Sentenza 25305/2008
Copia fotostatica con attestazione notarile della conformità a documento esibito – Valore probatorio
La garanzia di certezza che deve assistere l’autenticazione delle copie impone che il pubblico ufficiale dichiari in modo espresso la conformità delle stesse all’originale, solo così potendosi acquisire la sicurezza che sia stato presentato l’originale della scrittura e che la copia sia conforme; ne consegue che alle copie fotostatiche può attribuirsi la stessa efficacia di quelle autentiche solo se vi sia attestazione, da parte del pubblico ufficiale competente, della loro conformità all’originale e non al documento a lui esibito.
Attestazione di conformità di una copia all’originale – Efficacia del disconoscimento
L’attestazione di conformità all’originale della copia di una scrittura privata può essere idonea ad escludere l’efficacia del disconoscimento della controparte solo se la predetta attestazione provenga da uno dei soggetti a ciò espressamente autorizzati dalla legge, fra i quali non rientra l’ufficio amministrativo del Comune.
Mancata integrazione del contraddittorio – Rilevabilità d’ufficio
La non integrità del contraddittorio è rilevabile, anche d’ufficio, in qualsiasi stato e grado del procedimento e, quindi, anche in sede di giudizio di legittimità, nel quale la relativa eccezione può essere proposta, anche per la prima volta, nel solo caso in cui il presupposto e gli elementi di fatto posti a fondamento della stessa emergano “ex sè” dagli atti del processo di merito, senza la necessità di nuove prove e dello svolgimento di ulteriori attività; in tal caso, tuttavia, la parte che eccepisce la non integrità del contraddittorio ha l’onere non soltanto di indicare le persone che debbono partecipare al giudizio quali litisconsorti necessari e di provarne l’esistenza, ma anche quello di indicare gli atti del processo di merito dai quali dovrebbe trarsi la prova dei presupposti di fatto che giustificano la sua eccezione.
Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, Sentenza 16 ottobre 2008, n. 25305 (CED Cassazione 2008)
Art. 2715 cc annotato con la giurisprudenza
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 13/18.4.1996 Va. Pa. , Va. An. , St. Ca. , Va. Lu. , Va. Ro. e Va. Gi. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Caltanissetta la Parrocchia Immacolata Concezione di (OMESSO) e gli eredi di Ma. Ma. chiedendo ai sensi dell’articolo 2901 c.c., dichiararsi l’inefficacia dell’atto di donazione del 15.3.1994 a rogito notaio Di Benedetto di Caltanissetta con il quale la Ma. aveva donato gli immobili di sua proprietà alla predetta Parrocchia.
Gli attori esponevano di essere eredi di Va. Lu. , il quale nel (OMESSO) aveva concesso in prestito la somma di lire 23.000.000, alla cognata Ma. Ma. , che aveva assunto l’obbligo di restituire, oltre alla quota capitale, anche gli interessi “ai tassi applicati dalle banche ordinarie”; aggiungevano che la Ma. con atti del 5.2.1963 (sottoscritto alla presenza del notaio Capra con autocertificazione di firma in calce), del 4.10.1972, del 4.3.1972 e del 2.4.1986 (sottoscritto alla presenza del notaio Romano con autenticazione di firma in calce) aveva riconosciuto l’esistenza del proprio debito, ma che con atto pubblico del 15.3.1994, pregiudicando le ragioni creditorie degli esponenti, aveva donato i beni immobili rimasti in sua proprietà alla suddetta Parrocchia.
Si costituiva in giudizio quest’ultima eccependo il difetto di legittimazione attiva degli attori ed assumendo di non essere a conoscenza del preteso credito delle controparti nei confronti della Ma. ; disconosceva inoltre tutte le scritture prodotte dagli attori e la sottoscrizione della loro autrice e deduceva l’insussistenza dei presupposti per la revocazione della donazione. Si costituivano altresì in giudizio Pu. Se. , Ma. Ma. Gr. , Ma. Le. Gi. , Ma. Gi. Te. , Ma. Pa. , Ma. An. Ri. e Ma. Li. eccependo di aver rinunciato all’eredità della defunta Ma. Ma. e chiedendo quindi di essere estromessi dal giudizio.
Rimanevano contumaci gli altri eredi Ma. .
Il Tribunale adito con sentenza del 4.3.1999 dichiarava il difetto di legittimazione attiva di St. Ca. , dichiarava l’inefficacia dell’atto di donazione e statuiva che gli eredi Ma. costituitasi in giudizio non erano tenuti all’adempimento dell’obbligazione contratta da Ma. Ma. nei confronti di Va. Lu. .
Proposto gravame da parte della Parrocchia Immacolata Concezione cui resistevano gli eredi di Va. Lu. nonchè gli eredi di Ma. Ma. proponendo altresì ricorso incidentale, la Corte di Appello di Caltanissetta con sentenza del 5.8.2003; ha rigettato l’impugnazione principale. Ha revocato la dichiarazione di contumacia nel giudizio di primo grado di Ma. Li. e per l’effetto ha dichiarato che anche quest’ultima non era debitrice di alcuna somma nei confronti di Va. Lu. ed in favore dei suoi eredi. Per la Cassazione di tale sentenza la Parrocchia Immacolata Concezione di (OMESSO) ha proposto un ricorso articolato in sei motivi cui An. , Pa. , Lu. , Gi. e Va. Ro. hanno resistito con controricorso proponendo altresì un ricorso incidentale; St. Ca. e gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede; la ricorrente principale ha successivamente depositato una memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve procedersi alla riunione dei ricorsi in quanto proposti contro la medesima sentenza.
Deve poi essere esaminata l’eccezione formulata dai controricorrenti di inammissibilità del ricorso principale; in proposito essi sostengono che la Parrocchia ricorrente ha conferito un mandato alle liti congiunto agli avvocati Bennardo Filippo e Russotto Giuseppe (“nomino e costituisco mio procuratore legale per rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio l’avv. Bennardo Filippo unitamente all’avv. Russotto Giuseppe “), cosicchè entrambi i suddetti difensori avrebbero dovuto sottoscrivere il ricorso, che in realtà è stato sottoscritto soltanto dall’avvocato Bennardo Filippo.
Tale assunto è infondato, posto che dai principi generali dettati in tema di procura alle liti (articoli 83 e 365 c.p.c.) e dalla disciplina sostanziale di cui all’articolo 1716 c.c., disciplinante l’ipotesi di pluralità di mandatari, discende che, ove il mandato alle liti venga conferito a più difensori, ciascuno di essi deve ritenersi legittimato al compimento di atti processuali, ivi compresi il ricorso per cassazione, che è valido anche se sottoscritto da uno solo dei difensori nominati, a meno che risultino particolari limitazioni o una espressa volontà delle parti circa il carattere congiunto del mandato stesso; tale volontà non può peraltro essere desunta dall’uso della locuzione “in unione”, stante la sua genericità (Cass. 8.3.2006 n. 4921); pertanto, qualora nella procura speciale per ricorrere in cassazione siano indicati contestualmente due avvocati senza peraltro l’espressa previsione che il mandato ha carattere congiunto, ciascuno di essi ha pieni poteri di rappresentanza processuale, con la conseguenza che il ricorso è validamente proposto anche se sottoscritto da uno solo dei due (Cass. 28.11.1989 n. 5185; Cass. 16.6.1997 n. 5389).
Orbene alla luce di tale consolidato indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, rilevato che la locuzione “unitamente” utilizzata per conferire da parte della Parrocchia ricorrente agli avvocati Russotto e Bennardo il mandato a proporre il ricorso per cassazione non configura un mandato congiunto, ne consegue che il ricorso stesso, sottoscritto soltanto dall’avvocato Bennardo, è ammissibile.
Venendo quindi all’esame del ricorso principale, si rileva che la Parrocchia Immacolata Concezione di (OMESSO) con il primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli articoli 457 – 459 – 460 – 476 – 565 – 566 – 2901 e 2697 c.c., e articoli 100 – 102 c.p.c., Legge 4 gennaio 1968, n. 15, articoli 1, 2, 4, 7, 14 e 20, nullità della sentenza del procedimento e vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver ritenuto infondata l’eccezione di difetto di legittimazione attiva relativamente agli attuali controricorrenti e ricorrenti incidentali, considerato che essi avrebbero dovuto provare non solo la loro qualità di eredi legittimi di Va. Lu. (requisito invero non dimostrato sulla base di dichiarazioni sostitutive di atti di notorietà), ma anche la mancata delazione testamentaria, l’apertura della successione legittima e l’accettazione dell’eredità; in realtà tale onere probatorio non era stato assolto.
La ricorrente principale inoltre fa presente che, poichè i chiamati in giudizio quali eredi di Ma. Ma. non potevano essere ritenuti tali avendo essi rinunciato a tale eredità, da ciò era derivato un difetto di contraddittorio per mancata citazione in giudizio dei veri eredi della Ma. . Preliminarmente all’esame di tale motivo deve essere esaminato il primo motivo di ricorso incidentale con il quale i Va. , deducendo violazione dell’articolo 345 c.p.c., assumono che la sentenza impugnata avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l’eccezione di carenza di legittimazione attiva sollevata da controparte, perchè fondata su circostanze di fatto diverse da quelle formulate nel primo grado di giudizio; invero la Parrocchia dinanzi al Tribunale di Caltanissetta aveva dedotto soltanto l’inefficacia probatoria della documentazione dello stato civile prodotto dagli esponenti, mentre in secondo grado l’appellante aveva eccepito la carenza di legittimazione attiva dei Va. per non aver essi provato la inesistenza di un testamento, elemento indispensabile per l’operatività della successione legittima. Tale censura è infondata, posto che la suddetta circostanza dedotta dalla Parrocchia in grado di appello a fondamento della sua eccezione di difetto di legittimazione attiva dei Va. si configurava come una ulteriore argomentazione difensiva pur sempre finalizzata alla contestazione, riguardo alle controparti, della loro qualità di eredi di Va. Lu. .
Ciò posto, deve rilevarsi che il primo motivo di ricorso principale è infondato.
La Corte territoriale ha anzitutto ritenuto la legittimazione attiva di Pa. ed Va. An. sulla base del predetto certificato di morte di Va. Lu. e della certificazione del Comune di (OMESSO) relativa alla situazione di famiglia del “de cuius” attestante il rapporto di discendenza tra quest’ultimo e le suddette parti;
quanto poi alla posizione di Lu. , Ro. e Va. Gi. , il Giudice di appello ha affermato che la loro qualità di eredi era stata provata mediante certificato della situazione di famiglia del defunto V. G. (figlio di Va. Lu. ) attestante il rapporto di discendenza dei predetti, cosicchè sussisteva la legittimazione di questi ultimi per rappresentazione del padre premorto Va. Gi. .
Al riguardo si osserva che il profilo di censura con il quale la ricorrente principale deduce che in realtà non è data riscontrare in atti alcun certificato dello stato di famiglia di V. G. si risolve nella prospettazione di un errore di fatto denunciabile esclusivamente con l’impugnazione per revocazione ai sensi dell’articolo 395 c.p.c., n. 4.
Il Giudice di appello, poi, ritenuta sussistente la qualità di eredi legittimi di Va. Lu. da parte degli attori nel primo grado di giudizio, e considerato che l’accettazione tacita dell’eredità era desumibile dall’azione da essi proposta in veste di eredi, ha ritenuto quindi provata la legittimazione attiva da parte dei Va. .
Tale convincimento è del tutto condivisibile, posto che in tema di successione legittima non è necessario altro titolo, per la vocazione ereditaria, che la qualità di erede legittimo, mentre l’accettazione anche tacita dell’eredità, che può risultare dalla stessa proposizione dell’azione in veste di erede, è titolo necessario e sufficiente per la proponibilità di azioni fondate su tale qualità, restando a carico del convenuto la prova di fatti impeditivi, estintivi o modificativi del diritto esercitato dagli attori (Cass. 4.5.1999 n. 4414); correttamente quindi la Corte territoriale ha ritenuto che l’appellante aveva l’onere, in realtà non assolto, di allegare qualche elemento a sostegno dell’eccezione di carenza di legittimazione attiva delle controparti sotto il profilo delle eventuale esistenza di una delazione testamentaria.
È infine infondato il profilo di censura relativo ad un asserito difetto di integrità del contraddittorio per mancata citazione in giudizio degli eredi della Ma. dopo la rinuncia all’eredità di quest’ultima da parte di coloro che erano stati evocati in giudizio quali eredi della Ma. stessa.
Invero, pur essendo possibile eccepire per la prima volta la non integrità del contraddittorio anche in sede di legittimità, tuttavia tale eccezione è proponibile nel giudizio di cassazione solo nel caso in cui il presupposto e gli elementi di fatto emergano “ex se” dagli atti del processo di merito, senza la necessità di nuove prove e dello svolgimento di ulteriori attività (Cass. 17.1.2001 n. 593); inoltre la parte che eccepisce la non integrità del contraddittorio ha l’onere non soltanto di indicare le persone che debbono partecipare al giudizio quali litisconsorti necessari e di provarne l’esistenza, ma anche quella di indicare, se l’eccezione è proposta per la prima volta in cassazione, gli atti del processo di merito dai quali trarsi la prova dei presupposti di fatto che giustificano la sua eccezione (Cass. 1.3.1995 n. 2353; Cass. 2.3.1996 n. 1632); orbene nella fattispecie dagli atti processuali non è emersa l’esistenza di presunti litisconsorti necessari, e d’altra parte la ricorrente principale non ha fornito alcuna indicazione in tal senso.
Con il secondo motivo la ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli articoli 112 – 165 c.p.c., e articoli 72 – 73 e 74 disp. att. c.p.c., censura la sentenza impugnata per non aver accertato che le quattro scritture riguardanti il riconoscimento da parte di Ma. Ma. del proprio debito nei confronti di Va. Lu. erano state prodotte all’atto della iscrizione della causa a ruolo in copie informi, e che solo successivamente, con la memoria di replica del 19.12.1997, erano state prodotte in copie dichiaratamente “conformi agli originali” ma in realtà prive di qualsiasi attestazione con valore probatorio; invero dall’esame dell’indice del fascicolo di controparte era emerso con chiarezza che le suddette scritture erano state prodotte all’atto dell’iscrizione della causa a ruolo in copie conformi.
La censura è infondata.
Il Giudice di appello, premesso che non era possibile verificare lo stato dei fascicoli di parte del giudizio di primo grado al momento del deposito dell’atto di citazione e che inoltre non potevano ricavarsi indicazioni utili dalle annotazioni sull’indice, ha aggiunto che comunque, indipendentemente dal momento in cui le copie autentiche delle suddette dichiarazioni di debito erano state prodotte, era indubbio che la documentazione successivamente depositata era identica a quella che, secondo l’assunto dell’appellante, era stata prodotta in allegato al momento del deposito dell’atto di citazione, ed aveva quindi il medesimo contenuto di quella precedente; tale rilievo, non oggetto di censura da parte della ricorrente, è decisivo, posto che da questa premessa è logico concludere, come in effetti osservato dalla Corte territoriale, che il fatto che i suddetti documenti fossero stati inizialmente prodotti in copia informe e solo successivamente con attestazione di conformità era ininfluente, posto che i documenti prodotti in un secondo tempo nella forma munita di dichiarazione di conformità erano stati portati ritualmente a conoscenza della controparte, cosicchè il contraddittorio sul punto si era regolarmente realizzato.
Con il terzo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli articoli 2700 – 2702 – 2703 – 2714 e 2718 c.c., e articoli 116 – 214 – 215 – 216 c.p.c., e Legge 4 gennaio 1968, n. 15, articoli 1, 2, 4, 7, 14 e 20, e Legge 16 febbraio 1913, n. 89, articolo 67, e R.D.L. 14 luglio 1937, n. 166, articoli 1 e 2, censura la sentenza impugnata per aver recepito le argomentazioni espresse dal Giudice di primo grado in ordine al valore probatorio delle dichiarazioni di riconoscimento di debito effettuate da Ma. Ma. con atti del 5.2.1963 e del 2.4.1986, il primo sottoscritto alla presenza del notaio Capra con autenticazione di firma notarile in calce ed il secondo sottoscritto alla presenza del notaio Romano con autenticazione di firma notarile in calce.
La ricorrente sostiene che originariamente erano state prodotte la dichiarazione di debito del 5.2.1963 e le dichiarazioni di conferma di debito rispettivamente del 4.10.1972, del 4.3.1982 e del 2.4.1986, tutte in copia fotostatica anche per quanto riguardava la attestazione di conformità apposta in calce all’ultima scrittura menzionata; orbene nessuna efficacia probatoria poteva essere riconosciuta a tali documenti, posto che l’esponente aveva disconosciuto la conformità di tali copie all’originale.
La Parrocchia aggiunge che successivamente le controparti avevano depositato le suddette scritture private in copia fotostatica con attestazione di conformità all’originale per quanto riguarda i primi tre documenti; peraltro tale attestazione proveniva dal Comune di Caltanissetta e quindi, ai sensi degli articoli 2714 e 2715 c.c., non poteva aver alcuna efficacia probatoria nei rapporti tra privati; la quarta scrittura prodotta in copia fotostatica, poi, recava l’attestazione di conformità ad opera del notaio che aveva redatto l’autenticazione, ma tale attestazione si riferiva al documento esibito al notaio (ovvero alla copia fotostatica) e non all’originale, cosicchè non poteva avere l’efficacia probatoria che le era stata invece attribuita dalla sentenza impugnata, che si era limitata a verificare la “attestazione notarile di conformità” omettendo il termine di riferimento “al documento esibitomi” che si leggeva nella copia fotostatica in questione.
Preliminarmente all’esame di tale motivo deve essere esaminato il secondo motivo di ricorso incidentale con il quale i Va. , deducendo violazione dell’articolo 345 c.p.c., assumono che la Parrocchia aveva prospettato nuove argomentazioni fondate non più sulla presunta intempestività della produzione documentale e sulla irregolarità delle autenticazioni, che non sarebbero state apposte in continuità con il documento fotocopiato, bensì su una irregolarità di dette autenticazioni delle quali tali scritture erano corredate.
La censura è infondata.
Invero dall’esame della sentenza impugnata emerge chiaramente che nel giudizio di primo grado, all’esito della produzione da parte degli attuali ricorrenti incidentali delle suddette scritture private in copia fotostatica con attestazione di conformità all’originale per quanto riguarda le prime tre ed al documento esibito al notaio per quanto attiene alla quarta, la Parrocchia aveva contestato l’efficacia probatoria di tale documentazione, ed il Giudice di primo grado si era pronunciato in proposito; pertanto nel secondo grado di giudizio non è stato introdotto dall’appellante alcun nuovo tema di indagine rispetto a quello che era stato oggetto del giudizio di primo grado.
Ciò posto, deve rilevarsi che il terzo motivo del ricorso principale è fondato.
Premesso che in questa sede l’esame deve essere limitato alle sole copie delle scritture private del 5.2.1963 e del 2.4.1986 essendo le uniche prese in considerazione dalla Corte territoriale, si osserva che erroneamente quest’ultima ha ritenuto che l’attestazione di conformità all’originale della copia della scrittura privata del 5.2.1963 rendeva privo di effetto il disconoscimento effettuato dalla Parrocchia; invero tale attestazione proveniva dal Comune di Caltanissetta, ovvero da soggetto a ciò non espressamente autorizzato, considerato il limitato campo di applicazione della Legge 4 gennaio 1968, n. 15, articoli 7 e 14.
Con riferimento poi alla copia fotostatica della scrittura privata del 2.4.1986, la Corte territoriale ha riconosciuto efficacia probatoria a tale documento sulla base dell'”attestazione notarile di conformità” su di esso apposta senza ulteriori specificazioni; orbene ai sensi dell’articolo 2719 c.c., “le copie fotografiche di scritture (cui sono da assimilare le copie fotostatiche) hanno la stessa efficacia delle autentiche, se la loro conformità con l’originale è attestata da pubblico ufficiale competente”;
pertanto la garanzia di certezza che deve assistere l’autenticazione delle copie impone che il pubblico ufficiale dichiari in modo espresso la conformità delle copie all’originale, solo così potendosi acquisire la certezza che gli sia stato presentato l’originale della scrittura e che la copia autenticata sia conforme ad esso; deve quindi aderirsi all’orientamento espresso da questa Corte secondo il quale alle copie fotostatiche può essere attribuito la stessa efficacia di quelle autentiche solo nel caso di attestazione di conformità all’originale e non già nell’ipotesi di attestazione di conformità al documento esibito al notaio (Cass. 24.6.1998 n. 6263).
In definitiva il Giudice di appello avrebbe dovuto considerare prodotte in giudizio solo copie fotostatiche non autentiche, con le conseguenti ricadute in ordine all’eventuale disconoscimento delle stesse.
Con il quarto motivo la ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell’articolo 1324 c.c., e articolo 1362 c.c. e ss., e articoli 2697 – 2721 c.c., e articolo 116 c.p.c., e vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver ritenuto ammissibile la prova testimoniale formulata dalle controparti e per averne comunque erroneamente valutato l’esito.
Con il quinto motivo la ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli articoli 2901 – 2903 e 2945 c.c., e vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver rigettato l’eccezione sollevata dall’esponente di prescrizione del credito fatto valere in giudizio dalle controparti.
Con il sesto motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell’articolo 2901 c.c. e ss., e vizio di motivazione, assume che erroneamente il Giudice di appello ha ritenuto sussistenti le condizioni richieste per l’accoglimento dell’azione revocatoria proposta dai Va. . Gli enunciati motivi di ricorso restano tutti assorbiti all’esito dell’accoglimento del terzo motivo del ricorso principale.
In definitiva la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, e la causa deve essere rinviata anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio alla Corte di Appello di Palermo.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, accoglie il terzo, dichiara assorbiti gli altri motivi, rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio alla Corte di Appello di Palermo.