Sentenza 25107/2018
Statuizione di inammissibilità – Sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito svolta ad abundantiam – Impugnazione – Inammissibilità
Qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nella sentenza gravata.
Cassazione Civile, Sezione 6, Sentenza 10-10-2018, n. 25107
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 1345/2015 il Tribunale di Taranto, accogliendo la domanda proposta da Co. Da. La. -custode giudiziario dei beni immobili assoggettati a sequestro preventivo con decreto del 10 aprile 2006, emesso dal GIP presso il Tribunale penale di Taranto nel procedimento penale n. 3379/05 RGNR mod. 21-nei confronti di Le. Co. e Nu. Ba. Co., dichiarò la risoluzione del comodato precario tra questi ultimi e il padre Co. Gregorio/ avente ad oggetto gli immobili caduti in sequestro, siti in Avetrana alla via Piave nn. 100, 102 e 104, detenuti dai convenuti, ordinò la riconsegna al custode degli immobili in parola, rigettò la domanda di risarcimento del danno da occupazione illegittima e regolò le spese di quel grado tra le parti.
Avverso la sentenza del Tribunale Nu. Ba. Co. e Le. Co. proposero gravame, del quale il La., costituendosi, eccepì l’inammissibilità ai sensi dell’art. 342 cod. proc. civ. e, nel merito, dedusse l’infondatezza.
La Corte di appello di Lecce – Sezione distaccata di Taranto, con sentenza depositata il 4/11/2015, dichiarò inammissibile l’impugnazione proposta e condannò gli appellanti alle spese di quel grado.
In particolare la Corte territoriale ritenne il gravame proposto inammissibile ai sensi dell’art. 342 cod. proc. civ. nella sua nuova formulazione, e, comunque, anche privo di fondamento per le ragioni specificate in quella sentenza. Nu. Ba. Co. e Le. Co. hanno proposto ricorso per cassazione, basato su quattro motivi e illustrato da memoria, avverso la richiamata sentenza della Corte d’appello di Lecce Sezione distaccata di Taranto.
L’intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede.
La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., precisandosi che, all’esito della già fissata adunanza in camera di consiglio del 20 luglio 2017, questa Corte, con 0.1. n. 20676/17, ha rinviato la causa a nuovo ruolo in attesa della decisione sulla questione di massima importanza rimessa alle Sezioni Unite di questa Corte con 0.1. n. 8845/17, questione che è stata decisa con sentenza del 16 novembre 2017, n. 27199.
RAGIONI DELLA DECISIONE
- Il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con motivazione semplificata.
- Con il primo motivo di ricorso, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 342 cod. proc. civ., i ricorrenti lamentano che la Corte di merito abbia ritenuto inammissibile l’appello proposto sia perchè gli appellanti, pur avendo individuato le parti della sentenza impugnata da modificare, non avrebbero specificato le modifiche richieste, «invero riproponendo Io stesso iter del primo grado anche dal punto di vista logico ricostruttivo, sia soprattutto perché» non avrebbero individuato «il nesso causale tra l’errore denunciato e la decisione impugnata». Sostengono i ricorrenti che l’atto di appello proposto rispetta il requisito di specificità richiesto dalla formulazione vigente dell’art.342 cod. proc. civ., contenendo tale atto «1) l’individuazione della parte della sentenza impugnata …; 2) l’individuazione dell’errore del giudice di prime cure e la sua sottoposizione a critica …; 3) l’individuazione, infine, del cd. “passaggio motivazionale alternativo” rispetto a quello contenuto nella sentenza appellata …» e contestano, altresì, la sussistenza di «un presunto obbligo di redazione del progetto di sentenza».
2.1. Osserva il Collegio che, con la recente sentenza n. 27199/17 del 16 novembre 2017, le Sezioni Unite hanno esaminato la questione di massima di particolare importanza relativa a quale sia l’ambito della nozione di specificità dei motivi di appello, ora prevista a pena di inammissibilità dal testo dell’art. 342 cod. proc. civ. – di cui all’art. 54, comma 1, lett. Oa), d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 154 – (e dell’omologo art.434 cod. proc. civ. per il rito del lavoro) ed in particolare se essa imponga all’appellante un onere di specificazione di un diverso contenuto della sentenza di primo grado, se non perfino un progetto alternativo di sentenza o di motivazione, o non piuttosto soltanto una compiuta contestazione di bene identificati capi della sentenza impugnata e dei passaggi argomentativi, in fatto o in diritto, che la sorreggono, con la prospettazione chiara ed univoca della diversa decisione che ne conseguirebbe sulla base di bene evidenziate ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo Giudice.
Con riferimento al quesito sottoposto al loro scrutinio, le Sezioni Unite hanno affermato il seguente principio di diritto: «Gli artt. 342 e 434 cod. proc. civ., nel testo formulato dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice.
Resta tuttavia escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l’atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado».
2.2. Dalla lettura dell’atto di appello, riportato testualmente, per la parte che rileva, nell’illustrazione del motivo all’esame, emerge che l’esito di inammissibilità cui è pervenuta la Corte di appello di Lecce – Sezione distaccata di Taranto non risulta corretto, alla luce del principio sopra riportato, non avendo la Corte territoriale considerato che le censure formulate in appello sono state sviluppate attraverso l’indicazione delle parti della sentenza del Tribunale ritenute erronee e con l’indicazione delle ragioni poste a fondamento delle censure proposte, offrendo spunti per una decisione diversa, tanto è vero che la Corte di merito ad abundantiam ha pure ritenuto in ogni caso il gravame privo di fondamento.
Deve, pertanto ritenersi soddisfatto il requisito di specificità dell’atto di appello, in ossequio alla corretta esegesi dell’art. 342 cod. proc. civ., di recente avallata dalle Sezioni Unite di questa Corte.
Ne consegue che il primo motivo è fondato.
- Con il secondo motivo, rubricato «Violazione o falsa applicazione di norme di diritto e comunque degli art. 15 cp, artt. 321 c.p.p., art. 104 bis disp.att. c.p.p., L. n. 575 del 1965, art. 2 sexies; art. 40 d.lgs. 159/2011, in relazione all’art. 360 del codice di procedura civile n. 3 nonché l’omessa insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza in merito ad un punto decisivo e controverso in relazione all’art. 360 del codice di procedura civile n.5», i ricorrenti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui, esaminando comunque il merito del gravame, la Corte di appello ha ritenuto, a loro avviso non correttamente, «che la consistenza della misura cautelare, che si pone a monte dell’intrapreso processo civile, va desunta sia dal provvedimento di sequestro preventivo sia dalle disposizioni autorizza tive successivamente adottate dagli organi giudiziari competenti in sede penale» e che «dalle sopravvenute autorizzazioni è derivato il potere del custode di agire per la risoluzione del contratto di comodato ed il rilascio degli immobili in sequestro.
Peraltro siffatto potere si pone in sintonia con i compiti di amministrazione, oltre che di conservazione, naturalmente facenti capo al custode …, compiti che valgono a conferirgli “una propria autonoma legittimazione processuale in rappresentanza del patrimonio sottoposto a sequestro».
- Con il terzo motivo, rubricato «Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza in merito ad un punto decisivo e controverso in relazione all’art. 360 del codice di procedura civile n. 5», i ricorrenti lamentano che la Corte di merito abbia omesso di argomentare circa il «come e in base a quale meccanismo giuridico il custode abbia esercitato l’azione di risoluzione del comodante».
- Con il quarto motivo, rubricato «Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza in merito ad un punto decisivo e controverso in relazione all’art. 360 del codice di procedura civile», i ricorrenti sostengono che la Corte territoriale avrebbe omesso di motivare ovvero avrebbe fornito una insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione alle doglianze sollevate in ordine alla pacifiche circostanze dell’uso, da parte della Co., come residenza familiare dell’immobile sito a primo piano e dell’uso come sede dell’attività lavorativa commerciale del locale sottostante, nonché dell’uso, da parte di Co. Le., del contiguo locale sito a piano terra come sede dell’attività lavorativa di quest’ultimo.
- I motivi secondo, terzo e quarto sono inammissibili alla stregua del principio già affermato da questa Corte e che va in questa sede ribadito, secondo cui, qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nella sentenza gravata (Cass., sez. un., 20/02/2007, n. 3840; Cass. 20/08/2015, n. 17004).
Si evidenzia pure, per completezza, che, con riferimento alle doglianze relative ai vizi motivazionali, i ricorrenti, lungi dal proporre delle doglianze che rispettano il paradigma legale di cui al novellato n. 5 dell’art. 360 del codice di rito, ripropongono, come peraltro chiaramente indicato già nelle rubriche dei motivi all’esame, inammissibilmente lo stesso schema censorio del n. 5 nella sua precedente formulazione, inapplicabile ratione temporis (Cass., sez. un., 7/04/2014, n. 8053).
- In conclusione va accolto il primo motivo e vanno dichiarati inammissibili i motivi secondo, terzo e quarto; la sentenza impugnata va cassata; la causa va rinviata alla Corte di appello di Lecce – Sezione distaccata di Taranto, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
- Stante l’accoglimento, come sopra precisato, del ricorso, va dato atto della insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo e dichiara inammissibili i motivi secondo, terzo e quarto; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Lecce – Sezione distaccata di Taranto, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, in data 10 marzo 2018.