Sentenza 24320/2008
Concorso del fatto colposo del creditore – Fattispecie di cui al 1 comma: nesso causale
Il concorso del fatto colposo del danneggiato, che ai sensi dell’art. 1227 cod. civ. esclude o limita il diritto al risarcimento, non può essere invocato allorché la vittima del fatto illecito abbia omesso di rimuovere tempestivamente una situazione pericolosa creata dallo stesso danneggiante, dalla quale – col concorso di ulteriori elementi causali – sia derivato il pregiudizio del quale si chiede il risarcimento. (Nella specie l’impresa appaltatrice dei lavori di costruzione di una autostrada, omettendo di smaltire i materiali di risulta accumulatisi nel corso dei lavori, aveva determinato l’ostruzione dei canali di scolo delle acque reflue a protezione di una linea ferroviaria, con la conseguenza che l’acqua piovana, non trovando una via di deflusso, aveva provocato una frana sui binari e l’interruzione del traffico ferroviario. La S.C., affermando il principio di cui in massima, ha confermato la sentenza di merito la quale aveva escluso una corresponsabilità del gestore la rete ferroviaria, per non avere tempestivamente ripristinato i canali di scolo).
Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, Sentenza 30 settembre 2008, n. 24320 (CED Cassazione 2008)
Articolo 1227 c.c. annotato con la giurisprudenza
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il (OMESSO) sulla linea ferroviaria (OMESSO) si verificava una frana di materiale di riporto proveniente dal sovrastante cantiere autostradale (destinato alla costruzione della c.d. (OMESSO)). La frana provocava il deragliamento di una semipilota e due vagoni e il blocco della linea ferroviaria per 24 ore. Per il risarcimento dei danni agiva nel 1996 davanti al Tribunale di Roma la s.p.a. Fe. de. St. nei confronti di Au. s.p.a. (appaltante) e It. s.p.a. (appaltatrice).
Le convenute eccepivano, in relazione alle eccezionali precipitazioni dei giorni dal 25 al 29 settembre 1991, la ricorrenza di una ipotesi scriminante per caso fortuito. It. chiamava in causa Bo. s.p.a. direttrice dei lavori e Sy. So. s.p.a., progettista.
Il Tribunale di Roma (con sentenza 25 aprile – 27 maggio 2002) condannava la s.p.a. It. al pagamento della somma di euro 806.833,81 oltre interessi dalla sentenza al saldo. Rigettava le altre domande proposte da It. spa.
Sull’appello di It. e sull’appello incidentale di Re. Fe. It. s.p.a., diretto a ottenere una maggiore liquidazione del danno e la condanna al pagamento anche della società Au. , la Corte di appello di Roma, con sentenza 4035/05, condannava Italstrade al pagamento dell’ulteriore somma di euro 452.700 e rigettava gli altri motivi di gravame.
Ricorre per cassazione AS. s.p.a., società incorporante la It. s.p.a. affidandosi a sette motivi di ricorso.
Si difendono con controricorso Re. Fe. It. s.p.a., Au. pe. l’. s.p.a. (già Au. s.p.a.), Sy. So. s.p.a., Bo. s.p.a..
Re. Fe. It. s.p.a., Au. pe. l’. s.p.a. (già Au. s.p.a.), Sy. So. s.p.a depositano memorie ex articolo 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli articoli 1218, 2051 cod. civ.; la nullità del procedimento (ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4) e la insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5).
La ricorrente lamenta un erroneo riferimento dei giudici dell’appello al concetto di caso fortuito e fa rilevare che non sono stati valutati i dati della Regione Piemonte sull’eccezionalità delle precipitazioni atmosferiche che furono a causa dello smottamento, così come le critiche mosse alla C.T.U., mentre si è attribuito alle lettere di sollecito delle Fe. alla rimozione del materiale successivamente franato un peso probatorio tale da configurare un improprio nesso causale con l’evento dannoso.
Il motivo è infondato.
È da escludere che la Corte di appello per decidere la controversia abbia utilizzato un concetto di caso fortuito aberrante rispetto a quello consolidatosi nella giurisprudenza secondo cui il convenuto, per liberarsi dalla sua responsabilità, dovrà provare l’esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale e, cioè, un fattore esterno (che può essere anche il fatto di un terzo o dello stesso danneggiato) che presenti i caratteri del fortuito e, quindi, dell’imprevedibilità e dell’eccezionalità (da ultimo Cassazione civile, sezione 3, n. 1217 dell’8 maggio 2007, Rv. 603077). Nella specie la Corte di merito ha ritenuto che l’evento non si sarebbe verificato se non vi fossero stati accumuli di materiali di risulta soggetti naturalmente a smottamenti e frane specificamente in dipendenza di fenomeni atmosferici. Quanto all’eccezionalità e imprevedibilità di tali fenomeni atmosferici la Corte di appello ha basato il proprio convincimento sul riscontro operato dal CTU presso la Banca Dati Geologica della Regione Piemonte che lo ha portato ad affermare che, pur trovandosi di fronte a precipitazioni di intensità rilevante esse non erano affatto imprevedibili perchè nella zona si verificano di sovente eventi piovosi particolarmente intensi e non inferiori a quelli del (OMESSO).
Si tratta di una valutazione di merito che non può essere sindacata in questa sede se non sotto il controllo dei requisiti di congruenza e completezza della motivazione che appaiono pienamente rispettati.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 1175, 1218 c.c., e articolo 1227 c.c., commi 1 e 2, articoli 2043 e 2051 cod. civ., del Decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 753, articoli 45, 46 e 47, (articolo 360 c.p.c., n. 3) nonchè la omessa e insufficiente motivazione (articolo 360 c.p.c., n. 5).
La ricorrente lamenta l’omessa valutazione del comportamento delle Fe. de. St. che avevano determinato in via esclusiva o almeno concorsuale l’evento dannoso con una inefficiente manutenzione dei canali scolmatori della rete ferrata.
Anche in questo caso la decisione della Corte di appello appare pienamente conforme alle disposizioni normative che la parte ricorrente ritiene invece violate o falsamente applicate. La Corte di merito si è infatti basata sulle circostanze messe in luce dalla CTU e cioè sul rilievo, oltre che del predetto ingombro di materiale di risulta destinato a franare verso la rete ferrata, dell’esistenza di un sistema di scolmatura che aveva sino ad allora adempiuto alla sua funzione e che presentava dei tratti ostruiti proprio a causa dei lavori di costruzione della sovrastante autostrada. Allo stesso tempo la Corte di merito ha valutato la circostanza per cui le Fe. de. St. aveva segnalato alla It. tale situazione chiedendo un tempestivo intervento di ripristino. Di fronte a questi dati che la odierna ricorrente non sembra contestare deve ritenersi del tutto inconferente il tentativo di delineare una responsabilità della società ferroviaria ai sensi dell’articolo 2051 c.c., e dell’articolo 1227 c.c., o della disposizione speciale di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 753. L’obbligo della società ferroviaria di provvedere alla manutenzione della rete e dell’apparato di protezione può essere fatto valere dai terzi che di quel servizio vengano a fruire in condizioni ridotte o che subiscono un danno a causa di esse ma non può costituire una esimente a favore proprio di chi quelle condizioni di ridotta utilizzabilità della rete ha creato. Una volta che il danneggiato abbia offerto la prova del danno e della sua derivazione causale dall’illecito – costituisce onere probatorio del danneggiante dimostrare che il danno sia stato prodotto, pur se in parte, anche dal comportamento del danneggiato (articolo 1227 cod. civ., comma 1) ovvero che il danno sia stato ulteriormente aggravato da quest’ultimo (articolo 1227 cod. civ., comma 2). Ma evidentemente questo comportamento non può consistere nel non aver il danneggiato eliminato le conseguenze del precedente comportamento lesivo del danneggiante (comportamento produttivo di una situazione che è all’origine, insieme all’ulteriore comportamento illecito del danneggiante, del successivo evento dannoso). Nè evidentemente, nei confronti del danneggiante, può valere come fonte di riduzione della responsabilità la circostanza, peraltro non oggetto dell’attività probatoria svolta nel giudizio di merito, dell’inerzia del danneggiato a fronte dell’ illegittimo rifiuto o della colpevole omissione del danneggiante di eliminare le conseguenze lesive del suo precedente comportamento (Cfr. Cassazione civile sezione 3 n. 564 del 13 gennaio 2005, Rv. 579175).
Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 2043 e 2051 cod. civ., (articolo 360 c.p.c., n. 3) e la omessa e insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia (articolo 360 c.p.c., n. 5).
Si fa rilevare in particolare da parte della ricorrente che la società It. (sua dante causa) si era attenuta alle disposizioni impartite dalla committente Au. attraverso la direzione dei lavori di Bo. e in aderenza al progetto della Sy. .
Con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 1655, 1662 e 2055 cod. civ., (articolo 360 cod. proc. civ., n. 3) e la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia (articolo 360 cod. proc. civ., n. 5).
Secondo la ricorrente il danno, per la parte in cui era dipeso dal cattivo funzionamento del sistema di scolo delle acque realizzato da It. , era stato realizzato su indicazioni di Au. , titolare di poteri di direzione e sorveglianza, senza margini di autonomia e discrezionalità tecnica. Lamenta la ricorrente che la Corte di appello non abbia valutato, secondo i parametri di cui alla sentenza n. 7273/2003 della Cassazione, il comportamento della committente e abbia conseguentemente riscontrato automaticamente l’obbligo risarcitorio della It. in quanto tenuta, anche in caso di ingerenza, a rispettare le regole dell’arte e a denunciare i vizi progettuali.
I due motivi essendo strettamente connessi possono essere trattati congiuntamente.
Contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente la Corte di appello ha deciso il caso proprio applicando il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità (e in particolare proprio dalla sentenza citata dalla ricorrente: Cassazione civile, sezione 2, n. 1213 del 12 maggio 2003, Rv. 562934) secondo cui l’appaltatore esplica l’attività contrattualmente prevista in piena autonomia, con propria organizzazione ed a proprio rischio, apprestando i mezzi adatti e curando le modalità esecutive per il raggiungimento del risultato e ciò implica anche che, di regola, egli solo debba ritenersi responsabile dei danni cagionati a terzi dall’esecuzione dell’opera. Il committente, tuttavia, può essere corresponsabile eccezionalmente dei suddetti danni quando si ravvisino, a suo carico, specifiche violazioni del principio del neminem laedere riconducibili all’articolo 2043 cod. civ., (e tale potrebbe essere il tralasciare ogni sorveglianza nella fase esecutiva nell’esercizio del potere di cui all’articolo 1662 cod. civ.), ovvero quando l’evento dannoso gli sia addebitabile a titolo di culpa in eligendo per essere stata affidata l’opera ad impresa che palesemente difettava delle necessarie capacità tecniche ed organizzative per eseguirla correttamente, o ancora quando l’appaltatore, in base ai patti contrattuali o nel concreto svolgimento del contratto, sia stato un semplice esecutore di ordine del committente e privato della sua autonomia a tal punto da aver agito come nudus minister di questi, o infine quando il committente si sia di fatto ingerito con singole e specifiche direttive nella esecuzione del contratto o abbia concordato con l’appaltatore singole fasi o modalità esecutive dell’appalto. Rispetto alle quattro ipotesi di possibile responsabilità del committente le prime due non sono state prese in considerazione dalla Corte di appello perchè non possono evidentemente essere invocate dalla impresa appaltatrice. Le altre due sono state escluse dalla Corte di appello che ha rilevato l’assenza di qualsiasi prova circa la pattuizione di un ruolo meramente esecutivo per l’appaltatrice o l’ingerenza di fatto della committente nel corso dei lavori. La Corte di appello ha anche rilevato correttamente come il fatto dannoso non è stato provocato nè dall’esecuzione del progetto nè da direttive impartite dalla committente. Per quanto detto in precedenza esso è stato piuttosto, secondo la lettura dei fatti operata dalla Corte di appello, il frutto della negligente gestione del cantiere e della mancanza di interventi ripristinatori della situazione dei canali scolmatori. Ciò rende evidente l’inconferenza di una difesa basata sulla deduzione di una responsabilità straordinaria del committente.
Con il quinto motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1655 cod. civ., (articolo 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3), e la omessa e insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia (articolo 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5).
La Corte di appello, secondo la ricorrente, ha escluso la responsabilità della società progettista, nonostante i vizi progettuali ben chiariti dalla CTU, sul presupposto che Sy. So. non curò la materiale e inadeguata esecuzione dell’opera cui fu ascrivibile l’evento (ostruzione dei canali scolmatori e accumulo di materiale di risulta). Secondo la ricorrente vi erano invece difetti progettuali che contribuirono all’evento, come la impropria realizzazione del muro di contenimento, ma che non sono stati valutati dal giudice di appello.
Anche questo motivo si rivela infondato in base alla motivazione resa dal giudice dell’appello.
Esclusa la violazione di cui all’articolo 1665 cod. civ., che non è stata affatto illustrata nell’esposizione del motivo di ricorso e che si dimostra palesemente infondata, resta da valutare il dedotto vizio di motivazione.
Per tale parte il motivo è sfornito del requisito di autosufficienza perchè non indica sulla base di quali prove, non valutate dal giudice dell’appello, si sarebbe dovuto ritenere che il danno dipese in tutto o in parte da difetti progettuali. Al contrario la Corte di appello ha fatto riferimento alle conclusioni del CTU che hanno attestato l’utilità del muro di contenimento. Utilità che sarebbe stata ovviamente maggiore se il comportamento negligente non avesse determinato l’occlusione dei canali scolmatori e in seguito la frana di materiale di riporto posizionato pericolosamente.
Con il sesto motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1655 c.c. e segg., articoli 2043 e 2055 cod. civ., (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), e la omessa e insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5).
La ricorrente contesta inoltre la mancata affermazione, sia pure concorrente, della responsabilità di Bo. s.p.a. frutto della mancata valutazione delle deficienze professionali della direzione lavori.
Anche per quando riguarda questo motivo di ricorso non si può che richiamare la corretta e logica motivazione della Corte di appello la quale ha rilevato come nessuna restrizione risulti dal contratto relativamente alla piena autonomia e responsabilità dell’appaltatrice per l’esecuzione di tutte le opere dirette ad assicurare la sicurezza dei terzi. D’altra parte l’omessa vigilanza sull’inadeguato andamento del cantiere appaltato da It. non può evidentemente comportare un esonero, anche parziale, della responsabilità dell’appaltatrice verso i terzi ma semmai potrà determinare una responsabilità, eventualmente concorrente, della direzione lavori nei confronti della committenza o dei terzi. Ma si tratta di profili estranei al presente giudizio.
Con il settimo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 61 cod. proc. civ. e segg., e la omessa e/o insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia.
La ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia condannato al pagamento di voci di spesa non collegabili al sinistro (quali la riparazione della sede ferroviaria e la eliminazione di lesioni verificatesi sul crinale opposto alla frana) o inutili (come la costruzione di un muro di contro rampa con cunetta e riprofilatura). La ricorrente lamenta l’omessa valutazione degli analitici rilievi critici del CTU anche sotto il profilo dei costi.
Del tutto apodittica e palesemente infondata la censura di violazione di legge riferita all’articolo 61 c.p.c. e segg.. L’omessa e/o insufficiente motivazione è altresì inesistente. La Corte di appello si dilunga esaustivamente per spiegare le ragioni per le quali ha recepito la quantificazione del danno documentato dalle fatture depositate dalle Fe. de. St. e relative al costo di rimozione della frana e di riparazione della sede ferroviaria. Tutte le opere eseguite si sono dimostrate all’esito della CTU necessarie a ripristinare la situazione di sicurezza antecedente al sinistro e a riparare la sede ferroviaria a seguito dalla situazione direttamente ascrivibile al comportamento della ditta appaltatrice che, oltre a non riparare i danni già provocati in precedenza e ad accumulare improvvisamente materiale di risulta a rischio di frana sulla sede ferroviaria, ha continuato a non dotare il proprio cantiere di canali scolmatori provocando un continuo afflusso di detriti a valle. Anche i costi sostenuti per interventi accessori (riparazione della massicciata e sostituzione dei cavi di sicurezza e di segnalamento e delle canaline preesistenti) sono stati attentamente valutati dalla Corte sulla base delle risultanze della CTU.
Il ricorso va pertanto respinto con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi euro 7.000,00 di cui euro 100,00 per spese, oltre spese generali e accessori di legge per Sy. So. , Re. Fe. It. e Au. s.p.a. e in complessivi euro 4.100,00 di cui euro 100,00 per spese, oltre spese generali e accessori di legge per Bo. s.p.a..