Roma, Via Valadier 44 (00193)
o6.6878241
avv.fabiocirulli@libero.it

Cassazione Civile 26044/2023 – Prova civile – Incapacità a testimoniare ex art. 246 cpc – Incapacità di due parti a rendersi reciproca testimonianza in cause connesse per identità di questioni – Insussistenza

Richiedi un preventivo

Ordinanza 26044/2023

Prova civile – Incapacità a testimoniare ex art. 246 cpc – Incapacità di due parti a rendersi reciproca testimonianza in cause connesse per identità di questioni – Insussistenza

L’interesse che, ai sensi dell’art. 246 c.p.c., determina l’incapacità a testimoniare è solo quello giuridico, personale, concreto ed attuale che comporta o una legittimazione principale a proporre l’azione ovvero una legittimazione secondaria ad intervenire in un giudizio già proposto da altri cointeressati; non rileva, quindi, l’interesse di mero fatto che un testimone può avere a che venga decisa in un certo modo la controversia in cui depone, pendente fra altre parti, ma identica a quella vertente tra lui ed un altro soggetto, senza che assuma rilievo il fatto che quest’ultimo sia, a sua volta, parte del giudizio in cui dev’essere resa la testimonianza; né l’incapacità a testimoniare può sorgere in caso di riunione di cause connesse per identità di questioni, incidendo detta riunione solo sull’attendibilità delle deposizioni.

Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Ordinanza 07/09/2023, n. 26044   (CED  Cassazione 2023)

 

 

Rilevato che:

con la sentenza impugnata, in riforma di quattro
pronunzie del Tribunale di Alessandria, sono state
rideterminate le sanzioni amministrative di cui a ciascuna
delle quattro ordinanze (nn. 88/2012, 89/2012, 90/2012 e
91/2012) con le quali era stato ingiunto ai sig.ri
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS),
nonché, in via solidale, alla “(OMISSIS)
& C. s.n.c.”, di pagare l’importo di € 73.788,00 per
violazioni varie inerenti all’impiego di alcuni lavoratori;
per la cassazione della decisione hanno proposto ricorso,
affidato a sette motivi, (OMISSIS), (OMISSIS),
(OMISSIS) e (OMISSIS), i quali hanno depositato
memoria;

il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali –
Ispettorato Territoriale del Lavoro di Asti e Alessandria, ha
resistito con controricorso;

il P.G. non ha formulato richieste;

chiamata la causa all’adunanza camerale del 12 luglio
2023, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel
termine di giorni sessanta (art. 380 bis 1, secondo comma,
c.p.c.).

Considerato che:

con il primo motivo, i ricorrenti – denunciando violazione
e falsa applicazione dell’art. 246 c.p.c. – si dolgono che il
giudice del gravame abbia ritenuto che l’interesse giuridico
all’intervento per sostenere le ragioni dell’Ispettorato fosse
ravvisabile, in capo a ciascun lavoratore, solo con riferimento
alla propria posizione e non anche con riferimento a quella
degli altri;

con il secondo motivo – denunciando violazione e falsa
applicazione degli artt. 246 e 421 c.p.c., in relazione all’art.
116 c.p.c. – lamentano che il predetto giudice – quanto alle
violazioni concernenti la mancata formazione di alcuni
lavoratori apprendisti (i.e.: i sigg.ri (OMISSIS), (OMISSIS) e
(OMISSIS)), la consegna di prospetti paga con indicazione di
retribuzione diverse dai compensi effettivamente versati ad
alcuni lavoratori (i.e.: (OMISSIS) e (OMISSIS)), nonché le
registrazioni infedeli sul “LUL” circa le ore lavorate con
riferimento a determinati dipendenti (i.e.: (OMISSIS), (OMISSIS),
(OMISSIS) e (OMISSIS)) – abbia deciso la causa unicamente sulla
base delle dichiarazioni rese dagli stessi lavoratori sulle
proprie posizioni ex art. 421 c.p.c., senza alcun vaglio di
credibilità delle dichiarazioni stesse in relazione ad altri
elementi di prova;

con il terzo motivo – denunciando violazione e falsa
applicazione dell’art. 2 della l. n. 25 del 1955, della l. n. 196
del 1997 e del d.lgs. n. 167 del 2011 – si dolgono che la Corte
territoriale non abbia valutato, con riferimento alla violazione
concernente la mancata formazione di alcuni lavoratori
apprendisti, il rapporto di apprendistato nel suo complesso,
atteso che, al momento dell’accesso ispettivo, lo stesso era
ancora in corso;

con il quarto motivo – denunciando violazione e falsa
applicazione dell’art. 3 della l. n. 689 del 1981 – si lamenta
che la predetta Corte abbia condannato indistintamente tutti
e quattro i soci della società in nome collettivo, con ciò
violando il principio di personalità della sanzione
amministrativa e di afflittività della stessa, per il quale ad
essere colpito da sanzione amministrativa può essere
soltanto l’autore materiale della violazione;

con il quinto motivo – denunciando violazione e falsa
applicazione dell’art. 2700 c.c., in relazione all’art. 116 c.p.c.
– si dolgono che il giudice del gravame abbia dato prevalenza
alle affermazioni rilasciate dai lavoratori in sede ispettiva,
contrarie a quelle rese in sede di giudizio;
con il sesto motivo – denunciando nullità della sentenza,
“error in procedendo”, nonché anomalia motivazionale
costituzionalmente rilevante – lamentano che il predetto
giudice – nell’affermare che «Qualche considerazione più
estesa è necessaria con riferimento alla posizione di (OMISSIS)
, che, secondo l’accertamento ispettivo, è stato
occupato in nero per 71 giorni, a decorrere dal 25.4.2010» e
che «in sede di deposizione testimoniale in appello (…) ha
(…) riferito che il suo rapporto era in regola (…) circostanza
non confermata neppure dai soci sanzionati» – abbia omesso
di considerare che tale ultima affermazione è contraria ad un
dato di fatto reale, ossia al ricorso introduttivo del giudizio di
primo grado, ove era richiamata la documentazione
attestante la assunzione del lavoratore esattamente nel
giorno in cui è avvenuta la regolarizzazione;

con il settimo motivo – denunciando violazione e falsa
applicazione dell’art. 356 c.p.c. – si dolgono che la Corte
territoriale, nel rinnovare l’istruttoria, abbia ascoltato, senza
istanza di parte, anche il teste (OMISSIS), benché quest’ultimo
non sia stato sentito in primo grado.

Ritenuto che:

il primo motivo è da rigettare, poiché «L’interesse che
determina l’incapacità a testimoniare, ai sensi dell’art. 246
c.p.c., è solo quello giuridico, personale, concreto ed attuale,
che comporta o una legittimazione principale a proporre
l’azione ovvero una legittimazione secondaria ad intervenire
in un giudizio già proposto da altri cointeressati. Tale
interesse non si identifica con l’interesse di mero fatto che
un testimone può avere a che venga decisa in un certo modo
la controversia in cui esso sia stato chiamato a deporre,
pendente fra altre parti, ma identica a quella vertente tra lui
ed un altro soggetto ed anche se quest’ultimo sia, a sua
volta, parte del giudizio in cui la deposizione deve essere
resa. Né l’eventuale riunione delle cause connesse (per
identità di questioni) può far insorgere l’incapacità delle
rispettive parti a rendersi reciproca testimonianza, potendo
tale situazione soltanto incidere sull’attendibilità delle
relative deposizioni» (così Cass. 21/10/2015, n. 21418);

ciò posto, va condivisa l’impostazione seguita dal giudice
del gravame, secondo cui, nel caso di specie, l’interesse
all’intervento in giudizio per sostenere le ragioni
dell’Ispettorato era da ritenersi ravvisabile solo con
riferimento alla posizione di ciascun lavoratore, non
essendovi ragione alcuna per estendere l’incapacità a
testimoniare in relazione a fatti concernenti altri lavoratori;

l’opposizione ad ordinanza ingiunzione contenente una
contestazione riferita a più posizioni dà luogo, infatti, ad un
giudizio complesso in cui la riunione è determinata già alla
fonte ed è ovviamente equiparabile a quella disposta in
presenza di emanazione, ad opera dell’autorità procedente,
di una singola ordinanza per ogni posizione;

pertanto, in tale ipotesi, conformemente all’indirizzo
sopra menzionato, non vi è incapacità delle parti a rendersi
reciproca testimonianza, potendo tale situazione soltanto
incidere sull’attendibilità delle relative deposizioni;
anche il secondo motivo è da disattendere, dovendo
richiamarsi l’orientamento, dal quale non vi è ragione di
discostarsi, secondo cui «Nel rito del lavoro, le risposte rese
dalle parti in sede di interrogatorio libero ex art. 420 c.p.c.
sono liberamente utilizzabili dal giudice come elemento di
convincimento, soprattutto se riguardino fatti che possono
essere conosciuti solo dalle parti medesime, o non siano
contraddette da elementi probatori contrari, e possono
arrivare a costituire anche l’unica fonte di convincimento»
(così Cass. 2/04/2009, n. 8066); senza contare che, nel
caso in esame, quanto alle violazioni concernenti la mancata
formazione di alcuni lavoratori apprendisti (i.e.: i sigg.ri
(OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)), il giudice del gravame ha
ricavato il proprio convincimento anche dalla
documentazione agli atti (cfr. il seguente passaggio della
motivazione, a pag. 14: «In secondo luogo, con riferimento
a tutte e cinque le posizioni sopra indicate le sottoscrizioni
apposte sul piano formativo e sui fogli-presenza appaiono
“ictu oculi” tra loro diverse e comunque difformi rispetto a
sottoscrizioni “sicure” raccolte nel corso del giudizio – firma
di procura al difensore e firme dei verbali delle deposizioni
testimoniali -)»;

il terzo motivo è inammissibile, non risultando che la
questione, rimasta assorbita in primo grado, sia stata
riproposta ritualmente in appello; del resto, in ricorso non è
precisato – con conseguente violazione del principio di
autosufficienza – come e quando i lavoratori avrebbero
potuto essere destinatari della non ricevuta formazione,
avuto riguardo alla diversità dei periodi di assunzione
(compresi tra il giugno 2006 e l’ottobre 2010; cfr., sul punto,
la pag. 13 della sentenza impugnata); senza contare, in ogni
caso, che il giudice del gravame è pervenuto alla propria
decisione estendendo il suo esame all’intero rapporto;

il quarto motivo è del pari inammissibile, poiché non
emerge dal ricorso che la questione dell’assenza di
responsabilità in capo ai soci (OMISSIS), (OMISSIS) e
(OMISSIS), posta nell’atto introduttivo del giudizio e
ritenuta assorbita in primo grado, sia stata dai ricorrenti
ritualmente riproposta in appello;

anche il quinto motivo è inammissibile, già sol perché lo
stesso – nell’illustrare le parti della motivazione nelle quali
sarebbe stata accordata prevalenza alle dichiarazioni rese
agli ispettori piuttosto che a quelle fornite in sede di giudizio
– non si confronta per intero con quanto emerge dalla
integrale lettura della sentenza, nell’ambito della quale, in
relazione alle posizioni dei lavoratori (OMISSIS), (OMISSIS),
(OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), la mancata regolarizzazione
del rapporto risulta sostanzialmente accertata sulla base
della deposizione della teste (OMISSIS), e, in relazione alle
posizioni dei lavoratori (OMISSIS) e (OMISSIS), la mancata
formazione non è desunta in via esclusiva da dichiarazioni
rese dai lavoratori in sede ispettiva, bensì dalla divergenza
delle sottoscrizioni apposte sul piano formativo rispetto a
quelle raccolte nel corso del giudizio nonché dalle
dichiarazioni rese nel giudizio di appello (cfr. il seguente
passaggio della motivazione: «Devono invece essere
confermate le contestazioni relative alle posizioni dei
lavoratori (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). I primi due,
sentiti come testi in appello, hanno disconosciuto le firme
apparentemente loro attribuibili apposte sul piano formativo
e sui fogli presenza – il primo con certezza, il secondo in
forma dubitativa – ed hanno negato di avere partecipato a
corsi teorici e/o pratici di formazione – il (OMISSIS) ha fatto
riferimento a corsi antincendio e sulla sicurezza non
sufficienti a configurare l’adempimento richiesto al datore di
lavoro -. Quanto alla posizione (OMISSIS), è pur vero che la
lavoratrice, sentita come teste in appello, ha riconosciuto le
sottoscrizioni apposte sulla documentazione di cui si è detto,
ma permane totale incertezza in ordine all’effettività della
formazione, dal momento che la teste dichiara che “ricorda
vagamente di avere partecipato a corsi” e sia in sede
ispettiva, sia deponendo in primo grado aveva negato di
avere frequentato corsi relativi all’apprendistato. Quanto
infine al lavoratore (OMISSIS) – che non si è potuto escutere
in appello -, la sua posizione risulta chiarita tramite la
deposizione di (OMISSIS) (OMISSIS). La teste, all’epoca
operante presso la reception e fidanzata del (OMISSIS),
confermando le proprie dichiarazioni e quelle del (OMISSIS)
rese in primo grado, ha negato per quest’ultimo la
partecipazione a corsi di formazione»);

il sesto motivo è ancora inammissibile, giacché lo stesso
non mette a fuoco in modo intelligibile la portata
dell’anomalia motivazionale, avuto riguardo alla non
coincidenza del periodo (ossia 71 giorni decorrenti dal 25
aprile 2010) cui si riferisce la contestazione di mancata
regolarizzazione del rapporto di lavoro del sig. (OMISSIS) con la
data di assunzione (ossia il giorno 18 luglio 2010) riportata
sul contratto trascritto in ricorso;

il settimo motivo è inammissibile, in quanto lo stesso non
evidenzia la decisività del profilo di doglianza, tenuto conto
della ravvisata inutilizzabilità delle dichiarazioni rese nel
grado di appello dal sig. (OMISSIS) (cfr. il seguente passaggio
della motivazione: «Le dichiarazioni rese in questo grado da
(OMISSIS) sono evidentemente inutilizzabili … soprattutto per
l’intrinseca loro inattendibilità)»;

le spese del presente giudizio, liquidate come in
dispositivo, seguono la soccombenza;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115
del 2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello
stesso art. 13, se dovuto.

PQM

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese, che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre spese
prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del
2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto
per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo
13, se dovuto.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 12 luglio
2023.