Sentenza 24391/2010
Fidejussione – Onere del creditore di tempestive iniziative nei confronti del debitore principale – Escussione degli altri garanti
L’art. 1957 cod. civ., il quale prevede l’onere per il creditore di proporre le sue istanze contro il debitore principale entro sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione di questi, pena la decadenza della garanzia fideiussoria, nulla dispone con riguardo alla necessità per il creditore di escutere nel termine in questione le altre eventuali garanzie prestate dal debitore o di richiedere il pagamento di crediti ceduti dal debitore.
Sport – Ordinamento sportivo – Esigenza di approvazione degli atti di una società sportiva
L’ordinamento sportivo detta una disciplina di carattere particolare e non generale, applicabile solo ai soggetti che ne fanno parte, onde nessun effetto invalidante si determina per effetto del mancato rispetto delle disposizioni dell’ordinamento sportivo cui è sottoposto solo uno dei contraenti, non potendo quello estendere i suoi effetti al di fuori dell’ambito circoscritto, anche di carattere soggettivo, in cui opera. Di conseguenza, in ipotesi di conclusione di un contratto di apertura di credito in conto corrente fra una società sportiva ed una banca, senza l’approvazione, prevista dall’art. 12 della legge 23 marzo 1981, n. 91, della federazione sportiva nazionale cui la prima è affiliata, il contratto è valido ed efficace, sebbene la mancata richiesta dell’approvazione sia suscettibile di un provvedimento sanzionatorio verso la società, ai sensi dell’art. 13 della legge stessa.
Corte di Cassazione, Sezione 1 civile, Sentenza 1 dicembre 2010, n. 24391
Articolo 1957 c.c. commentato con la giurisprudenza
SVOLGIMENTO del PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 14 luglio Ma.An. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Reggio Calabria la Ba. Po. di. Cr. esponendo quanto segue.
In data (OMESSO) la ” Ba. Vi. Re. Ca. S.p.A.” aveva richiesto alla Ba. Po. di. Cr. la concessione di un fido di lire 300 milioni, con scadenza (OMESSO), da utilizzarsi mediante anticipazione su conto corrente, offrendo, quali garanzie, “la cessione del credito in data (OMESSO), mediante mandato a titolo oneroso con obbligo di rendiconto, di lire 300 milioni vantato da essa società nei confronti della Regione Calabria a titolo di sponsorizzazione per l’attività sportiva, giusta Delib. Giunta Regionale 11 settembre 1995, n. 4882”, nonchè una fideiussione prestata da esso attore il (OMESSO).
Il fido richiesto era stato concesso dalla Banca mediante l’apertura di un conto corrente di corrispondenza in favore della suddetta società.
Con sentenza del (OMESSO), il Tribunale di Reggio Calabria aveva dichiarato il fallimento della Ba. Vi. . Nelle more tra la concessione del fido e la dichiarazione di fallimento la Ba. po. di. Cr. ,omettendo qualsiasi azione tendente alla riscossione del credito ceduto, non aveva consentito alla Regione Calabria di riversare la somma erogata sul conto corrente della Ba. Vi. .
Al contrario, dopo la dichiarazione di fallimento, si era attivato il curatore, chiedendo e ottenendo decreto ingiuntivo nei confronti della Regione Calabria.
Con raccomandata del 4 marzo 1999, la Ba. Po. di. Cr. aveva chiesto al fideiussore Ma.An. il pagamento della somma garantita di lire 300 milioni, minacciando in caso contrario il recupero coattivo del credito.
A fronte di siffatta richiesta il Ma. , con ricorso depositato il 25 marzo 1999, aveva chiesto al Tribunale di Reggio Calabria che fossero emessi, ex articolo 700 c.p.c., i provvedimenti più opportuni al fine di scongiurare il pericolo che la Banca procedesse nei suoi confronti, ma il giudice designato non gli aveva accordato la invocata tutela d’urgenza.
Sulla base di queste allegazioni di fatto l’attore chiedeva che il Tribunale volesse dichiarare la nullità integrale o l’invalidità dell’intera operazione garantita e conseguentemente, dichiarare e statuire la nullità e/o l’invalidità della fideiussione prestata dal Sig. Ma. An. , quale obbligazione accessoria, risultando inapplicabile la c.d. clausola di sopravvivenza. Con la condanna al risarcimento dei danni e articoli 89 e 96 c.p.c. da quantificarsi in via equitativa. A sostegno di tali richieste il Ma. deduceva:
a) che l’intera operazione finanziaria era nulla, perchè effettuata in violazione dell’articolo 19 dello statuto della Ba. Vi. e della norma imperativa contenuta nella Legge 23 marzo 1981, articolo 12.
b) che la nullità del contratto stipulato dalla suddetta società con la Ba. Po. di. Cr. comportava, ex articolo 1939 c.c. la invalidità della fideiussione;
c) che del pari doveva ritenersi nulla anche la clausola pattizia secondo la quale “nell’ipotesi in cui le obbligazioni garantite siano dichiarate invaliderà fideiussione si intende estesa a garanzia dell’obbligo di restituzione delle somme comunque erogate” (c.d. clausola di sopravvivenza);
d) che la fideiussione si era comunque estinta, ai sensi dell’articolo 7955 c.c., per fatto e colpa del creditore, in quanto la Banca non aveva azionato il credito conferitole con il mandato;
e) che l’Istituto di credito aveva in ogni caso violato il disposto di cui all’articolo 1956 c.c., giacchè aveva continuato ad erogare il credito alla Ba. Vi. , pur sapendola in stato di difficoltà economica, senza autorizzazione del fideiussore;
f) che nel caso di specie doveva trovare applicazione anche l’articolo 1957 c.c., poichè la Banca non aveva promosso e coltivato istanze nei confronti del debitore principale ai fini della conservazione della garanzia del fideiussore;
g) che,comunque, il comportamento della Banca doveva ritenersi contrario a buona fede ed integrante gli estremi dell’abuso del diritto.
Si costituiva la Ba. Po. di. Cr. e instava per il rigetto della domanda, deducendone la totale infondatezza. Con un secondo atto di citazione ..notificato il 9 novembre 1999, il Ma. proponeva opposizione al decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti su ricorso della Ba. Po. di. Cr. , per il pagamento della somma di lire 300 milioni, oltre interessi legali dal 5 gennaio 1998 al soddisfo.
L’opponente, facendo valere le medesime ragioni già prospettate nel giudizio instaurato con la citazione notificata nel precedente mese di luglio, chiedeva la revoca dell’ingiunzione e, in via riconvenzionale, la condanna dell’Istituto di credito al risarcimento dei danni, anche per lite temeraria, che quantificava in lire 3 miliardi.
Si costituiva anche in questo giudizio la Ba. Po. di. Cr. che sollecitava il rigetto dell’opposizione, e, in via riconvenzionale, reclamava la condanna del Ma. al pagamento della somma di lire un miliardo, a titolo di risarcimento danni. I due giudizi venivano riuniti. Rigettati due ricorsi ex articolo 700 c.p.c. presentati in corso di causa dal Ma. , le due cause venivano istruite mediante produzione documentale.
Il Tribunale, con sentenza del 31 ottobre 2001, rigettava la domanda del Ma. , confermando il decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti; rigettava anche la domanda di risarcimento proposta dalla Banca in via riconvenzionale; compensava per intero le spese dei due giudizi riuniti e dei procedimenti cautelari proposti in corso di causa.
Avverso la sentenza in questione proponeva appello il Ma. , con atto notificato il 7 febbraio 2002, chiedendo l’integrale riforma della sentenza di primo grado.
Resisteva all’impugnazione la Ba. Po. di. Cr. , che ne chiedeva il rigetto e instava per la condanna della controparte al pagamento in tutto o in parte delle spese del giudizio di primo grado. La Corte d’appello di Reggio Calabria, con sentenza 190/06, rigettava l’appello.
Avverso la detta sentenza ricorre per cassazione il Ma. sulla base di cinque motivi, illustrati con memoria, cui resiste con controricorso la Ba. po. di. Cr. spa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso il ricorrente contesta la sentenza impugnata laddove non ha riconosciuto l’invalidità della obbligazione fideiussoria in conseguenza dell’invalidità del contratto di concessione di fido e dell’obbligazione garantita.
Con il secondo motivo assume l’erroneità della decisione in relazione alla ritenuta inesigibilità della fideiussione a causa dell’intervenuta cessione del credito e dell’omessa escussione del debitore ceduto lamentando altresì la violazione di norme sull’interpretazione del contratto.
Con il terzo motivo deduce vizi di motivazione relativamente all’accertamento della conclusione della cessione di credito.
Con il quarto motivo lamenta la decadenza della fideiussione per la mancata attivazione della banca nei confronti del debitore principale.
Con il quinto motivo si duole della mancata rilevazione d’ufficio della nullità della clausola sugli interessi anatocistici.
Il primo motivo è infondato.
Il ricorrente deduce che il contratto di apertura di credito intercorso tra la Ba. Vi. e la Ba. po. di. Cr. sarebbe nullo in quanto, in violazione della Legge n. 91 del 1981, articolo 12 non vi sarebbe stata, per non essere stata richiesta, l’autorizzazione da parte della Federazione basket alla delibera che decideva la stipulazione del contratto bancario. In subordine il ricorrente sostiene l’invalidità o l’inefficacia del contratto.
Da ciò deduce che, essendo il contratto garantito nullo ovvero invalido o inefficace,anche la fideiussione da esso ricorrente rilasciata a garanzia dell’adempimento del contratto bancario dovrebbe considerarsi invalida.
Si osserva in generale che questa Corte chiamata in altre occasioni, ma in fattispecie diverse dalla attuale,a pronunciarsi sulla Legge n. 91 del 1981 ha già avuto occasione di rilevare in generale che “le relazioni tra ordinamento (generale) statuale e ordinamento (particolare) sportivo sono caratterizzate da un peculiare complessità, derivante dal fatto che risultano coinvolti in nesso di stretta interdipendenza, gli interessi privati degli enti e degli atleti e gli interessi pubblicistici al regolamentare svolgimento dell’attività sportiva”, (cfr. Cass. S.U. n. 4399 del 1989; Cass n. 3091 del 1986).
“Taluni nodi di questa complessità ha inteso appunto sciogliere laLegge n. 91 del 1981, con riguardo specifico alla materia dei rapporti tra società e sportivi professionisti, materia, quindi, certamente di diritto privato, ma tuttavia inserita all’interno di un quadro di garanzia degli interessi pubblici, assicurata da un idoneo apparato d strumenti di controllo e sanzionatori.
Tra le disposizioni di maggiore rilevanza su questo piano si colloca l’articolo 12 della legge – nel testo originario, poi sostituito dal Decreto Legge 20 settembre 1996, n. 485, articolo 4 convertito in Legge 18 novembre 1996, n. 586 -, che, al fine di garantire il regolare svolgimento de campionati sportivi, sottopone le società ai controlli ed a conseguenti provvedimenti stabiliti dalle federazioni sportive per delega del CONI. Si tratta del riconoscimento nell’ordinamento generale della funzione di controllo e dell’attività di vigilanza affidata alle federazioni sportive nazionali sugli atti gestionali delle società controllate, esplicantesi – secondo i principi generali – mediante l’approvazione di atti e provvedimenti che comportino esposizioni finanziarie delle stesse società” (Cass. 11462/99).
Va, altresì”, ricordato che la Legge n. 91 del 1981, articolo 12stabilisce al comma 1 che “Le società sportive di cui alla presente legge sono sottoposte all’approvazione ed ai controlli sulla gestione da parte delle federazioni sportive nazionali cui sono affiliate, per delega del CONI e secondo modalità approvate dal CONI”.
Il comma 2 prevede che “Tutte le deliberazioni delle società concernenti esposizioni finanziarie o vendita di beni immobili, o, comunque, tutti gli atti di straordinaria amministrazione, sono soggetti ad approvazione da parte delle federazioni sportive nazionali cui sono affiliate”.
Il comma 4, infine statuisce che “In caso di mancata approvazione è ammesso ricorso alla giunta esecutiva del CONI, che si pronuncia entro sessanta giorni dal ricevimento del ricorso”.
Il problema che pone il primo motivo di ricorso è dunque se, in assenza di autorizzazione alla delibera a contrarre un debito tramite un contratto di apertura di credito da parte della Federazione sportiva, il contratto stipulato in applicazione di detta delibera, sia valido ovvero nullo o invalido o inefficace.
Questa Corte, con specifico riferimento alla Legge n. 91 del 1981, articolo 12 nel testo applicabile nel caso di specie anteriore alla la modifica del 1996, ha ritenuto che il detto articolo non può valere a sorreggere una statuizione in termini di nullità del contratto, e,cioè, della sanzione massima prevista dall’ordinamento, perchè il detto articolo prevede un sistema di controlli sulla gestione delle società che “non consente, di per sè, di desumere, nel silenzio della norma, che alla mancata sottoposizione ad approvazione di un atto di straordinaria amministrazione (omissis) consegua la nullità dell’atto”, Cass. 3545/04).
Alla luce dunque di tale affermazione di questa Corte, che il Collegio condivide, deve escludersi in via generale che il contratto intercorso tra la ba. Vi. spa e la Ba. po. di. Cr. sia affetto da nullità.
Occorre ora valutare se lo stesso sia inficiato da altro tipo di invalidità. Sempre in riferimento a contratti intercorsi tra soggetti appartenenti entrambi all’ordinamento sportivo e, in particolare, all’ipotesi di cui alla Legge n. 91 del 1981, articolo 5 questa Corte ha ritenuto che, in ogni caso, le violazioni di norme dell’ordinamento sportivo non possono non riflettersi sulla validità di un contratto concluso tra soggetti assoggettati alle regole del detto ordinamento anche per l’ordinamento dello Stato, poichè, se esse non ne determinano direttamente la nullità per violazione di norme imperative (articolo 1418 c.c.), incidono necessariamente sulla funzionalità del contratto medesimo, vale a dire sulla sua idoneità a realizzare un interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico (articolo 1322 c.c., comma 2); non può infatti ritenersi idoneo, sotto il profilo della meritevolezza della tutela dell’interesse perseguito dai contraenti, un contratto posto in essere in frode alle regole dell’ordinamento sportivo, e senza l’osservanza delle prescrizioni formali all’uopo richieste, e, come tale, inidoneo ad attuare la sua funzione proprio in quell’ordinamento sportivo nel quale detta funzione deve esplicarsi (Cass. n. 4845/81 Cass. 3545/04). Va a questo punto evidenziata la diversità della fattispecie in esame rispetto a tutte le altre che sono state oggetto di esame dalle precedenti pronunce di questa Corte. Queste ultime infatti – come detto – riguardavano rapporti contrattuali intercorsi tra società sportive e sportivi, e,cioè, tra soggetti sottoposti entrambi alla normativa dell’ordinamento sportivo, con la conseguenza che non sussisteva alcun dubbio sulla applicabilità integrale di detto ordinamento ai rapporti contrattuali in questione .In tal senso, era indubitabile che la violazione delle norme dell’ordinamento sportivo avesse comunque riflessi sulla validità o l’efficacia del contratto stipulato tra soggetti sottoposti a detto ordinamento.
Nel caso di specie, invece, i rapporti contrattuali sono intercorsi tra una società sportiva e, una banca, cioè un soggetto estraneo all’ordinamento sportivo la cui disciplina è, come già detto, di carattere particolare e non generale ed applicabile, quindi, solo ai soggetti che ne fanno parte.
In tale fattispecie ritiene la Corte che nessun effetto invalidante possa determinarsi tra le parti per effetto del mancato rispetto di disposizioni dell’ordinamento sportivo cui è sottoposto solo uno dei contraenti, non potendo il detto ordinamento estendere i suoi effetti al di fuori dell’ambito circoscritto, anche di carattere soggettivo, in cui esso opera. In tal senso,va anzitutto evidenziato a tale proposito che il soggetto aderente al detto ordinamento e, cioè, la Ba. Vi. Re. Ca. , è una società per azioni che, in quanto tale, è interamente sottoposta alla disciplina societaria stabilita dal codice civile. In secondo, il contratto di mutuo stipulato con la Ba. po. di. Cr. è un contratto di diritto civile e non già uno dei contratti sportivi atipici previsti dalla Legge n. 91 del 1981 e, pertanto, non investe alcun aspetto direttamente rilevante ai fini dell’ordinamento sportivo.
Deve pertanto ritenersi che sia lo svolgimento dell’attività sociale della Ba. Vi. che la validità del contratto stipulato tra le parti debbano essere valutati in base alla normativa del codice civile. In particolare, si osserva che l’aspetto che costituirebbe il fondamento dell’invalidità del contratto di mutuo deriverebbe dal fatto che la delibera a contrattare assunta dalla società sportiva non era stata sottoposta all’approvazione della Federazione prima di stipulare il contratto di conto corrente con apertura di fido e che tale violazione avrebbe reso inefficace o invalido quest’ultimo. A tale proposito, ritiene la Corte, in base a quanto in precedenza detto, che la delibera a contrattare assunta dall’organo deliberante della Ba. Vi. , debba ritenersi adottata conformemente alla disciplina civilistica, nulla essendo stato dedotto al riguardo. Tale delibera, quindi, risulta pienamente valida e, come tale, legittimante il legale rappresentante della società a stipulare il contratto di mutuo. Occorre ora valutare quale tipo di conseguenze abbia prodotto il mancato rispetto nel caso di specie della disposizione della Legge n. 91 del 1981, articolo 12, comma 2, che come già ricordato – recita “tutte le deliberazioni delle società concernenti esposizioni finanziarie o vendita di beni immobili, o, comunque, tutti gli atti di straordinaria amministrazione, sono soggetti ad approvazione da parte delle federazioni sportive nazionali cui sono affiliate”.
Come già anticipato, deve escludersi che la mancata osservanza della disposizione in esame abbia prodotto l’invalidità o l’inefficacia del contratto di mutuo.
Posto infatti, che la delibera assunta dalla Ba. Vi. risulta del tutto legittima, la predetta società poteva pienamente e validamente esplicare la propria attività negoziale nell’ordinamento giuridico generale stipulando con soggetti estranei all’ordinamento sportivo contratti tipici previsti dal codice civile, senza che possa ritenersi che l’autorizzazione della Federazione costituisse un elemento integrativo dell’efficacia della delibarazione.
Se così non fosse, la disposizione della Legge n. 91 del 1981, articolo 12, comma 2 avente efficacia esclusiva nei confronti dei soggetti appartenenti all’ordinamento sportivo,esplicherebbe effetti nell’ordinamento generale di tipo derogatorio rispetto alla normativa civilistica in materia societaria e contrattuale,investendo così anche soggetti estranei all’ordinamento sportivo; effetti che invece non risultano previsti dalla legge in questione.
Nel caso di specie deve,quindi, ritenersi che la mancata richiesta alla Federazione di autorizzazione a contrarre il finanziamento abbia dato luogo esclusivamente ad una violazione della disciplina dell’ordinamento sportivo che,come tale, è suscettibile di sanzione ai sensi della Legge n. 91 del 1981, articolo 13 che stabilisce che le Federazioni per gravi irregolarità di gestione possono chiedere, con ricorso al tribunale, la messa in liquidazione delle società.
11 fatto che la necessità della autorizzazione esplichi effetti solo nell’ambito dell’ordinamento sportivo interno trova conferma anche nell’articolo 12, comma 4, della legge in esame che statuisce che “in caso di mancata approvazione è ammesso ricorso alla giunta esecutiva del CONI, che si pronuncia entro sessanta giorni dal ricevimento del ricorso”, dimostrando così che qualunque controversia relativa alla autorizzazione resta circoscritta nell’ordinamento interno. Resta appena da aggiungere che, nel caso di specie il contratto di fideiussione contiene la cosiddetta clausola di sopravvivenza per cui la garanzia mantiene tutti i suoi effetti anche se l’obbligazione principale sia dichiarata invalida.
È noto a tale proposito il prevalente orientamento giurisprudenziale di questa Corte secondo cui la disposizione dell’articolo 1945 cod. civ., che disciplina le eccezioni opponibili dal fideiussore nei confronti del creditore, non tutela un interesse di ordine pubblico, ma un interesse di natura privata e può quindi essere derogata dalle parti nell’esplicazione del principio di autonomia contrattuale, mediante apposita clausola con la quale il fideiussore rinunci ad eccepire l’invalidità dell’obbligazione principale, senza che ne risulti alterata la natura del negozio fideiussorio (Cass. 10400/02; Cass. 3525/09).
Da ciò discende che comunque il Ma. risulta obbligato nei confronti della banca a prescindere da ogni valutazione sulla validità o meno del contratto di concessione di fido. Il primo motivo va, in conclusione, respinto.
Il secondo motivo, con cui si sostiene che la fideiussione non poteva essere escussa se non previo avvenuto incasso del credito ceduto dalla Ba. Vi. in favore della banca è infondato e, per certi versi, inammissibile.
Su tale questione la Corte d’appello ha rilevato:
1) che nonostante la dizione utilizzata dalla società sportiva nella richiesta di concessione di fido (“cessione credito notarile in ns. favore”) non vi era stata alcuna cessione di credito, bensì un mandato all’incasso, “come risultava dal fatto che l’atto notarile notar Castellani era stato qualificato come ” mandato all’incasso con obbligo della resa dei conti” e dalla circostanza risultante dagli articoli 1 e 2 del medesimo contratto che la titolarità del credito nei confronti della regione Calabria era rimasta in favore della Ba. Vi. e che la banca era stata semplicemente autorizzata alla sua riscossione; 2) che non vi era alcun appiglio documentale per sostenere che l’Istituto di credito, per ottenere la restituzione dell’importo erogato alla società sportiva, dovesse prima riscuotere le somma da questa accreditato nei confronti della Regione Calabria”;
3) che, al contrario, in virtù della clausola esistente nel contratto di fideiussione (comma 1, lettera I), la Banca poteva far valere la garanzia prestata dal Ma. indipendentemente da qualsiasi garanzia personale o reale già esistente o che fosse in seguito prestata a favore della banca nell’interesse del debitore medesimo. A prescindere dalla qualificazione giuridica del contratto, l’elemento fondamentale e inconfutabile della decisione della Corte d’appello è costituito dal fatto che nel mandato all’incasso (cessione di credito) non vi era alcuna disposizione che stabilisse che per potere escutere la fideiussione era necessario che si fosse prima verificato il mancato adempimento dell’obbligazione da parte della regione Calabria e dalla corrispondente circostanza che la fideiussione; a sua volta, prevedeva che la stessa potesse essere fatta valere a prescindere da ogni altra garanzia, gran parte delle argomentazioni contenute nel motivo non incidono sulla effettiva ratio decidendi dianzi esposta, e tendono, in ogni caso, a proporre una diversa interpretazione della documentazione processuale, in particolare tendendo a privilegiare la valutazione di elementi relativi alla fase precontrattuale di cui peraltro la Corte d’appello ha tenuto conto – rispetto al contratto stesso intervenuto tra le parti, in tal modo investendo il merito della decisione che si presenta logicamente argomentata e correttamente motivata sotto il profilo giuridico e dei canoni di interpretazione stabiliti dagli articolo 1362 c.c. e, pertanto non suscettibile di sindacato in questa sede di legittimità. Va aggiunto, infine, che, a prescindere dai profili di inammissibilità evidenziati, l’unica censura che viene svolta in punto di diritto alla decisiva argomentazione della Corte d’appello è palesemente erronea. Sostiene,infatti, il ricorrente che l’inesigibilità della fideiussione discendeva come conseguenza legale dalla cessione di credito a mente di quanto disposto dagli artt 1267 e 1939 c.c..
È agevole osservare che, in assenza di ogni collegamento tra i due negozi in esame, ciascuna delle due norme citate va esaminata in relazione al contratto cui si riferisce.
Ebbene, anche a voler ritenere che nella fattispecie si verta in tema di cessione di credito, l’articolo 1267 c.c. riguarda l’ipotesi in cui il cedente il credito abbia garantito la solvibilità del debitore ceduto (nel caso di specie la Regione Calabria), ipotesi che non è stata in alcun modo dedotta nella fattispecie in esame. In particolare l’articolo 1267 c.c., comma 2, stabilisce che quando il cedente abbia garantito la detta solvibilità, la garanzia cessa se la mancata realizzazione del credito per insolvenza del debitore è dipesa da negligenza del cessionario nelle iniziative e nella proposizione delle azioni contro il debitore stesso; ma nella fattispecie alcuna insolvenza della regione Calabria si è verificata. Quanto all’articolo1939 c.c. questo stabilisce, come è noto, l’invalidità della fideiussione conseguente alla invalidità dell’obbligazione principale. Nel caso di specie tale obbligazione è costituita dalla apertura di fido la cui validità risulta dal rigetto del primo motivo di ricorso. Il terzo motivo del ricorso è inammissibile.
Al ricorso per cassazione in questione devono essere applicate le disposizioni di cui al capo 1 del Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40 (in vigore dal 2.3.2006) e, per quel che occupa, quella contenuta nell’articolo 366 bis c.p.c., alla stregua della quale l’illustrazione del motivi di ricorso, nei casi di cui all’articolo 360 n. 1-2-3-4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto; mentre per l’ipotesi di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5 il ricorso deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione per cui la relativa censura ;in altri termini deve cioè contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. (Cass. sez. un. 20603/07).
Nel caso di specie, il capitolo in questione che pone censure sotto il profilo della omessa o insufficiente motivazione non reca alcun quesito di diritto da formularsi nei sensi dianzi indicati, onde lo stesso non può trovare ingresso in questa sede di legittimità.
Il quarto motivo è infondato.
Con tale motivo il ricorrente deduce il rigetto della eccezione di decadenza della fideiussione per la mancata o comunque tardiva attivazione della banca nei confronti del debitore principale e per violazione degli obblighi di correttezza e buona fede nell’adempimento del mandato all’incasso.
Tale questione, già proposta in appello, è stata ritenuta infondata dal giudice di seconde cure in base ad una duplice considerazione. La prima, fondata sulla circostanza che,in virtù della clausola f) del contratto di fideiussione, il Ma. aveva dispensato la banca dall’osservanza dell’articolo 1957 c.c. impegnandosi a restare obbligato anche se questa non avesse proposto le sue istanze contro il debitore principale o gli altri obbligati, per cui nessuna decadenza della fideiussione era nel caso di specie ipotizzabile. La seconda basata sulla constatazione che, poichè la Ba. Vi. non aveva affatto ceduto il proprio credito verso la Regione Calabria alla Ba. po. di. Cr. , ma aveva solamente conferito a quest’ultima il mandato ad incassare il detto credito, era solo la mandante Ba. Vi. che poteva dolersi di una negligente esecuzione del mandato, per cui il Ma. non poteva addurre tale circostanza come un comportamento in violazione del principio di buona fede atto a rendere inefficace la clausola f) del contratto di fideiussione.
Il ricorrente censura siffatta motivazione sostenendo che la pattuita esenzione dal rispetto dell’articolo 1957 c.c. verrebbe comunque meno a seguito del comportamento della banca scorretto e non improntato a buona fede con la conseguenza che esso fideiussore poteva opporre tutte le eccezioni spettanti al creditore ai sensi dell’articolo 1945 c.c. Le doglianze sono infondate.
In primo luogo del tutto correttamente la Corte d’appello ha ritenuto che la clausola f) del contratto di fideiussione esonerasse la banca dall’onere di escutere il debitore principale entro sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui la decadenza del creditore dall’obbligazione fideiussoria, ai sensi dell’articolo 1957 cod. civ., per effetto della mancata tempestiva proposizione delle azioni contro il debitore principale può formare oggetto di rinuncia preventiva da parte del fideiussore, trattandosi di pattuizione affidata alla disponibilità delle parti che non urta contro alcun principio di ordine pubblico, comportando soltanto l’assunzione, da parte del fideiussore, del maggior rischio inerente al mutamento delle condizioni patrimoniali del debitore. La clausola relativa a detta rinuncia non rientra, inoltre, tra quelle particolarmente onerose per le quali l’articolo 1341 c.c., comma 2, esige, nel caso che siano predisposte da uno dei contraenti, la specifica approvazione per iscritto dell’altro contraente. (ex plurimis Cass. 5245/07; Cass. 8839/07; Cass. 394/06; Cass. 14089/05; Cass. 12456/97).
Ciò posto, non appare pienamente conferente la giurisprudenza citata dal ricorrente per sostenere che il comportamento improntato a mala fede del creditore produrrebbe il venir meno della pattuizione di esonero dall’osservanza dell’articolo 1957 c.c.in quanto le due sentenze citate giurisprudenza si riferiscono ad ipotesi di fideiussore del fideiussore (Cass. 3610/04) e di fideiussione per obbligazione futura (Cass. 611/03) nel regime normativo anteriore alla Legge n. 154 del 1992 che sono diverse da quella in esame.
Comunque,anche a volere ritenere applicabile il principio affermato al caso di specie,lo stesso risulterebbe del tutto inconferente.
L’articolo 1957 c.c. prevede infatti l’obbligo per il creditore di proporre le sue istanze contro il creditore principale entro sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione di quest’ultimo, pena decadenza della garanzia fideiussoria.
La norma nulla prevede riguardo alla necessità per il creditore di escutere nel termine in questione eventuali altre garanzie prestate dal debitore o richiedere pagamenti di somme cedute dal debitore o su incarico di quest’ultimo.
Nel caso di specie, il ricorrente non si duole del fatto che la ba. po. di. Cr. non abbia escusso il proprio credito nei confronti della Ba. Vi. ,debitrice principale, ma del fatto che la banca non abbia, in ragione del mandato ricevuto, incassato il credito della società sportiva verso la regione Calabria.
Tale prospettazione esorbita del tutto dalla ipotesi di cui all’articolo1957 c.c. per cui la mancata richiesta di pagamento in esame non può costituire causa di inefficacia della clausola di cui alla clausola f) del contratto di fideiussione.
A tale proposito è appena il caso di rilevare, come già in precedenza evidenziato, che nessun nesso esiste tra la fideiussione prestata dal Ma. ed il mandato all’incasso conferito alla banca del credito verso la regione Calabria che in base ad espressa pattuizione contrattuale (comma 1, lettera 1) risultano tra loro indipendenti ed autonomi, per cui nessun obbligo preventivo di richiesta di pagamento nei confronti della regione Calabria rispetto alla escussione della fideiussione sussisteva nel caso di specie in capo alla Ba. po. di. Cr. . In tal senso, del tutto corretta appare l’affermazione della Corte d’appello secondo cui l’unico soggetto che poteva eventualmente dolersi della mancata richiesta di incasso da parte della banca alla regione Calabria della somma da essa dovuta era la ba. Vi. e non già il Ma. , del tutto estraneo ai rapporti in esame.
Il quinto motivo è fondato.
Nella sentenza impugnata si rinviene motivazione in ordine alla non rilevabilità d’ufficio della nullità della clausola sugli interessi anatocistici, basata sulla considerazione, secondo cui, quando il creditore agisce nei confronti del debitore facendo valere il contratto e le clausole in esso contenute, la nullità di dette clausole e del negozio è rilevabile d’ufficio in quanto il giudice è tenuto a verificare la sussistenza degli elementi costitutivi della domanda la cui mancanza o nullità farebbe venir meno il fondamento della domanda stessa; quando invece – come nel caso di specie – è il debitore che agisce per far dichiarare la nullità del contratto o di alcune sue clausole interviene l’applicazione del principio della domanda per cui è onere dell’attore in questo caso dedurre e provare l’esistenza delle dedotte nullità. Nel caso di specie, in relazione alla domanda di nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi, la Corte d’appello ha rilevato che la stessa non poteva essere presa in considerazione, in quanto dedotta tardivamente in giudizio in violazione dell’articolo 183 c.p.c. dal Ma. che aveva agito quale debitore.
Osserva la Corte che le affermazioni di principio contenute nella sentenza impugnate sono in astratto corrette, ma che di esse non è stata fatta erronea applicazione nel caso di specie.
Il giudice di seconde cure ha, infatti, omesso di tener conto che la sentenza riguardava due cause riunite, di cui una era quella di opposizione a decreto ingiuntivo emesso in virtù della escussione della fideiussione in cui la banca, ancorchè opposta, rivestiva, come è noto la posizione sostanziale di attrice, con la conseguenza, dianzi evidenziata, che in detto caso il giudice è tenuto a verificare d’ufficio la sussistenza degli elementi costitutivi della domanda in assenza dei quali quest’ultima deve essere respinta nonchè delle eventuali cause di nullità da cui i detti elementi sono afflitti.
Il motivo va pertanto accolto.
La sentenza impugnata va, dunque cassata in relazione a quest’ultimo motivo, con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Reggio Calabria in diversa composizione.
P.Q.M.
Rigetta i primi quattro motivi del ricorso, accoglie il quinto, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Reggio Calabria in diversa composizione.