Ordinanza 24506/2018
Imposta di registro su atti negoziali – Risoluzione per mutuo dissenso – Tassazione in misura proporzionale
In tema d’imposta di registro, la risoluzione del contratto per mutuo dissenso è assoggettata a tassazione in misura proporzionale ai sensi dell’art. 28, comma 2, del d.P.R. n. 131 del 1986, in quanto regola residuale applicabile, rispetto a quella dettata dal comma 1 della stessa disposizione, ove la risoluzione del contratto non si fondi su clausole o condizioni contenute nel negozio da risolvere (o in un patto autonomo stipulato entro il secondo giorno successivo alla sua conclusione), senza che ciò si ponga in contrasto con il principio di capacità contributiva, atteso il nuovo passaggio di ricchezza correlato agli effetti ripristinatori e restitutori del mutuo dissenso, e non potendo peraltro applicarsi l’art. 8, parte prima, della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, che riguarda la diversa ipotesi risoluzione giudiziale, che ha quale presupposto un “vizio di funzionamento” del rapporto e non la concorde volontà delle parti.
Cassazione Civile, Sezione Tributaria, Ordinanza 5.10.2018, n. 24506 (CED Cassazione 2018)
Risoluzione 3/E 2022 Agenzia delle Entrate
PREMESSO CHE E CONSIDERATO CHE:
1. L’Agenzia delle Entrate e (OMISSIS) ed (OMISSIS) ricorrono, rispettivamente, in via principale e in via incidentale, per la cassazione della sentenza emessa dalla commissione tributaria regionale della Toscana il 7 febbraio 2011, con la quale è stato dichiarato, in primo luogo, che, con riguardo al contratto di “mutuo dissenso” stipulato dai (OMISSIS), in data 31 ottobre 2007, relativamente ad una vendita immobiliare conclusa con un terzo in data 2 febbraio 2007, l’Agenzia, in modo legittimo, ha emanato avvisi per imposta di registro proporzionale, in applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, art. 28, comma 2, e che tuttavia la base imponibile non avrebbe dovuto essere individuata nel valore attributo all’immobile nel contratto di vendita, bensì nel (minor) valore catastale ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, art. 52, comma 4, ed è stato dichiarato, in secondo luogo, che i (OMISSIS) non sono tenuti a pagare alcuna sanzione per l’omesso versamento dell’imposta richiesta, stanti le obiettive condizioni di incertezza nell’interpretazione dell’art. 28;
2. l’Agenzia censura la sentenza con tre motivi, con i quali deduce che la sentenza:
– contrasta con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, art. 43, comma 1, lettera a), art. 52, comma 4, e art. 53, in quanto l’art. 52, comma 4, si riferisce ad accertamenti in rettifica del valore assunto in sede di registrazione, laddove, nel caso di specie, essa ricorrente non aveva proceduto ad alcuna rettifica ma, in assenza di attribuzione di valore nel contratto di mutuo dissenso, aveva preso come base imponibile, in coerenza con l’art. 43, il valore dell’immobile dichiarato nell’atto di vendita;
– consegue a violazione o falsa applicazione degli artt. 113, 144 c.p.c. e Decreto Legislativo n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, per aver la commissione tributaria regionale affermato di ritenere “equa” l’applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, art. 54, comma 2, così contravvenendo ai suddetti artt. i quali non consentono, in materia tributaria, decisioni secondo equità;
– riguardo alla affermazione di non debenza delle sanzioni, viola l’art. 112 c.p.c. posto che gli avvisi di accertamento inviati ai contribuenti non prevedevano l’applicazione di sanzioni ma preannunciavano che le sanzioni sarebbero state successivamente disposte ove i contribuenti non avessero pagato l’imposta dovuta entro il termine di 60 giorni dalla data di notifica dell’avviso stesso;
3. (OMISSIS) ed (OMISSIS), con i due motivi di ricorso incidentale, lamentano violazione di legge e difetto di motivazione deducendo che la commissione, nel dichiarare il contratto di mutuo dissenso soggetto ad imposta proporzionale ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, art. 28, comma 2 invece che in misura fissa, ha, per un verso, applicato la norma in modo contrastante con l’esatta qualificazione giuridica del contratto di mutuo dissenso non quale contronegozio con effetto ex nunc ma quale contratto eliminativo del contratto precedente con effetto retroattivo e quindi come contratto privo di conseguenze traslative autonomamente tassabili in misura proporzionale, ed ha, per altro verso, omesso di tener conto della specifica clausola inserita nel contratto di cui trattasi, per la quale “i Signori (OMISSIS) e (OMISSIS) sono ripristinati, con decorrenza dalla data dell’atto di compravendita, nella proprietà e nel possesso del fabbricato oggetto del medesimo atto”;
4. le doglianze sollevate dai controricorrenti, pregiudiziali rispetto a quelle sollevate dalla Agenzia con i primi due motivi di ricorso, sono infondate:
4.1. il Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, art. 28, rubricato “risoluzione del contratto” e riguardante ogni ipotesi di risoluzione volontaria del contratto (la risoluzione giudiziale essendo riguardata dall’art. 8, lettera e) della Tariffa, parte prima), si compone di due commi, il primo dei quali stabilisce che “la risoluzione del contratto è soggetta all’imposta in misura fissa se dipende da clausola o da condizione risolutiva espressa contenuta nel contratto stesso ovvero stipulata mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata entro il secondo giorno non festivo successivo a quello in cui è stato concluso il contratto. Se è previsto un corrispettivo per la risoluzione, sul relativo ammontare si applica l’imposta proporzionale prevista dall’art. 6 o quella prevista dall’art. 9 della parte prima della tariffa”, mentre il secondo stabilisce che “in ogni altro caso l’imposta è dovuta per le prestazioni derivanti dalla risoluzione, considerando comunque, ai fini della determinazione dell’imposta proporzionale, l’eventuale corrispettivo della risoluzione come maggiorazione delle prestazioni stesse”;
4.2. la norma chiama l’interprete ad interrogarsi sul tipo di imposta, fissa o proporzionale, da applicare alle ipotesi di risoluzione di cui al comma 2, (ipotesi tra le quali rientra quella del caso che occupa);
4.3. sostengono i contribuenti che l’imposta deve essere proporzionale e ciò sulla base del seguente ragionamento: il contratto di mutuo dissenso è un contratto tipico la cui causa si sostanzia nel porre nel nulla gli effetti di un precedente contratto; il mutuo dissenso relativo ad un contratto di compravendita esprime il disvolere questo contratto; l’oggetto del mutuo dissenso non è l’oggetto della compravendita (bene e prezzo) ma è la compravendita stessa; l’effetto del mutuo dissenso non è un nuovo trasferimento del bene e del denaro in senso inverso a quello del trasferimento verificatosi con la compravendita ma è il ripristino, ontologicamente retroattivo tra le parti, della situazione esistente prima della compravendita; tutto questo vale anche per il diritto tributario e in particolare ai fini del Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, art. 28, dato che non vi sono specifiche disposizioni di settore che inducano a ritenere il contrario; “l’art. 28, comma 1 prende in considerazione alcune fattispecie che il legislatore considera come incondizionatamente soggette ad imposta fissa, salva la prestazione del corrispettivo, la quale è sempre considerata come autonoma e distinta obbligazione (ed è) sempre soggetta ad imposta proporzionale; al comma 2 il legislatore precisa che, all’infuori dei casi previsti dal comma 1, e quindi in ogni altro caso, l’imposta è dovuta per le prestazioni derivanti dalla risoluzione, non già dal contratto risolto… ne consegue che l’imposta proporzionale sarà applicabile solo se la fattispecie risolutoria abbia natura ed effetti traslativi o comunque effetti comportanti l’applicazione dell’imposta proporzionale”;
4.4. questo ragionamento, al di là dei primi passaggi, rispecchianti l’insegnamento espresso da questa Corte in alcune sentenze (6 ottobre 2011, n. 20445; 31 ottobre 2012, n.18844), per il resto non convince: in contrasto con la logica della articolazione della norma in due commi e con la lettera della legge che separa nettamente le tre ipotesi di risoluzione previste dal comma 1 per cui l’imposta è fissa, da “ogni altro caso” di risoluzione, conduce ad una sostanziale svalutazione del comma 2 perchè le fattispecie di mutuo dissenso alle quali tale comma dovrebbe applicarsi, determinando effetti necessari identici rispetto alle fattispecie chi cui al comma 1, avrebbero potuto essere disciplinate in un’unica previsione valevole indistintamente per ogni ipotesi di risoluzione volontaria; nè a recuperare al secondo comma un autonomo spazio di senso giova assumere che tale comma si riferisca ai casi in cui sono pattuite prestazioni ulteriori rispetto a quelle necessariamente conseguenti alla risoluzione e poi affermare che tali prestazioni sono tassate solo nelle ipotesi risolutorie diverse da quelle del primo comma; l’assunto e l’affermazione sono infatti di oscuro fondamento e comunque non giustificabili non essendovi ragione per cui simili prestazioni aggiuntive non dovrebbero essere tassate sempre, ossia anche nelle ipotesi di cui al comma 1;
4.5. la reciproca autonomia e il senso dei due commi sono salvaguardati notando che le ipotesi di risoluzione di cui al primo comma trovano la loro fonte in clausole o condizioni contenute nel negozio da risolvere o in un patto autonomo stipulato entro il secondo giorno successivo alla sua conclusione ossia in fattispecie in cui il contratto viene meno per un originario difetto funzionale o per il concretizzarsi di una situazione di intrinseca instabilità oppure viene meno immediatamente dopo essere stato concluso; l’imposta si applica qui in misura fissa avendo il legislatore ritenuto eccessivo colpire la manifestazione di capacità contributiva espressa dal negozio risolutorio con una nuova imposta proporzionale in aggiunta a quella già applicata al contratto base; in termini generali, tuttavia, il mutuo dissenso è occasione del manifestarsi della stessa capacità contributiva espressa da un contratto a parti inverse (retrocontratto), talchè, al di là dell’eccezione che il legislatore ha ritenuto di stabilire con il disposto dell’art. 28, u.c., u.p. il mutuo dissenso deve essere assoggettato, ai sensi del secondo comma di questo art., all’imposta stabilita per il contratto base e dunque, trattandosi di mutuo dissenso relativo a vendita immobiliare, ad imposta con aliquota proporzionale;
4.6. tale conclusione che, da un lato, non solleva dubbi di legittimità costituzionale rispetto all’art. 53, posto che gli effetti del mutuo dissenso – pur se, sul piano civilistico, solo restitutori o ripristinatori e non propriamente traslativi -, sostanziandosi, sul piano della concreta realtà a cui guarda la norma tributaria, in un nuovo passaggio di ricchezza, attestano la capacità contributiva delle parti, e che, d’altro lato, non trova ostacolo, sul piano sistematico, nel fatto che l’art. 8 della Tariffa, parte prima, prevede l’applicazione dell’imposta in misura fissa per la risoluzione giudiziale del contratto, stante la differenza di presupposti tra risoluzione giudiziale (un vizio nel funzionamento del rapporto) e risoluzione per mutuo dissenso (pura volontà dei contraenti), già affermata da questa Corte (pur con un percorso argomentativo diverso facente perno sulla natura del mutuo dissenso come contratto con contenuto eguale e contrario a quello originario), con ordinanza n. 4134 del 2/03/2015, appare dunque l’unica coerente con il testo della legge;
5. il ricorso incidentale deve perciò essere respinto;
6. quanto al ricorso principale, il primo motivo è fondato posto che la base imponibile per l’applicazione dell’imposta di registro rispetto al contratto di mutuo dissenso è data, laddove, come nel caso di specie, non vi siano corrispettivi per la risoluzione, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, art. 43, dal valore del bene da restituire ed è fuori luogo il richiamo all’art. 52, comma 4 stesso D.P.R.; il secondo motivo resta assorbito; il terzo è fondato avendo la commissione ritenuto “di dover escludere l’applicazione” delle sanzioni, senza che, come è incontroverso in causa, i contribuenti avessero avanzato alcuna domanda in tal senso;
7. atteso ciò che precede, deve concludersi che il ricorso principale va accolto quanto al primo e al terzo motivo, il secondo motivo restando assorbito, il ricorso incidentale va respinto, la sentenza impugnata deve essere cassata;
8. non vi sono accertamenti in fatto da svolgere e pertanto la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., con rigetto dell’iniziale ricorso dei contribuenti;
9. le spese del merito devono essere compensate in ragione della evoluzione della vicenda processuale;
10. le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
la Corte accoglie il primo e il terzo motivo del ricorso principale, dichiara assorbito il secondo, rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, rigetta l’iniziale ricorso dei contribuenti;
10. compensa le spese del merito;
11. condanna (OMISSIS) ed (OMISSIS) a rifondere alla Agenzia delle Entrate le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5000,00, oltre spese prenotate a debito.