Sentenza 25886/2023
Responsabilità medica – Perdita di “chance”
In tema di lesione del diritto alla salute da responsabilità sanitaria, la “chance” non è una mera aspettativa di fatto, bensì la concreta ed effettiva possibilità di conseguire un determinato risultato (nella specie, dedotto come riduzione del rischio di recidiva di ictus) o un certo bene, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione, onde la sua perdita configura un danno concreto ed attuale; ne consegue che la domanda risarcitoria del danno per la perdita di “chance” è, per l’oggetto, ontologicamente diversa dalla pretesa di risarcimento del pregiudizio derivante dal mancato raggiungimento del risultato sperato, il quale si sostanzia nell’impossibilità di realizzarlo, caratterizzata da incertezza (non causale, ma) eventistica. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato la pronuncia di merito che aveva ritenuto nuova e, dunque, inammissibile la domanda risarcitoria per perdita di “chance” avanzata per la prima volta in appello).
Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 2-9-2022, n. 25886 (CED Cassazione 2023)
Art. 1218 cc (Responsabilità del debitore) – Giurisprudenza
Art. 1223 cc (Risarcimento del danno) – Giurisprudenza
Art. 2059 cc (Danni non patrimoniali) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
1. Nel 2011, (OMISSIS), in qualità di amministratore di sostegno
di (OMISSIS), convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Terni,
l’Azienda Ospedaliera Santa Maria e l’Azienda Sanitaria Locale di Terni —
AUSL n. 4 (oggi AUSL Umbria n. 2), al fine di sentirle condannare al
risarcimento dei danni subiti dalla (OMISSIS) in conseguenza del trattamento
sanitario ricevuto presso le predette strutture ospedaliere.
Espose, in particolare, che la (OMISSIS), dopo essere stata colpita, nel 2005,
da un attacco ischemico, si sottoponeva con regolarità a visite
neurologiche specialistiche, sia presso l’Azienda Ospedaliera Santa Maria,
sia presso l’Azienda Sanitaria Locale, ove era stata indotta dai neurologi
curanti a sospendere il Tiklid, farmaco a base di ticlopidina, avente
funzione antitrombotica.
Dedusse, inoltre, che, nel 2008, la paziente era stata nuovamente colpita
da ictus emisferico sinistro con emiparesi destra, che aveva determinato
una condizione di invalidità permanente dell’80%. Sostenne che la causa
di tale secondo attacco ischemico era dovuto alla interruzione
dell’assunzione della ticlopidina, nonché nella omessa somministrazione,
da parte dei sanitari delle Aziende ospedaliere convenute, di una terapia
ugualmente idonea a prevenire la recidiva della malattia.
Si costituirono in giudizio l’Azienda Ospedaliera Santa Maria e l’Azienda
Sanitaria Locale di Terni, le quali chiesero di essere autorizzate a
chiamare in causa il Dott. (OMISSIS), medico di medicina
generale presso cui la (OMISSIS) era in cura, sostenendo che egli fosse l’unico
responsabile della omessa prescrizione della ticlopidina alla donna.
Si costituì il Dott. (OMISSIS), chiedendo il rigetto della domanda di
manleva proposta nei suoi confronti, e in particolare affermando che la
sospensione del farmaco anticoagulante era stata disposta su intesa con
due neurologi, operanti rispettivamente nell’AUSL n. 4 e nell’Azienda
Ospedaliera Santa Maria di Terni. Riferì anche che aveva espresso parere
contrario all’interruzione della terapia, comunicandolo alla stessa
paziente, la quale aveva preferito seguire le indicazioni dei due specialisti.
Il (OMISSIS) chiamò in causa la Unipol Assicurazioni Divisione Navale
S.p.A., al fine di essere garantito e manlevato da ogni effetto
pregiudizievole eventualmente derivante dal giudizio.
Istruita la causa mediante consulenza tecnica medico-legale, il Tribunale
di Terni, con la sentenza n. 709/2016, ritenendo non sussistente il nesso
di causalità tra la sospensione del Tiklid e la recidiva di ictus che aveva
colpito la (OMISSIS), rigettò la domanda attorea, con compensazione di tutte
le spese di lite.
Il Tribunale affermò, aderendo alle conclusioni della c.t.u., che, sotto il
profilo causale, non era possibile affermare con elevato grado di
probabilità scientifica che l’assunzione del farmaco avrebbe evitato
l’evento, in quanto, in pazienti con pregresso ictus ischemico, la terapia
anticoagulante riduce il rischio di recidiva solo nella misura dell’il-15″A
Era, quindi, da ritenere più probabile che altri ‘fattori di rischio”, quali l’età,
l’ipertensione, la colesterolemia, la cornorbilità, l’inattività fisica, la
politerapia farmacologica, avessero avuto un ruolo preponderante nella
determinazione del secondo episodio di ictus della (OMISSIS).
2. La Corte d’Appello di Perugia, con la sentenza n. 539 del 30 agosto
2019, respinta l’istanza di rinnovazione della c.t.u., ha confermato la
pronuncia di rigetto della domanda, aderendo a sua volta alle conclusioni
della consulenza tecnica espletata in primo grado, secondo cui la
sospensione della terapia a base di ticlopidina non poteva essere
considerata la causa più probabile della recidiva dell’ietus che aveva
colpito la paziente nel 2008.
Secondo il giudice territoriale, le censure mosse dall’appellante alla
consulenza tecnica di primo grado non apparivano fondate, poiché
l’ausiliario aveva correttamente dato conto dei “fattori di rischio” di una
recidiva di ictus, prima individuandoli in astratto, poi riscontrandoli
effettivamente nella condizione di salute della (OMISSIS).
La Corte d’Appello ha ritenuto, inoltre, che la pronuncia di primo grado,
sulla scorta delle valutazioni della consulenza tecnica, avesse adottato
correttamente, per l’individuazione del nesso di causalità, il criterio della
“preponderan:za dell’evidetz.zd’, ossia del “più probabile che non”, che induceva,
nel caso di specie, ad escludere che la sospensione della terapia
antiaggregante fosse stata la causa della recidiva di ictus e a rinvenire tale
causa, con una probabilità superiore al 50%, nell’insieme dei “fattori di
rischio” presentati dalla paziente.
Ciò sarebbe stato ulteriormente confermato, ha evidenziato ancora la
Corte, dalla circostanza pacifica che la (OMISSIS) aveva iniziato a seguire una
terapia anticoagulante già da un paio di mesi prima della verificazione
dell’evento.
Il Giudice territoriale ha dichiarato, poi, l’inammissibilità, ex art. 345,
c.p.c. della domanda di risarcimento del danno da perdita di chance,
consistente nella mancata riduzione del rischio di recidiva di ictus, in
quanto formulata per la prima volta in appello.
3. Avverso la predetta pronuncia (OMISSIS), quale
amministratore di sostegno di Calogera l’ardo, propone ricorso per
cassazione affidato a quattro motivi.
3.1. Resistono con controricorso l’Azienda Ospedaliera Santa Maria di
Terni e l’Azienda Unità Sanitaria Locale Umbria n. 2.
4. Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo
l’accoglimento del primo motivo, assorbiti altri motivi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
5. Con quattro motivi di ricorso, (OMISSIS), quale
amministratore di sostegno di (OMISSIS), deduce la violazione
dell’art. 1218 c.c., e degli articoli 345, 196, 356 c.p.c., nonché l’omesso
esame del fatto controverso e decisivo, lamentando che erroneamente la
Corte d’appello, anche in difetto di motivazione: 1) ha escluso la
sussistenza del nesso di causalità tra le condotte omissive della struttura e
l’evento lesivo occorso; 2) non si è pronunciata sulla responsabilità dei
sanitari delle strutture medesime; 3) ha dichiarato inammissibile la
domanda di risarcimento per perdita di chances; 4)ha valutato la C.T.U.
senza rilevarne le incongruenze lamentate e senza disporne la richiesta di
rinnovazione.
6. Il primo, il secondo e il quarto motivo di ricorso possono essere
esaminati congiuntamente e non possono trovare accoglimento.
L’omesso esame di un fatto decisivo, difatti, non può consistere nella
difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove come operato dal
giudice di merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando soltanto,
a detto giudice, di individuare le fonti del proprio convincimento,
valutare le prove e scegliere, tra le risultanza istruttorie, quelle ritenute
idonee a dimostrare i fatti in discussione e dare prevalenza all’uno o
all’altro mezzo di prova, salvo i caso tassativamente previsti dalla legge,
in cui un valore legale è assegnato alla prova (ex multis, Cass. civ. Sez. 2,
04/07/2017, n. 16407).
Va peraltro corretta in parte qua la motivazione della sentenza impugnata
(peraltro corretta in punto di diritto) laddove, dove a pag. 10 osserva che
“la conclusione del c.t.u. secondo cui non può essere a ermato che la sospensione del
trattamento con la ticlopidina sia stata la causa della recidiva dell’ictus – e cioè che sia
stato il fattore di rischio dell’evento lesivo avente una probabilità superiore al 50%
secondo il criterio della preponderanza dell’evideny (altrimenti definito anche de/più
probabile che non) – va pertanto accolta, apparendo peraltro confermata dal fatto, che
appare pacifico, per cui la (OMISSIS), da un paio di mesi prima della recidiva, seguiva, per
l’immobilkaione alla quale era costretta, una terapia anticoaguAlnte, sia pure con
l’eparina”.
Occorre precisare, al riguardo, che il criterio utilizzato, nella specie, è
quello della probabilità prevalente (applicabile tutte le volte che il giudice
si trovi di fronte due o più possibili ipotesi, e scelga, tra esse, quella che,
alla luce dei fatti indiziari acquisiti al processo, e sulla base di un
ragionamento inferenziale, abbia ricevuto il maggior grado di conferma),
che non va confuso con quello del più probabile che non (predicabile nel
diverso caso in cui si confrontino tra esse una probabilità positiva ed una
negativa, quanto alla causa dell’evento di danno).
Risulta altrettanto corretta la decisione di appello sul piano del riparto
degli oneri probatori, che si conforma all’insegnamento di questa Corte,
a mente del quale, nei giudizi risarcitori da responsabilità medica, si
delinea un duplice ciclo causale, l’uno relativo all’evento dannoso, a
monte, l’altro relativo all’impossibilità di adempiere, a valle. Il primo,
quello relativo all’evento dannoso, deve essere provato dal
creditore/danneggiato, il secondo, relativo alla possibilità di adempiere,
deve essere provato dal debitore/danneggiante. Mentre il creditore deve
provare il nesso di causalità fra l’insorgenza (o l’aggravamento) della
patologia e la condotta del sanitario (fatto costitutivo del diritto), il
debitore deve provare che una causa imprevenibile ed improbabile abbia
reso impossibile la prestazione (fatto estintivo del diritto: così, in
motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 26 luglio 2017, n. 18392, Rv. 645164-01;
Cass. sez. 3, 11 novembre 2019, nn. 28991 e 28992).
Tanto premesso, il criterio della probabilità prevalente (o della
prevalenza relativa), risulta correttamente adottato nel caso di specie,
volta che, rispetto ad ogni enunciato fattuale emerso dagli atti, è stata
considerata l’eventualità che esso potesse essere vero o falso, e che,
accertatane la consistenza indiziaria, la soluzione adottata dalla Corte
territoriale risponde ai caratteri di alternativa razionale logicamente più
probabile di altre ipotesi, essendo stata conseguentemente esclusa quella,
oggi riproposta da parte ricorrente, fondata su elementi di fatto destinati
ad attribuirle una grado di conferma “debole”, tale, cioè, da farla ritenere
scarsamente credibile rispetto alle altre.
Il giudice di merito ha correttamente scelto — sulla base delle indicazioni
provenienti dalla scienza medica – l’ipotesi fattuale più probabile,
ritenendo “vero” l’enunciato che aveva ricevuto il grado di maggiore
conferma relativa sulla base dei fatti allegati, ed altrettanto correttamente
ha applicato i principi indicati da questa Corte in tema di riparto
dell’onere probatorio, attribuendo al paziente danneggiato l’onere di
provare la sussistenza del nesso causale tra la condotta dei sanitari e
l’evento di danno, e ritenendo che tale onere non fosse stato
efficacemente assolto dal paziente- creditore.
Sulla base delle risultanze della c.t.u. espletata in primo grado, la Corte ha
ritenuto, difatti, che l’asserito inadempimento del personale sanitario
operante presso le strutture convenute non potesse considerarsi la causa
più probabile della recidiva di ictus che aveva colpito la [lardo, tale, più
probabile causa dovendo piuttosto essere individuata nell’esistenza di
numerosi “fattori di rischio” alternativi.
6.1. Il terzo motivo di ricorso è infondato.
La chance, ovvero la concreta ed effettiva possibilità di conseguire un
determinato bene o risultato (che non è mera aspettativa di fatto, ma
“bene” giuridicamente ed economicamente suscettibile d’autonoma
valutazione, onde la sua perdita configura un danno concreto ed attuale:
Cass. civ. sez. III n. 5641/2018) è oggetto di una domanda
ontologicamente diversa dalla domanda di risarcimento del danno da
mancato raggiungimento del risultato sperato, sostanziandosi, per
converso, nella mancata possibilità di realizzarlo, caratterizzata da
incertezza (non causale ma) eventistica (ancora Cass. 5641/2018).
Deve pertanto essere confermata la pronuncia impugnata nella parte in
cui ha reputato inammissibile la domanda tesa al risarcimento del danno
da perdita di chance, in quanto domanda nuova, non proponibile per la
prima volta in appello.
7. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
7.1. Infine, poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30
gennaio 2013, sussistono i presupposti processuali (a tanto limitandosi la
declaratoria di questa Corte: Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315) per dare
atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, che ha
aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. n.
115 del 2002 (e mancando la possibilità di valutazioni discrezionali: tra le
prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive:
Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dell’obbligo di
versamento, in capo a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa
impugnazione.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio di legittimità in favore di ciascun
controricorrente che liquida in complessivi Euro 7.000 di cui 200 per
esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del cl.P.R. n. 115 del 2002, inserito
dall’art. 1, comma 17 della 1. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove
dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis del citato art.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile
della Corte di Cassazione in data 8 giugno 2022.