Sentenza 26152/2014
Responsabilità del ministero della salute – Danni conseguenti ad epatite ed a infezione da HIV
Il Ministero della salute è tenuto ad esercitare un’attività di controllo e di vigilanza in ordine alla pratica terapeutica della trasfusione del sangue e dell’uso degli emoderivati sicché risponde, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., dei danni conseguenti ad epatite ed a infezione da HIV, contratte da soggetti emotrasfusi, per omessa vigilanza sulla sostanza ematica e sugli emoderivati.
Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, Sentenza 12 dicembre 2014, n. 26152 (CED Cassazione 2014)
Articolo 2043 c.c. annotato con la giurisprudenza
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza dell’8/2/2010 la Corte d’Appello di Roma, in parziale accoglimento dei gravami interposti dal Ministero della Salute – in via principale – e dal sig. (OMISSIS) – in via incidentale – nei confronti della pronunzia Trib. Roma 5/9/2005, di parziale accoglimento della domanda da quest’ultimo nei confronti del primo proposta di risarcimento dei danni lamentati in conseguenza di “epatopatia cronica HCV correlata”, contratta all’esito di alcune trasfusioni con sangue infetto, proveniente dal Centro Trasfusionale sangue della Croce Rossa Italiana, cui era stato sottoposto negli anni 1977 e 1978, in preparazione di trapianto di rene poi eseguito nel (OMISSIS).
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il Ministero della Salute propone ora ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo.
Resiste con controricorso il (OMISSIS), che spiega altresì ricorso incidentale sulla base di 3 motivi, illustrati da memoria, cui resiste con controricorso il Ministero della Salute.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con unico motivo il ricorrente denunzia violazione dell’articolo 2043 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si duole essere stata erroneamente ravvisata la colpa e la sussistenza del nesso causale con la patologia della controparte, in assenza di conoscenze scientifiche del virus all’epoca dei fatti.
Il motivo è infondato.
Risponde a principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità (cfr., da ultimo, Cass., 23/1/2014, n. 1355) che il Ministero della salute è tenuto ad esercitare un’attività di controllo e di vigilanza in ordine (anche) alla pratica terapeutica della trasfusione del sangue e dell’uso degli emoderivati, e risponde ex articolo 2043 c.c., per omessa vigilanza, dei danni conseguenti ad epatite e ad infezione da HIV contratte da soggetti emotrasfusi (v. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 576; Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 584. Da ultimo v. Cass., 29/8/2011, n. 17685).
Obblighi di prevenzione, programmazione, vigilanza e controllo per il Ministero derivanti da una pluralità di fonti normative, ma ancor prima dall’obbligo di buona fede o correttezza, generale principio di solidarietà sociale – che trova applicazione anche in tema di responsabilità extracontrattuale – in base al quale il soggetto è tenuto a mantenere nei rapporti della vita di relazione un comportamento leale, specificantesi in obblighi di informazione e di avviso nonchè volto alla salvaguardia dell’utilità altrui – nei limiti dell’apprezzabile sacrificio, dalla cui violazione conseguono profili di responsabilità in ordine ai falsi affidamenti anche solo colposamente ingenerati nei terzi (cfr. Cass., 20/2/2006, n. 3651; Cass., 27/10/2006, n. 23273; Cass., 15/2/2007, n. 3462; Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 24/7/2007, n. 16315; Cass., 30/10/2007, n. 22860; Cass., Sez. Un., 25/11/2008, n. 28056. Da ultimo cfr. Cass., 23/1/2014, n. 1355).
A tale stregua, in caso di concretizzazione del rischio che la regola violata tende a prevenire non può prescindersi dalla considerazione del comportamento dovuto e della condotta nel singolo caso in concreto mantenuta, e il nesso di causalità che i danni conseguenti a quest’ultima astringe rimane invero presuntivamente provato (cfr. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 584; Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 582. E, da ultimo, Cass., 27/4/2011, n. 9404; Cass., 29/8/2011, n. 17685. Da ultimo cfr. Cass., 23/1/2014, n. 1355).
Al riguardo, vale ulteriormente osservare, nello specificare che il Ministero della salute risponde “anche per il contagio degli altri due virus” già “a partire dalla data di conoscenza dell’epatite B”, trattandosi non già di “eventi autonomi e diversi” ma solamente di “forme di manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo dell’integrità fisica da virus veicolati dal sangue infetto”, le Sezioni Unite non hanno certamente inteso limitare la rilevanza del fenomeno e la relativa responsabilità alla “data di conoscenza dell’epatite B” (laddove era stata invero la precedente Cass., 31/5/2005, n. 11609, ad affermare che fino a quando non erano conosciuti dalla scienza medica i virus della HBV, HIV ed HCV, e, quindi i “test” di identificazione degli stessi, cioè, rispettivamente fino al 1978, 1985 e 1988, ritenendo l’evento infettivo causato da detti virus per effetto di emotrasfusioni e assunzione di prodotti emoderivati inverosimile, e pertanto difettare il nesso causale fra la condotta omissiva del Ministero della Sanità – tenuto in base alla normativa previgente a quelle date a compiti di autorizzazione, direzione e sorveglianza sul settore dell’importazione del sangue e degli emoderivati – e tale evento, argomentando dal rilievo che in tema di illecito aquiliano colposo mediante omissione all’interno della serie causale può darsi rilievo solo a quello che al momento in cui si verifica l’omissione appaia non del tutto inverosimile, tenuto conto della norma comportamentale imponente l’attività omessa; ritenendo di dover a maggior ragione escludere la colpa del Ministero in presenza di evento imprevedibile, non potendo lo stesso Ministero conoscere la capacità infettiva dei detti virus prima ancora della comunità scientifica).
Le Sezioni Unite hanno per converso sottolineato come si tratti di un “rischio che è antico quanto la necessità delle trasfusioni” (v. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 581).
Non può a tale stregua non ritenersi il Ministero della salute tenuto, anche anteriormente alle sopra riportate date indicate da Cass., 31/5/2005, n. 11609, a controllare che il sangue utilizzato per le trasfusioni o per gli emoderivati fosse esente da virus e che i donatori non presentassero alterazione delle transaminasi, in adempimento di obblighi specifici posti dalle fonti normative speciali più sopra indicate (v. Cass., 29/8/2011, n. 17685; Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 581).
Orbene, di tali principi la corte di merito ha nell’impugnata sentenza fatto invero piena e corretta applicazione.
In particolare là dove ha affermato che l'”esame del merito della condotta del Ministero conduce ad affermare che lo stesso non ha svolto con la dovuta tempestività, diligenza e competenza i doveri di controllo e vigilanza posti a suo carico dalla legge”, in quanto “i poteri attribuiti al Ministero vennero esercitati con l’adozione del Decreto Ministeriale 18 giugno 1971, contenente direttive tecniche per la determinazione dei requisiti, fra gli altri, del sangue umano e dei suoi derivati, con l’emanazione del Decreto del Presidente della Repubblica 24 agosto 1971, n. 1256, recante il regolamento di esecuzione della Legge n. 592 del 1967 … e del Decreto Ministeriale 15 settembre 1972, relativo alle modalità di importazione e di esportazione del sangue”, ma “soltanto con Decreto Ministeriale 21 luglio 1990 furono … imposte, su ogni singola unità di sangue e di plasma donato, la ricerca degli anticorpi HCV (virus dell’epatite C) e la determinazione del livello di ALT (enzima capace di rivelare patologie epatiche)”.
Nella parte in cui ha ulteriormente posto in rilievo come sia “parimenti notorio che sin dalla metà degli anni 70 si era acquisita consapevolezza dell’esistenza di un tipo di epatite non identificabile con quelli fino ad allora conosciuti
(A e B), tanto che veniva genericamente individuata come epatite non A – non B (NANB)”, e che l’infezione HCV è responsabile della maggioranza dei casi (oltre l’80%) di epatite NANB post-trasfusionale”, essendosi d’altro canto acquisita la consapevolezza della “trasmissione delle infezioni virali per via parenterale, cioè attraverso lo scambio di sangue infetto” già “fin dall’inizio degli anni 70, tanto è vero che il Decreto del Presidente della Repubblica n. 1256 del 1971, espressamente esclude dalla donazione il soggetto che “sottoposto a visita medica generale, risulti … affetto da epatite virale” (articolo 46, lettera a) e prevede la non ammissione temporanea alla donazione del soggetto che “negli ultimi mesi abbia ricevuto una trasfusione di sangue plasma, fibrinogeno o altri derivati che possono trasmettere l’epatite” (articolo 47, lettera g) ovvero abbia avuto “negli ultimi sei mesi … contatti con epatici” (articolo 47, lettera h)”.
Là dove ha altresì evidenziato che “controlli sul sangue o sul plasma prelevato furono imposti, anche se con ingiustificato ritardo, con la circolare ministeriale 24 luglio 1978 n. 68, che rese obbligatoria la ricerca dell’antigene dell’epatite B” e che “la determinazione dell’enzima ALT (alanina transaminasi) costituiva idoneo metodo di rilevazione, sia pure indiretta, di infezioni da virus, essendo noto che questo enzima si presenta alterato, con valori superiori alla media, nei soggetti con patologie epatiche”, ricordando che “della sua ricerca fu proposta l’introduzione già nel 1974 al fine di escludere dalla donazione coloro i cui valori erano alterati, ma il metodo fu reso obbligatorio solo con il Decreto Ministeriale del 1990”.
Ancora, nella parte in cui ha sottolineato come sia “certo poi che controlli del genere di quelli appena indicati, tanto sul sangue quanto sui donatori, furono completamente omessi sul sangue di importazione (attesa la assoluta carenza dei quantitativi raccolti in Italia e il ritardo nell’esecuzione del c.d. piano nazionale del sangue, volto al raggiungimento dell’autosufficienza nazionale), proveniente anche da aree geografiche, come l’America e l’Africa, ove notoriamente alto era il rischio di infezioni. Ed infatti il Ministero si limitò ad un mero controllo sui documenti che accompagnavano le varie partite di sangue e di derivati acquisite dall’estero …, così venendo meno al suo compito istituzionale di vigilanza. In sostanza, ben prima dell’individuazione del metodo di rilevazione del virus dell’epatite C o dell’introduzione di efficaci sistemi per il suo annientamento … le conoscenze scientifiche raggiunte erano tali da consentire l’adozione di specifiche cautele, sulla scelta dei donatori e sul sangue prelevato, capaci di ridurre in misura assai apprezzabile il rischio di contagio da trasfusione”.
Nella parte in cui ha infine stigmatizzato che “tali cautele vennero invece omesse per moltissimi anni: sia perchè la loro adozione fu imposta dal Ministero con colpevole ritardo, sia perchè non venne posta in essere un’adeguata azione di vigilanza sul rispetto delle disposizioni emanate (compito certamente compreso fra quelli istituzionali: Legge n. 296 del 1958, articolo 1, comma 1)”.
Là dove ha concluso che pertanto “ben avrebbe potuto il Ministero, almeno dai primi anni 70, disporre l’effettuazione da parte degli operatori del settore di rigorosi controlli sui donatori e sul sangue raccolto ed assicurarsi che tali controlli fossero concretamente eseguiti, per impedire che soggetti affetti dal virus dell’epatite C fossero ammessi alla donazione ovvero che sangue infettato da quel virus venisse reso disponibile per le trasfusioni”.
Con il 1 motivo il ricorrente in via incidentale denunzia “violazione e falsa applicazione” dell’articolo 115 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Con il 2 e il 3 motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” degli articoli 1223, 2043 e 2056 c.c., Legge n. 238 del 1997, articolo 1, Legge n. 210 del 1992, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si duole che la corte di merito abbia “accolto l’eccezione sollevata dal Ministero della salute in merito alla compensatio lucri cum damno del risarcimento dovuto al signor (OMISSIS) con le somme percepite e percipiente dallo stesso a titolo di indennizzo ex Legge n. 210 del 1992, ritenendo, pertanto, non cumulabili i due diversi benefici patrimoniali”, laddove l’indennizzo de quo ha finalità assistenziali e “solo occasionalmente interagisce con fattispecie riconducibili a colpa dell’Amministrazione; tant’è che il nesso di causalità accertato dalle Commissioni Medico Ospedaliere, ai sensi della Legge n. 210 del 1992, articolo 5, comporta il diritto dell’interessato alla percezione dell’indennizzo a prescindere dall’elemento psicologico all’origine del fatto produttivo di danno”.
Lamenta che non può riconoscersi funzione riparatoria all’indennizzo ex lege de quo, “essendo quest’ultimo erogabile unicamente in ratei mensili, e non come scelta alternativa rimessa al beneficiario – in un’unica soluzione, capitalizzandone cioè il valore in ragione della (presumibile) vita del beneficiario stesso. Ratei la cui entità (di solito non più di euro 600,00 mensili) sicuramente non consente alcuna efficace iniziativa di investimento economico”.
Si duole non essersi dalla corte di merito considerato che la compensatio lucri cum davano può in ogni caso operare “solo con riguardo alle somme eventualmente già percepite dai soggetti danneggiati”, e non anche relativamente a “quanto verrà percepito in futuro” dal danneggiato “a titolo di indennizzo ex Legge n. 210 del 1992 … posto che non si vede come possa operarsi una compensazione di un credito risarcitorio specifico ed esattamente quantificato con un beneficio del tutto aleatorio, sia nel quantum che nell’an, in quanto soggetto ad oscillazioni dovute sia alla permanenza in vita del beneficiario (che non può, evidentemente, essere predetta con precisione) sia alle sue condizioni di salute, che possono modificarsi sia in peius (portando così ad un incremento delle somme dovute) sia in melius (con la conseguenza di una loro decurtazione, ovvero, addirittura, di una loro revoca complessiva)”.
Il motivo è infondato.
Come questa corte ha avuto più volte modo di affermare, il diritto al risarcimento del danno conseguente al contagio da virus HBV, HIV o HCV a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto ha natura diversa rispetto all’attribuzione indennitaria regolata dalla Legge n. 210 del 1992; tuttavia, nel giudizio risarcitorio promosso contro il Ministero della salute per omessa adozione delle dovute cautele, l’indennizzo eventualmente già corrisposto al danneggiato può essere interamente scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno, venendo altrimenti la vittima a godere di un ingiustificato arricchimento consistente nel porre a carico di un medesimo soggetto (il Ministero) due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo (v. Cass., Sez. Un., 11/01/2008, n. 584, e, conformemente, Cass., 23/05/2011, n. 11302; Cass., 14/03/2013, n. 6573; Cass., 20/01/2014, n. 991).
Orbene, nell’affermare nell’impugnata sentenza di tale principio la corte di merito ha fatto invero sostanziale applicazione.
Non può infine sottacersi che in base a principio consolidato in giurisprudenza di legittimità l’articolo 115 c.p.c. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (che deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità), e non anche sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, come nel caso dall’odierno ricorrente viceversa prospettato.
Emerge dunque evidente come, lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni degli odierni ricorrenti – oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’articolo 366 c.p.c., n. 4 – in realtà si risolvono nella mera doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle loro aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).
Per tale via, infatti, come sì è sopra osservato, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’articolo 360 c.p.c., i ricorsi in realtà sollecitano, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).
All’infondatezza dei motivi consegue il rigetto dei ricorsi.
La procedura transattiva prevista dal Decreto Legge n. 159 del 2007, conv. in Legge n. 222 del 2007, espressione di un sostanziale favore legislativo in ordine alla definizione stragiudiziale dei giudizi risarcitori per effetto di trasfusioni con sangue infetto (pur lasciando libera la P.A. di pervenirvi), depone per la ricorrenza di giusti motivi per disporsi la compensazione delle spese processuali ex articolo 92 c.p.c., nella formulazione – applicabile alla fattispecie – anteriore alla modifica apportata dalla Legge n. 263 del 2005, articolo 2.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.