Ordinanza 25900/2022
Costituzione di un fondo cassa condominiale
La costituzione di un fondo cassa da parte dell’assemblea condominiale, ancorché non venga disposto in merito all’impiego dei residui attivi di gestione nell’esercizio di riferimento, non viola la necessaria dimensione annuale della gestione condominiale, essendo sufficiente che questi possano, anche solo implicitamente, desumersi dal rendiconto, ai fini della loro rilevabilità nei conti individuali dei singoli condòmini e della conseguente riduzione, per compensazione, delle quote di anticipazione dovute dagli stessi condòmini per l’anno successivo.
Cassazione Civile, Sezione 2, Ordinanza 2-9-2022, n. 25900 (CED Cassazione 2022)
Art. 1123 cc (Ripartizione delle spese) – Giurisprudenza
Art. 1135 cc (Attribuzioni dell’assemblea dei condomini) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
1. (OMISSIS) ha convenuto in giudizio davanti al Tribunale di Cagliari il Condominio (OMISSIS), proponendo opposizione avverso la delibera Assembleare 3 ottobre 2000, avente ad oggetto l’approvazione della situazione patrimoniale e il bilancio 1999/2000, esponendo che – nella suddetta situazione patrimoniale – erano riportati: a) la voce “fondo riserva portineria”, costituito con l’accantonamento dei canoni pagati dal conduttore, la voce “ricavi da affitto dei parcheggi, costituita dai canoni di locazione per i posti auto di proprietà dei condomini e la voce “ricavi da affitto locali portineria” per Lire 5.136.000, senza che fossero indicati gli importi spettanti a ciascun condomino; b) il fondo di riserva ordinario di Lire 3.984.100, senza alcuna indicazione della provenienza di tali disponibilità.
Secondo la ricorrente, il condominio non poteva trattenere a tempo indeterminato somme che appartenevano ai singoli condomini e, inoltre, occorreva indicare a verbale gli importi esatto dei residui attivi spettanti a ciascun proprietario.
Ha chiesto di annullare la delibera e di regolare le spese.
In contraddittorio con il Condominio il tribunale ha respinto l’impugnazione, dichiarando tardive anche le domande di annullamento delle delibere del 22.5.1997 e del 3.12.1998, proposte dalla ricorrente nelle memorie ex art. 183 c.p.c., comma 6.
La sentenza è stata confermata in appello.
Ribadita la tardività della domanda di annullamento delle delibere non impugnate con il ricorso introduttivo, la Corte distrettuale ha poi precisato che le uniche contestazioni ancora ammissibili riguardavano la possibilità di determinare la quota dei fondi accantonati e di quelli spesi in base a un mero calcolo matematico sulla base dei dati risultanti dalla delibera e il fatto che fossero stati effettivamente compensati i debiti e i crediti reciproci.
La pronuncia ha evidenziato che già il tribunale aveva chiarito che era possibile individuare gli importi spettanti ai condomini in base al contenuto della delibera, non esistendo alcuna disposizione che prevedesse un obbligo di esatta indicazione numerica dei residui attivi di pertinenza dei singoli, precisando che l’amministratore aveva fornito, nel corso del giudizio di primo grado, i dati relativi alle quote del Fondo riserva portineria e del Fondo di riserva ordinario da ripartire tra i singoli, senza che la (OMISSIS) avesse sollevato contestazioni.
La delibera non aveva leso i diritti patrimoniali dei condomini, data la prevista compensazione delle somme accantonate con le quote di anticipazione per l’esercizio successivo o dovute a conguaglio, avendo inoltre imposto un vincolo temporaneo, destinato a valere fino al momento dell’effettuazione di eventuali spese nell’interesse comune. Il singolo condomino non poteva infine pretendere secondo la pronuncia – la corresponsione della propria quota o la immediata compensazione con i debiti, non avendo l’amministratore il potere di utilizzare i residui attivi senza l’autorizzazione dell’assemblea.
La cassazione della sentenza è chiesta da (OMISSIS) con ricorso in 6 motivi.
Il Condominio (OMISSIS) non ha formulato difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 36 D.P.R. 917/1986, sostenendo che la delibera impugnata doveva indicare esattamente, a pena di annullabilità, le somme derivanti da residui attivi spettanti a ciascun condomino, stante l’obbligo di dichiarazione a fini fiscali – gravante su ciascun condomino – degli introiti derivanti dalla locazione dei beni comuni, ove superiori ad Euro 25,00.
Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 1130 c.c., e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo, per aver la sentenza negato che la delibera dovesse indicare gli importi facenti parte del fondo cassa spettanti a ciascun condomino, non considerando che l’amministratore ha l’obbligo di rendere il conto della sua gestione in modo che siano intellegibili le voci attive e passive della gestione.
I due motivi, che per la loro stretta connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.
La delibera con cui si approva la situazione patrimoniale del condominio ad una data scadenza deve esporre la situazione delle entrate e delle uscite con i relativi residui attivi o passivi in modo chiaro ed intellegibile.
In particolare, la contabilità predisposta dall’amministratore ed approvata dall’assemblea deve essere idonea a fornire la prova, attraverso i corrispondenti documenti giustificativi, della qualità e quantità dei frutti percetti e delle somme incassate, dell’entità e causale degli esborsi fatti e di tutti gli elementi di fatto che consentano di individuare e vagliare le modalità con cui l’incarico è stato eseguito e di stabilire se l’operato di chi rende il conto sia adeguato a criteri di buona amministrazione (Cass. 10844/2020; Cass. 1405/2007; Cass. 9099/2000; Cass. 3747/1994).
E’ – tuttavia – orientamento costante di questa Corte (nel regime del condominio, anteriore alle modifiche adottate con L. 220 del 2012)
che non è necessario, per la validità dell’approvazione del consuntivo, che la relativa contabilità sia tenuta dall’amministratore con il medesimo rigore richiesto per i bilanci delle società, essendo sufficiente che essa sia idonea a rendere intellegibile ai condomini le voci di entrata e di spesa, con le quote di ripartizione; nè si richiede che queste voci siano trascritte nel verbale assembleare, ovvero siano oggetto di analitico dibattito ed esame alla stregua della documentazione giustificativa: rientra nei poteri dell’organo deliberativo la facoltà di procedere sinteticamente all’approvazione, prestando fede ai dati forniti dall’amministratore alla stregua della documentazione giustificativa.
Ciò posto, pertiene al giudizio di fatto, insindacabile in cassazione, la conclusione cui è pervenuto il giudice distrettuale, secondo cui la mancata indicazione dell’esatto ammontare dei residui attivi di spettanza dei singoli non aveva pregiudicato l’intellegibilità del rendiconto, essendo possibile determinare tali importi sulla base del contenuto della delibera e con un mero calcolo matematico.
In tale situazione non occorreva l’espressione in cifre delle somme spettanti a ciascun comproprietario a pena di annullabilità della delibera, essendo possibile stabilirne l’entità e procedere alle opportune verifiche sulla correttezza della successiva compensazione con le quote condominiali.
D’altro canto, neppure l’art. 36 D.P.R. 917/1986 impone un obbligo impone un obbligo, gravante sull’assemblea, di indicare l’ammontare degli importi spettanti ai singoli aventi diritto, a pena di invalidità.
Facendo confluire nel reddito imponibile anche i frutti dei beni condominiali, se eccedenti Euro 25,00, la disposizione ha natura tributaria e disciplina esclusivamente gli obblighi di dichiarazione a carico del singolo, cui questi non deve necessariamente ottemperare mediante la delibera di approvazione del rendiconto, potendosi avvalere – in alternativa – di documentazione fornita dall’amministratore ugualmente idonea a comprovare l’ammontare delle somme percepite.
2. Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 102 c.p.c. e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo del giudizio, per aver la sentenza dichiarato erroneamente tardive le domande di annullamento o di nullità delle delibera maggio 1997 e delibera dicembre 1998. Si sostiene che l’esigenza di richiederne l’annullamento era scaturita dalle difese del condominio e che l’annullabilità (o la nullità) era questione deducibile in via di eccezione o oggetto di una mera difesa proponibile senza alcuna preclusione.
Il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 183 c.p.c., e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo per il giudizio, per aver la Corte di merito ritenuto tardive le domande di annullamento delle delibera del 1997 e del 1998, pur se integranti una mera emendatio libelli dell’originaria impugnativa, ritualmente proposta con il ricorso introduttivo.
Il quinto motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo per il giudizio, per non aver la sentenza pronunciato sul terzo motivo di appello riguardante il fatto che la delibera 3 dicembre 1998, riguardava l’affidamento dei fondi accantonati dall’amministratore e la conferma di altra delibera, istitutiva di un fondo cassa, non individuata, non prodotta in giudizio e di cui era stata contestata la stessa esistenza.
I tre motivi, che vanno esaminati congiuntamente, sono infondati.
Con le domande proposte nelle memorie ex art. 183 c.p.c., erano state dedotti vizi di annullabilità – e non di nullità – delle delibera del 1997 e del 1998, sostenendo che l’assemblea aveva derogato una tantum ai criteri di riparto delle spese in violazione dei quorum deliberativi (cfr. ricorso, pag. 24).
Secondo il recente insegnamento delle S.U., possono ritenersi nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalle legge o dalla convenzione, da valere per il futuro; al contrario, sono meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni, adottate senza modificare i criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione (poichè destinate a valere per la singola decisione collegiale), essendo comunque assunte nell’esercizio delle attribuzioni assembleari (Cass. s.u. 9831/2021).
Parimenti, la violazione dei quorum deliberativi o costitutivi è causa di annullamento e non di nullità delle delibere (Cass. 13013/2000; Cass. 8981/2003; Cass. 6623/2004; Cass. 4806/2005; Cass. 17014/2010; Cass. s.u. 8939/2021).
L’interesse ad ottenere l’annullamento era scaturito dalle difese del Condominio e quindi l’impugnativa andava proposta al più tardi all’udienza di trattazione, alla luce del disposto dell’art. 183 c.p.c., comma 4 (nella versione applicabile ratione temporis), fatta salva l’eventuale decadenza per decorso del termine fissato dall’art. 1137 c.c..
Esaurita l’udienza, era impregiudicata solo la facoltà di precisare e modificare le domande nelle memorie previste dal comma 5 della disposizione.
L’elemento distintivo tra la modifica consentita nelle memorie ex art, 183 e le domande nuove che scaturiscano dalle eccezioni e o dalle riconvenzionali consiste non nel fatto che, nelle prime, le “modifiche” non possono incidere sugli elementi identificativi (petitum e causa petendi), bensì nel fatto che le domande modificate non possono essere considerate “nuove” nel senso di “ulteriori” o “aggiuntive”, trattandosi pur sempre delle stesse domande iniziali modificate – eventualmente anche in alcuni elementi fondamentali – o di domande diverse che però non si aggiungono a quelle iniziali (salvo la proposizione in via subordinata), ma le sostituiscono e si pongono pertanto, rispetto a queste, in un rapporto di alternatività (cfr., testualmente, Cass. s.u. 12310/2015).
L’azione così modificata deve essere sempre correlata alla vicenda dedotta in giudizio e deve sostanziare una domanda complanare o incompatibile con quella originariamente proposta, in modo da non compromettere le potenzialità difensive della controparte e da non provocare l’allungamento dei tempi del processo (Cass. s.u. 12310/2015; Cass. s.u. 22404/2018; Cass. 4322/2019; Cass. 31078/2019; Cass. 4031/2021).
La ritenuta inammissibilità delle azioni proposte nelle memorie ex art. 183 c.p.c., comma 6, è esente dai vizi denunciati: l’impugnativa delle delibere precedenti a quella adottata nel 2000 non presentava quel carattere di alternatività rispetto all’azione introdotta inizialmente – essendo evidente l’intento della ricorrente di procurare l’invalidazione di tutte le richiamate deliberazioni – nè era riferibile alla medesima vicenda sostanziale dedotta tempestivamente, riguardando decisioni collegiali del tutto diverse da quella ritualmente impugnata.
Non era consentito tener conto delle ragioni di illegittimità delle precedenti delibera come mere difese o eccezioni in senso lato, avendo esse riguardo ad atti deliberativi non oggetto di rituale impugnazione ed essendo dedotti meri vizi di annullabilità: per privarle di effetti era necessaria la proposizione di un’autonoma domanda giudiziale (nel rispetto del termine ex art. 1137 c.c.), non potendo il vizio esser fatto valere in via di eccezione, nè potendosi procedere alla disapplicazione una tantum delle delibere condominiali (Cass. s.u. 9839/2021).
Era insussistente, quindi, anche la denunciata omissione di pronuncia riguardo alle ragioni d’invalidità della delibera del 1998, dato che la domanda è stata definita in rito con statuizione di inammissibilità.
3. Il sesto motivo deduce la violazione dell’art. 1135 c.c., e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della causa, lamentando che il fondo cassa – non essendo previsto un termine per il suo impiego – doveva considerarsi impositivo di un vincolo a tempo indeterminato e dunque illegittimo, stante il divieto di previsioni di spesa superiori ad un anno costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità.
Il motivo è infondato.
Non è anzitutto pertinente il richiamo alla pronuncia di questa Corte n. 7076/2016 (riguardante una delibera impositiva dell’obbligo di continuare a versare le quote relative al fondo di riserva per cinque anni, pari ad una quota condominiale trimestrale per ogni anno): nel caso in esame, come ha puntualizzato il giudice di merito, l’assemblea aveva semplicemente omesso di disporre l’impiego dei residui attivi nell’esercizio di riferimento, senza vincolarli oltre l’esercizio successivo o per periodi ancor più lunghi. In tali ipotesi è sufficiente che i residui attivi possano anche solo implicitamente desumersi dal rendiconto, in modo da poter essere rilevati nei conti individuali dei singoli condomini per la conseguente riduzione per compensazione delle quote di anticipazione dovute per l’anno successivo (Cass. 3936/1975; Cass. 8167/1996; Cass. 17035/2016).
La decisione assembleare non violava – dunque – la necessaria dimensione annuale della gestione condominiale mediante la previsione di un fondo cassa alimentato con le anticipazioni da parte dei condomini o con l’accantonamento dei canoni di locazione di un bene comune (cfr. Cass. n. 7706/1996; Cass. n. 20135/2017): la reale finalità della delibera era di assicurare alla collettività condominiale, gestita dall’amministratore, la disponibilità di liquidità economica per far fronte ai maggiori oneri economici che si sarebbero dovuti affrontare, una volta terminato il periodo in relazione al quale era stato approvato il preventivo (cfr., in proposito, Cass. 12638/2020).
Questa Corte ha inoltre precisato che la costituzione di un fondo cassa per le spese di ordinaria conservazione e manutenzione dei beni comuni appartiene al potere discrezionale dell’assemblea e non pregiudica, nè l’interesse dei condomini alla corretta gestione del condominio, nè loro il diritto patrimoniale all’accredito della proporzionale somma (Cass. 3936/1975; Cass. 8167/1996; Cass. 17035/2016), risultando di tutta evidenza che la disponibilità, da parte dell’amministratore, di una pronta liquidità di cassa gli consente di affrontare con maggiore prontezza e tranquillità l’ordinaria gestione del condominio (Cass. 8167/1997).
Il ricorso è – quindi – respinto.
Nulla sulle spese, non avendo il Condominio svolto difese.
Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Suprema Corte di Cassazione, in data 19.5.2022.