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Cassazione Civile 24201/2018 – Istanza di sospensione – Istanza di rimborso delle spese processuali – Mancata notifica dell’istanza alla controparte

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Ordinanza 24201/2018

Istanza di sospensione – Istanza di rimborso delle spese processuali affrontate dalla parte per resistere vittoriosamente all’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di merito impugnata – Mancata notifica dell’istanza alla controparte –  Inammissibilità

Nel giudizio di legittimità la richiesta di pronuncia sull’istanza di rimborso delle spese processuali affrontate dalla parte per resistere vittoriosamente all’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di merito impugnata può essere esaminata alla condizione che venga notificata, con i relativi documenti da produrre, alla controparte, ovvero che il contraddittorio con la medesima sia stato, comunque, rispettato, con la conseguenza che detta istanza è inammissibile ove venga proposta in un procedimento soggetto a rito camerale mediante memoria ai sensi degli artt. 378 e 372, comma 2, c.p.c. non notificata alla controparte.

Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 4-10-2018, n. 24201   (CED Cassazione 2018)

Art. 373 cpc (Sospensione dell’esecuzione) – Giurisprudenza

 

 

RILEVATO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Milano, in parziale accoglimento dell’appello proposto da (OMISSIS) e in conseguente riforma della decisione di primo grado, ha condannato (OMISSIS) S.p.A. e (OMISSIS) al pagamento, in favore di (OMISSIS), della somma di Euro 410.780,73, oltre accessori come da motivazione, di cui Euro 410.030,73 a titolo di risarcimento del danno patrimoniale da riduzione della capacita lavorativa specifica conseguente alle lesioni subite a seguito di sinistro stradale.

Difformemente dal convincimento espresso sul punto dal giudice di primo grado, la Corte d’appello ha invero ritenuto dimostrate la sussistenza del danno e la sua riconducibilità causale all’evento dannoso; ha in particolare osservato che “raffrontando le dichiarazioni personali dei redditi dell’attore prima e dopo il sinistro, risulta evidente che le nuove mansioni commerciali sostitutive di quelle prima esercitate nelle vesti di socio non impedirono un vistoso calo di introiti (circa Euro 58.000 dich. 2007, ca. 57.000 dich. 2008, ca. 11.000 dich. 2009…). Il che, in assenza di qualsiasi altra spiegazione (o anche solo ipotesi) sull’eziologia del fenomeno, finisce con l’avvalorare un approccio letterale alle operazioni peritali da cui il tribunale intende prendere le distanze: nel senso che effettivamente nulla smentisce che (OMISSIS), a parte ogni considerazione in tema di compromessa cenestesi lavorativa, abbia subito il 43% di riduzione della sua capacità lavorativa specifica, cui conseguì una contrazione dei redditi”.

2. Avverso tale decisione (OMISSIS) S.p.A., succeduta per fusione per incorporazione ad (OMISSIS) S.p.A., propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi, cui resiste (OMISSIS), depositando controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso (OMISSIS) s.p.A deduce violazione degli artt. 2043, 2056, 1223, 1226 e 1227 cod. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Trascritto ampio stralcio della motivazione della sentenza di primo grado relativo al tema di lite, afferma che “il tribunale aveva formulato una corretta indagine sulle allegazioni nonchè sulle deduzioni attoree per certificare le attività svolte da (OMISSIS)”.

Rileva che l’assunto secondo cui il danneggiato rivestiva un ruolo attivo nell’ambito della società da lui partecipata con quota maggioritaria, non è in alcun modo documentata in giudizio.

Lamenta che la Corte d’appello è giunta ad un contrario convincimento, “senza valutare quanto dedotto da parte ricorrente nel corso del giudizio di primo e secondo grado”.

Rileva che controparte ha modificato nell’atto d’appello la propria pretesa risarcitoria; che non sono state considerate le vendite di immobili desumibili dalle dichiarazioni dei redditi depositate; che nessuna precisatone è stata mai offerta circa l’attuale occupazione

del (OMISSIS), la quale peraltro – afferma “risulta agli atti”.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia poi violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., vizio di ultrapetizione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

Lamenta in sintesi che la Corte d’appello:

– ha omesso di pronunciarsi su eccezioni sollevate in via preliminare di inammissibilità dei nuovi motivi;

– ha accolto il motivo di gravame in punto di danno patrimoniale da riduzione della capacità lavorativa specifica senza esaminare le motivazioni che avevano indotto il primo giudice a rigettare la relativa pretesa risarcitoria: tra di esse ponendosi anche il rilievo della mancanza di prova circa l’an e il quantum della perdita patrimoniale (prova che, sostiene la ricorrente, è stata introdotta da parte appellante solo nel corso del giudizio di secondo grado in maniera irrituale e inammissibile);

– ha omesso di pronunciarsi ovvero ha erroneamente motivato sulle questioni di diritto preliminari prospettate dagli appellati (inammissibilità delle continue modifiche delle conclusioni formulate dall’appellante).

3. Entrambi motivi d’appello, congiuntamente esaminabili in quanto strettamente connessi e in buona parte anche sovrapponibili, si appalesano inammissibili, risolvendosi essi nell’affastellamento di censure eterogenee, totalmente generiche (in palese violazione anche dei requisiti dettati dall’art. 366 c.p.c., n. 6), estranee ai tipi di vizio denunciati (errores in iudicando o in procedendo) e comunque involgenti questioni prettamente di fatto sottratte al sindacato di questa Corte.

Dietro la prospettata violazione di norme (genericamente dedotta non essendo indicata l’affermazione in diritto o la regula iuris in concreto applicata difforme da quelle evocate) la ricorrente sollecita, infatti, inammissibilmente, una nuova valutazione degli elementi acquisiti, in punto di sussistenza del dedotto danno reddituale: sussistenza affermata in sentenza alla stregua di motivato accertamento di fatto, sindacabile in questa sede solo nei ristretti limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti: nella specie nemmeno dedotto) e non più per insufficienza o contraddittorietà della motivazione, nè tantomeno con la mera contrapposizione, cui evidentemente la ricorrente si limita, tra le pur contrastanti valutazioni del primo e del secondo giudice.

4. Del tutto omessa è poi l’indicazione delle eccezioni sulle quali la Corte d’appello avrebbe omesso di pronunciarsi.

Al riguardo è appena il caso di rammentare che, perchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia è necessario, da un lato, che al giudice di merito siano state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili, e, dall’altro, che tali domande o eccezioni siano state per il principio dell’autosufficienza riportate puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica altresì dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei quali le une o le altre sono state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività (v. Cass. 19/3/2007, n. 6371; Cass. Sez. U. 28/7/2005, n. 15781).

Del pari, se è vero che allorquando viene denunciato un error in procedendo la Corte di Cassazione è anche giudice del fatto ed ha il potere-dovere di esaminare direttamente gli atti di causa, tuttavia per il sorgere di tale potere-dovere è necessario, non essendo il predetto vizio rilevabile ex officio, che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame, c, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale (v. Cass. 19/3/2007, n. 6440; Cass. 23/1/2004, n. 1170), in quanto il diretto esame degli atti processuali è sempre condizionato ad un apprezzamento preliminare della decisività della questione (v. Cass., 16/4/2003, n. 6055).

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

7. Non può prendersi in esame la richiesta di liquidazione delle spese sostenute dal (OMISSIS) per resistere vittoriosamente alle spese sostenute innanzi alla Corte d’appello all’istanza di sospensione, ex art. 373 cod. proc. civ., dell’efficacia esecutiva della sentenza in questa sede impugnata.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la richiesta di pronuncia, in sede di legittimità, sull’istanza di rimborso delle spese processuali affrontate dalla parte per resistere vittoriosamente all’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di merito impugnata, può essere esaminata alla condizione che l’istanza, e i relativi documenti da produrre, siano stati notificati alla controparte, ovvero che il contraddittorio con la medesima sia stato comunque rispettato in ragione della sua presenza all’udienza, così da permetterle di interloquire sul punto (Cass. 20/10/2015, n. 21198).

Nella specie la richiesta risulta irritualmente proposta con memoria “ex art. 378 c.p.c. e art. 372 c.p.c., comma 2”.

Solo l’elenco dei documenti prodotti risulta notificato a mezzo p.e.c. alla ricorrente, non anche l’istanza.

Essendo il procedimento soggetto a rito camerale, per il quale come noto è prevista la decisione in camera di consiglio senza l’intervento del pubblico ministero e delle parti (art. 380-bis c.p.c., comma 1), è da escludere che della memoria (e della richiesta in essa contenuta) controparte abbia potuto prendere visione: evidente in tale senso anche l’errore in cui incorre il richiedente nel far riferimento ad attività processuali ed alle relative discipline (artt. 378 e 372 cod. proc. civ.) estranee al modello camerale in concreto adottato.

Non può pertanto considerarsi ritualmente instaurato il contraddittorio, ciò che rende in definitiva inammissibile l’istanza.

8. Ricorrono le condizioni di cui all’art, 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n, 228, per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. l, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

Così deciso il 13/9/2018