Ordinanza 24050/2022
Accertamento della proprietà e azione di rivendicazione – Differenze
In tema di azioni a difesa della proprietà, tanto nell’azione di accertamento della proprietà, quanto in quella di rivendicazione, l’ampiezza e la rigorosità della prova circa la spettanza del diritto sono identiche, mentre la differenza tra le due figure va vista nel momento finale dell’azione, che in quella di accertamento si esaurisce nella dichiarazione dell’appartenenza del diritto, laddove nella rivendica mira anche al conseguimento del possesso della cosa.
Cassazione Civile, Sezione 2, Ordinanza 3.8.2022, n. 24050 (CED Cassazione 2022)
Art. 948 cc (Azione di rivendicazione) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
La presente lite trae origine dalla sentenza n. 51 del 2006 del Tribunale di Chiavari, che ha accertato, in favore di (OMISSIS), l’acquisto, per usucapione, della proprietà delle particelle 180 e 181 del foglio 75 del Comune di Borzonasca.
Contro tale sentenza è stata proposta opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. da (OMISSIS), (OMISSIS) e altri.
Gli opponenti hanno agito nella veste di proprietari dei terreni identificati con i mappali (OMISSIS), denunciando che la superficie di mq 940, formalmente compresa nella particella (OMISSIS), oggetto della sentenza (emessa in un giudizio al quale non avevano partecipato), è in realtà ricompresa nella particella (OMISSIS), di loro proprietà.
Il giudice di primo grado ha riconosciuto l’ammissibilità dell’opposizione, ha accertato l’errore nella indicazione del confine catastale in conformità a quanto lamentato dagli opponenti, ma ha accolto la domanda riconvenzionale del convenuto, il quale aveva chiesto dichiararsi l’acquisto per usucapione della superficie contesa.
La Corte d’Appello, adita dagli opponenti e investita con appello incidentale dal convenuto, vittorioso sulla domanda di usucapione, ha condiviso la valutazione del primo giudice quanto all’ammissibilità dell’opposizione e alla sussistenza dell’errore nella indicazione del confine catastale.
Essa ha poi riformato la decisione nella parte in cui era stata accolta la domanda riconvenzionale del convenuto. Sulla base delle deposizioni dei testi, ha negato il compimento dell’usucapione, accertando che gli opponenti erano proprietari della porzione in contesa, che solo per errore è ricompresa nell’ambito dei confini della particella (OMISSIS).
Nel giudizio di merito furono proposte anche altre domande, che hanno avuto esito diverso in primo grado e in appello, che non interessano il presente giudizio di cassazione, il cui oggetto è ristretto solo alla questione sopra indicata.
Per la cassazione della sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso affidato a quattro motivi.
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno resistito con controricorso.
Gli altri destinatari della notificazione del ricorso sono rimasti intimati.
Sono pervenute memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1 Col primo motivo si deduce violazione degli artt. 404 e 112 c.p.c., nonchè omesso esame di fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) assumendosi che l’opposizione di terzo non era ammissibile, perchè gli opponenti sono aventi causa di uno di coloro nei cui confronti fu pronunciata la sentenza di usucapione.
1.2 Col secondo motivo, denunziandosi violazione degli artt. 2697 e 948 c.c., art. 115 c.p.c., nonchè omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, si deduce che gli opponenti, gravati dall’onere della probatio diabolica imposto a chi agisce in rivendicazione, non avevano assolto tale onere, non attenuato dalla proposizione della domanda riconvenzionale di usucapione.
1.3 Col terzo motivo i ricorrenti denunziano violazione degli artt. 2697 e 948 c.c., art. 115 c.p.c. nonchè omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, rilevando che gli esiti della prova testimoniale confermavano il possesso del convenuto, attuale ricorrente. Il fatto che il teste (OMISSIS) fosse stato sentito solo nella fase cautelare del giudizio possessorio non inficiava il valore probatorio della deposizione.
1.4 Col quarto motivo si denunzia, infine, violazione dell’art. 2697 c.c., artt. 115, 112 e 196 c.p.c. nonchè omesso esame di fatto decisivo, assumendosi che la Corte d’Appello, tenuto conto delle puntuali critiche mosse dall’attuale ricorrente alla consulenza tecnica, avrebbe dovuto disporne la rinnovazione.
2.1 Il primo motivo è inammissibile.
Si assume che gli opponenti sono aventi causa di uno dei soggetti nei cui confronti è stata pronunciata la sentenza di usucapione. Si invoca, quindi, il principio secondo il quale gli aventi causa sono legittimati a proporre solo l’opposizione di terzo revocatoria, ai sensi dell’art. 404 c.p.c., comma 2, non l’opposizione ordinaria ai sensi del comma 1 della norma. Il principio, effettivamente conforme alla giurisprudenza della Corte (Cass. n. 1775/1994; n. 23289/2007), è richiamato però del tutto genericamente, in quanto non si chiarisce nei confronti di chi fu pronunciata la sentenza di usucapione.
L’equivocità del ricorso sul punto, giustamente fatta rilevare dai controricorrenti, è stata perpetuata con la memoria, con la quale è identificato il dante causa degli opponenti in (OMISSIS). Tuttavia, anche in questa sede, continua a non chiarirsi se la sentenza di acquisto per usucapione, con specifico riferimento alla particella (OMISSIS), fu pronunciata nei confronti del suddetto dante causa. Si deve aggiungere, per completezza di esame, che i controricorrenti hanno replicato nella memoria che (OMISSIS) è deceduto nel 1989, mentre il giudizio di usucapione, concluso con sentenza 51/2006 del Tribunale di Chiavari, è stato iniziato (OMISSIS) nel 2005.
2.2 Il secondo e il terzo motivo, da esaminare congiuntamente per la stretta connessione, sono infondati.
Tanto nell’azione di accertamento della proprietà, quanto in quella di rivendicazione l’ampiezza e la rigorosità della prova circa la spettanza del diritto sono identiche, mentre la differenza tra le due figure va vista nel momento finale dell’azione, che in quella di accertamento si esaurisce nella dichiarazione dell’appartenenza del diritto, laddove nella rivendica mira anche al conseguimento del possesso della cosa (Cass. n. 1481/1973). Colui il quale agisca per ottenere il mero accertamento della proprietà o comproprietà di un bene, anche unicamente per eliminare uno stato di incertezza circa la legittimità del potere di fatto esercitato sullo stesso, è tenuto, al pari che per l’azione di rivendicazione ex art. 948 c.c., alla probatio diabolica della titolarità del proprio diritto, trattandosi di onere da assolvere ogni volta che sia proposta un’azione, inclusa quella di accertamento, che fonda sul diritto di proprietà tutelato erga omnes (Cass. n. 1210/2017). A tal fine la prova può esser data con qualsiasi mezzo, non necessariamente documentale, anche a mezzo di consulente tecnico (purchè, in tal caso, il convincimento del giudice si ponga come conseguenza univoca e necessaria dei fatti emersi dall’indagine tecnica), o attraverso le risultanze dei registri catastali (purchè utilizzati con rigore logico di ragionamento e convalidati da altri elementi di causa: v. Cass. n. 1650/1994).
Questa Corte ha recentemente chiarito che “essendo l’usucapione un titolo d’acquisto a carattere originario, la sua invocazione, in termini di domanda o di eccezione, da parte del convenuto con l’azione di rivendicazione, non suppone, di per sè, alcun riconoscimento idoneo ad attenuare il rigore dell’onere probatorio a carico del rivendicante, il quale, anche in caso di mancato raggiungimento della prova dell’usucapione, non è esonerato dal dover provare il proprio diritto, risalendo, se del caso, attraverso i propri danti causa fino ad un acquisto a titolo originario o dimostrando che egli stesso o alcuno dei suoi danti causa abbia posseduto il bene per il tempo necessario ad usucapirlo. Il rigore probatorio rimane, tuttavia, attenuato quando il convenuto, nell’opporre l’usucapione, abbia riconosciuto, seppure implicitamente, o comunque non abbia specificamente contestato, l’appartenenza del bene al rivendicante o ad uno dei suoi danti causa all’epoca in cui assume di avere iniziato a possedere. Per contro, la mera deduzione, da parte del convenuto, di un acquisto per usucapione il cui dies a quo sia successivo al titolo del rivendicante o di uno dei suoi danti causa, disgiunta dal riconoscimento o dalla mancata contestazione della precedente appartenenza, non comporta alcuna attenuazione del rigore probatorio a carico dell’attore, che a maggior ragione rimane invariato qualora il convenuto si dichiari proprietario per usucapione in forza di un possesso remoto rispetto ai titoli vantati dall’attore” (Cass. n. 28865/2021). La decisione impugnata è in linea con questi principi. La Corte d’Appello non ha accolto la domanda di rivendicazione (o di accertamento della proprietà) in conseguenza del rigetto della domanda di usucapione, proposta dal convenuto, ma ha positivamente accertato, sulla base delle deposizioni testimoniali e di circostanze che emergevano dalla consulenza tecnica, la proprietà degli opponenti della superficie in contestazione.
I rilievi, ancora proposti dal ricorrente con la memoria, sulla natura dell’azione e sul regime probatorio, non si confrontano con il complessivo contenuto della decisione, nel cui ambito si esprime con chiarezza il convincimento giudiziale sul fatto che gli opponenti hanno fornito la prova del dominio sulla particella (OMISSIS) nella sua dimensione effettiva: possesso risalente nel tempo al dante causa degli attori opponenti e con atti di esercizio del possesso, attuati dai medesimi opponenti, anche dopo il 1983 (data identificata quale inizio del possesso da parte del convenuto).
Le dichiarazioni del teste (OMISSIS), seppure la Corte abbia dubitato della possibilità di considerare tale soggetto alla stregua di un vero e proprio testimone, sono state valutate, rendendo quindi il “dubbio”, oggetto di censura con il terzo motivo, un rilievo privo di incidenza sul decisum.
Consegue dalla considerazione del contenuto complessivo della decisione che il ricorrente, sotto la veste della denuncia di violazione di legge o di omesso esame di un fatto, mira in realtà a una ricostruzione dei fatti diversa da quella fatta propria dal giudice di merito. Ciò in cassazione non è consentito (Cass., S.U., n. 34476/2019).
2.3 Infondato è anche il quarto motivo.
In tema di consulenza tecnica d’ufficio, rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di disporre indagini tecniche suppletive o integrative, di sentire a chiarimenti il consulente sulla relazione già depositata ovvero di rinnovare, in parte o in toto, le indagini, sostituendo l’ausiliare del giudice. L’esercizio di tale potere non è sindacabile in sede di legittimità, ove ne sia data adeguata motivazione, immune da vizi logici e giuridici; peraltro, il provvedimento con cui il giudice dispone la rinnovazione delle indagini non priva di efficacia l’attività espletata dal consulente sostituito (Cass. n. 2103/2019). è stato anche chiarito che il giudice, se non ha l’obbligo di motivare il diniego, che può essere anche implicito, è tenuto a rispondere alle censure tecnico-valutative mosse dall’appellante avverso le valutazioni di ugual natura contenute nella sentenza impugnata, sicchè l’omesso espresso rigetto dell’istanza di rinnovazione non integra un vizio di omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c., ma, eventualmente, un vizio di motivazione in ordine alle ragioni addotte per rigettare le censure tecniche alla sentenza impugnata (Cass. n. 26709/2020).
In rapporto a tali principi, la decisione è esente dalle censure mosse dal ricorrente, il quale si limita a ripercorrere il contenuto della consulenza tecnica, denunciando supposti errori metodologici e di valutazione che ne inficerebbero, a suo dire, gli esiti. In questo senso la censura finisce così per caratterizzarsi quale espressione di puro dissenso rispetto alle conclusioni del consulente tecnico, motivatamente recepite dalla Corte d’Appello, che ha dato congrua e adeguata spiegazione anche del perchè ha ritenuto di non dar seguito all’istanza dell’attuale ricorrente di disporre la rinnovazione della consulenza tecnica.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con addebito di spese.
Ci sono le condizioni per dare atto ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 maggio 2022.