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Cassazione Civile 25603/2011 – Permuta obbligatoria – Effetto traslativo

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Sentenza 25603/2011

 

Permuta obbligatoria – Effetto traslativo

In caso di permuta obbligatoria, così come nell’ipotesi di vendita obbligatoria, l’effetto traslativo non è immediato, ma è differito e fatto dipendere da ulteriori eventi, come l’acquisto della cosa da parte di un permutante o la venuta ad esistenza della cosa medesima. (Nella specie, la S.C., ha confermato la sentenza di merito che aveva inquadrato nello schema della permuta obbligatoria in favore di terzo la fattispecie negoziale in cui i cessionari di una quota sociale si erano obbligati, a titolo di corrispettivo della cessione, ad acquistare un immobile ed ad attribuire ad un terzo il diritto di abitazione su di esso, con conseguente automatico determinarsi dell’effetto reale una volta verificatosi l’acquisto della proprietà del bene).

Contratti con forma scritta “ad substantiam” o “ad probationem” – Documento smarrito da un terzo consegnatario – Mancanza di colpa – Prova testimoniale

In tema di prova testimoniale, a soddisfare la condizione cui gli artt. 2724, n. 3, e 2725, secondo comma, cod. civ. subordinano l’ammissibilità della prova per testimoni di un contratto, per il quale sia richiesta la forma scritta “ab substantiam” o “ad probationem”, e, cioè, che il contraente abbia senza sua colpa perduto il documento che gli offriva la prova, è necessario e sufficiente, nell’ipotesi che la perdita sia avvenuta ad opera del terzo consegnatario del documento medesimo, che la condotta dell’interessato, rapportata alle particolari circostanze e ragioni dell’affidamento al terzo, appaia immune da imprudenza o negligenza, dovendo la mancanza di colpa riferirsi al contraente che invoca il contenuto del documento e non al comportamento del terzo che lo abbia smarrito, in base, peraltro, ad una valutazione della condotta non già “ex post”, ma all’atto dell’affidamento della scrittura al consegnatario.

Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 30-11-2011, n. 25603   (CED Cassazione 2011)

Art. 1472 cc (Vendita di cose future) – Giurisprudenza

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Pi.Do., Ro.Do. ed Ad. Do. (oltre ad Do. Ot. successivamente deceduto) con atto a rogito notaio De.Pa. del 26-5-1992 acquistavano dalla Do. Fr. di Ot. Do. & C. s.n.c. un appartamento sito in Roma, via della (OMISSIS) 5; la suddetta società aveva acquistato a sua volta la proprietà dell’immobile in seguito a decreto di trasferimento del Giudice della esecuzione immobiliare del Tribunale di Roma del 25-10-1984. Pi.Do., Ro. Do., Ad. Do. ed Ot. Do. con atto di citazione del 22-3-1996 convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma Vi. Do. chiedendone la condanna al rilascio dell’appartamento sopra menzionato in quanto da quest’ultima occupato senza titolo.
Vi. Do. costituendosi in giudizio, premesso che era nel godimento dell’immobile in virtù di un contratto di locazione sottoscritto nel 1955 dalla di lei madre, poi deceduta, eccepiva l’incompetenza per materia del Tribunale adito che con sentenza n. 4249 del 1997 dichiarava la propria incompetenza. Pi.Do., Ad. Do., Ro. Do. ed Ot. Do. con atto notificato il 6-6-1997 intimavano a Vi. Do. lo sfratto per morosità citandola in giudizio per la convalida. La convenuta costituendosi in giudizio sosteneva di essere titolare di un diritto di abitazione riguardo all’appartamento per cui è causa in base ad un contratto stipulato nel settembre del 1982 tra il padre dell’esponente An. Do. e le controparti a titolo di corrispettivo della cessione da parte del primo della sua quota di partecipazione pari al 16,6% nella predetta società Do. Fr. s.n.c. in favore degli attori, i quali invero con tale atto si erano obbligati ad acquistare all’asta l’immobile in questione e ad attribuire a Vi. Do. il diritto di abitazione su di esso;
aggiungeva che il suddetto atto scritto, affidato da An. Do. al figlio Br. Do., era stato smarrito durante un trasloco, e chiedeva di poter provare con testimoni ai sensi dell’art. 2724 c.c., n. 3, l’esistenza, il contenuto e l’incolpevole smarrimento del documento citato e, nel merito, la declaratoria di sussistenza dell’invocato diritto di abitazione.
Il Tribunale di Roma con sentenza n. 9603 dei 2000 negava l’esistenza di tale diritto e, ritenuta la sussistenza di un contratto di locazione relativamente all’immobile predetto, condannava la convenuta al pagamento dei relativi canoni di locazione. Proposta impugnazione da parte di Vi. Do. cui resistevano Do. Piero, Ro. Do. ed Ad. Do. (in proprio e quali eredi di Ot. Do. deceduto nel corso del giudizio) la Corte di Appello di Roma con sentenza del 27-9-2005 ha dichiarato l’appellante titolare del diritto di abitazione sull’immobile per cui è causa ed ha condannato gli appellati alla restituzione delle somme pagate da Vi. Do. a titolo di canoni di locazione nel procedimento per sfratto per morosità.
Per la cassazione di tale sentenza Pi.Do., Ro. Do. ed Ad. Do. hanno proposto un ricorso articolato in tre motivi cui Vi. Do. ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 75 c.p.c. ed omessa o insufficiente motivazione, censurano la sentenza impugnata per aver respinto l’eccezione degli esponenti di difetto della capacità di Vi. Do. di stare in giudizio, avendo ritenuto che soltanto l’incapacità legale e non anche quella naturale incidano negativamente sulla capacità processuale; premessa l’irrilevanza nella specie della pronuncia di questa Corte del 7-6-2003 n. 9147 richiamata dal giudice di appello a sostegno del proprio convincimento, essendo in quella fattispecie controversa l’incapacità naturale della parte, i ricorrenti affermano che invece nella fattispecie l’incapacità mentale di Vi. Do. non era affatto controversa, avendo essa stessa dedotto nell’atto di appello di essere affetta fin dalla nascita da una grave forma di cerebropatia che ne aveva compromesso l’evoluzione psichica; pertanto non vi era alcuna ragione per valutare diversamente l’incapacità naturale rispetto a quella legale, avuto riguardo al medesimo scopo, perseguito dalla legge in entrambi i casi, di impedire che il soggetto che non abbia il libero esercizio dei propri diritti possa compiere atti pregiudizievoli.
La censura è infondata.
La sentenza impugnata, nel respingere l’eccezione degli appellati relativa al difetto di capacità processuale dell’appellante ed affermando che l’art. 75 c.p.c., nell’escludere la capacità processuale delle persone che non hanno il libero esercizio dei propri diritti, si riferisce soltanto a coloro che siano stati legalmente privati della capacità di agire con una sentenza di interdizione o di inabilitazione o con provvedimento di nomina di un tutore o di un curatore provvisorio, e non alle persone colpite da incapacità naturale, si è conformata all’orientamento consolidato al riguardo espresso da questa Corte, in ordine al quale non sussistono ragioni per discostarsene (vedi “ex multis” Cass. 7-6-2003 n. 9147; Cass. 30-7-2010 n. 17912). Con il secondo motivo i ricorrenti, premesso che la Corte territoriale ha ritenuto sussistente il diritto di abitazione di Vi. Do. sull’immobile per cui è causa pur in assenza dell’atto scritto “ad ubstantiam” sulla base dell’espletata prova testimoniale nonché su presunzioni inammissibili, sostengono sotto un primo profilo l’irrilevanza del capitolo di prova articolato dalla controparte secondo cui nel settembre 1982, a fronte della cessione da parte di Do. An. della sua quota di partecipazione nella Do. Fr. di An. Do. s.n.c. in favore degli esponenti, costoro avrebbero attribuito a Do. Vi. il diritto di abitazione sull’appartamento di via della (OMISSIS) 5; infatti gli istanti avevano acquistato tale immobile soltanto nel 1992 dalla società Do. Fr., cosicché il dedotto accordo tra Do. An. da un lato e Pi.Do., Ro. Do., Ad. Do. ed Ot. Do. dall’altro, seppure fosse esistito, non sarebbe stato idoneo a costituire in favore della controparte un valido diritto di abitazione.
I ricorrenti inoltre deducono l’inammissibilità del capitolo secondo cui, nonostante la diligente custodia della scrittura privata del settembre 1982 da parte di Br. Do., il suddetto documento sarebbe stato presumibilmente smarrito nel novembre 1988 nel corso di un trasloco effettuato da via Pellegrino Matteucci 102 a via Tarso 38, in quanto la controparte avrebbe dovuto dimostrare di aver custodito il documento in modo idoneo a non perderlo e fornire la prova dell’evento che avrebbe determinato la perdita del documento;
in realtà la prova nella sue genericità era inidonea in tal senso;
inoltre il giudice di appello, pur avendo riconosciuto che la condotta del custode Br. Do. era stata imprudente, ha ritenuto erroneamente estraneo tale comportamento alla sfera di controllo dello stipulante An. Do. e della beneficiaria del contratto Vi. Do., non considerando che la condotta di Do. Vi., in quanto mandatario del padre nella custodia del documento, era riferibile direttamente ad An. Do., e che la colpevolezza di Br. Do. nello smarrimento di un documento così importante evidenziava la cattiva decisione di An. Do. di affidarlo al predetto figlio.
La censura è infondata.
La Corte territoriale, con riferimento alla prova per testi con la quale l’appellante aveva chiesto di provare l’esistenza del titolo su cui si fondava il proprio diritto reale di abitazione (ovvero la scrittura privata intercorsa nel settembre 1982 tra An. Do. e gli appellati), il contenuto del documento e la circostanza che la sua perdita era dipesa sa causa ad essa non imputabile, ha ritenuto verosimile, tenuto conto delle minorate condizioni di salute mentale di Do. Vi. all’epoca dei fatti, che suo padre, ormai anziano ed in cattive condizioni di salute, avesse affidato ai figlio Br. la scrittura privata contenente l’accordo per la costituzione di un diritto reale di abitazione in favore della figlia; ha aggiunto che la condotta di An. Do. era stata conforme ad un criterio di ordinaria diligenza, essendo evidente che la figlia Vi., per le sue minorate condizioni di salute mentale, non era in grado di curarne la custodia, e che quindi doveva essere esclusa una responsabilità dello stipulante per aver affidato il documento alla custodia di un terzo, così come doveva essere esclusa qualsiasi responsabilità dello stipulante nella scelta del custode, con la conseguenza che la perdita del documento doveva ritenersi incolpevole, in quanto la condotta imprudente del custode, che aveva smarrito il documento, era circostanza estranea alla sfera di controllo dello stipulante e del terzo beneficiario degli effetti del contratto.
Il giudice di appello ha poi ritenuto provata l’esistenza della scrittura privata intercorsa tra An. Do. e gli appellati sulla base delle deposizioni dei testi escussi e di una serie di circostanze indiziarie, tra le quali in particolare la mancata indicazione nella scrittura privata autenticata del 23-9-1982 del prezzo pattuito per la cessione della quota societaria nella Do. Fr. di An. Do. al fratello Ot. ed ai nipoti Ad., Ro. e Piero, il mancato regolamento da parte dei contraenti delle modalità di pagamento del presunto corrispettivo della cessione medesima, ed il comportamento tenuto sia dalla suddetta società sia successivamente dagli appellati dopo l’acquisto della predetta quota sociale, posto che dall’acquisto dell’appartamento di via (OMISSIS) 5, avvenuto il 9-10-1984, nè la società ne’ gli appellati avevano mai contestato (fino al giudizio promosso nel 1996 per il rilascio dell’immobile) il diritto di Do. Vi. di abitare il suddetto immobile, e neppure avevano mai chiesto il pagamento di alcun corrispettivo per il godimento del bene.
Orbene tale convincimento è pienamente condivisibile ed è immune dai profili di censura sollevati dai ricorrenti.
Anzitutto è incontestato che tutti coloro che parteciparono all’accordo con An. Do. nel settembre del 1982 erano soci della società in nome collettivo Do. Fr., cosicché tale piena coincidenza tra composizione soggettiva dell’assetto societario e società stessa avrebbe consentito (come in effetti è poi avvenuto), attraverso l’acquisto dell’immobile prima da parte della società e poi da parte dei singoli soci, la costituzione del diritto di abitazione sul bene in favore di Vi. Do..
Quanto poi all’asserita inammissibilità del capitolo di prova avente ad oggetto la perdita incolpevole del documento per cui è causa, correttamente la Corte territoriale ha ritenuto ininfluente la condotta imprudente del custode Br. Do., essendo invece rilevante che la condotta di An. Do. era stata conforme ad un criterio di ordinaria diligenza; infatti secondo l’orientamento consolidato di questa Corte cui si ritiene di dover aderire, a soddisfare la condizione cui l’art. 2724 c.c., n. 3 e art. 2725 c.c., comma 2 subordinano l’ammissibilità della prova per testimoni di un
contratto per il quale sia richiesta la forma scritta “od substantiam”o “ad probationem”, e cioè che il contraente abbia senza sua colpa perduto il documento che gli offriva la prova, è necessario e sufficiente, nell’ipotesi che la perdita sia avvenuta ad opera del terzo consegnatario del documento medesimo, che la condotta dell’interessato, rapportata alle particolari circostanze e ragioni dell’affidamento al terzo, appaia immune da imprudenza o negligenza, dovendo la mancanza di colpa riferirsi al contraente che invoca il contenuto del documento e non al comportamento del terzo che lo abbia smarrito (Cass. 11-2-1993 n. 1745; Cass. 3-7-1996 n. 6054; Cass. 4-3- 2002 n. 3059); ne’ d’altra parte può ravvisarsi un comportamento colposo di An. Do. nell’aver affidato il documento in questione al figlio per il semplice fatto che questi lo aveva poi smarrito, dovendosi evidentemente valutare la condotta di An. Do. non già “ex post”, ma all’atto dell’affidamento della scrittura privata al figlio Br., e la valutazione in proposito offerta dal giudice di appello sul fatto che il comportamento del suddetto contraente fosse stato conforme ad un criterio di normale diligenza non è stata oggetto di specifiche censure. Infine è agevole rilevare che la Corte territoriale ha ritenuto provata l’esistenza della scrittura privata per cui è causa intercorsa tra An. Do. e gli appellati nonché il suo contenuto all’esito di una valutazione complessiva degli elementi acquisiti sulla base sia della prova testimoniale espletata sia di circostanze indiziarie, all’esito quindi di un accertamento di fatto sorretto da congrua e logica motivazione, come tale insindacabile in questa sede, dove comunque i ricorrenti non hanno sollevato al riguardo censure specifiche.
Con il terzo motivo i ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. nonché omessa ed insufficiente motivazione, censurano l’affermazione della Corte territoriale secondo cui il fatto che l’immobile per cui è causa fosse stato acquistato nel 1983 dalla Do. Fr. s.n.c. e solo in secondo momento dagli esponenti non incideva sull’attuazione del rapporto obbligatorio nascente dal contratto di permuta, in quanto i cessionari della quota sociale di Do. An. erano obbligati ad acquistare in qualunque momento la proprietà del bene, cosicché, perfezionatosi il loro acquisto con il rogito del 1992, automaticamente era sorto in capo a Vi. Do. il diritto di abitazione costituito in suo favore con efficacia obbligatoria fin dal 1982; i ricorrenti rilevano che la stessa controparte anche nell’atto di appello aveva affermato che il padre An. Do. aveva ceduto agli esponenti la sua quota nella suddetta società del valore di L. 12.000.000, e che in cambio costoro, per il tramite della società, avevano partecipato alla vendita all’asta dell’appartamento garantendogli, nella ipotesi di aggiudicazione del bene, come controvalore della cessione della quota, il diritto di abitazione in favore della figlia Vi. Do.; orbene sulla base di tali premesse non era configurabile un obbligo dei Do. nascente da un contratto di permuta di acquistare il suddetto immobile, ma semmai un obbligo assunto da costoro di garantire la costituzione del diritto di abitazione subordinatamente all’acquisto del bene non da parte loro ma da parte della società Do. Fr., con la conseguenza che l’inosservanza di tale obbligo poteva dare luogo ad una azione risarcitoria, ma non all’acquisto automatico del diritto di abitazione in concomitanza con l’acquisto dell’appartamento da parte dei Do..
La censura è infondata.
La sentenza impugnata, dopo aver premesso che la fattispecie negoziale doveva essere inquadrata nello schema della permuta obbligatoria in favore di terzo, ha affermato che il fatto che l’immobile per cui è causa fosse stato acquistato nel 1983 dalla società Do. Fr. e solo in secondo momento dagli appellati non incideva sull’attuazione del rapporto obbligatorio nascente dal contratto di permuta, in quanto i cessionari della quota sociale di An. Do. erano obbligati ad acquistare in qualunque momento la proprietà del bene, con la conseguente automatica nascita del diritto di abitazione in favore di Vi. Do. una volta che Ot. Do., Pi.Do., Ro. Do. ed Do. Ad. avevano acquistato l’appartamento predetto con rogito del 26-5-1992;
orbene l’assunto del giudice di appello è corretto sul piano logico- giuridico, in quanto anche in caso di permuta obbligatoria (così come nell’ipotesi della vendita obbligatoria), l’effetto traslativo non è immediato, ma è differito e fatto dipendere da ulteriori eventi, come l’acquisto della cosa da parte di un permutante o la venuta ad esistenza della cosa medesima (Cass. 15-4-1991 n. 4000); è quindi evidente che nella specie, dopo che i Do. si erano obbligati nei confronti di Do. An. ad acquistare l’immobile sul quale riconoscere il diritto di abitazione in favore di Vi. Do., verificatosi poi tale acquisto, si era determinato automaticamente l’effetto reale consistente nella nascita del diritto suddetto in favore di quest’ultima; in tale contesto il fatto che in un primo momento l’appartamento in questione fu acquistato dalla società Do. Fr. non ha alcuna rilevanza ostativa alla produzione di tale effetto reale, una volta che coloro che si erano obbligati all’acquisto del bene proprio al fine di costituire su di esso il diritto di abitazione predetto, effettivamente ne divenirono proprietari.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento di Euro 200,00 per spese e di Euro 3000,00 per onorari di avvocato.

Così deciso in Roma, il 3 novembre 2011.