Sentenza 24058/2022
Condominio negli edifici – Esecuzione di lavori su parti comuni – Danni lamentati da un singolo condomino – Titolarità dal lato passivo dell’obbligazione risarcitoria
In tema di risarcimento danni per l’esecuzione di lavori su parti comuni di un edificio condominiale, poiché il condominio è un ente di gestione privo di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini, il condòmino che ritenga di essere stato danneggiato da un’omessa vigilanza da parte del condominio nell’esecuzione dei lavori dovrà rivolgere la propria pretesa risarcitoria nei confronti dell’amministratore, in qualità di rappresentante del condominio, il quale, a sua volta, valuterà se agire in rivalsa contro l’amministratore stesso.
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 3-8-2022, n. 24058 (CED Cassazione 2022)
Art. 2051 cc (Danno cagionato da cosa in custodia) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
1.- (OMISSIS), in qualità di proprietario di un appartamento sito nell’edificio condominiale in (OMISSIS), e il Condominio (OMISSIS) convenivano, davanti al Tribunale di Roma, il contiguo Condominio (OMISSIS) nonchè (OMISSIS) e (OMISSIS), questi ultimi nella qualità di ex amministratori dei due Condomini, chiedendo che, accertato l’inadempimento di detti amministratori in ordine all’arbitrario comportamento tenuto in spregio al deliberato assembleare e contro la volontà dei condomini dei due Condomini, essi venissero condannati al risarcimento dei danni e il Condominio ad eseguire le opere di adeguamento del cortile comune e dei cancelli di ingresso, conformemente a quanto deliberato nelle assemblee del 15 dicembre 2000 e del 19 aprile 2001, nonchè ad ottemperare al regolamento del parcheggio e al verbale di conciliazione, sanzionando i comportamenti dei condomini che avessero violato quanto approvato.
Al riguardo, gli attori esponevano: che, fra i due Condomini, con verbale di conciliazione giudiziale sottoscritto il 19 dicembre 2000, dinanzi al Giudice di Pace di Roma, era stato raggiunto un accordo, a transazione di una controversia da esso (OMISSIS) instaurata nei confronti dei due Condomini, volta ad ottenere la regolamentazione del parcheggio e della sosta nei cortili interni ai due edifici; che dopo detto accordo l’assemblea straordinaria congiunta del 19 aprile 2001 aveva deliberato in ordine al posizionamento dei posti auto sulla rampa nel cortile grande, all’installazione dei cancelli elettrici, al rifacimento del manto di asfalto dei due cortili, alla riparazione del muro confinante, alla tinteggiatura di strisce di delimitazione dei posti auto, dando mandato ai due amministratori di fare eseguire i lavori approvati; che era stato successivamente constatato che le opere erano state eseguite in modo incompleto e in totale difformità rispetto a quelle deliberate; che il Condominio (OMISSIS) e i due amministratori personalmente dovevano ritenersi responsabili per il mancato rispetto dell’accordo raggiunto, per la difforme esecuzione delle opere rispetto ai progetti recepiti nel deliberato assembleare del 15 dicembre 2000 e per aver consentito il parcheggio delle autovetture al di fuori degli spazi riservati.
Il Condominio (OMISSIS) si costituiva in giudizio e resisteva alla domanda avversaria, eccependo l’improponibilità dell’azione, perchè non preventivamente autorizzata dall’assemblea, l’esistenza di un conflitto di interessi tra il Condominio (OMISSIS) e il (OMISSIS) e l’infondatezza, nel merito, di detta azione, atteso che i due Condomini avevano affidato congiuntamente l’esecuzione delle opere deliberate alla ditta (OMISSIS) S.r.l., che le aveva regolarmente eseguite, tanto che il Condominio (OMISSIS) non aveva mai avanzato alcuna contestazione alla ditta appaltatrice. Spiegava, altresì, domanda riconvenzionale, affinchè, nel caso di accertato inadempimento ascrivibile ad entrambi i Condomini, gli stessi venissero condannati, in solido, ad eseguire i lavori nel rispetto di quanto deliberato.
Si costituivano separatamente (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali contestavano qualsivoglia responsabilità in proprio, eccependo, il primo, l’improcedibilità della domanda del Condominio per mancanza della delibera autorizzativa e, nel merito, di non aver in alcun modo mutato le modalità di esecuzione dei lavori e sostenendo, il secondo, che eventuali piccole difformità rispetto al progetto iniziale erano state determinate da necessità di carattere tecnico e pratico, evidenziate dall’impresa nel corso dell’esecuzione delle opere.
Nel corso del giudizio il Condominio (OMISSIS) rinunciava formalmente agli atti del giudizio e il Condominio (OMISSIS) accettava la rinuncia, rinunciando, a sua volta, ad ogni domanda ed eccezione nei confronti del predetto. Anche i convenuti (OMISSIS) e (OMISSIS) accettavano la rinuncia effettuata dal Condominio attore.
Era poi disposta l’assunzione della prova per interpello e della prova testimoniale.
2.- Il Tribunale adito, con la sentenza n. 6704/2009, depositata il 23 marzo 2009: dichiarava l’estinzione del giudizio fra il Condominio (OMISSIS) e il Condominio (OMISSIS), in relazione alle domande reciprocamente proposte; dichiarava cessata la materia del contendere in ordine alla domanda proposta dal Condominio (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS); rigettava le domande promosse da (OMISSIS) nei confronti del Condominio (OMISSIS) e dei due ex amministratori in proprio; compensava interamente tra le parti le spese processuali.
3.- Sul gravame interposto da (OMISSIS), cui resistevano il Condominio (OMISSIS) e (OMISSIS), la Corte d’appello di Roma, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava l’appello e confermava la sentenza impugnata, condannando l’appellante alla refusione delle spese di entrambi i gradi del giudizio in favore degli appellati.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava: a) che l’attore, nell’atto introduttivo del giudizio di prime cure, aveva chiesto unicamente l’emissione di una pronuncia di condanna al risarcimento dei danni, nei confronti degli ex amministratori, per aver realizzato i lavori in maniera difforme rispetto a quanto deliberato dall’assemblea congiunta, avendo chiesto solo con la memoria depositata ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1, la condanna degli ex amministratori al risarcimento dei danni per come sarebbero emersi in corso di causa o da accertarsi in separato giudizio; b) che non era consentita la proposizione, oltre che di una domanda principale estesa sia all’an che al quantum, anche di una domanda subordinata limitata alla condanna generica, in quanto il rigetto della domanda principale avrebbe determinato l’improponibilità della domanda subordinata, essendo precluso, per il principio del ne bis in idem, che in un successivo giudizio potesse essere ripetuto il già effettuato accertamento sul quantum; c) che, ad ogni modo, ai fini della condanna generica al risarcimento dei danni, non era sufficiente accertare l’illegittimità della condotta, ma occorreva anche accertarne, sia pure con modalità sommaria e valutazione probabilistica, la portata dannosa, senza la quale il diritto al risarcimento non avrebbe potuto essere configurato, e ciò perchè, nel caso di condanna generica, ciò che era rinviato al separato giudizio era soltanto l’accertamento in concreto del danno nella sua determinazione quantitativa, mentre l’esistenza del fatto illecito e della sua potenzialità dannosa doveva essere accertata nel giudizio relativo all’an debeatur e di essi doveva essere data la prova, sia pure sommaria e generica; d) che, in applicazione di tali principi, la sentenza impugnata doveva essere pienamente condivisa, nella parte in cui, non avendo ritenuto provata e neppure dedotta l’esistenza potenziale di un danno, aveva respinto la domanda principale, senza procedere all’esame della domanda subordinata di condanna generica; e) che, contrariamente all’assunto dell’esponente, nel corso del giudizio, non erano stati accertati nè il fatto potenzialmente dannoso nè il nesso causale tra il fatto stesso e il pregiudizio, e tanto perchè, pur essendo stato provato che nella Delib. assembleare congiunta del 15 dicembre 2000, era stato approvato il regolamento per il parcheggio delle autovetture nei cortili comuni e che tale documento era stato successivamente recepito nell’accordo transattivo raggiunto tra i due Condomini e il (OMISSIS) dinanzi al Giudice di Pace, nonchè che nell’assemblea straordinaria congiunta del 19 aprile 2001 erano stati approvati: 1. il riposizionamento dei posti auto sulla rampa nel cortile grande, con rigetto della proposta di posizionare i posti auto sul lato destro della rampa accostati alla facciata, 2. l’installazione dei cancelli elettrici con telecomando e chiavi, 3. il rifacimento del manto dell’asfalto nei cortili, 4. la riparazione del muro confinante, 5. la tinteggiatura delle strisce relative ai posti auto assegnati, tuttavia, non era stata dimostrata, con la necessaria certezza, l’esistenza di un comportamento illegittimo ed arbitrario dei due amministratori nel dare attuazione ai deliberati assembleari; f) che anzitutto dai documenti depositati in atti non emergeva con la dovuta certezza quali fossero le opere deliberate, quali quelle appaltate alla ditta e quali quelle realizzate, non essendo stata depositata alcuna planimetria o relazione tecnica di parte, dalla quale potesse desumersi con certezza la situazione dei luoghi successivamente all’esecuzione dei lavori appaltati; g) che dalle deposizioni testimoniali rese da (OMISSIS), quale esecutore del progetto, appariva inconfutabile che il progetto elaborato costituisse un progetto di massima e non un progetto esecutivo, atteso che occorreva valutare in loco l’esatta ampiezza dei posti auto, sulla base degli spazi effettivamente disponibili, dovendo, pertanto, ritenersi che il progetto fosse solo indicativo e non vincolante per chi doveva eseguirne la realizzazione; h) che, quindi, appariva del tutto legittimo che, nel corso dei lavori, fossero state realizzate opere parzialmente difformi rispetto al progetto iniziale – ossia lo spostamento del cancello pedonale e il posizionamento di parcheggi sul lato destro della rampa -, in quanto decise in sede di esecuzione su parere del tecnico di fiducia dei due enti di gestione e del tecnico dell’impresa appaltatrice nonchè adottate anche per motivi di sicurezza; i) che, non avendo potuto esaminare dettagliatamente i lavori commissionati all’impresa appaltatrice, non era possibile stabilire se la responsabilità per le eventuali difformità rispetto al progetto iniziale – oltre le marginali variazioni resesi necessarie in corso d’opera – fossero attribuibili agli amministratori dell’epoca, incaricati dall’assemblea congiunta dei condomini di controllare l’esatta esecuzione delle opere, ovvero all’impresa appaltatrice nella realizzazione delle stesse; l) che, per effetto dei rilievi svolti, non poteva ritenersi che i due amministratori non avessero ottemperato o dato esecuzione ai deliberati assembleari, per cui non era dimostrata la sussistenza di una responsabilità degli stessi con riferimento a un generico danno subito dal (OMISSIS); m) che, per quanto anzidetto, non poteva reputarsi provata neppure la responsabilità del Condominio (OMISSIS), che peraltro risultava aver agito unitamente e congiuntamente con il Condominio (OMISSIS), sia nel commissionare le opere che nell’eseguire la verifica e i controlli circa la piena e conforme realizzazione delle stesse, tanto più che, come era emerso dagli atti, i due Condomini avevano incaricato un tecnico l’ingegner (OMISSIS) – quale direttore dei lavori, con l’effetto che era precipuo onere di quest’ultimo verificare la conformità dei lavori eseguiti rispetto al progetto redatto e a quanto appaltato; n) che doveva conseguentemente ritenersi assorbita la censura con la quale l’appellante lamentava che il Giudice di prime cure non avesse attribuito alcuna responsabilità personale agli amministratori e al Condominio (OMISSIS) e avesse omesso di pronunciarsi circa il mancato sanzionamento dei contravventori del regolamento; o) che era inconferente la doglianza inerente all’omessa pronuncia in ordine al mancato sanzionamento delle condotte dei condomini o dei terzi contrarie al regolamento, atteso che, non essendo stata dimostrata l’esistenza di specifiche condotte contrarie a quanto stabilito nel regolamento medesimo, la domanda non poteva comunque essere accolta, in quanto non poteva essere imputata al Condominio (OMISSIS) alcuna responsabilità per il mancato rispetto delle norme regolamentari con riferimento all’utilizzo del parcheggio.
4.- Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, articolato in sette motivi, (OMISSIS). Ha resistito con controricorso l’intimato Condominio (OMISSIS). Sono rimasti intimati (OMISSIS) e (OMISSIS).
5.- Il Pubblico Ministero ha formulato per iscritto le sue conclusioni, come riportate in epigrafe.
6.- Il ricorrente ha presentato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte di merito ritenuto che l’attore avesse proposto, nel giudizio di prime cure, una domanda subordinata di condanna generica rispetto all’iniziale domanda di condanna specifica, mentre in realtà tale domanda era stata proposta in via alternativa, come si sarebbe desunto dal confronto testuale delle conclusioni formulate dal (OMISSIS) nell’atto di citazione e nella memoria integrativa depositata ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1.
In particolare, l’istante obietta che, una volta proposta una domanda di condanna specifica, l’attore avrebbe potuto esprimere l’intenzione, in via alternativa, di limitare tale domanda alla sola condanna generica nel caso di impossibile o difficile quantificazione del danno.
2.- Attraverso il secondo motivo, il ricorrente censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 278 c.p.c., art. 115 c.p.c. e art. 1137 c.c., per avere la Corte territoriale giudicato sulla sola domanda di condanna specifica e non sull’alternativa domanda di condanna generica, valutando le risultanze istruttorie sulla sussistenza della condotta illecita e del fatto dannoso in funzione della domanda di condanna specifica, e non già della seconda domanda, per la quale sarebbe stata ammessa, invece, una prova anche sommaria e generica.
Secondo il ricorrente, la mancata esecuzione delle delibere condominiali e del verbale di conciliazione avrebbe costituito un fatto di per sè potenzialmente dannoso, idoneo a legittimare la pronuncia di una condanna generica, anche alla stregua dell’effettiva esistenza del pregiudizio in concreto risentito, intrinseco alla realizzazione dei lavori in difformità, mentre erroneamente sarebbe stata esclusa la sussistenza della prova del fatto potenzialmente produttivo di danno.
2.1.- I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente, poichè avvinti da evidenti ragioni di connessione, attenendo entrambi alla contestata reiezione della domanda di condanna generica.
Essi sono destituiti di fondamento.
Si premette che il condomino ha agito contro gli ex amministratori per far valere la loro responsabilità nella corretta esecuzione del deliberato relativo alla regolamentazione di un cortile comune a due edifici condominiali attigui, destinato a parcheggio.
Senonchè, in tema di risarcimento danni per l’esecuzione di lavori su parti comuni di un edificio condominiale, poichè il condominio è un ente di gestione privo di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini, il condomino che ritenga di essere stato danneggiato da un’omessa vigilanza da parte del condominio nell’esecuzione dei lavori dovrà rivolgere la propria pretesa risarcitoria nei confronti dell’amministratore, in qualità di rappresentante del condominio, il quale, a sua volta, valuterà se agire in rivalsa contro l’amministratore stesso (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 20322 del 16/07/2021; Sez. 3, Sentenza n. 20557 del 30/09/2014).
Nondimeno, secondo le regole generali in tema di tutela risarcitoria, l’accoglimento di tale pretesa postula la dimostrazione del danno-evento e del suo nesso eziologico con la condotta adottata.
2.2.- Tanto premesso, la condanna degli ex amministratori al risarcimento dei danni, per come sarebbero emersi in corso di causa o da accertarsi in separato giudizio, è stata disattesa nel merito sulla scorta del riferimento al principio nomofilattico secondo cui, ai fini della condanna generica al risarcimento dei danni, non è sufficiente accertare l’illegittimità della condotta, ma occorre anche accertarne, sia pure con modalità sommaria e valutazione probabilistica, la portata dannosa, senza la quale il diritto al risarcimento non può essere configurato. E ciò perchè, nel caso di condanna generica, ciò che è rinviato al separato giudizio è soltanto l’accertamento in concreto del danno nella sua determinazione quantitativa, mentre l’esistenza del fatto illecito e della sua potenzialità dannosa deve essere accertata nel giudizio relativo all’an debeatur e di essi deve essere data la prova, sia pure sommaria e generica (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21326 del 29/08/2018; Sez. 2, Ordinanza n. 6235 del 14/03/2018; Sez. L, Sentenza n. 1631 del 22/01/2009).
Ebbene, la Corte distrettuale, facendo applicazione di tale principio, ha osservato che la sentenza impugnata doveva essere pienamente condivisa, nella parte in cui, non avendo ritenuto provata e neppure dedotta l’esistenza potenziale di un danno, aveva respinto la domanda principale, senza procedere all’esame della domanda “subordinata” di condanna generica.
Secondo la Corte di merito, contrariamente all’assunto dell’esponente, nel corso del giudizio, non erano stati accertati nè il fatto potenzialmente dannoso nè il nesso causale tra il fatto stesso e il pregiudizio.
Infatti, non era stata dimostrata, con la necessaria certezza, l’esistenza di un comportamento illegittimo ed arbitrario dei due amministratori nel dare attuazione ai deliberati assembleari.
E tanto benchè fosse stato provato che nella Delib. assembleare congiunta del 15 dicembre 2000, era stato approvato il regolamento per il parcheggio delle autovetture nei cortili comuni e che tale documento era stato successivamente recepito nell’accordo transattivo raggiunto tra i due Condomini e il (OMISSIS) dinanzi al Giudice di Pace.
Neanche la circostanza che nell’assemblea straordinaria congiunta del 19 aprile 2001 erano stati approvati: il riposizionamento dei posti auto sulla rampa nel cortile grande, con rigetto della proposta di posizionare i posti auto sul lato destro della rampa accostati alla facciata; l’installazione dei cancelli elettrici con telecomando e chiavi; il rifacimento del manto dell’asfalto nei cortili; la riparazione del muro confinante; la tinteggiatura delle strisce relative ai posti auto assegnati; rappresentava in sè una prova dell’inottemperanza degli ex amministratori agli obblighi di attuazione e vigilanza, nè dava contezza del fatto che l’altro Condominio avesse disposto la realizzazione di lavori eterogenei.
Sicchè la domanda di condanna generica è stata esaminata nel merito e respinta per difetto di alcuna dimostrazione sull’integrazione di un nocumento arrecato nella sfera patrimoniale del condomino agente e del nesso causale tra i comportamenti posti in essere dagli ex amministratori e dal Condominio (OMISSIS) e l’ipotetico pregiudizio subito, carenza probatoria, questa, che non poteva legittimare neanche l’accoglimento della invocata condanna generica.
Questa ricostruzione dei fatti, attenendo al pianto valutativo ed essendo supportata da congrue e logiche argomentazioni, non può essere sindacata in sede di legittimità.
3.- Con il terzo motivo il ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 232 c.p.c., per non avere la Corte di merito tenuto conto della mancata risposta al deferito interrogatorio formale da parte dell’amministratore del Condominio (OMISSIS), della reticente risposta all’interrogatorio formale da parte di entrambi gli ex amministratori (OMISSIS) e (OMISSIS) e delle ammissioni provenienti da quest’ultimo.
Senonchè, ad avviso dell’istante, la mancata risposta all’interrogatorio formale avrebbe costituito un comportamento processuale qualificato che, nel quadro degli altri elementi probatori acquisiti, avrebbe fornito elementi di valutazione idonei ad integrare il convincimento del Giudice sulle circostanze articolate nei singoli capitoli di prova.
Sostiene, ancora, che alla mancata risposta alla deferita prova per interpello avrebbe dovuto essere equiparata la risposta reticente.
Quindi, afferma che l’amministratore (OMISSIS) avrebbe dichiarato di non aver sanzionato nessuno, con l’unica conseguenza logica che poteva trarsene circa la prova del suo inadempimento all’obbligo di sanzionare gli inadempimenti dei condomini e dei terzi per parcheggi non consentiti.
4.- Mediante il quarto motivo, il ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, per avere la Corte d’appello erroneamente ritenuto che dai documenti depositati in atti non emergesse con la dovuta certezza quali fossero le opere deliberate, quelle appaltate e quelle realizzate, mentre tali risultanze sarebbero emerse pacificamente dai documenti allegati al fascicolo di primo grado di parte attrice.
Per l’effetto, il ricorrente deduce che, ove fosse stata data corretta lettura ai documenti di cui agli allegati, nell’ordine, nn. 19, 18 e 20, sarebbe stato possibile rinvenire sia il capitolato d’appalto che il disegno allegato, erroneamente ritenuti non presenti in atti.
5.- Il quinto motivo afferisce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, alla violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 2, per avere la Corte distrettuale valutato erroneamente una pluralità di risultanze istruttorie e segnatamente le deposizioni dei due testi escussi (OMISSIS) e (OMISSIS), da cui sarebbe emerso che gli ex amministratori avevano impartito direttive fuorvianti all’impresa appaltatrice, senza il supporto di alcuna autorizzazione assembleare e in spregio alla Delib. delle assemblee del 15 dicembre 2000, del 19 marzo 2001 e del 19 aprile 2001.
Espone, in proposito, l’istante che dal contenuto delle testimonianze, unitamente al contenuto dell’ammissione resa dall’ex amministratore del Condominio (OMISSIS), in sede di interrogatorio formale, sarebbe emerso l’uso a dir poco anarchico del parcheggio condominiale.
6.- Con il sesto motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1703 c.c. e segg., per avere la Corte di merito escluso che i due ex amministratori avessero violato le norme sul mandato, pur essendo mandatari delle rispettive assemblee per il corretto adempimento del deliberato assembleare, oltre che del verbale di conciliazione giudiziale innanzi al Giudice di Pace di Roma.
In specie, ad avviso dell’istante, gli ex amministratori non avrebbero reso noto al mandante – ovvero alle rispettive assemblee – le circostanze sopravvenute dedotte ovvero le ritenute esigenze di sicurezza e di carattere tecnico-realizzativo che avrebbero determinato le difformità rispetto al progetto originario.
Conseguentemente, in applicazione delle norme sul mandato, tali amministratori non sarebbero stati esenti da responsabilità nemmeno nel caso in cui le modifiche apportate fossero state – come ha ritenuto la Corte d’appello – decise in sede di esecuzione su parere del tecnico di fiducia dei due enti di gestione ingegner (OMISSIS) e del tecnico dell’impresa appaltatrice.
Inoltre, l’ex amministratore del Condominio (OMISSIS) si sarebbe reso responsabile rispetto al mandato ricevuto per non aver mai sanzionato l’uso dell’area di parcheggio senza regole e senza controllo, come era stato ammesso dallo stesso amministratore in sede di deferimento dell’interrogatorio formale.
6.1.- I motivi dal terzo al sesto possono essere esaminati congiuntamente, attesa la loro evidente connessione, attingendo, in termini confutativi, il profilo della valutazione della prova.
Essi devono essere disattesi.
6.2.- In primis, con riferimento alla mancata comparizione in sede di interrogatorio formale, l’art. 232 c.p.c., non ricollega automaticamente alla mancata risposta all’interrogatorio, per quanto ingiustificata, l’effetto della confessione, ma dà solo la facoltà al giudice di ritenere come ammessi i fatti dedotti con tale mezzo istruttorio, imponendogli, però, nel contempo, di valutare ogni altro elemento di prova (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 41643 del 27/12/2021; Sez. 6-2, Ordinanza n. 9436 del 18/04/2018; Sez. 1, Sentenza n. 17719 del 06/08/2014).
In ordine alle riposte rese, si rileva che, in assenza di confessione, l’efficacia probatoria delle dichiarazioni rese dalla parte in sede di interrogatorio formale è soggetta al libero apprezzamento del giudice, il quale ben può ponderarne la consistenza alla luce e nel necessario coordinamento con altri elementi del complesso probatorio (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 30529 del 19/12/2017; Sez. 3, Sentenza n. 10494 del 08/05/2006).
Senonchè la sentenza ha compiuto una valutazione complessiva e sintetica dei vari elementi di prova acquisiti, anche rispetto alla direzione logico-inferenziale prefigurata dalla mancata risposta dell’amministratore del Condominio (OMISSIS) e dalle risposte fornite dagli ex amministratori, escludendo che fosse emersa alcuna circostanza significativa in ordine alla mancata esecuzione dei deliberati assembleari.
Nè è stato attribuito valore confessorio alle dichiarazioni rese dall’ex amministratore (OMISSIS), atteso che il riconoscimento del fatto di non aver sanzionato alcuna condotta violativa delle prescrizioni sui parcheggi è stato ricondotto al mancato rilievo di siffatti contegni lesivi.
6.3.- Quanto alla ponderazione delle altre prove – e segnatamente dei documenti prodotti e delle testimonianze assunte -, si evidenzia che, in tema di ricorso per cassazione, esula dal vizio di legittimità qualsiasi contestazione volta a criticare il “convincimento” che il giudice di merito si è formato, ex art. 116 c.p.c., commi 1 e 2, in esito all’esame del materiale probatorio e al conseguente giudizio di prevalenza degli elementi di fatto, operato mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, essendo esclusa, in ogni caso, una nuova rivalutazione dei fatti da parte della Corte di legittimità (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15276 del 01/06/2021; Sez. 6-5, Ordinanza n. 11863 del 15/05/2018).
Ed invero, in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6774 del 01/03/2022; Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020; Sez. 6-1, Ordinanza n. 1229 del 17/01/2019).
In specie, la Corte territoriale ha sostenuto che, dalle deposizioni testimoniali rese da (OMISSIS), quale esecutore del progetto, era emerso che il progetto elaborato costituiva un progetto di massima e non un progetto esecutivo, atteso che occorreva valutare in loco l’esatta ampiezza dei posti auto, sulla base degli spazi effettivamente disponibili, dovendo, pertanto, ritenersi che il progetto fosse solo indicativo e non vincolante per chi doveva eseguirne la realizzazione. Con la conseguenza che era del tutto legittimo che, nel corso dei lavori, fossero state realizzate opere parzialmente difformi rispetto al progetto iniziale – ossia lo spostamento del cancello pedonale e il posizionamento di parcheggi sul lato destro della rampa -, in quanto decise in sede di esecuzione su parere del tecnico di fiducia dei due enti di gestione e del tecnico dell’impresa appaltatrice nonchè adottate anche per motivi di sicurezza.
Il che esclude, altresì, che gli ex amministratori si siano resi inadempienti all’obbligo di rendere noto al mandante ovvero alle rispettive assemblee le ritenute esigenze di sicurezza e di carattere tecnico-realizzativo che avrebbero determinato le difformità rispetto al progetto originario, attesa la sua natura meramente indicativa e l’intervento dei tecnici di fiducia degli enti di gestione.
7.- Il settimo motivo attiene, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, alla violazione e/o falsa applicazione degli artt. 329 e 336 c.p.c., con riferimento alla statuizione sulle spese del doppio grado di giudizio, per avere la Corte d’appello – dopo avere rigettato l’appello proposto dal (OMISSIS) e confermato la sentenza di primo grado impugnata – disposto la condanna alla refusione delle spese di entrambi i gradi del giudizio, riformando il capo della sentenza di primo grado che aveva regolato le spese di lite, compensandole, pur in difetto di alcun appello incidentale specifico sulla regolamentazione delle spese di lite nel giudizio di prime cure.
Al riguardo, il ricorrente rileva che, avendo la Corte distrettuale confermato la sentenza di primo grado, rigettando l’appello, non poteva in alcun modo modificare la statuizione sulle spese processuali del primo grado, in carenza di alcun appello incidentale sul punto.
7.1.- La critica è fondata.
Infatti, in materia di liquidazione delle spese giudiziali, il giudice d’appello, nel caso di rigetto del gravame, non può, in mancanza di uno specifico motivo di impugnazione, modificare la statuizione sulle spese processuali di primo grado (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 14916 del 13/07/2020; Sez. 6-3, Ordinanza n. 1775 del 24/01/2017; Sez. 3, Sentenza n. 17195 del 27/08/2015; Sez. 2, Sentenza n. 28718 del 30/12/2013; Sez. 2, Sentenza n. 10622 del 03/05/2010; Sez. L, Sentenza n. 26985 del 22/12/2009).
Nella fattispecie, il Giudice del gravame, pur avendo confermato la sentenza di prime cure, rigettando, nel merito, l’appello, ha disposto, d’ufficio, la condanna alla refusione delle spese di lite anche del giudizio di primo grado, modificando la statuizione del Giudice di prime cure che aveva compensato interamente tra le parti le spese di lite.
Tale potestà di riforma del capo delle spese non poteva essere esercitata, in difetto di uno specifico appello incidentale sul punto.
8.- Alle considerazioni innanzi espresse consegue l’accoglimento, nei sensi di cui in motivazione, del settimo motivo, con il rigetto dei rimanenti motivi.
La sentenza impugnata va cassata, in ordine alla censura accolta, senza rinvio, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., u.c., u.p., poichè il Giudice d’appello difettava del potere di regolamentare diversamente le spese del giudizio di primo grado, sicchè la modifica di tale capo della pronuncia appellata non poteva avvenire, con l’effetto che – all’esito della cassazione della sentenza d’appello limitatamente all’aspetto indicato – si ripristina la compensazione a suo tempo disposta dal Giudice di prime cure.
Le spese e i compensi del giudizio di legittimità devono essere compensati per metà, in ragione della soccombenza reciproca delle parti, seppure in misura diversa, ponendo i restanti due terzi a carico del ricorrente, con liquidazione, per l’intero, come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
accoglie il settimo motivo, nei sensi di cui in motivazione, rigetta i rimanenti motivi, cassa senza rinvio la sentenza impugnata, in relazione alla censura accolta.
Compensa per metà le spese e i compensi del giudizio di legittimità e condanna il ricorrente alla refusione, in favore del controricorrente, della residua metà di tali spese e compensi, che si liquidano, per l’intero, in complessivi Euro 4.300,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 4 luglio 2022.