Ordinanza 24642/2022
Imposta di registro – Transazione semplice – Applicazione dell’imposta in misura fissa
In tema di imposta di registro, ai sensi dell’art. 29 del d.P.R. n. 131 del 1986, la transazione semplice, che ha natura dichiarativa e reca la rinuncia delle parti alle rispettive pretese – a differenza della transazione traslativa o di quella novativa – è soggetta ad imposta fissa, anche quando prevede restituzioni in denaro, poiché tali restituzioni non comportano alcun arricchimento in capo al beneficiario, ma determinano il ripristino della situazione “quo ante”. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito, ritenendo assoggettato ad imposta fissa l’accordo transattivo con il quale le parti avevano risolto un preliminare di compravendita prevedendo, oltre alla rinuncia ad ogni reciproca pretesa, anche il rimborso dell’IVA alla promittente venditrice che aveva emesso fattura per l’acconto del prezzo mai corrisposto).
Cassazione Civile, Sezione Tributaria, Ordinanza 10-8-2022, n. 24642 (CED Cassazione 2022)
Art. 1965 cc (Transazione) – Giurisprudenza
RILEVATO CHE:
Le società contribuenti hanno proposto ricorso verso l’avviso di liquidazione con il quale l’Agenzia ha recuperato l’imposta di registro in misura proporzionale (3%), in relazione ad una scrittura privata del (OMISSIS), con la quali le parti hanno transatto una situazione litigiosa relativa ad un precedente preliminare di compravendita del (OMISSIS). Con detta scrittura la (OMISSIS) s.r.l. e la (OMISSIS) s.r.l. (poi incorporata dalla (OMISSIS) s.r.l.), rispettivamente in qualità di promissaria venditrice e di promissaria acquirente, hanno risolto il precedente preliminare e la società (OMISSIS) si è impegnata a rimborsare alla società (OMISSIS) l’Iva sulla fattura di 850.000,00 Euro che era stata emessa contestualmente alla stipula del preliminare, per l’acconto del prezzo, di fatto non pagato. L’Agenzia ha emesso il predetto avviso di liquidazione ritenendo che la pattuizione configuri un negozio transattivo con previsione del versamento di una somma di denaro, soggetta a registrazione ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, art. 29 ritenendo altresì che la somma che la (OMISSIS) si obbliga a versare alla (OMISSIS) integri un risarcimento del danno. Le società hanno reagito avverso detto avviso, deducendo che non si tratta di risarcimento del danno ma semplicemente di un obbligo di restituzione.
Il ricorso è stato accolto in primo grado.
L’Agenzia delle entrate ha proposto appello che la Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna ha accolto, ritenendo che si tratta di “una transazione per mezzo della quale si è determinato e convalidato un credito scaduto da oltre 18 mesi e ne è stato determinato il pagamento rateizzato in 24 mesi pattuendo che non vi erano risarcimenti danni da sanare tra le parti” e quindi è legittima l’applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, art. 29.
Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione le due società, affidandosi quattro motivi.
L’Agenzia delle entrate, non costituita nei termini, ha presentato istanza per la partecipazione eventuale discussione orale.
La causa è stata trattata alla udienza camerale non partecipata del 30 giugno 2022.
RITENUTO CHE:
1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 la nullità della sentenza ex art. 360, n. 4 per violazione degli artt. 132 c.p.c. e 36 del Decreto Legislativo n. 546 del 1992 nonchè dell’art. 111 Cost..
Le contribuenti deducono che la motivazione è incomprensibile poichè ricollega la legittimità dell’operato di Agenzia a due circostanze, di cui la prima -la scadenza del debito di restituzione dell’Iva- è insignificante; e l’altra, -la rinuncia a qualsiasi risarcimento- è indicativa semmai della bontà della tesi opposta a quella accolta dal giudice d’appello, e cioè che non deve applicarsi il Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, art. 29.
2.- Con il secondo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, art. 29. Le ricorrenti deducono che l’art. 29 cit. esclude dall’imposizione proporzionale gli obblighi di restituzione e tale è l’obbligo previsto nella transazione, come può desumersi dalla lettura dell’atto, ove le parti scrivono in premessa che la società (OMISSIS) non ha versato l’acconto previsto, che però era stato fatturato, come precedentemente concordato, dalla società (OMISSIS) al momento stesso della sottoscrizione del preliminare; di seguito si pattuisce la rinuncia a qualunque richiesta di risarcimento del danno, ma la (OMISSIS) si impegna a rimborsare alla società (OMISSIS) l’Iva sulla fattura di acconto, da questa emessa al momento della sottoscrizione del preliminare e mai pagata. Le ricorrenti osservano che il giudice d’appello ha fatto cattiva applicazione dell’art. 1362 c.c., in quanto non ha tenuto conto della comune intenzione delle parti, che hanno rinunciato a qualunque risarcimento del danno e previsto un semplice rimborso; la norma esclude infatti dalla tassazione proporzionale gli obblighi di restituzione quale quello del rimborso dell’Iva.
3.- Con il terzo motivo del ricorso si lamenta la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 in quanto non è stata presa in considerazione l’ulteriore eccezione delle società ricorrenti
e cioè che la pretesa fiscale è infondata perchè il Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, art. 40 prevede l’alternatività tra Iva e imposta di registro e nel caso di specie la transazione è diretta a regolare la rivalsa Iva.
4.- Con il quarto motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, art. 4 e art. 5 parte II tabella “atti per i quali non vi è obbligo di chiedere la registrazione” poichè il principio dell’alternatività tra Iva e imposta di registro non consentirebbe comunque l’assoggettamento all’imposta di registro di un atto relativo ad un rapporto soggetto ad Iva.
5.- I primi due motivi possono esaminarsi congiuntamente e sono fondati.
Il Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, art. 29 dispone che: “Per le transazioni che non importano trasferimento di proprietà o trasferimento o costituzione di diritti reali l’imposta si applica in relazione agli obblighi di pagamento che ne derivano senza tenere conto degli obblighi di restituzione nè di quelli estinti per effetto della transazione; se dalla transazione non derivano obblighi di pagamento l’imposta è dovuta in misura fissa”.
L’attuale disciplina dell’imposta di registro regola quindi distintamente l’imposizione della transazione, a seconda che abbia o meno un effetto traslativo, richiamando la tradizionale distinzione tra transazione dichiarativa o semplice e transazione novativa.
Si tratta di una distinzione già presente nel Testo Unico del 1923 (abrogato soltanto con decorrenza dal 10 gennaio 1973) ove si distingueva tra transazione semplice, con natura dichiarativa, assoggettata ad imposta in misura fissa, con la quale le parti rinunciavano semplicemente alle rispettive pretese, e transazioni novative o traslative, assoggettate ad imposta in misura proporzionale, con le quali le parti prevedevano una novazione dei rapporti precedenti ovvero contemplavano trasferimenti di diritti e assunzione di obbligazioni nuove.
Le due fattispecie presentano un profilo di differente rilevanza fiscale, poichè la transazione semplice non può essere assunta ad indice di una capacità contributiva maggiore di quella già manifestata
con l’atto originario. Pertanto, la norma dispone che sia assoggettato a tassa fissa l’atto dal quale non derivano obblighi di pagamento ed esplicita altresì che tali non devono considerarsi gli obblighi di restituzione; ed infatti pur se la restituzione di somme di denaro si attua tramite un pagamento, con essa la parte non consegue un arricchimento, bensì semplicemente ottiene il ripristino della situazione quo ante.
Nel caso di specie non vi è alcun trasferimento di ricchezza, poichè si prevede solo il rimborso dell’Iva alla società che aveva emesso fattura per l’acconto del prezzo di vendita, non corrisposto. Non solo, ma le parti hanno anche esplicitamente rinunciato ad ogni e qualsiasi risarcimento e questo è, come correttamente rileva parte ricorrente, un punto sul quale la sentenza impugnata cade in contraddizione, perchè pur richiamando l’art. 29 cit. e riconoscendo la rinuncia alle pretese risarcitorie, non coglie adeguatamente gli effetti sul piano fiscale di una siffatta pattuizione.
Ne consegue, in accoglimento dei primi due motivi del ricorso, assorbiti il terzo e il quarto, la cassazione della sentenza impugnata e non essendo necessari altri accertamenti in fatto può decidersi nel merito accogliendo l’originario ricorso della società contribuente.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo; le spese del doppio grado di merito possono essere compensate.
P.Q.M.
accoglie i primi due motivi del ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito accoglie l’originario ricorso delle contribuenti. Condanna l’Agenzia delle entrate alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.600,00 per compensi Euro 200,00 per spese non documentabili oltre alle spese forfettarie ed agli accessori di legge.
Compensa le spese del doppio grado di merito.
Roma, camera di consiglio del 30/06/2022.