Sentenza 25018/2017
Impiego pubblico – Assunzione di obbligazioni in sede conciliativa contrarie a legge e contrattazione collettiva
Nel pubblico impiego contrattualizzato il datore di lavoro, pur non potendo esercitare poteri autoritativi, è tenuto ad assicurare il rispetto della legge e, conseguentemente, non può dare esecuzione ad atti nulli, né assumere in via conciliativa obbligazioni che contrastino con la disciplina del rapporto prevista dalla legge o dalla contrattazione collettiva. (Nella specie, la S.C. ha cassato la pronuncia della corte d’appello che aveva ritenuto illegittimo l’annullamento in via di autotutela di verbali di conciliazione con cui era stata attribuita ad alcuni lavoratori una qualifica superiore in conseguenza dello svolgimento di fatto delle mansioni).
Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 23 ottobre 2017, n. 25018 (CED Cassazione 2017)
FATTI DI CAUSA
- La Corte di Appello di Torino ha respinto l’appello proposto dall’Office Regional du Tourism, subentrata all’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di Cogne, avverso la sentenza del Tribunale di Aosta che aveva ritenuto illegittimi gli atti di annullamento in autotutela delle transazioni sottoscritte dinanzi alla Direzione Regionale del Lavoro, con le quali l’Azienda Autonoma si era impegnata a riconoscere con decorrenza dal 1 gennaio 2007 l’inquadramento ed il relativo trattamento retributivo a (OMISSIS) nella categoria D e a (OMISSIS) e (OMISSIS) nella categoria C, posizione economica C2.
- La Corte territoriale, riassunti i termini della vicenda e le posizioni delle parti, ha evidenziato che, a prescindere da ogni considerazione sul titolo della pretesa che i lavoratori avevano fatto valere in sede conciliativa (diritto all’inquadramento per effetto dello svolgimento di mansioni superiori, come sostenuto dall’Office Regional; diritto alla corretta applicazione del CCRL che aveva istituito il comparto unico della regione e degli enti locali della Valle d’Aosta, come asserito dagli originari ricorrenti) non poteva la Pubblica Amministrazione procedere all’unilaterale annullamento dei verbali di conciliazione, sottoscritti nel rispetto delle procedure e delle garanzie previste dall’articolo410 c.p.c., perchè nel sistema dell’impiego pubblico contrattualizzato il datore di lavoro pubblico agisce con i poteri e le capacità del privato e, quindi, non può esercitare l’autotutela che presuppone un potere amministrativo autoritativo.
- Il giudice di appello ha aggiunto che l’appellante non poteva invocare il principio in forza del quale nell’impiego pubblico contrattualizzato l’esercizio di mansioni superiori non legittima l’acquisizione definitiva del diverso inquadramento, perchè ai sensi dell’articolo1969 c.c.l’errore di diritto rileva solo se cade sulla situazione costituente il presupposto della res controversa, non già nelle ipotesi in cui riguardi proprio l’oggetto della transazione.
- Esclusa l’annullabilità unilaterale delle conciliazioni, la Corte ha ritenuto assorbita la questione dell’individuazione del titolo che aveva portato al riconoscimento del diverso inquadramento e, quindi, anche la domanda, riproposta dagli appellati con appello incidentale condizionato, volta ad ottenere il pagamento delle differenze retributive conseguenti allo svolgimento di fatto di mansioni superiori anche per il periodo antecedente al 1 gennaio 2007.
- Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’Office Regional du Tourism sulla base di due motivi, illustrati da memoria ex articolo378 c.p.c.. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, “violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1344, 1418 e 2113 c.c., Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articoli 52 e 66,Legge Regionale n. 45 del 1995, articoli 30 bis e 50 e articolo 97 Cost.” e rileva, in sintesi, che la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare la nullità dei verbali di conciliazione, in quanto sottoscritti in violazione delle norme inderogabili dettate dalDecreto Legislativo n. 165 del 2001 e dalla normativa regionale, che impediscono al datore di lavoro pubblico di attribuire un inquadramento diverso da quello stabilito al momento dell’assunzione o successivamente acquisito per effetto di procedure selettive. Aggiunge che nel sistema dell’impiego pubblico contrattualizzato se, da un lato, la P.A. non può esercitare poteri di autotutela, dall’altro proprio l’equiparazione con l’impiego privato consente al datore di non osservare il contratto ritenuto affetto da nullità, perchè, in quanto tale, improduttivo di effetti giuridici. Precisa, infine, che la inoppugnabilità sancita dall’articolo 2113 c.c.non si riferisce ai casi di nullità della conciliazione, senza dubbio configurabile nella fattispecie perchè i lavoratori erano stati inquadrati correttamente sulla base delle tabelle di corrispondenza previste dal CCRL del 2000 e la loro pretesa era stata fondata sull’asserito svolgimento di mansioni superiori.
1.2. La seconda censura, formulata ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 1969 c.c., non applicabile alla fattispecie nella quale l’Amministrazione non aveva fatto valere un vizio del consenso, bensì aveva eccepito la radicale nullità degli atti transattivi, derivante dall’insanabile contrasto degli obblighi assunti con norme imperative di legge.
- Il primo motivo è fondato.
La giurisprudenza di questa Corte, infatti, è ormai consolidata nell’affermare che la natura privatistica degli atti di gestione dei rapporti di lavoro di cui al Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 2 non consente alle Pubbliche Amministrazioni di esercitare il potere di autotutela, che presuppone la natura amministrativa del provvedimento e l’esercizio di poteri autoritativi. È stato, però, aggiunto che, qualora l’atto adottato risulti in contrasto con norma imperativa, l’ente pubblico, che è tenuto a conformare la propria condotta alla legge, nel rispetto dei principi sanciti dall’articolo 97 Cost., ben può sottrarsi unilateralmente all’adempimento delle obbligazioni che trovano titolo nell’atto illegittimo ed in tal caso, al di là dello strumento formalmente utilizzato e dell’autoqualificazione, la condotta della P.A. è equiparabile a quella del contraente che non osservi il contratto stipulato, ritenendolo inefficace perchè affetto da nullità (Cass. 26.2.2016 n. 3826, Cass. 1.10.2015 n. 19626, Cass. 8.4.2010 n. 8328 e Cass. 24.10.2008 n. 25761 quest’ultima in tema di revoca di inquadramento illegittimamente attribuito).
Dalla natura privatistica degli atti di gestione del rapporto discende inoltre che, qualora il dipendente intenda reagire all’atto unilaterale adottato dalla P.A., deve fare valere in giudizio il diritto soggettivo che da quell’atto è stato ingiustamente mortificato e non limitarsi a sostenere l’illegittimo esercizio di poteri di autotutela, perchè il giudice ordinario è giudice non dell’atto ma del rapporto e dei diritti/doveri che dallo stesso scaturiscono. Ciò comporta che il thema decidendum necessariamente si estende alla sussistenza o meno della ragione di nullità fatta valere dall’amministrazione, essendo incontestabile che nel sistema privatistico l’atto nullo, in quanto improduttivo di effetti giuridici, non può essere posto dal dipendente a fondamento del diritto soggettivo azionato.
2.1. Detti principi operano anche nell’ipotesi, che qui viene in rilievo, di obbligazioni assunte dall’amministrazione all’esito del tentativo di conciliazione disciplinato dal Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articoli 65 e 66.
La inoppugnabilità prevista dall’articolo 2113 c.c., u.c. non si riferisce alle azioni generali di nullità e di annullabilità dell’atto, perchè, come già chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, l’intervento dell’ufficio provinciale del lavoro è finalizzato a sottrarre il lavoratore alla condizione di soggezione rispetto al datore di lavoro, che potrebbe indurre a sottoscrivere transazioni e rinunce frutto della prevaricazione esercitata dal datore. Rimangono, invece, esperibili i mezzi ordinari di impugnazione concessi ai contraenti per far valere i vizi che possono inficiare il regolamento contrattuale, ossia le cause di nullità o di annullabilità, poichè rispetto a tali azioni l’intervento dell’ufficio provinciale del lavoro non può esplicare alcuna efficacia sanante o impeditiva (fra le più recenti in tal senso Cass. 28.4.2014 n. 9348).
Ad analoghe conclusioni questa Corte è pervenuta in relazione alle conciliazioni stipulate ai sensi del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 66 rilevando che delle stesse può essere senz’altro fatta valere la nullità qualora in sede conciliativa l’amministrazione abbia, in violazione di norme inderogabili di legge, riconosciuto al dipendente un trattamento giuridico ed economico allo stesso non dovuto (Cass. 18.2.2015 n. 3246).
2.2. Ha, quindi, errato la Corte territoriale nel ritenere determinante ai fini della decisione la sola carenza del potere di autotutela, poichè come si desume dalla stessa motivazione della sentenza impugnata nonchè dall’esposizione dei fatti riportata nel ricorso, l’Office Regional du Tourisme, a giustificazione dell’iniziativa unilaterale assunta, aveva fatto valere proprio la nullità delle conciliazioni, per contrasto con la disciplina inderogabile dettata dal Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 52.
Sul punto va evidenziato che la disciplina delle mansioni nell’impiego pubblico contrattualizzato differisce sensibilmente da quella civilistica, perchè vengono in rilievo interessi di carattere generale, quali sono quelli dell’efficienza degli uffici pubblici, del pubblico concorso (che secondo la giurisprudenza costituzionale opera anche in caso di inquadramento nella fascia funzionale superiore, cfr. Corte Cost. 29.5.2002 n. 218), del contenimento e della necessaria predeterminazione della spesa, che impongono al datore di lavoro pubblico, fatta eccezione per i casi espressamente previsti dalla legge, di assegnare al dipendente solo compiti che siano corrispondenti alla qualifica di assunzione o a quella legittimamente “acquisita per effetto dello sviluppo professionale o di procedure concorsuali o selettive” (Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 52 nel testo applicabile ratione temporis). In detti rapporti, quindi, l’esercizio di mansioni superiori in nessun caso fa sorgere il diritto alla definitiva acquisizione della diversa qualifica, tanto che, ove l’assegnazione venga disposta dal datore senza che ricorrano i presupposti previsti dalla legge, la stessa è affetta da nullità e il dipendente può solo rivendicare il trattamento retributivo corrispondente alla qualità e quantità del lavoro prestato, limitatamente al periodo in cui la prestazione è stata eseguita. Il legislatore, inoltre, ha anche previsto, a conferma di quanto si è detto sulla presenza di interessi generali di rilievo costituzionale, la responsabilità personale del dirigente che abbia dato causa ai maggiori esborsi, ove ciò sia avvenuto in conseguenza di dolo o colpa grave (in tal senso fra le più recentiCass. 13.6.2017 n. 14664).
2.3. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno anche evidenziato che “in materia di pubblico impiego contrattualizzato, il datore di lavoro pubblico non ha il potere di attribuire inquadramenti in violazione del contratto collettivo, ma ha solo la possibilità di adattare i profili professionali, indicati a titolo esemplificativo nel contratto collettivo, alle sue esigenze organizzative, senza modificare la posizione giuridica ed economica stabilita dalle norme pattizie, in quanto il rapporto è regolato esclusivamente dai contratti collettivi e dalle leggi sul rapporto di lavoro privato. È conseguentemente nullo l’atto in deroga, anche in melius, alle disposizioni del contratto collettivo, sia quale atto negoziale, per violazione di norma imperativa, sia quale atto amministrativo, perchè viziato da difetto assoluto di attribuzione ai sensi della L. 7 agosto 1990, n. 241, articolo 21-septies dovendosi escludere che la P.A. possa intervenire con atti autoritativi nelle materie demandate alla contrattazione collettiva. ” (Cass. S.U. 14.10.2009 n. 21744).
2.4. Si impongono, pertanto, la cassazione della sentenza ed il rinvio alla Corte territoriale indicata in dispositivo che procederà ad un nuovo esame attenendosi a quanto precisato nei punti che precedono ed al principio di diritto di seguito enunciato: “Nell’impiego pubblico contrattualizzato il datore di lavoro, pur non potendo esercitare poteri autoritativi, è tenuto ad assicurare il rispetto della legge e, conseguentemente, non può dare esecuzione ad atti nulli nè assumere in sede conciliativa obbligazioni che contrastino con la disciplina del rapporto dettata dal legislatore e dalla contrattazione collettiva. Il divieto imposto al datore di lavoro pubblico di attribuire trattamenti giuridici ed economici diversi da quelli previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva, anche se di miglior favore, impedisce sia il riconoscimento di inquadramenti diversi da quelli previsti dal CCNL di comparto sia l’attribuzione della qualifica superiore in conseguenza dello svolgimento di fatto delle mansioni.”.
Resta conseguentemente assorbito il secondo motivo inerente l’inapplicabilità alla fattispecie dell’articolo 1969 c.c..
Al giudice del rinvio viene rimesso anche il regolamento delle spese relative al giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Torino, in diversa composizione.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 14.6.2017