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Cassazione Civile 25593/2023 – Responsabilità solidale degli amministratori di società – Litisconsorzio facoltativo

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Ordinanza 25593/2023

Responsabilità solidale degli amministratori di società – Litisconsorzio facoltativo

La proposizione dell’azione di responsabilità nei confronti di una pluralità di amministratori di società dà luogo ad una fattispecie di litisconsorzio facoltativo e non già necessario, cui consegue comunque l’applicabilità dell’art. 1310 c.c., sicché l’atto interruttivo della prescrizione contro uno di essi ha effetto anche nei confronti degli altri.

Cassazione Civile, Sezione 1, Ordinanza 01/09/2023, n. 25593   (CED Cassazione 2023)

 

 

FATTI DI CAUSA

La Cooperativa (OMISSIS) a r.l. ha convenuto in giudizio
innanzi al Tribunale di Potenza (OMISSIS), già presidente
della stessa cooperativa, e (OMISSIS), già membro del
Consiglio di Amministrazione, per sentirli condannare al
risarcimento del danno, da quantificarsi in corso di giudizio, per
una serie di atti di mala gestio compiuti in pregiudizio della
predetta società e, segnatamente:

1) per aver dato causa alla realizzazione, all’interno del fabbricato
edificato in esecuzione dello scopo sociale, di n. 4 unità abitative in
più rispetto alle 9 originariamente previste e autorizzate dal
Comune, determinando, in questo modo, ulteriori spese relative
alla progettazione e alla direzione dei lavori, alla variante in corso
d’opera e ai lavori necessari per rendere l’immobile conforme alla
concessione edilizia;

2) per non aver edificato il predetto fabbricato a regola d’arte
determinandone una diminuzione di valore;

3) per non aver richiesto alle autorità competenti il finanziamento
pubblico necessario per il mantenimento del diritto di superficie
concesso dal Comune;

4) per non aver indicato nelle scritture contabili la somma di €
7.000,00 che ciascuno dei nove soci aveva versato al (OMISSIS) nella
sua qualità di presidente del consiglio di amministrazione;

5) per non avere indicato nelle scritture contabili la somma di €
25.000,00, versata alla cooperativa attrice dalla cooperativa
(OMISSIS), e mai restituita nonostante la contraria dichiarazione
del (OMISSIS).

6) per avere (OMISSIS) liquidato in proprio favore, in diverse
occasioni, la complessiva somma di € 34.362,050 a titolo di
rimborso spese.

Il Tribunale di Potenza ha condannato il solo (OMISSIS) al
risarcimento del danno con riferimento alle condotte sub. 4 e sub
5.

La Corte d’Appello di Potenza ha rigettato l’appello principale
proposto dal (OMISSIS) nei confronti della cooperativa, mentre ha
accolto l’appello principale proposto dallo stesso (OMISSIS) nei
confronti del (OMISSIS), volto ad accertare la corresponsabilità di
quest’ultimo nello svolgimento delle funzioni di amministratore in
seno alla cooperativa.

Il giudice di appello, ha, inoltre, in accoglimento dell’appello
incidentale proposto dalla cooperativa, condannato
(OMISSIS) e (OMISSIS), in solido tra loro, a pagare in favore
della cooperativa, la somma di € 13.324,59 oltre interessi dal
28.1.1990 e rivalutazione sino all’effettivo soddisfo; la somma di €
12.911,42 oltre interessi legali dal 28.01.90 e rivalutazione sino
all’effettivo soddisfo, nonché la somma di € 63.026,83 oltre
interessi legali dal 28.01.90 e rivalutazione dal 14.0.1.2013 sino al
soddisfo.

Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso principale
(OMISSIS) e (OMISSIS), affidandolo,
rispettivamente, a cinque motivi per ciascuno.

La Cooperativa Edilizia “(OMISSIS)” a r.l. ha resistito in giudizio
con controricorso.

Con atto del 5.10.2022, (OMISSIS) ha rinunciato al ricorso
incidentale ex art. 390 c.p.c., rinuncia accettata dalla cooperativa
con atto del 20.6.2023, il tutto a spese compensate.

Il ricorrente principale ha depositato la memoria ex art. 380 bis1.
Cod. proc. civ..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo (OMISSIS) ha dedotto la violazione
dell’art. 1310 cod. civ. e dell’art. 102 cod. proc. civ. nonchè
l’omesso esame di un punto decisivo della controversia ex art. 360
comma 1° n. 5 cod. proc. civ..

Espone il ricorrente principale che, posto che è pacifico in causa
che la notifica nei suoi confronti dell’atto introduttivo del giudizio è
avvenuta dopo che erano decorsi i termini di prescrizione
dell’azione, la Corte d’Appello ha rigettato l’eccezione di
prescrizione in virtù dell’applicazione dell’art. 1310 cod. proc. civ.,
avendo accertato la corresponsabilità solidale del (OMISSIS) (nei cui
confronti la notifica era tempestiva), non considerando, tuttavia,
che nel caso di specie, non ricorre la fattispecie del litisconsorzio
necessario, ma del litisconsorzio facoltativo. Ne consegue che non
può ritenersi applicabile al caso in esame l’art. 1310 cod. civ., con
conseguente maturazione del termine di prescrizione per l’azione
proposta nei suoi confronti.

2. Il motivo è infondato.

Va osservato che l’art. 1310 cod. civ. – che dispone che “gli atti
con i quali il creditore interrompe la prescrizione contro uno dei
debitori in solido, oppure uno dei creditori in solido interrompe la
prescrizione contro il comune debitore, hanno effetto riguardo agli
altri debitori o agli altri creditori” – non richiede affatto la ricorrenza
di una fattispecie di litisconsorzio necessario. Anzi, questa Corte,
ha già avuto modo più volte di affermare (vedi Cass. n.
21497/2020; vedi anche Cass. 21567/2017; Cass. 7907/2012),
che, “ In tema di responsabilità degli amministratori di società, ove
la relativa azione venga proposta nei confronti di una pluralità di
soggetti, in ragione della comune partecipazione degli stessi, anche
in via di mero fatto, alla gestione amministrativa e contabile, tra i
convenuti non si determina una situazione di litisconsorzio
necessario, attesa la natura solidale della obbligazione dedotta in
giudizio che, dando luogo ad una pluralità di rapporti distinti, anche
se collegati tra loro, esclude l’inscindibilità delle posizioni
processuali, consentendo quindi di agire separatamente nei
confronti di ciascuno degli amministratori”.

Pertanto, dato che è proprio la natura solidale dell’obbligazione
dedotta in giudizio che, dando luogo ad una pluralità di rapporti
distinti, anche se collegati tra di loro, esclude l’inscindibilità delle
posizioni processuali, l’ambito di applicazione dell’art. 1310 cod.
civ. è quello della fattispecie del litisconsorzio facoltativo, e non del
litisconsorzio necessario.

Infine, va osservato che, a differenza di quanto allegato dal
ricorrente la Corte di appello non ha affatto ritenuto sussistere, nel
caso di specie, tra i due amministratori un litisconsorzio necessario,
né, peraltro, il ricorrente ha neppure illustrato le ragioni giuridiche
per cui non sarebbe applicabile la fattispecie dell’art. 1310 cod. civ.
in presenza di un litisconsorzio facoltativo.

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e falsa
applicazione degli artt. 324 e 100 cod. proc. civ. e 2909 cod. civ..

Il ricorrente contesta l’affermazione con cui la Corte d’Appello ha
ritenuto i fatti indicati nel primo e nel secondo motivo dell’appello
principale – con cui si contestavano le condotte di cui ai nn. 4 e 5
della parte narrativa, ascritte agli amministratori dalla cooperativa
– coperti dal giudicato, rappresentato dalla sentenza della Corte
d’appello di Potenza n. 306/2013, confermata da questa Corte con
la sentenza n. 26772/16. Deduce che il punto relativo al
versamento delle quote dei soci dimissionari non sarebbe stato
trattato da questa Corte nella citata sentenza n. 26772/2016,
costituente il giudicato, essendosi la predetta pronuncia limitata a
ritenere inammissibile il motivo di ricorso attinente alla doglianza
sulle somme incassate dalla coop. (OMISSIS). Peraltro, con
riferimento a tale profilo, era emerso nell’altro giudizio su cui si era
formato il giudicato che l’importo incassato dal (OMISSIS) era stato
trattenuto dai soci, con la conseguenza che la cooperativa avrebbe
dovuto rivolgere le proprie doglianze di risarcimento e/o
restituzione direttamente ai soci.

Il giudice di avrebbe quindi erroneamente ritenuto essersi formato
su quei fatti il giudicato esterno.

4. Il motivo è infondato.

Va osservato che la sentenza n. 26772/2016 di questa Corte –
pienamente consultabile dal Collegio attraverso la banca dati
Italgiure web (vedi sul punto, recentemente, Cass. n. 29923/2020)
– nel riportare, nella parte narrativa, le statuizioni della sentenza n.
306/2013 della Corte d’Appello, ha dato atto, con riferimento ai
fatti rappresentati nel primo e nel secondo motivo d’appello
principale, che tale giudice d’appello aveva ritenuto che “..fosse
parimenti fondato l’addebito rivolto al (OMISSIS), consistito nella
mancata contabilizzazione della somma di 63 milioni di lire ottenuta
a seguito del recesso di alcuni soci, il tutto in violazione degli
obblighi di legge gravanti sull’amministratore richiamati dall’articolo
7 dello statuto sociale;

– che fosse ancora fondato l’addebito rivolto ai due soci relativo
all’incasso di 25 milioni di lire da una diversa cooperativa
denominata «(OMISSIS)….».

Il ricorrente (OMISSIS) si duole che la sentenza n. 26772/2016
avrebbe esaminato, ritenendolo inammissibile, il solo motivo
relativo alle somme incassate dalla cooperativa “(OMISSIS)”,
mentre nulla avrebbe rilevato quanto alle quote dei soci
dimissionari.

L’attenta lettura della sentenza n. 26772/2016 di questa Corte
consente di confutare tale affermazione del ricorrente. In
particolare, la predetta sentenza, con riferimento al quarto motivo
svolto in quel giudizio dallo stesso ricorrente, rubricato «Omesso
esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti ex articolo
360 numero 5 c.p.c.», ha, dapprima, riportato, a, pag. 10, la
doglianza in questi termini:” …….Sostengono i ricorrenti che la
sentenza non avrebbe spiegato le ragioni in forza delle quali aveva
trascurato talune circostanze esposte in sede di appello in ordine
alla falsità della copia del verbale di assemblea del 27 maggio
1985, alla omessa contabilizzazione della somma di 63 milioni di
lire, alla ritenzione della somma di 25 milioni di lire incassata dalla
cooperativa La «Fratellanza»..”. Inoltre, a pag. 24 e ss., la
sentenza n. 26772/2016 ha ritenuto il quarto motivo (nel quale si
faceva riferimento anche alla contabilizzazione della somma di 63
milioni di lire) inammissibile, osservando che è “del tutto evidente
che il motivo spiegato si colloca al di fuori dell’ambito di
applicabilità del vigente numero 5 dell’articolo 360 c.p.c., giacché i
ricorrenti lamentano in buona sostanza l’insufficienza della
motivazione, sul rilievo che la Corte d’appello non avrebbe tenuto
conto di alcune circostanze le quali, secondo gli stessi ricorrenti,
avrebbero condotto ad esiti ricostruttivi diversi di quelli stabiliti
dalla sentenza impugnata..”.

In conclusione, la sentenza dopo aver individuato, nella più volte
citata sentenza n. 26772/16, le stesse condotte sub 4 e 5
contestate nel presente giudizio dalla cooperativa agli
amministratori – nei termini sopra riportati – ha ritenuto essersi
formato sugli stessi fatti un giudicato.

Tale valutazione viene condivisa da questo Collegio, il quale può
direttamente accertare l’esistenza e la portata del giudicato
esterno, con cognizione piena.

Sul punto, questa Corte (vedi Cass. n. 21200/2009) ha già
enunciato il principio di diritto secondo cui “Il giudicato va
assimilato agli elementi normativi, cosicché la sua interpretazione
deve essere effettuata alla stregua dell’esegesi delle norme e non
già degli atti e dei negozi giuridici, e gli eventuali errori
interpretativi sono sindacabili sotto il profilo della violazione di
legge; ne consegue che il giudice di legittimità può direttamente
accertare l’esistenza e la portata del giudicato esterno, con
cognizione piena, che si estende al diretto riesame degli atti del
processo e alla diretta valutazione e interpretazione degli atti
processuali, mediante indagini e accertamenti, anche di fatto,
indipendentemente dall’interpretazione data al riguardo dal giudice
di merito”.

5. Con il terzo motivo il (OMISSIS) ha parimenti dedotto la
violazione degli artt. 100 e 324 cod. proc. civ. e 209 cod. civ..
Il ricorrente contesta la sentenza impugnata nella parte in cui ha
ritenuto essersi formato il giudicato esterno anche sull’esistenza di
un danno per la cooperativa in conseguenza della realizzazione, da
parte della stessa cooperativa, di quattro appartamenti in più
rispetto a quelli originariamente previsti. Deduce il ricorrente che la
controparte non avrebbe provato o documentato di aver sopportato
spese di sorta e che la decisione di aumentare la cubatura non fu
comunque adottata dal (OMISSIS), ma dall’assemblea dei soci.

6. Il motivo presenta profili di infondatezza ed inammissibilità.

Va preliminarmente osservato che la sentenza n. 26772/2016 di
questa Corte, nel riportare, nella parte narrativa, la statuizione
della sentenza n. 306/2013 della Corte d’appello con riferimento
alla questione della realizzazione di quattro abitazioni aggiuntive
rispetto alla concessione assentita, ha evidenziato che la stessa
Corte d’appello aveva ritenuto che “…fosse altresì fondato
l’addebito rivolto al (OMISSIS), concernente la costruzione del
fabbricato in difformità rispetto al progetto assentito con
concessione edilizia, non essendo risolutiva la circostanza che la
costruzione di 13 appartamenti in luogo di 9 fosse stata approvata
dall’assemblea sociale, giacché il (OMISSIS), nella qualità di
amministratore, avrebbe dovuto curare tutta l’attività conseguente,
mentre era venuto meno ai doveri imposti dallo statuto sociale,
arrecando anche per tale aspetto danno morale e materiale alla
cooperativa…”.

La stessa sentenza n. 26772/2016, nel rispondere al motivo di
ricorso per cassazione proposto in quel giudizio dal ricorrente
(OMISSIS), ha così osservato:”… 6.2.4. Per le medesime ragioni
inammissibile il segmento del motivo numerato come IIb, con il
quale si deduce violazione del primo comma dell’articolo 2392 c.c.,
in mancanza di danni arrecati alla società, per difetto di allegazione
processuale, sia sotto il profilo del danno morale, sia sotto il profilo
della spesa senza beneficio, avuto riguardo alla partecipazione della
cooperativa ad un giudizio proposto dal Comune di Melfi per i fini
della dichiarazione di decadenza della cooperativa dal diritto di
superficie, nonché all’ottenimento di una variante con cui erano
state sanate le difformità nell’edificazione.

Il motivo si riferisce ad una circostanza diversa da quella della
costituzione della società di fatto, e cioè alla difformità dell’edificio
assentito, che avrebbe dovuto essere costituito da nove
appartamenti, rispetto a quello effettivamente costruito, composto
di 13 appartamenti. A tal riguardo, contrariamente a quanto
sostenuto nel motivo, la Corte d’appello ha espressamente
affermato che il coinvolgimento della cooperativa nel giudizio
intentato dal Comune di Melfi, pur risoltosi ad essa favorevolmente,
era stato comunque fonte per la compagine sociale di danno
morale — evidentemente sotto forma di apprensione per l’esito
della lite — ed aveva determinato ulteriori spese, ammesse dagli
stessi appellanti, i quali avevano riconosciuto che «per le
modifiche interne e prima di appaltare i lavori la cooperativa aveva
fatto redigere progetto di variante», progetto che aveva
comportato una spesa senza beneficio, in quanto necessitata dal
compiuto abuso. Che, poi, la verifica di dette circostanze non fosse
stato oggetto di allegazione processuale è smentito dall’espositiva
della sentenza impugnata, in particolare alla pagina 4, ove è
riassunto il motivo concernente l’affidamento dell’appalto per la
costruzione di un fabbricato difforme da quello oggetto di
concessione edilizia. Anche in questo caso, dunque, il motivo non
coglie la ratio decidendi svolta dalla Corte d’appello, con
conseguente inammissibilità della doglianza..”.

Dunque, correttamente, anche con riferimento alla realizzazione di
un fabbricato di 13 appartamenti in luogo dei 9 previsti, la
sentenza impugnata ha ritenuto essersi formato il giudicato.
Il ricorrente, nell’affermare che la decisione di realizzare gli
appartamenti aggiuntivi fosse stata adottata dall’assemblea dei
soci, non fa che riproporre, inammissibilmente, le stesse doglianze
già svolte nel giudizio sfociato nel giudicato e ritenute non
risolutive dalla Corte di Appello nella sentenza n. 306/2013,
confermata nella sentenza n. 26772/2016.

Analogamente, il ricorrente reitera, inammissibilmente, in questa
sede, le sue contestazioni sull’esistenza del danno già svolte
nell’altro giudizio e già confutate con accertamento sul quale si è
ormai formato il giudicato.

7. Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 116
cod. proc. civ. nonché la omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art.
360 comma 5° n. 5 cod. proc. civ. e all’art. 1223 cod. civ., quanto
alla liquidazione del danno, nonché, infine, la violazione dell’art.
2697 cod. civ..

Lamenta il ricorrente che la Corte d’Appello ha ritenuto
erroneamente di far proprie le conclusioni del consulente di parte
della cooperativa, non ritenendo di espletare una C.T.U., liquidando
la somma di € 63.026,83, rivalutata, quale somma stimata per le
opere necessarie al fine di ricondurre il fabbricato eretto dalla
cooperativa a legittimità.

Ad avviso del ricorrente, la Corte d’appello sarebbe incorsa nella
violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. per avere posto a
fondamento della decisione una perizia stragiudiziale che
costituirebbe una mera allegazione difensiva priva di un autonomo
valore probatorio.

Ne consegue che la richiesta di danno avanzata dalla cooperativa
con l’appello incidentale sarebbe sfornita di prova.

8. Il motivo presenta profili di infondatezza ed inammissibilità.
In primo luogo, va osservato che questa Corte (vedi Cass. n.
2655/2011) ha già enunciato il principio diritto secondo cui “Il
giudice del merito può porre a fondamento della propria decisione
una perizia stragiudiziale, anche se contestata dalla controparte,
purché fornisca adeguata motivazione di tale sua valutazione,
attesa l’esistenza, nel vigente ordinamento, del principio del libero
convincimento del giudice”. Nel caso di specie, una motivazione
sintetica, ma rispettosa dei parametri costituzionali la Corte
d’Appello l’ha resa, evidenziando la precisione con cui il ctp della
cooperativa aveva indicato le opere e i costi necessari per
ricondurre il fabbricato della stessa cooperativa a legittimità.

Sul punto, il ricorrente si è limitato a dedurre l’omessa,
insufficiente motivazione su un fatto decisivo ex art. 360 comma 1°
n. 5 cod. proc. civ., richiamando quindi la vecchia formulazione
della norma, ormai non più vigente, prima dell’entrata in vigore
della novella del codice di rito del 2012, non facendosi neppure
cura di indicare le ragioni del dedotto vizio di motivazione.
In ogni caso, il ricorrente, nell’affermare che la domanda di
risarcimento del danno, accolta dalla Corte d’appello, era sfornita di
prova, ha inammissibilmente svolto censure di merito, in quanto
finalizzate a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a
quella operata dalla Corte di Appello.

9. Con il quinto motivo (OMISSIS) ha censurato la violazione dell’art.
1224 cod. civ., per avere la Corte d’Appello riconosciuto la
rivalutazione monetaria.

Rileva che in presenza di una richiesta di risarcimento del danno si
avrebbe un debito da valuta, con la conseguenza che non
spetterebbe nessuna rivalutazione monetaria.
10. Il motivo presenta profili di infondatezza e inammissibilità.
In primo luogo, questa Corte (vedi Cass. n. 24468/2020), anche
recentemente, ha enunciato il principio di diritto secondo cui “Nella
domanda di risarcimento del danno per fatto illecito è
implicitamente inclusa la richiesta di riconoscimento sia degli
interessi compensativi sia del danno da svalutazione monetaria –
quali componenti indispensabili del risarcimento, tra loro
concorrenti attesa la diversità delle rispettive funzioni – e che il
giudice di merito deve attribuire gli uni e l’altro anche se non
espressamente richiesti, pure in grado di appello, senza, per ciò
solo, incorrere in ultrapetizione”.

Nel caso di specie, in ogni caso, la censura del ricorrente secondo
cui la rivalutazione monetaria non sarebbe stata richiesta dalla
cooperativa è priva del requisito dell’autosufficienza, non avendo il
deducente riportato, anche solo per estratto, né le conclusioni
svolte dalla cooperativa in primo grado, né quelle formulate in
appello, limitandosi ad un’affermazione meramente assertiva.

11. Con riferimento ai rapporti tra la cooperativa controricorrente e
il (OMISSIS), per effetto della rinuncia da parte di quest’ultimo al
ricorso incidentale, ed alla accettazione della cooperativa, il giudizio
è estinto a spese compensate.

Relativamente ai rapporti tra ricorrente principale e cooperativa, le
spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in
dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara il giudizio estinto a spese compensate,
relativamente al rapporto processuale tra (OMISSIS) e la
controricorrente cooperativa.

Rigetta il ricorso principale del (OMISSIS).

Condanna il (OMISSIS) al pagamento in favore della controricorrente
delle spese processuali, che liquida in € 6.200, di cui € 200,00 per
esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di
legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del
ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del
comma 1° bis dello stesso articolo 13.

Così deciso, in Roma in data 12.7.2023