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Cassazione Civile 24113/2018 – Iscrizione nell’elenco dei lavoratori agricoli – Cancellazione disposta dall’INPS – Onere del lavoratore

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Ordinanza 24113/2018

 

Iscrizione nell’elenco dei lavoratori agricoli – Cancellazione disposta dall’INPS – Onere del lavoratore

L’iscrizione di un lavoratore nell’elenco dei lavoratori agricoli svolge una funzione di agevolazione probatoria che viene meno qualora l’INPS, a seguito di un controllo, disconosca l’esistenza del rapporto di lavoro, esercitando una propria facoltà (che trova conferma nel D.Lgs. n. 375 del 1993, art. 9) con la conseguenza che, in tal caso, il lavoratore ha l’onere di provare l’esistenza, la durata e la natura onerosa del rapporto dedotto a fondamento del diritto all’iscrizione e di ogni altro diritto consequenziale di carattere previdenziale fatto valere in giudizio.

Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Ordinanza 03-10-2018, n. 24113

 

 

RILEVATO CHE

la Corte d’Appello di Bari, con sentenza n. 1162/2012, ha respinto il gravame proposto dall’I.N.P.S. avverso la sentenza del Tribunale di Foggia con la quale era stata accolta la domanda proposta da An. Ma. al fine di far accertare il suo diritto alla re-iscrizione negli elenchi dei lavoratori agricoli dai quali era stata a suo dire indebitamente cancellata dall’I.N.P.S.; la Corte riteneva non corretto il ragionamento del primo giudice secondo cui l’annullamento della iscrizione operato dall’I.N.P.S., costituendo atto di autotutela, avrebbe dovuto avvenire nei limiti temporali, ritenuti superati dal Tribunale, di cui all’art. 21-novies L. 241/1990 e di cui (limite triennale) all’art. 1, comma 136, ultima parte, L. 311/2004; tuttavia si affermava che, a fronte della prova fornita dalla precedente iscrizione della lavoratrice, i verbali di accertamento I.N.P.S. non avrebbero potuto considerarsi sufficienti per la disposta cancellazione, in quanto essi avevano accertato solo la natura prevalente dell’attività aziendale di trasformazione e commercializzazione dei prodotti, sicché non negavano che parte di tali prodotti fossero direttamente coltivati e raccolti dall’impresa, mentre del resto i medesimi erano stati elaborati con riferimento all’azienda ove la Ma. sarebbe stata impiegata e non alla persona della lavoratrice; l’I.N.P.S. ha impugnato la sentenza con due motivi, mentre la Ma. è rimasta intimata;

CONSIDERATO CHE

il primo motivo di ricorso deduce violazione e o falsa applicazione dell’art. 12 del R.D. 24 settembre 1940 n. 1949 e dell’art. 4 del d.lgs. n. 59 del 1948, dell’art. 9-quinquies del d.l. 1 ottobre 1996 n. 510 conv. con modif. in L. n. 608 del 1996, dell’art. 2697 c.c., nonché dell’art. 6 lett. d) L. 92/1979 e vizio di motivazione, sul presupposto che la sentenza sia da considerare errata laddove ha attribuito all’I.N.P.S. l’onere di provare la fondatezza del proprio operato e cioè della cancellazione dalle liste anagrafiche del lavoratore agricolo, seppure a seguito di accertamento ispettivo relativo alla posizione del datore di lavoro. con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 12 del R.D. 24 settembre 1940 n. 1949, dell’art. 4 del d.lgs. 23 gennaio 1948 n. 59, dell’art. 9-quinquies del d.l. n. 510 del 1996 convertito con modif. in L. n. 608 del 1996, dell’art. 2697 c.c., nonché dell’art. 6 lett. d) L. 92/1979 e vizio di R. G. n. 10415/2013 motivazione, sostenendosi che, una volta posta correttamente la regola del riparto dell’onere probatorio, il lavoratore avrebbe dovuto provare l’esistenza, la durata, la natura onerosa e la subordinazione del rapporto di lavoro agricolo, il che non era accaduto ed in più era stata omessa la valutazione dei contenuti del verbale ispettivo; il ricorso, i cui motivi vanno esaminati congiuntamente per la loro connessione, è fondato; come questa Corte ha recentemente osservato – si cita testualmente – «si contrappongono, in sostanza, la pretesa dell’iscritto nell’elenco dei lavoratori agricoli a rimanere tale, e l’obbligo dell’Istituto di imporre il rispetto della regola della effettività dell’attività connessa all’ iscrizione assicurativa; si tratta di posizioni giuridiche non legate ad alcun interesse legittimo né ad alcuna discrezionalità amministrativa, giacché all’espletamento dell’attività agricola subordinata corrisponde il diritto all’iscrizione, senza alcuna ulteriore valutazione discrezionale da parte dell’amministrazione, per cui è evidente che non si possa inquadrare la fattispecie in esame nell’ ipotesi della disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo ai sensi dell’art. 5 all.to E della legge n. 2284/1865, ponendo a base della disamina la disciplina dell’annullamento in autotutela ed in genere della legge n. 240 del 1991 che riguardano l’attività amministrativa in senso stretto» (Cass. 30 maggio 2018, n. 13677); sempre Cass. 13677/2018 rileva come in sede di legittimità sia stato «affermato ripetutamente il principio secondo il quale l’iscrizione di un lavoratore nell’elenco dei lavoratori agricoli svolge una mera funzione ricognitiva della relativa situazione soggettiva e di agevolazione probatoria, che viene meno qualora l’I.N.P.S., a seguito di un controllo, disconosca l’esistenza del rapporto di lavoro, esercitando una propria facoltà (che trova conferma nel d.lgs. n. 375 del 1993, art. 9) con la conseguenza che, in tal caso, il lavoratore ha l’onere di provare l’esistenza, la durata e la natura onerosa del rapporto dedotto a fondamento del diritto all’iscrizione e di ogni altro diritto consequenziale di carattere previdenziale fatto valere in giudizio” (cfr. Cass. 10096 del 2016, nonché anche Cass. nn. 27144, 27145 del 19 dicembre 2014; Cass. 26949 del 19 dicembre 2014; Cass. n. 25833 del 5 dicembre 2014; Cass., n. 23340 del 3 novembre 2014). Ha trovato, quindi, conferma quanto già affermato dalle Sezioni unite di questa Corte n. 1133 del 26 ottobre 2000 e nn.1186, 1187 e 1188 del 17 novembre 2000 secondo cui “il rapporto giuridico assicurativo nei confronti dell’ente previdenziale sorge come diretta conseguenza di un’attività di lavoro, subordinata o autonoma svolta da un determinato soggetto: l’attività lavorativa, R. G. n. 10415/2013 quindi, costituisce il presupposto (o l’elemento) essenziale per la nascita del rapporto”; tuttavia in taluni casi la legge prevede, per la nascita del rapporto, la presenza di ulteriori presupposti» aggiungendosi che «così per il lavoro in agricoltura Io svolgimento di un minimo di giornate lavorative nell’anno deve essere certificato dall’iscrizione negli elenchi nominativi di cui al R.D. 24 settembre 1940 n. 1949 che ha stabilito la compilazione per ogni comune di elenchi nominativi dei lavoratori subordinati dell’agricoltura, distinti per qualifiche, con il relativo compito di accertamento affidato dapprima a commissioni comunali, quindi attribuito agli Uffici provinciali SCAU (Servizio per i contributi agricoli unificati).

La disciplina è stata successivamente modificata dal D. L. n. 7 del 1970, convertito, con modificazioni, nella legge n. 83 del 1970, che, tra l’altro, ha affidato la compilazione di detti elenchi a commissioni locali della mano d’opera agricola, appositamente costituite presso gli uffici locali di collocamento, poi sostituite da altri organi per effetto delle successive disposizioni che hanno apportato ulteriori modifiche al sistema di accertamento e riscossione dei contributi in agricoltura.

Nella materia è, quindi, intervenuto il d.lgs. n. 375 del 1993 (che ha, in particolare, riformato il sistema dei ricorsi amministrativi). Allo SCAU (soppresso dall’art. 19 della legge n. 724/1994) è, poi, subentrato l’I.N.P.S. (art. 9 sexies del D.L. 1/10/1996 n. 510 conv. con modif. nella legge n. 608/1996)» per concluderne che «richiamando le suddette pronunce a Sezioni unite, va tenuta presente la regola generale posta dall’art. 2697, primo comma, cod. proc. civ., secondo cui l’onere della prova del fatto costitutivo del diritto grava su colui che agisce in giudizio per far valere una determinata pretesa nei confronti della controparte.

Pertanto, il lavoratore che domandi l’erogazione della prestazione previdenziale deve dimostrare di avere esercitato un’attività di lavoro subordinato per un numero minimo di giornate nell’anno di riferimento e la prova deve essere sempre fornita mediante il documento che dimostra l’iscrizione negli elenchi nominativi (senza che, com’è ovvio, possa essere impedito alla parte di dedurre ulteriori mezzi per fondare il convincimento del giudice), essendo tuttavia sempre possibile che la prestazione previdenziale venga chiesta in giudizio anche in assenza di iscrizione negli elenchi nominativi (in tal caso il ricorrente, sul quale grava ogni onere probatorio, potrà chiedere contestualmente la declaratoria giudiziale del suo diritto a tale iscrizione ovvero chiedere che il relativo accertamento avvenga incidentalmente, al solo fine della pronuncia sulla prestazione previdenziale per cui agisce)» precisando ancora che «se poi è vero che l’iscrizione negli elenchi ha la funzione di rendere certa la qualità di lavoratore agricolo, conferendole R. G. n. 10415/2013 efficacia nei confronti dei terzi, la stessa non integra una prova legale – salvo che per quanto concerne la provenienza del documento stesso e i fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati da lui compiuti – costituendo, alla stregua di qualsiasi altra attestazione proveniente dalla pubblica amministrazione, una risultanza processuale che deve essere liberamente valutata dal giudice.

Ne deriva che, quando contesti l’esistenza dell’attività lavorativa o del vincolo della subordinazione, l’ente previdenziale ha l’onere di fornire la relativa prova, cui l’interessato può replicare mediante offerta, a sua volta, di altri mezzi di prova; con l’ulteriore conseguenza che, se la prova (contraria) viene data mediante la produzione in giudizio di verbali ispettivi – i quali, a loro volta, essendo attestazioni di fatti provenienti da organi della pubblica amministrazione, sono soggetti al medesimo regime probatorio sopra illustrato per l’iscrizione negli elenchi (cfr. Cass. Sez. un. 3 febbraio 1996, n. 916 e numerose successive conformi) – l’esistenza della complessa fattispecie deve essere accertata mediante la comparazione e il prudente apprezzamento di tutti i contrapposti elementi acquisiti alla causa»;

nel caso in esame, tenuto conto di tutte le considerazioni svolte, deve essere negativamente valutata la decisione impugnata in quanto ha ritenuto che l’iscrizione negli elenchi nominativi mantenga in sostanza una presunzione di legittimità (v. il punto c della pag. 4 della sentenza d’appello) che non potrebbe essere superata dall’ente previdenziale attraverso gli esiti ispettivi contenuti in un verbale di accertamento della irregolarità della conduzione aziendale da parte dell’asserito datore di lavoro, in quanto soggetto diverso dalla lavoratrice; ciò è errato giacché, come questa Corte ha ripetutamente affermato nei precedenti sopra ricordati, da parte dell’Inps può essere offerta la prova contraria dell’esistenza del rapporto di lavoro risultante dagli elenchi anche mediante la produzione, come nel caso di specie, del verbale ispettivo dal quale l’Istituto trae elementi concreti a sostegno della denuncia del carattere simulato del rapporto di lavoro agricolo, derivanti dalla sussistenza di incongruenze tra le ore di lavoro denunciate dal datore di lavoro e le ore di lavoro agricolo necessarie all’attività, il che inficia le risultanze formali dell’iscrizione, imponendo la verifica dell’effettività del lavoro svolto dal bracciante in questione; neppure ha pregio il rilievo operato dalla Corte territoriale in ordine al fatto che tale verbale riguardava essenzialmente l’irregolarità della conduzione aziendale dell’asserito datore di lavoro, senza specifico riferimento al lavoratore qui interessato, in quanto tale circostanza non esclude la pertinenza del verbale rispetto a quanto oggetto di causa, essendo evidente che gli effetti che la citata R. G. n. 10415/2013 giurisprudenza riconnette all’accertamento contrario contenuto nel verbale ispettivo, si dispiegano automaticamente allorquando per i periodi riguardati dal verbale il singolo lavoratore risultasse addetto come bracciante agricolo presso quello stesso datore;

la sentenza impugnata è quindi errata per avere mantenuto il giudizio su basi di mero confronto tra astratte presunzioni, privilegiando immotivatamente quella a favore del lavoratore;

il ricorso deve essere pertanto accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione alle censure accolte, con rinvio della causa ad un altro giudice, che si designa nella Corte di appello di Bari in diversa composizione e che, nella concreta valutazione del materiale istruttorio ritualmente acquisito, dovrà uniformarsi al seguente principio di diritto: «L’iscrizione di un lavoratore nell’elenco dei lavoratori agricoli svolge una funzione di agevolazione probatoria che viene meno qualora l’INPS, a seguito di un controllo, disconosca l’esistenza del rapporto di lavoro, esercitando una propria facoltà (che trova conferma nel D.Lgs. n. 375 del 1993, art. 9) con la conseguenza che, in tal caso, il lavoratore ha l’onere di provare l’esistenza, la durata e la natura onerosa del rapporto dedotto a fondamento del diritto all’iscrizione e di ogni altro diritto consequenziale di carattere previdenziale fatto valere in giudizio».

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Bari in diversa composizione.

Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 20.4.2018.

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