Ordinanza 24266/2018
Parti comuni dell’edificio condominiale – Solaio divisorio – Ripartizione delle spese
Il solaio che separa due unità abitative, l’una sovrastante all’altra ed appartenenti a diversi proprietari, deve ritenersi, salvo prova contraria, di proprietà comune ai due piani; tale presunzione “iuris tantum” vale per tutte le strutture che hanno una funzione di sostegno e copertura, in quanto svolgono una inscindibile funzione divisoria tra i due piani, con utilità ed uso uguale per entrambi e correlativa inutilità per gli altri condomini, sicchè le spese per la loro manutenzione e ricostruzione competono in parti eguali ai rispettivi proprietari, come previsto dall’art. 1125 c.c. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, statuendo sulla ripartizione delle spese di riparazione e manutenzione di una terrazza di proprietà e in uso esclusivo, costituente il solaio dell’appartamento sottostante, aveva applicato in via analogica l’art. 1125 c.c. ed escluso l’utilizzabilità dell’art. 1126 c.c.).
Corte di Cassazione, Sezione 6 civile, Ordinanza 4 ottobre 2018, n. 24266 (CED Cassazione 2018)
Art. 1125 cc (Manutenzione e ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai) – Giurisprudenza
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza ex articolo 281 sexies c.p.c. del 7/12/2016 la Corte d’Appello di Roma, in accoglimento del gravame in via principale interposto dal sig. (OMISSIS) nonchè in parziale accoglimento di quello in via incidentale spiegato dai sigg. (OMISSIS) e (OMISSIS) e in conseguente riforma della pronunzia Trib. Roma n. 11769/2010, ha condannato questi ultimi al pagamento in favore del primo di somma a titolo di risarcimento dei danni subiti in conseguenza delle infiltrazioni provenienti dal terrazzo di copertura di proprietà del medesimo nonchè il (OMISSIS) a rimborsare al (OMISSIS) e alla (OMISSIS) la maggior somma corrisposta per il rifacimento integrale del terrazzo in esecuzione dell’emesso provvedimento cautelare.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la (OMISSIS) e il (OMISSIS) propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi, illustrati da memoria.
Resiste con controricorso il (OMISSIS), che spiega altresì ricorso incidentale sulla base di unico motivo, illustrato da memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il 1 motivo i ricorrenti in via principale denunziano violazione dell’articolo 115 c.p.c. e articolo 2697 c.c., in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4; nonchè violazione dell’articolo 2043 c.c., in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si dolgono che la corte di merito abbia erroneamente riconosciuto all’odierno resistente e ricorrente incidentale il “ristoro del danno biologico ed esistenziale… nonostante sia del tutto assente in causa la prova che le infiltrazioni di acqua in passato lamentate abbiano in qualche modo limitato o addirittura impedito a quest’ultimo l’uso e il godimento di parte del suo appartamento”.
Lamentano non potersi “ritenere idonea l’esistenza di “vistose macchie d’acqua e umidità”” quale “unica motivazione” alla stregua della quale la corte di merito è pervenuta “all’accertamento della limitazione d’uso asseritamente patita” da controparte.
Con il 2 motivo denunziano violazione dell’articolo 2059 c.c., in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si dolgono che, dopo aver dimostrato “che gli odierni ricorrenti hanno correttamente e tempestivamente operato una volta evidenziatosi il problema” delle infiltrazioni provenienti dal terrazzo di controparte statuendo che quest’ultimo “dovesse concorrere al rifacimento del lastrico solare”, la corte di merito abbia erroneamente taciuto con riferimento alla loro eventuale “colpevolezza”, “lasciando del tutto non trattato il tema”.
Con il 3 motivo denunziano violazione dell’articolo 1226 c.c., in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3; violazione dell’articolo 132 c.p.c., in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4; nonchè “motivazione apparente o contraddittoria”, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Lamentano essere “il capo della sentenza impugnato… viziato non solo nell’an ma anche nel quantum liquidato a titolo di danno non patrimoniale”.
Si dolgono che la corte di merito abbia apoditticamente ed erroneamente fatto luogo alla “liquidazione c.d. “equitativa” del danno”, la quale ex articolo 1226 c.c. “presuppone… la impossibilità o quanto meno la grave difficoltà di fornire la prova dell’entità del danno da parte del danneggiato”, nella specie insussistente, “ben potendo il (OMISSIS), anche per mezzo di testi, fornire prova di non aver potuto abitare due ambienti del suo appartamento per un determinato periodo”.
Con unico motivo il ricorrente in via incidentale denunzia violazione degli articoli 1125 e 1126 c.c., in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.
Si duole che, accertata correttamente “l’estraneità del Condominio generale e statuita pertanto l’imputabilità dei danni ai convenuti”, la corte di merito abbia poi “contraddittoriamente ed erroneamente ritenuto di ricorrere anche ad un’applicazione analogica dell’articolo 1125 c.c. (correttamente escludendo quella dell’articolo 1126 c.c.) il quale accolla le spese relative alla manutenzione in parti uguali ai proprietari dei due piani l’uno all’altro sovrastanti”.
I motivi di entrambi i ricorsi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.
Va anzitutto osservato che il requisito a pena di inammissibilità richiesto ex articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, risulta nel caso dagli odierni ricorrenti, principali ed incidentale, non osservato là dove viene dai medesimi operato il riferimento de relato a rispettivi atti o documenti del giudizio di merito (es. al “ricorso cautelare ex articolo 700n c.p.c., notificato il 4 gennaio 2006”, alla “perizia” del Dott. Arch. (OMISSIS), all'”ordinanza del 2.08.2006″, alla “lettera dell’Avv. (OMISSIS) del 10.10.2006″, all'”atto di citazione notificato l’11.10.2006″, all'”atto ex articolo 105 c.p.c.”, alla “nota di cui all’articolo 183 c.p.c., comma 6, n. 1”, alle “osservazioni della nuova CTU”, alle “note di cui all’articolo 183 c.p.c., comma 6, n. 3”, al “verbale del 16.2.2009”, alla “sentenza n. 11769/2010 Ill.mo Tribunale di Roma”, dai ricorrenti in via principale; al “ricorso ex articolo 700 c.p.c. depositato il 16.12.2005”, alla comparsa di costituzione e risposta dei “coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS)”, alla “consulenza d’ufficio affidata all’arch. (OMISSIS)”, all’atto introduttivo del giudizio di merito di primo grado, alla comparsa di costituzione e risposta in tale sede di controparte, all’espletata C.T.U., alla sentenza del giudice di prime cure, al proprio atto di appello, all’atto di “appello incidentale autonomo” di controparte, dal ricorrente in via incidentale) limitandosi meramente a richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso ovvero puntualmente indicare in quale sede processuale, pur individuati in ricorso, risultino prodotti, laddove è al riguardo necessario che si provveda anche alla relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta alla Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239; Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).
A tale stregua gli odierni ricorrenti non deducono le formulate censure in modo da renderle chiare e intellegibili in base alla lettura dei rispettivi ricorsi, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificarne il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659) sulla base delle sole deduzioni contenute nel medesimo (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 3/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).
Non sono sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).
Quanto al merito, con particolare riferimento al 3 motivo del ricorso principale va osservato che – come questa Corte ha già avuto modo di affermare- essendo, in base a principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, volta a determinare “la compensazione economica socialmente adeguata” del pregiudizio, quella che “l’ambiente sociale accetta come compensazione equa” (cfr. Cass., 7/6/2011, n. 12408; Cass., 30/6/2011, n. 14402), la valutazione equitativa è subordinata alla dimostrata esistenza di un danno risarcibile non meramente eventuale o ipotetico ma certo (cfr., da ultimo, Cass., 8/7/2014, n. 15478, e già Cass., 19/6/1962, n. 1536), e alla circostanza dell’impossibilità o estrema difficoltà (v. Cass., 24/5/2010, n. 12613, e già, Cass., 6/10/1972, n. 2904) di prova nel suo preciso ammontare, attenendo alla qualificazione e non già all’individuazione del danno (non potendo valere a surrogare il mancato assolvimento dell’onere probatorio imposto all’articolo 2697 c.c.: v. Cass., 11/5/2010, n. 11368; Cass., 6/5/2010, n. 10957; Cass., 10/12/2009, n. 25820; e, da ultimo, Cass., 4/11/2014, n. 23425).
Tale valutazione va effettuata con prudente e ragionevole apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto, e in particolare della rilevanza economica del danno alla stregua della coscienza sociale e dei vari fattori incidenti sulla gravità della lesione.
Il danno non può essere quindi liquidato in termini puramente simbolici o irrisori o comunque non correlati all’effettiva natura o entità del danno (v. Cass., 12/5/2006, n 11039; Cass., 11/1/2007, n. 392; Cass., 11/1/2007, n. 394), ma deve essere congruo, a tale stregua dovendo pertanto tendere, in considerazione della particolarità del caso concreto e della reale entità del danno, alla maggiore approssimazione possibile all’integrale risarcimento (v. Cass., 30/6/2011, n. 14402; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972; Cass., 29/3/2007, n. 7740), sicchè è necessario tenere conto ai fini risarcitori, in quanto sussistenti e provati, di tutti gli aspetti (o voci) di cui si compendiano sia la categoria generale del danno patrimoniale (v. Cass., 14/7/2015, n. 14645) che la categoria generale del danno non patrimoniale (v. Cass., 12/6/2015, n. 12211).
È compito del giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative si siano per il creditore/danneggiato verificate, provvedendo alla relativa integrale riparazione (v. Cass., 13/5/2011, n. 10527; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972), con indicazione dei criteri assunti a base del procedimento valutativo (cfr., da ultimo, Cass., 14/7/2015, n. 14645).
Ne consegue che in presenza di una liquidazione di ammontare non congruo, in quanto irragionevole e sproporzionato per difetto o per eccesso (v. Cass., 31/8/2011, n. 17879), e pertanto sotto tale profilo non integrale, il sistema di quantificazione adottato si palesa per ciò stesso idoneo a consentire al giudice di pervenire ad una valutazione informata ad equità, fondando i dubbi in ordine alla sua legittimità (v. Cass., 29/2/2016, n, 3893).
Va peraltro osservato che come questa Corte ha già avuto modo di affermare, il potere di liquidare il danno in via equitativa conferito al giudice dagli articoli 1226 e 2056 c.c., costituisce espressione del più generale potere di cui all’articolo 115 c.p.c., e il suo esercizio rientra nella discrezionalità del giudice di merito, senza la necessità della richiesta di parte, dando luogo ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, con l’unico limite di non poter surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore, la mancata individuazione della prova del danno dovendo peraltro intendersi in senso relativo (v. Cass., 24/10/2017, n. 25094).
Il giudice è pertanto tenuto a dare conto dell’esercizio dei propri poteri discrezionali, e perchè la liquidazione equitativa non risulti arbitraria, è necessario che spieghi le ragioni del processo logico sul quale essa è fondata, indicando i criteri assunti a base del procedimento valutativo adottato (v. Cass. 20/5/2015, n. 10293; Cass., 30/5/2014, n. 12265; Cass., 19/2/2013, n. 4047; e già Cass., 4/5/1989, n. 2074; Cass., 13/5/1983, n. 3273), al fine di consentire il controllo di relativa logicità, coerenza e congruità.
Orbene, nell’affermare che va “riconosciuta all’appellante una somma a titolo di danno quanto meno per la limitazione nell’uso o nel godimento dell’appartamento di sua proprietà una parte del quale era chiaramente danneggiata da vistose macchie d’acqua e umidità” e che “tale voce di danno è liquidata in via equitativa ex articolo 1226 c.c. la somma di Euro 300,00 al mese per circa due anni e mezzo dal prodursi dei danni fino alla pronuncia dell’ordinanza con la quale sono stati ordinati dal tribunale i lavori atti ad eliminare le infiltrazioni per un totale di Euro 9.000,00”, la corte di merito ha nell’impugnata sentenza fatto invero corretta applicazione dei suindicati principi.
Va ulteriormente posto in rilievo, con riferimento al ricorso incidentale, che giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità il solaio esistente che separa il piano sottostante da quello sovrastante di un edificio appartenente a proprietari diversi deve ritenersi, salvo prova contraria, di proprietà comune ai due piani perchè ha la funzione di sostegno del piano superiore e di copertura del piano inferiore.
Esso costituisce infatti l’inscindibile struttura divisoria tra le due proprietà, con utilità ed uso uguale per entrambe e correlativa inutilità per gli altri condomini.
Coerentemente con questa funzione l’articolo 1125 c.c. prevede che le spese per la manutenzione dei soffitti siano sostenute in parti uguali dai proprietari dei due piani, restando a carico del proprietario del piano superiore la copertura del pavimento ed a carico del proprietario del piano inferiore l’intonaco, la tinta e la decorazione del soffitto.
La presunzione iuris tantum di proprietà comune di solai divisori tra un piano e l’altro vale per tutte le strutture che hanno una funzione di sostegno e copertura (v., da ultimo, Cass., 11/6/2018, n. 15048).
Orbene, nell’affermare che “i reciproci rapporti restano circoscritti ai proprietari delle unità interessate”, con la conseguenza che “nella ripartizione delle spese di riparazione e manutenzione della terrazza di proprietà e in uso esclusivo agli appellati costituente il solaio dell’appartamento dell’appellante… non si possa ricorrere ai criteri previsti dall’articolo 1126 c.c., ma si debba, invece, procedere all’applicazione analogica dell’articolo 1125 c.c., il quale accolla le spese relative alla manutenzione in parti uguali ai proprietari dei due piani l’uno all’altro sovrastanti”, la corte di merito ha nell’impugnata sentenza fatto invero piena e corretta applicazione del suindicato principio.
Stante la reciproca soccombenza, va disposta la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi, principale e incidentale. Compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. articolo 13, comma 1 bis.