 febbraio 2003, oltre il termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione del decreto impugnato, di cui all’articolo 739 c.p.c., comma 2. La Corte di merito ritenne, infatti, valida la notificazione del decreto in questione eseguita a mezzo posta il 30 dicembre 2002 all’indirizzo presso il quale risultava residente anagraficamente la reclamante, ove il piego raccomandato era stato consegnato a delegato del Comandante dell’Arma dei Carabinieri di (OMESSO), corrispondendo detto indirizzo ad una caserma dei Carabinieri.

Nella specie, infatti, non essendo conoscibile, per ragioni di sicurezza, la residenza effettiva della donna, conservava valore, ai fini della notifica, secondo la Corte d’appello, la residenza anagrafica, indirizzo prescelto ed utilizzato dal Servizio Centrale di Protezione per l’inoltro della corrispondenza a lei diretta, come confermato dalla circostanza che il piego, preso in consegna il 30 dicembre 2002, le era stato poi effettivamente recapitato attraverso operatori del Nucleo Operativo di Protezione territorialmente competente, anche se, per ragioni ignote, a distanza di oltre un mese. Nemmeno poteva sostenersi, secondo il giudice di seconde cure, che la notificazione si sarebbe dovuta eseguire presso la sede del Servizio Centrale di Protezione, in quanto nemmeno tale luogo peraltro non riferibile, a differenza dell’altro, neppure anagraficamente alla Bo. – corrispondeva alla residenza effettiva della donna.

Nè, ad avviso della Corte, si sarebbe potuto ammettere il ricorso alla procedura di cui all’articolo 143 cod. proc. civ. utilizzata solo in presenza di effettiva irreperibilità e di esito negativo delle indagini anagrafiche.

3. – Avverso detto decreto la signora Bo. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati anche da successiva memoria.

Resiste il sig. La. Ro. con controricorso, a sua volta illustrato a successiva memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Devono, preliminarmente, essere esaminate le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate con il controricorso.

2.1. – Esse risultano immeritevoli di accoglimento.

2.2. – Quanto alla prima, relativa alla pretesa esclusione della ricorribilità per cassazione del decreto impugnato, è sufficiente richiamare, in contrario, la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale il decreto emesso in camera di consiglio dalla Corte d’appello a seguito di reclamo avverso i provvedimenti emanati dal tribunale sull’istanza di revisione delle disposizioni relative alla misura ed alle modalità dell’assegno posto precedentemente a carico di uno dei coniugi dalla sentenza che abbia pronunciato sulla separazione, può essere impugnato avanti alla Corte di cassazione con il ricorso straordinario ai sensi dell’articolo 111 Cost. (Cass., sent. n. 10229 del 2005).

È bensì vero che, sia pure in via subordinata, il controricorrente, per la ipotesi di ritenuta ammissibilità del ricorso straordinario nei confronti del decreto di cui si tratta, ne ha comunque eccepito la inammissibilità nella specie, per la parte relativa alla deduzione di vizio di motivazione. Ma, sotto tale profilo, non può darsi ingresso all’esame della eccezione, avuto riguardo alla circostanza che tutte le censure sollevate con il ricorso afferiscono a presunte violazioni di legge.

2.3. – Quanto alla ulteriore eccezione di inammissibilità del ricorso, essa è fondata sulla denunciata mancanza di una valida procura speciale, in considerazione dell’avvenuto rilascio, da parte della ricorrente, di una procura in calce ad un foglio successivo all’ultima pagina del ricorso e separato dallo stesso, spillato dopo tale pagina, la quale risulta composta di un numero di righe diverso da quelli di tutte le pagine precedenti e presenta uno spazio tra le righe superiore a quelle: ciò che escluderebbe la possibilità di considerare il foglio contenente la procura corpo unico con il ricorso. Inoltre, la procura risulterebbe rilasciata in Roma in data 10 marzo 2004, mentre il ricorso è stato redatto in Palermo il 11 marzo successivo: ciò che avrebbe reso necessaria la indicazione dell’incarico conferito al legale di proporre ricorso nonchè quella del provvedimento che si intendeva impugnare.

2.4. – La infondatezza di tale eccezione emerge all’evidenza ove si consideri che, nell’originale del ricorso, è visibile con chiarezza il timbro di congiunzione che collega le due pagine, quella recante la procura e l’ultima pagina del ricorso, con ciò stesso escludendosi ogni possibile dubbio di riferibilità dell’una all’altro, e rimanendo garantito il requisito della specialità del mandato al difensore. In presenza del timbro di congiunzione, sbiadisce, poi, anche l’elemento dell’evidenziato divario di date tra il rilascio della procura e la redazione del ricorso, attribuibile ad un errore materiale, e comunque non significativo, attesa la irrilevanza, in siffatta situazione, del conferimento della procura in data anteriore a quella della stessa redazione del ricorso.

3. – Passando, quindi, all’esame del merito del ricorso, la prima censura con lo stesso sollevata concerne la violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 cod. proc. civ., ravvisata nell’essersi il decreto impugnato soffermato esclusivamente sulla questione della nullità della notificazione del decreto reso dal Tribunale, ritenendola assorbente rispetto a quella attinente alla nullità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio.

4.1. – La censura è destituita di fondamento.

4.2. – A seguito della eccezione, sollevata dal La. Ro., di inammissibilità per tardività del reclamo proposto dalla Bo. avverso il provvedimento del Tribunale di Palermo del 31 ottobre 2002, che aveva dichiarato cessato l’obbligo del primo di corrispondere in favore della moglie separata gli ulteriori ratei dell’assegno una tantum attribuitole, la Corte di merito era tenuta ad esaminare preliminarmente, per la priorità logico-giuridica di tale profilo rispetto al merito della vicenda, la questione della tempestività, ai sensi dell’articolo 739 cod. proc. civ., della proposizione del reclamo, ed, a tal fine, la problematica della regolarità della notifica del decreto impugnato, eseguita, a mezzo del servizio postale, nel luogo di residenza anagrafica della Bo., in realtà corrispondente ad un polo residenziale fittizio. E ciò puntualmente ha fatto il giudice del reclamo, il quale, avendo poi dato soluzione positiva alla richiamata questione, ne ha inferito la tardività del reclamo della stessa Bo., con la logica ed inevitabile conseguenza dell’assorbimento della censura relativa alla nullità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado.

5. – Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione della Legge n. 890 del 1982 articoli 3, 7 e 8 e dell’articolo 139 cod. proc. civ., nonchè dei principi desumibili in materia di notificazione dal codice di rito. Avrebbe errato la Corte di merito nel ritenere regolari le notifiche eseguite a mezzo posta nella residenza anagrafica della destinataria, pur avendo accertato che la stessa risiedeva in altra località. Ai fini della determinazione del luogo di residenza o domicilio del destinatario della notificazione, occorre, al contrario, fare riferimento al luogo in cui questi dimora di fatto in modo abituale. Ed infatti, l’ordinamento processuale prevede, in tema di notificazione, la osservanza di precise formalità, dettate al fine di garantire la effettiva conoscenza dell’atto da parte del destinatario e di assicurare, così, la corretta instaurazione del contraddittorio. Pertanto, ove non sia possibile la notifica a mani proprie, dispone, in linea di principio, che la notificazione debba essere eseguita nel comune di residenza, di dimora o di domicilio, ricercando il destinatario nella casa di abitazione o nel luogo in cui questi espleta la propria attività lavorativa, luoghi che assumono rilievo per la relazione esistente con l’interessato e per la presenza, presso gli stessi luoghi, di soggetti a lui legati da rapporto di convivenza, di dipendenza o di domiciliazione, cui eventualmente consegnare la copia dell’atto da notificare, nella ragionevole certezza che essi provvedano poi alla consegna all’interessato. Ed anche nei casi previsti dagli articoli 143 e 150 cod. proc. civ., in cui la residenza, la dimora o il domicilio risultino sconosciuti ovvero in cui la notifica risulti particolarmente difficile per il rilevante numero dei destinatari o per la difficoltà di identificarli, la legge, al fine di assicurare per quanto possibile che l’interessato venga a conoscenza dell’atto di cui si tratta, pone in rilievo l’elemento costituito dalla relazione che normalmente lega il destinatario ai luoghi in cui vengono eseguite le formalità previste dalle predette norme.

Dai predetti principi, i quali trovano applicazione anche nel caso della notificazione a mezzo del servizio postale, regolata dalla Legge n. 890 del 1982 deriva – rileva la ricorrente – la nullità della notifica eseguita nel luogo di residenza risultante dai registri anagrafici nelle ipotesi in cui l’interessato abbia trasferito altrove la propria residenza, dimora o il domicilio, ovvero nei casi in cui egli non abbia alcuna relazione con il luogo della eseguita notificazione. Si richiama, in proposito, nel ricorso la giurisprudenza di legittimità secondo la quale la residenza risultante dal certificato anagrafico ha valore meramente presuntivo, mentre, ai fini della regolare notificazione, assume rilievo esclusivamente il luogo di effettiva residenza. Nella specie, sia l’atto introduttivo del giudizio di primo grado, sia il decreto impugnato furono notificati in un luogo nel quale l’attuale ricorrente non ha mai abitato, risiedendo la stessa, per ragioni di sicurezza, in altra località, nota esclusivamente al Servizio Centrale di Protezione. In particolare, poi, la notificazione del primo dei due atti è invalida sia perchè eseguita con le modalità previste dalla disposizione di cui alla Legge n. 890 del 1982 articolo 8 comma 3, dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza della Corte costituzionale n. 346 del 1998, per la brevità del termine di giacenza ivi previsto, ritenuta lesiva del diritto di difesa del destinatario della notificazione; sia perchè l’agente postale, nel dare atto, nell’avviso di ricevimento del plico, della mancata consegna dello stesso per temporanea assenza della destinataria, e nell’attestare di avere immesso avviso nella cassetta della corrispondenza dello stabile in indirizzo, avrebbe dovuto, specie in considerazione della particolare natura del sito, costituente sede di un Comando militare, accertare la sussistenza in quel sito della residenza, della dimora o domicilio della destinataria medesima, nonchè l’assenza delle persone abilitate a ricevere il plico, operazioni non eseguite e, comunque, non menzionate nell’avviso di ricevimento. Nè risulta che la Corte abbia in alcun modo tenuto conto della non veridicità delle predette attestazioni, trattandosi di stabile non adibito ad abitazione, ma a caserma dei Carabinieri.

Quanto alla notifica del decreto impugnato, essa sarebbe affetta da una ulteriore ragione di invalidità, da ravvisare nel fatto che il plico risulta consegnato in data 30 dicembre 2002 al delegato del comandante del corpo e reparto – che, tra l’altro, sottoscrisse con firma illeggibile -, circostanza, questa, che avrebbe dovuto indurre l’agente postale a dubitare della regolarità della operazione, eseguita nei confronti di un militare, anzichè della destinataria. Al riguardo, si richiama nel ricorso l’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale, nel caso di assenza del destinatario, la consegna dell’atto al portiere è legittima solo se quegli risieda nello stabile, e non abbia trasferito altrove la propria abitazione, realizzandosi solo in tal caso la condizione prevista dalla Legge n. 890 del 1982articolo 7 comma 3 che richiede che, in assenza di familiari conviventi o di addetti alla casa o al servizio del destinatario, il soggetto che riceve la consegna sia vincolato da un rapporto di lavoro continuativo o sia comunque tenuto alla distribuzione della posta al destinatario. Nella specie, non soltanto non sussiste alcuna relazione tra il luogo della notificazione e la destinataria degli atti da notificare, ma nemmeno risulta ipotizzabile la sussistenza di alcun rapporto che obblighi il ricevente a consegnare la posta all’attuale ricorrente.

6.1. – La doglianza non coglie nel segno.

6.2. – Premesso che questa Corte non può estendere il proprio sindacato ai profili della censura attinenti alla denunciata invalidità della notifica dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, una volta accertata la correttezza, per i motivi esposti al paragrafo 4.2., della decisione della Corte d’appello di non accedere all’esame del merito del reclamo, in quanto assorbito dal rilievo della tardività della sua proposizione, la verifica di legittimità va incentrata sulla notifica del solo decreto impugnato.

6.3. – È sottoposta all’esame della Corte la questione della validità della notifica, eseguita presso la residenza anagrafica del destinatario, di un atto processuale a persona sottoposta allo speciale programma di protezione previsto per i collaboratori di giustizia dalla Legge 15 marzo 1991, n. 82 a cura del competente Servizio Centrale di Protezione del Ministero dell’interno, e, pertanto, dimorante in un luogo da esso solo conosciuto.

Deve, anzitutto, sgomberarsi il campo dall’equivoco in cui incorre la ricorrente – e che ne condiziona la intera prospettazione della censura – nel ritenere che, ai fini della notifica, assuma in ogni caso rilievo il luogo di dimora effettiva del destinatario ove differente da quello di residenza anagrafica. Vero è, invece, che opera, al riguardo, una presunzione – salvo prova contraria – che quest’ultimo coincida con quello dell’effettiva residenza. Quindi l’istante – a meno che non conosca o non sia in grado di conoscere, usando l’ordinaria diligenza, la diversa residenza effettiva del destinatario – è tenuto a provvedere alla notificazione nel luogo della residenza anagrafica di quest’ultimo (v., tra le altre, Cass., sentenze n. 8554 del 1996, n. 10248 del 1991).

Tale assunto non è smentito dall’indirizzo giurisprudenziale richiamato nel ricorso, che effettivamente valorizza la residenza effettiva del destinatario dell’atto quale luogo al quale fare riferimento in tema di notificazioni, avuto riguardo al valore meramente presuntivo delle risultanze anagrafiche (v. Cass., sentenze n. 24852 e n. 24422 del 2006) : invero, queste debbono pur sempre poter essere superate alla stregua di altri elementi idonei ad evidenziare, in concreto, una diversa ubicazione della residenza effettiva del destinatario, presso la quale, pertanto, la notificazione è validamente eseguita.

6.4. – Nella specie, l’elemento che fa – e non può che fare – difetto è proprio la conoscenza del luogo di effettiva residenza della destinataria dell’atto da notificare, tenuto segreto per ragioni di sicurezza. In tale situazione non assume alcuna rilevanza nemmeno la circostanza della conoscenza da parte del notificante, coniuge della persona sottoposta al programma di protezione, della non coincidenza di quella che risultava essere la residenza anagrafica della moglie con il luogo di soggiorno della stessa, atteso che, comunque, lo stesso notificante non aveva, per ovvie ragioni di segretezza, contezza di quest’ultimo.

Nè appare praticabile la soluzione, adombrata dalla ricorrente, di richiedere, nelle ipotesi in esame, la notifica nelle forme di cui all’articolo 143 cod. proc. civ., riservata ai casi di effettiva irreperibilità del destinatario e di esito negativo delle indagini anagrafiche. Del resto, la individuazione, da parte del Servizio centrale di Protezione del Ministero dell’interno, di un indirizzo quale polo fittizio di residenza del collaboratore di giustizia, risponde proprio, in conformità alla filosofia della Legge n. 82 del 1991 alla esigenza di mantenere coperta dal più rigoroso riserbo la località in cui egli vive, allo scopo di proteggerlo, senza, peraltro, impedirgli di coltivare alcun legame con il mondo esterno, e, massimamente, di essere messo al corrente di ogni vicenda che possa riguardarlo.

In tale logica, deve altresì affermarsi l’assimilabilità, nella particolare situazione esaminata, della posizione della persona alla quale, nella specie, il plico fu consegnato, il “delegato del comandante del corpo o reparto, ad uno dei soggetti incaricati della ricezione degli atti, e, perciò, riconoscersi in capo alla stessa una relazione con la persona sottoposta al programma di protezione tale da configurare un obbligo a suo carico di consegna degli atti stessi al destinatario.

Nè rileva, ai fini in esame, il ritardo con il quale, nella particolare contingenza esaminata nella presente sede, la consegna avvenne.

7. – Per le considerazioni fin qui svolte, il ricorso deve essere rigettato. Nella novità della questione trattata si ravvisano giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Dichiara compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità.