Ordinanza 24844/2022
Distanze nelle costruzioni – Ius superveniens – Meno restrittivo per il costruttore – Effetti
In materia di distanze nelle costruzioni, qualora subentri una disposizione derogatoria o si verifichi una situazione favorevole al costruttore, si consolida – salvi gli effetti di un eventuale giudicato sull’illegittimità della costruzione – il diritto di quest’ultimo a mantenere l’opera alla distanza inferiore se, a quel tempo, la stessa sia già ultimata, fermo restando, peraltro, il diritto del vicino al risarcimento del danno subìto nel periodo tra l’edificazione e la nuova disposizione normativa o situazione di fatto legittimante.(Fattispecie relativa ad un edificio originariamente sorto in violazione della normativa sulle distanze, prospiciente una strada privata di cui era stato successivamente accertato l’asservimento all’uso pubblico che incideva sul computo delle distanze in maniera favorevole per il costruttore).
Cassazione Civile, Sezione 2, Ordinanza 17-8-2022, n. 24844 (CED Cassazione 2022)
Art. 873 cc (Distanze nelle costruzioni) – Giurisprudenza
Art. 872 cc (Violazione delle norme di edilizia) – Giurisprudenza
RITENUTO IN FATTO
1. Il sig. (OMISSIS) conveniva dinanzi al Tribunale di Nola, con atto di citazione notificato nel maggio 2011, il sig. (OMISSIS), esponendo: – che, con atto del 28 settembre 1953, (OMISSIS) aveva ricevuto in donazione dal padre un terreno della superficie di are 16,36, di cui are 1.6 identificate con la particella n. (OMISSIS), posizionata lungo il confine degli eredi di (OMISSIS) fu (OMISSIS); – che, successivamente, in data 21 novembre 1991, (OMISSIS) ed il coniuge (OMISSIS), riservando in loro favore l’usufrutto vitalizio, avevano donato ad esso attore, quale figlio, la nuda proprietà dei citati immobili, ubicati in (OMISSIS), in catasto al foglio (OMISSIS); – che, per effetto di tale atto, esso attore era divenuto nudo proprietario di un piccolo fabbricato ad uso abitativo, confinante, tra gli altri, con le proprietà di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS); – che, in particolare, quest’ultimo era proprietario di un lotto confinante con quello di esso attore sul lato sud-est ed aveva ivi realizzato un edificio a forma rettangolare che si sviluppava parallelamente al comune lato di confine, ad una distanza dallo stesso di mt. lineari quattro, in luogo di quella di mt. lineari cinque prescritta dalle norme urbanistiche locali.
Sulla base di tale premessa, chiedeva che venisse dichiarata l’illegittimità della costruzione realizzata dal (OMISSIS), con la conseguente riduzione in pristino del precedente stato dei luoghi, mediante la demolizione del manufatto.
Si costituiva in giudizio il convenuto, il quale invocava il rigetto della domanda, deducendo che i due fondi oggetto di causa erano separati da un muro di cinta, dell’altezza di circa 1 mt., con applicazione di relativa inferriata, senza il raggiungimento di un’altezza superiore a 3 mt., ragion per cui – ai sensi dell’art. 878 c.c., comma 1, – non poteva essere considerato ai fini del computo delle distanze così come richiamate in citazione. Aggiungeva, peraltro, il (OMISSIS) che, in ogni caso, la distanza tra i due fabbricati era superiore ai 5 mt indicati dal (OMISSIS) e che gli stessi si fronteggiavano solo per un breve tratto, di circa 2 mt., ragion per cui – ove fosse rimasta dimostrata la denunciata violazione delle distanze legali – la messa in ripristino avrebbe dovuto riguardare solo detto tratto, non senza invocare anche l’applicabilità del principio di prevenzione, poichè il suo immobile era stato edificato con licenza edilizia rilasciata prima del 1968, quando nel fondo attiguo non era stato ancora realizzato alcun immobile. In ultimo, il convenuto eccepiva l’intervenuta usucapione del diritto a mantenere il suo fabbricato a distanza eventualmente inferiore a quella prescritta per legge, in quanto lo stesso era stato realizzato da almeno 33 anni.
All’esito dell’espletata istruzione probatoria, nel corso della quale era esperita c.t.u., l’adito Tribunale, con sentenza n. 1286/2008, rigettava la domanda attorea, rilevando che il manufatto edificato dal convenuto affacciava direttamente su una strada, denominata “Traversa Napoli”, che divideva i due lotti delle parti confinanti, ragion per cui, in base al disposto dell’art. 879 c.c., comma 2, le prescrizioni sulle distanze legali non avrebbero potuto trovare applicazione. Al riguardo, il giudice di primo grado evidenziava che la suddetta “(OMISSIS)” si sarebbe potuta certamente considerare una strada pubblica, ai sensi del citato art., in quanto caratterizzantesi quale strada privata gravata da servitù pubblica di passaggio per la cui configurazione era sufficiente anche la protrazione dell’uso pubblico della stessa per il tempo necessario ai fini dell’usucapione.
2. Decidendo sull’appello formulato dal (OMISSIS) e nella sopravvenuta costituzione di (OMISSIS), terza intervenuta quale nuda proprietaria dell’immobile oggetto di contestazione (nel mentre l’appellato (OMISSIS) rimaneva contumace), la Corte di appello, dopo aver acquisito il fascicolo di primo grado e rinnovato la c.t.u., con sentenza n. 1321/2018 (pubblicata il 22 marzo 2018), rigettava il gravame, confermando l’impugnata sentenza e disponeva la compensazione per intero delle spese del grado, ponendo a carico delle parti costituite, per quote uguali, quelle occorse per l’espletamento della c.t.u. nel giudizio di appello.
A sostegno dell’adottata decisione, la Corte partenopea – ritenuta previamente l’ammissibilità dell’intervento della (OMISSIS) (siccome succeduta al genitore a sensi dell’art. 111 c.p.c., essendo divenuta nuda proprietaria dell’immobile in virtù di atto di donazione del 6 luglio 2009), ricadendosi un una delle ipotesi previste dall’art. 344 c.p.c. – rilevava, innanzitutto che, in conseguenza della ricostruzione complessiva della normativa e degli strumenti urbanistici locali, la distanza da osservare dall’immobile di proprietà (OMISSIS) avrebbe dovuto essere di mt. 5,30.
Il giudice di appello – pur a fronte di tale risultanza – riteneva, tuttavia, condivisibile la pronuncia di primo grado, con la quale era stata ravvisata l’applicabilità del disposto dell’art. 879 c.c., comma 2, poichè, per effetto del riconoscimento della sussistenza di una servitù di uso pubblico a carico della citata “(OMISSIS)” (interposta tre le due proprietà), si era di fatto venuto a determinare il sopravvenire di un regime più favorevole relativamente al fabbricato (OMISSIS), da ritenersi applicabile anche nel caso di specie.
3. Avverso la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, il (OMISSIS), resistito con controricorso dalla sola (OMISSIS), mentre l’altro intimato (OMISSIS) non ha svolto attività difensiva in questa sede.
RITENUTO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – l’omesso esame del fatto decisivo riguardante la natura meramente dichiarativa dell’iscrizione della “(OMISSIS)” in elenco comunale, avendo la Corte di appello errato nel ritenere che, per il solo fatto che tale strada fosse stata inserita nell’elenco allegato alla delibera di G.C. n. 121 del 2008 del Comune di (OMISSIS), fosse gravata da servitù di uso pubblico.
2. Con la seconda censura il ricorrente ha dedotto – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 879 c.c., comma 2, nonchè l’omesso esame di risultanze istruttorie, dalle quali era emerso che la citata “(OMISSIS)” non poteva essere asservita ad uso pubblico, soprattutto per la sua conformazione, non confinando nemmeno con una strada ma con la proprietà (OMISSIS).
3. Con la terza ed ultima doglianza il ricorrente ha prospettato – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – l’inapplicabilità del principio della prevenzione nonchè l’omessa valutazione sulla esistenza di una servitù di passaggio privato.
4. Rileva il collegio che i primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente siccome attinenti alla stessa questione e a profili tra loro connessi.
Essi sono infondati per le ragioni che seguono.
Appare opportuno fare una premessa generale sullo stato della giurisprudenza di questa Corte in ordine alla disciplina prevista dall’art. 879 c.c., comma 2, e all’individuazione dei presupposti per la configurazione delle “vie pubbliche”, la cui esistenza – alla stregua della norma appena citata – comporta l’inapplicabilità delle disposizioni normative relative alle distanze per le costruzioni realizzate a confine con le stesse.
Al riguardo è consolidata l’affermazione del principio secondo cui, ai fini dell’esonero dall’osservanza delle norme del codice civile concernenti le distanze tra costruzioni, l’esistenza di una via pubblica si configura solo quando la determinazione della P.A. di realizzarla si sia tradotta nella concreta destinazione del suolo a tale scopo, mediante l’esplicazione della necessaria attività, sia giuridica che materiale. Si è anche chiarito (cfr. Cass. SU n. 1624/2010 e Cass. SU n. 26897/2016) che l’iscrizione di una strada nell’elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico, pur non avendo una natura costitutiva bensì una funzione puramente dichiarativa, pone una presunzione di pubblicità dell’uso, superabile con la prova contraria della natura della strada (e, quindi, dell’inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività). Si è, in ogni caso, precisato, sul piano generale, che l’esonero dal rispetto delle distanze legali, previsto dall’art. 879 c.c., comma 2, per le costruzioni a confine con piazze e vie pubbliche, va riferito anche alle costruzioni a confine delle strade di proprietà privata gravate da servitù pubbliche di passaggio, giacchè il carattere pubblico della strada, rilevante ai fini dell’applicazione della norma citata, attiene, più che alla proprietà del bene, all’uso concreto di esso da parte della collettività (cfr. Cass. 6006/2008 e da, ultimo, Cass. n. 27364/2018).
Orbene, sulla scorta di tale inquadramento di base, la Corte di appello, ha esaminato costituendo il relativo accertamento il presupposto essenziale per la risoluzione della questione centrale alla stessa sottoposta con i motivi di appello – la natura giuridica della “(OMISSIS)”, previa idonea ricostruzione dello stato dei luoghi, dei passaggi amministrativi che avevano interessato tale strada e delle discipline urbanistiche succedutesi nel tempo.
A tal proposito, il giudice di secondo grado – confermando la pronuncia di prime cure ha puntualmente motivato in base a quali elementi la citata “Traversa” dovesse intendersi gravata da servitù di uso pubblico, risultando tale qualificazione sia da elementi formali inequivoci che da riscontri oggettivi circa l’accertamento dell’uso che di tale strada era stato fatto.
Con riferimento al primo aspetto la Corte partenopea ha appurato che, con apposita Derlib. G.C. del 30 luglio 2008, era stato deciso di attribuire alla strada costituita dalla “Traversa” in contestazione la natura di servitù di uso pubblico, in virtù del suo inserimento in apposito elenco allegato a detta delibera, essendo, peraltro, emerso che tale strada faceva parte anche dello stradario comunale.
Sul piano oggettivo, la Corte territoriale ha, altresì, appurato che detta strada era segnalata sul posto da un’apposita targa toponomastica, che lungo il suo corso risultavano apposti i numeri civici e che era stata inserita nell’anagrafe oltre ad essere oggetto del servizio di nettezza urbana e, soprattutto, ad essere praticata da una collettività indeterminata di persone, circostanza questa da far propendere già univocamente – di per sè – per il suo uso pubblico.
In presenza di tali univoci elementi, la Corte partenopea ha dato, poi, compiutamente conto di come l’attuale ricorrente non fosse stato in grado di offrire una idonea prova contraria, ovvero tale da rendere inapplicabile il disposto dell’art. 879 c.c., comma 2, invocando, con il secondo motivo la necessità della valutazione di ulteriori elementi istruttori, e, quindi, sollecitando una rivalutazione del merito dell’apprezzamento sulle caratteristiche e sull’utilizzazione di detta strada, da ritenersi, tuttavia, già sufficientemente compiuto – per quanto sopra evidenziato – dal giudice di appello in ordine agli elementi qualificanti per condurre all’inquadramento della strada in questione come gravata da servitù di uso pubblico.
Inoltre, il giudice di appello ha correttamente applicato l’ulteriore principio giuridico di diritto affermato da questa Corte in base al quale lo “ius superveniens” più favorevole per il costruttore rende legittima la costruzione originariamente costruita ed ultimata in difformità di prescrizioni normative più restrittive in tema di distanze legali (cfr. Cass. n. 18119/2013 e Cass. n. 12987/2016), con la sua conseguente estensibilità – per identità di “ratio” – anche al caso di specie, in cui l’accertamento della configurazione di una servitù di uso pubblico sulla suddetta “(OMISSIS)” ha, in concreto, comportato la sopravvenienza di un regime giuridico più favorevole con riferimento al fabbricato dei (OMISSIS), per effetto della derivante applicabilità del citato disposto dell’art. 879 c.c., comma 2, e del correlato esonero dal rispetto delle norme in materia di distanze.
5. Il terzo motivo si appalesa inammissibile (per assorbimento improprio dello stesso in dipendenza del rigetto dei due precedenti motivi), perchè attiene ad un aspetto quello dell’asserita mancata applicazione del principio di prevenzione – non involto dall’unica “ratio decidendi” dell’impugnata sentenza – condivisa da questa Corte con la presente decisione – risolutiva della vicenda processuale, ovvero quella della ritenuta – in via assorbente – applicabilità del regime normativo di cui all’art. 879 c.c., comma 2, (e, perciò, dell’esclusione di una servitù di passaggio privato sulla “Traversa” in questione), con il correlato superamento di ogni altra doglianza.
6. In definitiva, sulla scorta delle ragioni complessivamente esposte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna del soccombente ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, in favore della controricorrente (OMISSIS), che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.
Non occorre adottare alcuna statuizione sulle spese in ordine al rapporto processuale tra il ricorrente e l’intimato (OMISSIS), non avendo quest’ultimo svolto alcuna attività difensiva in questa sede.
Infine, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dello Corte di Cassazione – copia non ufficiale stesso ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente (OMISSIS), delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della 2″ Sezione civile in data 8 giugno 2022.