Ordinanza 24133/2021
Indebito assistenziale – Indennità di accompagnamento – Ripetibilità di cui all’art. 2033 cc
In tema di indebito assistenziale, l’applicazione, in luogo della generale ed incondizionata regola civilistica della ripetibilità di cui all’art. 2033 c.c., di quella propria di tale sottosistema che, in armonia con l’art. 38 Cost., esclude la ripetizione, quando vi sia una situazione idonea a generare affidamento del percettore e la erogazione indebita non gli sia addebitabile, non rileva nell’ipotesi in cui la ripetizione dell’indebito sia coperta da giudicato, in conseguenza della riforma del titolo esecutivo in base al quale le somme erano state percepite. (Nella specie, la S.C. ha confermato la ripetibilità dei ratei dell’indennità di accompagnamento, percepiti all’esito del giudizio di primo grado, divenuti indebiti per il passaggio in giudicato della sentenza di appello che aveva riconosciuto all’assistita la sola pensione di inabilità).
Cassazione Civile, Sezione 6-L, Ordinanza 7-9-2021, n. 24133
Art. 2033 cc (Indebito oggettivo) – Giurisprudenza
RILEVATO CHE:
la Corte d’appello di Potenza, a conferma della sentenza del Tribunale di Matera, ha riconosciuto il diritto dell’Inps alla restituzione delle somme indebitamente percepite da (OMISSIS) a titolo d’indennità di accompagnamento per il periodo 2007 – 2011, data quest’ultima, in cui l’assistita era stata sottoposta a visita di revisione;
la Corte territoriale ha stabilito che, avendo la controversia ad oggetto una prestazione assistenziale, dovesse applicarsi la disciplina generale in materia indebito civile (art. 2033 c.c.), ed ha ritenuto irrilevante, rispetto al diritto alla ripetibilità, la sussistenza di un intento doloso in capo alla beneficiaria della prestazione assistenziale;
quanto alla tesi difensiva rivolta a valorizzare l’incidenza dell’affidamento incolpevole di quest’ultima ai fini della prova della buona fede nel ritenere quanto indebitamente trattenuto, la Corte d’appello ha escluso che il ritardo dell’ente nel domandare la ripetizione potesse indurre a escludere la consapevolezza dell’assistita rispetto alla percezione di stare riscuotendo somme non dovute;
la cassazione della sentenza è domandata da (OMISSIS) sulla base di tre motivi;
l’Inps ha depositato controricorso;
è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.
CONSIDERATO CHE:
col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, parte ricorrente deduce “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2033 c.c. delle prestazioni assistenziali indebite – accertata sussistenza originaria o sopravvenuta dei requisiti prescritti dalla legge, regolate nel tempo da una successione di disposizioni: D.L. n.850 del 1976 – D.L. n.173 del 1988, convertito in legge n. 291 del 1988 – Legge 24 dicembre 1993 n. 537 – D.P.R. 21 settembre 1994 n. 689 – D.L. n. 323 del 1996 Convertito nella legge 8 agosto 1996 n. 425 in relazione alla mancanza dei requisiti sanitari – legge 27 dicembre 1997 n. 49 in relazione alla mancanza di requisiti sanitari – legge 23 dicembre 1998 n. 448 in relazione alla mancanza di Corte di Cassazione – copia non ufficiale requisiti sanitari – D.L. 30 settembre 2003 n. 269 convertito nella legge 24 novembre 2003”;
la Corte d’appello ha erroneamente affermato che in materia di prestazioni assistenziali indebite debba trovare applicazione non già la speciale disciplina dell’indebito previdenziale, bensì quella ordinaria dell’indebito civile di cui all’art. 2033 c.c., in stridente contrasto con il principio generale di segno opposto venuto a consolidarsi in giurisprudenza;
col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto – assenza di dolo – art. 2033 c.c.”;
l’applicazione dell’art. 2033 c.c. nell’interpretazione datane dalla Corte territoriale quanto alla sussistenza del dolo e dell’indebito sarebbe viziata, non avendo, la ricorrente, mai espletato comportamenti attivi diretti ad ingannare l’ente previdenziale (come l’omissione di oneri di comunicazione);
denuncia la condotta dell’Istituto, sì come improntata da evidente negligenza, per aver sottoposto a visita di revisione la ricorrente soltanto nel 2011, ossia dopo ben quattro anni dall’entrata in vigore nel 2007 del d.l. n.203 del 2005, con cui era stato disposto il passaggio delle competenze in materia di erogazione del beneficio assistenziale dal Ministero delle Finanze all’Inps; nell’intento di avvalorare la propria critica rispetto alla condotta dell’Inps, evidenzia come questi, nel negare il diritto all’indennità di accompagnamento in seguito alla visita di revisione, nemmeno si fosse reso conto dell’autorità di giudicato della sentenza della Corte d’appello di Potenza, che nel 2003 si era pronunciata già in senso negativo sul diritto al medesimo beneficio in capo alla (OMISSIS);
col terzo motivo, ancora formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, contesta ” Affidamento incolpevole – errata interpretazione”;
la ricorrente sarebbe incorsa in affidamento incolpevole, determinato dalla sentenza di primo grado, emessa dal Tribunale di Matera nel 2001 e poi appellata dall’Inps, che le aveva riconosciuto sia la pensione d’invalidità sia l’indennità di accompagnamento che la stessa aveva percepito ininterrottamente dal 1997 fino alla visita di revisione, avvenuta nel 2011;
i motivi, da esaminarsi congiuntamente per connessione, sono infondati;
è pur vero che, come afferma la ricorrente, questa Corte ha affermato che “In tema di indebito assistenziale, in luogo della generale ed incondizionata regola civilistica della ripetibilità, trova applicazione, in armonia con l’art. 38 Cost., quella propria di tale sottosistema, che esclude la ripetizione, quando vi sia una situazione idonea a generare affidamento del percettore e la erogazione indebita non gli sia addebitabile. Ne consegue che l’indebito assistenziale, per carenza dei requisiti reddituali, abilita alla restituzione solo a far tempo dal provvedimento di accertamento del venir meno dei presupposti, salvo che il percipiente non versi in dolo, situazione comunque non configurabile in base alla mera omissione di comunicazione di dati reddituali che l’istituto previdenziale già conosce o ha l’onere di conoscere”(Cass. n. 13223 del 2020);
pur tuttavia, l’esito della decisione non è suscettibile di essere modificato nel senso prospettato dalla ricorrente, atteso che nel caso in esame, la condanna alla restituzione dell’indebito non discende da un’inappropriata applicazione dell’art. 2033 c.c. all’indennità di accompagnamento, bensì dal fatto che l’assistita aveva percepito le somme contestate in virtu’ di un titolo esecutivo poi riformato in senso opposto a quello da lei auspicato;
risulta in atti che l’obbligo di restituzione dei ratei trattenuti, è “coperto” dal giudicato, risalente a una precedente sentenza della Corte d’appello di Potenza (n. 775 del 2003) la quale, riformando la pronuncia di primo grado resa dal Tribunale di Matera nel 1998, aveva riconosciuto in capo all’assistita il solo diritto alla pensione d’invalidità, negando quello all’indennità di accompagnamento;
dell’autorità di giudicato della sentenza n. 775 del 2003 prende atto la Corte territoriale, sia pure con riferimento al solo capo della decisione con cui il giudice dell’appello aveva dichiarato inammissibile – per difetto di censura – il ricorso incidentale con cui l’Inps aveva contestato la propria qualità di debitore rispetto alla domanda di accertamento negativo della sussistenza dell’indebita erogazione per i ratei di indennità di accompagnamento pagati prima del 2007;
la forza di giudicato della prima sentenza della Corte d’appello di Potenza (n. 775 del 2003) che aveva già negato il riconoscimento del diritto di (OMISSIS) all’indennità di accompagnamento, non può non riverberarsi sull’intera domanda oggetto dell’odierno ricorso, con l’esito di provocarne il rigetto;
le spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art.1, comma 17 della I. n.228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale del 24 marzo 2021