Ordinanza 23971/2023
Espropriazione forzata – Prezzo di assegnazione – Determinazione da parte del giudice dell’esecuzione – Necessità – Valore eccedente il credito – Opposizione ex art. 617 cpc
In tema di espropriazione forzata, il prezzo di assegnazione, coincidente con il valore del bene assegnato, e l’eventuale differenza tra questo ed il credito dell’assegnatario, da versare e attribuire al debitore, devono essere sempre stabiliti dal giudice dell’esecuzione nell’ordinanza di assegnazione, anche con implicito rinvio alla stima dell’ufficiale giudiziario in sede di pignoramento, non potendo ammettersi la loro determinazione in un momento successivo da parte del giudice del merito, attesa la natura dell’opposizione ex art. 617 c.p.c., limitata alla sola verifica della legittimità dell’atto o del provvedimento esecutivo impugnato.
Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 07/08/2023, n. 23971 (CED Cassazione 2023)
Art. 617 cpc (Opposizione agli atti esecutivi)
Fatti di causa
(OMISSIS) S.p.A. ha pignorato alcuni macchinari industriali di proprietà della (OMISSIS) S.a.s..
Il giudice dell’esecuzione ha assegnato i beni pignorati alla società creditrice procedente, a totale soddisfazione del credito
dalla stessa fatto valere.
La società debitrice ha proposto opposizione agli atti esecutivi
avverso l’ordinanza di assegnazione, ai sensi dell’art. 617
c.p.c..
L’opposizione è stata rigettata dal Tribunale di Agrigento.
Ricorre (OMISSIS) S.a.s., sulla base di cinque motivi.
Resiste con controricorso (OMISSIS) S.p.A..
È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis.1 c.p.c..
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza decisoria nei
sessanta giorni dalla data della camera di consiglio.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia «Violazione e
falsa applicazione dell’art. 518, comma 1° e comma 7° c.p.c.
dell’art. 530, comma 2°, c.p.c. in relazione all’art. 360, comma
l n.3, c.p.c.».
Con il secondo motivo si denunzia «Violazione e falsa applicazione dell’art. 617 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 1°, n.
3 c.p.c.».
Con il terzo motivo si denunzia «Violazione e falsa applicazione
dell’art. 162 disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1,
n. 3 c.p. c.».
I primi tre motivi del ricorso hanno ad oggetto la statuizione
della sentenza impugnata con la quale è stata affermata la legittimità dell’ordinanza di assegnazione dei beni pignorati pronunciata dal giudice dell’esecuzione. Si tratta di motivi connessi, logicamente e giuridicamente, che possono pertanto essere esaminati congiuntamente.
Essi sono fondati.
1.1 Per quanto emerge dagli atti, il valore dei beni pignorati era
stato stimato, all’atto del pignoramento, in € 500.000,00; tale
valore non era stato oggetto di contestazioni o, comunque, di
correzione da parte del giudice dell’esecuzione, onde lo stesso
(per quanto emerge dalla prospettazione della ricorrente, che
non risulta invero specificamente contestata dalla controricorrente) era stato posto a base dell’assegnazione in favore della
società creditrice.
La società debitrice aveva, comunque, contestato il provvedimento di assegnazione sull’assunto che, essendo il credito fatto
valere dalla stessa società procedente di importo inferiore al
prezzo di assegnazione, avrebbe dovuto essere disposto il versamento della differenza da parte dall’assegnataria affinché tale
differenza le fosse attribuita, ai sensi degli artt. 507 e 162 disp.
att. c.p.c..
1.2 Ai sensi dell’art. 507 c.p.c., in effetti, «l’assegnazione si fa
mediante ordinanza del giudice dell’esecuzione contenente l’indicazione dell’assegnatario, del creditore pignorante, di quelli
intervenuti, del debitore, ed eventualmente del terzo proprietario, del bene assegnato e del prezzo di assegnazione».
Inoltre, ai sensi dell’art. 162 disp. att. c.p.c., «la parte del valore della cosa assegnata che eccede il credito dell’assegnatario
deve essere depositata nelle forme dei depositi giudiziari».
È appena il caso di specificare che il «valore della cosa assegnata» indicato in tale ultima disposizione è costituito dal
«prezzo di assegnazione» che deve essere sempre stabilito dal
giudice dell’esecuzione nell’ordinanza di assegnazione, non potendo, ovviamente, in nessun caso ammettersi che esso sia
eventualmente stabilito in un momento successivo all’assegnazione.
1.3 Il tribunale avrebbe dovuto, quindi, esclusivamente verificare se vi fosse e quale fosse l’eventuale differenza tra il prezzo
di assegnazione determinato dal giudice dell’esecuzione nell’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 507 c.p.c. (eventualmente anche sulla base di implicito rinvio alla stima operata dall’ufficiale
giudiziario in sede di pignoramento, in mancanza di contestazioni ovvero, comunque, di una diversa espressa determinazione di detto prezzo da parte dello stesso giudice dell’esecuzione) e l’importo del credito dell’assegnataria, maggiorato degli accessori e delle spese, anche in tal caso sulla base della
liquidazione necessariamente da operarsi da parte del giudice
dell’esecuzione.
Al contrario, il tribunale ha ritenuto di procedere autonomamente ad una (nuova) stima del valore dei beni pignorati ed
assegnati, nominando addirittura a tal fine un consulente tecnico.
In tal modo ha indebitamente sostituito le proprie valutazioni a
quelle inderogabilmente spettanti al giudice dell’esecuzione in
merito alla determinazione del prezzo di assegnazione e della
eventuale differenza tra questo ed il credito dell’assegnatario
da versare e attribuire al debitore e, quindi, ha violato anche i
limiti della cognizione del giudice del merito in sede di opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell’art. 617 c.p.c., desumibili
dalla natura di tale giudizio, il cui oggetto è costituito dalla sola
verifica della legittimità dell’atto o del provvedimento esecutivo
impugnato, al fine del suo eventuale annullamento, senza alcuna possibilità per il giudice della cognizione di sostituirsi al
giudice dell’esecuzione nella emissione dei provvedimenti che
regolano il processo esecutivo e nelle relative valutazioni, delle
quali può esclusivamente sindacare la conformità a diritto (si
tratta, in sostanza, della cd. natura meramente rescindente
dell’opposizione agli atti esecutivi).
Risultano, pertanto, fondate le censure relative alla violazione
delle disposizioni in materia di assegnazione dei beni mobili pignorati e di quelle che regolano il giudizio di opposizione agli
atti esecutivi e, in particolare, di quelle desumibili dagli artt.
617 e 162 disp. att. c.p.c., per non essersi il tribunale adito
limitato a valutare la legittimità del provvedimento impugnato
(cioè l’ordinanza di assegnazione dei beni pignorati) in relazione
ai profili contestati con l’opposizione della ricorrente, ma essendosi esso invece indebitamente sostituito al giudice dell’esecuzione nella determinazione del prezzo di assegnazione e della
differenza tra quest’ultimo e il credito della società assegnataria.
1.4 I rilievi fin qui effettuati comportano di per sé la necessità
di cassare la sentenza impugnata.
In sede di rinvio, il tribunale dovrà, sulla base dei principi di
diritto già esposti, verificare esclusivamente la legittimità
dell’ordinanza di assegnazione oggetto di opposizione, in relazione alle norme che ne disciplinano il contenuto, valutando se
in essa risulti correttamente indicato il prezzo di assegnazione,
se risulti correttamente liquidato l’importo del credito spettante
all’aggiudicatario per capitale, interessi e spese e, ove necessario, se sia stato regolarmente previsto il versamento della
eventuale differenza da parte dello stesso aggiudicatario.
Dovrà, di conseguenza, confermare il provvedimento opposto,
in caso positivo, e limitarsi, in caso contrario, ad annullarlo, rimettendo al giudice dell’esecuzione le successive determinazioni in ordine all’emissione di una nuova ordinanza di assegnazione conforme a legge ovvero, comunque, in ordine alla liquidazione dei beni pignorati.
2. Con il quarto motivo si denunzia «Violazione e falsa applicazione degli art. 95 e 611 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma
1, n. 3, c.p.c.».
Con il quinto motivo si denunzia «Violazione e falsa applicazione
del DM 55/2014 nella parte che disciplina la liquidazione delle
spese giudiziali in materia di esecuzione mobiliare. Violazione
dell’art. 612 c.p.c., nullità della sentenza per omesso esame
della doglianza in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1°, n. 3
e n. 4, c.p.c.».
Il quarto ed il quinto motivo del ricorso hanno ad oggetto le
spese del processo esecutivo.
Anche questi motivi, connessi e pertanto esaminabili congiuntamente, sono fondati, per quanto di ragione.
Il tribunale, nella sostanza, dopo aver proceduto autonomamente a stabilire l’effettivo valore di mercato dei beni pignorati,
pare avere inteso procedere esso stesso, altresì, alla liquidazione delle spese di esecuzione (almeno in parte), liquidando
(quali “spese successive occorrende”) quelle della procedura di
consegna dei beni assegnati poste in essere dall’aggiudicataria
per ottenerne l’effettiva disponibilità e omettendo, invece, di
decidere in ordine alle contestazioni avanzate con l’opposizione
in relazione alla liquidazione delle spese del processo esecutivo
operata dal giudice dell’esecuzione, ritenendolo superfluo.
In base a quanto già osservato in ordine all’oggetto ed ai limiti
della cognizione del giudice dell’opposizione agli atti esecutivi,
tale modo di procedere non può, peraltro, ritenersi conforme a
diritto.
In sede di rinvio, la questione delle spese di esecuzione dovrà,
quindi, come già precisato in relazione ai primi tre motivi del
ricorso, essere anch’essa nuovamente esaminata, onde stabilire se il giudice dell’esecuzione abbia proceduto correttamente
alla liquidazione (oltre che del capitale e degli interessi, anche)
delle spese spettanti all’assegnataria.
Il giudice del rinvio dovrà pertanto limitarsi, in caso contrario,
ad annullare il relativo provvedimento, rimettendo al giudice
dell’esecuzione l’eventuale nuova liquidazione delle spese di
precetto ed esecuzione, sulla base dell’indicazione delle modalità di corretta applicazione delle norme eventualmente dallo
stesso violate.
3. Il ricorso è accolto, per quanto di ragione e nei limiti di cui
in motivazione.
La sentenza impugnata è cassata in relazione, con rinvio al Tribunale di Agrigento, in persona di diverso magistrato, anche
per le spese del giudizio di legittimità.
La Corte:
– accoglie il ricorso, per quanto di ragione e nei limiti di cui
in motivazione, e cassa per l’effetto la sentenza impugnata in relazione, con rinvio al Tribunale di Agrigento, in
persona di diverso magistrato, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data 8 giugno 2023.