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Cassazione Civile 2623/2021 – Supercondominio – Impianto fognario

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Sentenza 2623/2021

Supercondominio – Impianto fognario

Rispetto ad un impianto fognario posto in rapporto di accessorietà con una pluralità di edifici costituiti in distinti condomini, giacché oggettivamente e stabilmente destinato all’uso od al godimento di tutti i fabbricati, trova applicazione la disciplina specifica del condominio, anziché quella generale della comunione, e perciò opera la presunzione legale di condominialità, ma solo sino al punto in cui è possibile stabilire a quale degli edifici la conduttura si riferisca, per poi considerare cessata la comunione dal punto in cui le diramazioni siano inequivocabilmente destinate a ciascun edificio; da ciò consegue che, ove i danni subìti da un terzo siano connessi ad un tratto del detto impianto posto ad esclusivo servizio di uno dei condomini, la relativa responsabilità (nella specie, di natura extracontrattuale, ex art. 2051 c.c.) è addebitabile esclusivamente a quest’ultimo e non all’intero supercondominio, non potendosi estendere agli altri condomini del complesso gli obblighi di custodia e di manutenzione gravanti sull’amministratore e sull’assemblea del singolo edificio.

Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 4-2-2021, n. 2623   (CED Cassazione 2021)

Art. 2051 cc (Danno cagionato da cosa in custodia) – Giurisprudenza

Art. 1117 bis cc (Del condominio negli edifici – Ambito di applicabilità) – Giurisprudenza

Art. 1118 cc (Diritti dei partecipanti sulle parti comuni) – Giurisprudenza

 

 

FATTI DI CAUSA

Il Condominio Largo (OMISSIS) n. 19/A, Roma, propone ricorso articolato in otto motivi avverso la sentenza n. 5982/2015 della Corte d’appello di Roma, depositata il 30 ottobre 2015.

Resistono con distinti controricorsi la Am. s.r.l., il Condominio Largo (OMISSIS) n. 19/B, Roma, unitamente al Condominio Largo (OMISSIS) n. 13, Roma, ed il Condominio Viale (OMISSIS) n. 16, Roma. E’ stato intimato anche il Condominio via (OMISSIS) 12, Roma, che non ha svolto attività difensive.

La Corte d’appello di Roma ha respinto l’appello proposto in via principale dal Condominio Largo (OMISSIS) n. 19/A, Roma, nonché i gravami incidentali, ed ha perciò confermato la decisione resa in primo grado dal Tribunale di Roma il 16 aprile 2007.

Con citazione del 18 settembre 2002, preceduta da domanda di provvedimenti di urgenza ex art. 700 c.p.c. del 25 settembre 2001, la Am. s.r.l., proprietaria di una unità immobiliare al piano interrato del fabbricato costituente il Condomìnio Largo (OMISSIS) n. 19/A, Roma, aveva domandato la condanna dei Condomìni Largo (OMISSIS) n. 19/A, Largo (OMISSIS) n. 19/B, Largo (OMISSIS) n. 13 e Viale (OMISSIS) n. 16 a riparare l’impianto fognario comune ai cinque edifici, ad eseguire le necessarie opere di manutenzione ed a risarcire i danni subiti dall’attrice per effetto della tracimazione di liquami. Già in sede cautelare era stata disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti del Condominio via (OMISSIS) 12, Roma. Mentre il ricorso cautelare, che aveva ordinato le opere di urgente manutenzione, era stato accolto nei confronti di tutti i condomìni convenuti, la sentenza di primo grado aveva invece condannato soltanto il Condomìnio Largo (OMISSIS) n. 19/A a realizzare una vasca nell’area sottostante ai locali danneggiati ed a risarcire all’attrice i danni liquidato in C 55.916,00 oltre interessi. La Corte d’appello ha poi così motivato il rigetto dell’appello principale: la costruzione della vasca non costituiva opera di manutenzione straordinaria gravante su tutti i condomini che si servono della comune rete fognaria ai sensi dell’art. 4 della Convenzione posta in essere dalle originarie società costruttrici dei diversi fabbricati, in quanto dispositivo ulteriore rispetto all’impianto esistente e destinato all’utilità del solo scantinato del Condomìnio Largo (OMISSIS) n. 19/A, per evitare rigurgiti dal collettore comunale; non sussistevano contraddittorietà tra le CTU espletate né occorreva sottoporre nuovi quesiti all’ausiliare sulle cause degli allagamenti; la causa della fuoriuscita dei liquami era stata ravvisata nella parte di rete fognaria ubicata nel sottosuolo dell’edificio del Condomìnio Largo (OMISSIS) n. 19/A; non vi era alcuna contraddittorietà tra la ripartizione degli obblighi manutentivi della rete fognaria in capo a tutti i condomini e la ravvisata responsabilità ex art. 2051 c.c. del solo Condomìnio Largo (OMISSIS) n. 19/A; era stata raggiunta prova dei danni subiti per l’inutlilizzabilità del locale da parte della Am. s.r.l. ed erano stati correttamente quantificati i danni stessi; non sussistevano violazioni della strumentalità del giudizio ex art. 700 c.p.c., né era prescritta l’azione risarcitoria, stante la persistenza dei fenomeni infiltrativi.

Venne rinviata l’udienza pubblica inizialmente fissata per il giorno 12 maggio 2020.

Il ricorrente ha presentato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Va pregiudizialmente esaminata l’eccezione posta dal Condominio Viale (OMISSIS) n. 16, secondo cui la prima notifica del ricorso, eseguita nei suoi confronti il 29 dicembre 2015 alla casella PEC (OMISSIS), era da ritenersi inesistente, non trattandosi del difensore dell’intimata.

La notifica era poi stata correttamente effettuata all’indirizzo (OMISSIS) in data 7 gennaio 2016, quando però era scaduto il termine per l’impugnazione, essendo stata notificata la sentenza il 30 ottobre 2015.

Tale eccezione è infondata.

La notificazione del ricorso per cassazione tramite posta elettronica certificata eseguita, ai sensi del combinato disposto dell’art. 149 bis c.p.c. e dell’art. 16 ter del d.l. n. 179 del 2012, introdotto dalla legge di conversione n. 221 del 2012, all’indirizzo di destinatario diverso dal difensore (pressoché omonimo) domiciliatario dell’intimato determina pur sempre la nullità dell’atto, e non la sua inesistenza, come tale sanabile, con efficacia “ex tunc”, o per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata (anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullità), o in conseguenza della rinnovazione della notificazione, effettuata spontaneamente dalla parte stessa oppure su ordine del giudice ex art. 291 c.p.c. (arg. da Cass. Sez. U, 20/07/2016, n. 14916).

  1. Gli otto motivi del ricorso del Condominio Largo (OMISSIS) n. 19/A, Roma, ricalcano le otto censure che lo stesso aveva formulato in appello, come ricapitolate nelle pagine da sei ad otto della sentenza impugnata ed esaminate negli otto paragrafi (da 1 a 7b) di cui alle pagine da nove a quattordici della medesima pronuncia della Corte di Roma.

2.1. Il motivo 1 di ricorso denuncia la violazione degli artt. 1362 e ss. e dell’art. 1104 c.c. c.c., dicendo applicabile l’art. 4 e non l’art. 5 della Convenzione del 20 settembre 1965 intercorsa fra le società costruttrici del condomìni in causa. L’art. 4 di essa prevedeva l’obbligo della manutenzione ordinaria e straordinaria della fognatura comune a carico di tutte le società in parti uguali. Non avrebbe rilievo, viceversa, l’art. 5 della Convenzione, secondo il quale le società si dicevano a conoscenza del fatto che il livello della fognatura comunale di Via Lucio Perpetuo può superare in alcuni casi il livello degli scantinati, e si impegnavano “ciascuna per proprio conto ed a proprie spese, ad adottare dispositivi atti ad evitare allagamenti dei vani bassi…” Per il Condominio Largo (OMISSIS) n. 19/A, la costruzione di una vasca tra il tombino di cacciata, dove confluiscono le acque delle cinque palazzine, ed il collettore comunale, riguardando un tratto della fognatura al servizio di tutti i Condomìni partecipanti alla comunione, non può che costituire opera di manutenzione straordinaria, rientrante nell’art. 4 della Convenzione e perciò, quale opera di manutenzione straordinaria, da porre a carico di tutte le società in parti uguali.

Il motivo 2 del ricorso allega l’omesso esame circa un fatto decisivo, nonché la violazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c. e 111, comma 6, Cost., per l’omessa motivazione. Il motivo si sviluppa da pagina 17 a pagina 26 del ricorso ed espone le vicende processuali che portarono all’espletamento di due CTU, sottolinea le contraddittorietà della sentenza circa la necessità della realizzazione della vasca, elenca le difficoltà emerse nel corso del procedimento per l’esecuzione degli obblighi di fare e richiama al riguardo una ordinanza del giudice dell’esecuzione che aveva dichiarato non luogo a provvedere, ipotizzando una soluzione tecnica alternativa rispetto alla vasca individuata dal giudice della cognizione.

Il motivo 3 del ricorso deduce la violazione del principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c., quanto all’esecuzione di opere edilizie nel 1995 nei locali per cui è causa (abbattimento del muro perimetrale fino al chiusino della condotta fognaria) ed alla inseguibilità della vasca, allegata a sostegno di una istanza di rinnovazione della CTU.

Il motivo 4 denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2051 e 2055 c.c., la violazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c. e 111, comma 6, Cost. e la violazione del principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c., quanto alla esclusione dell’applicabilità dell’art. 5 della Convenzione e degli obblighi ex art. 2051 c.c. in capo alla Ambra s.r.l., ed evidenzia la conoscenza da parte dei coobbligati dell’esigenza manutentiva dell’impianto, giusta missiva del 15 gennaio 1998.

2.2. I primi quattro motivi di ricorso possono esse esaminati congiuntamente perché connessi. Essi rivelano comuni diffusi profili di inammissibilità e sono comunque infondati.

La sentenza impugnata contiene le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione e sono perciò prive di fondamento le doglianze sulla nullità della pronuncia della Corte d’appello di Roma, essendo, d’altro canto, la motivazione della stessa oggetto di critica nei medesimi primi quattro motivi di impugnazione.

La Corte d’appello ha accertato in fatto, con apprezzamento spettante ai giudici del merito e sindacabile in sede di legittimità solo nei limiti di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., che la realizzazione della vasca di raccolta individuata dal CTU costituisse il rimedio più idoneo per porre termine alla tracimazione dei liquami nella proprietà di AM. s.r.l., tracimazione verificatasi “nella parte della rete fognaria ubicata nel sottosuolo dello stabile condominiale di Largo (OMISSIS) n. 19/A”, ed ha poi basato l’esclusiva responsabilità ex art. 2051 c.c. dello stesso Condominio Largo (OMISSIS) n. 19/A altresì sull’art. 5 della Convenzione del 20 settembre 1965 intercorsa fra le società costruttrici del condomìni in causa.

Il ricorrente lamenta, nella sostanza delle sue censure, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito, doglianza che, tuttavia, non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile neppure nel paradigma dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.

Non riveste alcun rilievo la precisazione che il ricorrente fa nell’introdurre il secondo motivo di ricorso, in quanto la previsione d’inammissibilità del ricorso per cassazione, di cui all’art. 348 ter, comma 5, c.p.c., non trova comunque applicazione nel caso in esame, in quanto essa, agli effetti dell’art. 54, comma 2, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, opera per i giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione anteriormente all’il settembre 2012 (mentre l’appello venne qui proposto il 27 luglio 2007).

I primi quattro motivi di ricorso, alcuni riferiti al parametro della violazione di norme di diritto (il quale suppone la deduzione di una erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalla legge e non della fattispecie concreta emergente dalle risultanze di causa), altri all’omesso esame circa un fatto, sono, in realtà, volti a dimostrare le incongruenze della sentenza impugnata rispetto alle emergenze istruttorie. Sono frequenti le critiche alle conclusioni contenute nella consulenza tecnica d’ufficio e condivise dalla Corte d’appello.

In proposito, questa Corte ha chiarito come l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario (“fatto” inteso in senso storico e normativo, e cioè un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). E’ quindi inammissibile l’invocazione del vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. contenuta nel secondo motivo di ricorso, che prospetta un resoconto delle indagini tecniche e delle difficoltà incontrate poi in sede esecutiva. Il ricorrente ambisce a una rivalutazione dei fatti difforme da quella operata dal giudice di merito, sia in punto di ricostruzione del nesso causale tra obblighi manutentivi e verificarsi dell’evento dannoso, sia in punto di idoneità strutturale delle opere individuate come necessarie, ai sensi dell’art. 2058 c.c., per l’eliminazione dei riscontrati difetti dell’impianto fognario, ma ciò suppone un accesso diretto agli atti e una loro rinnovata delibazione, in maniera da pervenire ad una diversa validazione e legittimazione inferenziale degli elementi probatori, del tutto inammissibile in sede di legittimità.

Il secondo motivo di ricorso, in particolare, è volto a devolvere alla Corte di cassazione le critiche mosse alle risultanze della consulenza d’ufficio (critiche che comunque si sostanziano in semplici allegazioni difensive a contenuto tecnico), pur non essendosi la Corte d’appello di Roma limitata acriticamente a far proprie le considerazioni della relazione peritale, visto che nella sentenza impugnata sono spiegate le ragioni del convincimento raggiunto dai giudici e dell’adesione alle conclusioni prospettate dall’ausiliare. Spetta, del resto, al giudice di merito esaminare e valutare le nozioni tecniche o scientifiche introdotte nel processo mediante la CTU, e dare conto dei motivi di consenso, come di quelli di eventuale dissenso, in ordine alla congruità dei risultati della consulenza e delle ragioni che li sorreggono. Rientra del pari notoriamente nei poteri discrezionali del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di disporre indagini tecniche suppletive o integrative di quelle già espletate, di sentire a chiarimenti il consulente tecnico di ufficio ovvero di disporre addirittura la rinnovazione delle indagini, con la nomina di altri consulenti, e l’esercizio di un tale potere (così come il mancato esercizio) non è censurabile in sede di legittimità.

Non rivelano alcuna decisività, ai fini della cassazione della sentenza della Corte d’appello, le considerazioni inerenti alla l’ordinanza con la quale il giudice dell’esecuzione, decidendo in ordine alla portata sostanziale del titolo esecutivo ed all’ammissibilità dell’azione esecutiva, aveva dichiarato ineseguibile la sentenza del Tribunale di Roma.

Deve considerarsi come l’individuazione dei necessari interventi riparatori o ricostruttivi, ai fini del risarcimento in forma specifica, ai sensi dell’art. 2058 c.c., dei danni che siano derivati al singolo condomino per difetto di funzionamento di un impianto condominiale (interventi nella specie consistenti nella realizzazione della vasca di raccolta di cui alla CTU Anav sottostante i locali di proprietà di AM. s.r.l.), consegue ad accertamento di fatto riservato al giudice del merito ed incensurabile in sede di legittimità, se non nei limiti di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.

Il ricorrente non ha dedotto l’eccessiva onerosità dell’intervento riparatore ordinatogli, agli effetti dell’art. 2058, comma 2, c.c., quanto l’ineseguibilità tecnica dello stesso constatata in sede di esecuzione forzata degli obblighi di fare ex art. 612 c.p.c., traendo impropriamente dalla prospettata impossibilità di attuare l’obbligo di reintegrazione un nuovo argomento in ordine all’an della propria responsabilità risarcitoria.

Peraltro, le prime quattro censure si connotano essenzialmente come prive di specifica attinenza al “decisum” della sentenza impugnata e perciò appaiono inidonee a determinarne la cassazione.

Si ha riguardo a causa in cui una condomina (Am. s.r.l.) ha chiesto ai condomìni convenuti di eseguire le opere necessarie ad eliminare le cause della tracimazione di liquami provenienti dalla rete fognaria del complesso immobiliare e di risarcire i danni subiti. Va quindi regolata un’obbligazione risarcitoria, la quale trova la propria fonte immediata non nei doveri legali o convenzionali di provvedere alla manutenzione dell’impianto, bensì nel disposto dell’art. 2051 c.c., con la conseguenza che, ai fini dell’accertamento della responsabilità, occorre rinvenire la prova di una relazione tra la cosa in custodia e l’evento dannoso (che risulti riconducibile ad una anomalia, originaria o sopravvenuta nella struttura e nel funzionamento della cosa stessa), nonché dell’esistenza di un effettivo potere fisico su di essa da parte del custode, sul quale incombe il dovere di vigilare onde evitare che produca danni a terzi (si veda indicativamente Cass. Sez. 2, 20/10/2014, n. 22179). La domanda di risarcimento proposta dal proprietario esclusivo dell’unità immobiliare danneggiata dalla omessa manutenzione del bene condominiale fa assumere, peraltro, all’attore la posizione di terzo rispetto a quella degli altri condomini inadempienti (arg. da ultimo da Cass. Sez. 6 – 2, 12/03/2020, n. 7044).

Nella specie, si tratta, per quanto appare accertato nei gradi di merito, di impianto fognario posto in rapporto di accessorietà con una pluralità di edifici costituiti in distinti condomini, giacché oggettivamente e stabilmente destinato all’uso od al godimento di tutti i fabbricati. Rispetto a tale impianto trova comunque applicazione la disciplina specifica del condominio, anziché quella generale della comunione, e perciò opera la presunzione legale di condominialità, ma sino al punto in cui è possibile stabilire a quale degli edifici la conduttura si riferisca, per poi considerare cessata la comunione dal punto in cui le diramazioni siano inequivocamente destinate a ciascun edificio (cfr. Cass. Sez. 2, 09/06/2010, n. 13883; Cass. Sez. 2, 02/03/2007, n. 4973).

La Corte d’Appello ha affermato che la vasca di raccolta delle acque, la cui mancata realizzazione aveva cagionato la tracimazione dei liquami nella proprietà Am. s.r.l., doveva essere collocata nella parte dell’impianto fognario posta ad esclusivo servizio del Condominio Largo (OMISSIS) n. 19/A, e perciò attribuibile ad esso soltanto e non all’intero supercondominio, non potendosi estendere agli altri condomìni del complesso gli obblighi di custodia e di manutenzione gravanti sull’amministratore e sull’assemblea del singolo edificio (arg. da Cass. Sez. 2, 26/08/2013, n. 19558; Cass. Sez. 2, 02/08/2016, n. 16079). La sentenza impugnata ha così coerentemente concluso che unicamente al Condominio Largo (OMISSIS) n. 19/A incombesse la responsabilità extracontrattuale quale custode e proprietario del tratto di impianto fognario difettoso (cfr. Cass. Sez. 3, 04/12/1976, n. 4537). Spetta, del resto, all’accertamento del giudice di merito, non sindacabile dalla Corte di cassazione ove, come nella specie, congruamente motivato, verificare l’appartenenza di un bene ad uno soltanto o a tutti gli edifici compresi in una più ampia organizzazione condominiale.

I giudici del merito hanno ravvisato il fondamento dell’esclusivo obbligo, ex art. 2051 c.c., gravante sul Condominio Largo (OMISSIS) n. 19/A, altresì alla stregua dell’interpretazione della Convenzione del 20 settembre 1965 intercorsa fra le società costruttrici dei diversi edifici, la cui vincolatività nei rapporti derivati per i condomìni in lite non risulta essere stata controversa nella presente lite. Tale convenzione, per quanto il ricorrente specificamente indica a sostegno della sua censura, agli effetti dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., prevedeva all’art. 4 l’obbligo della manutenzione ordinaria e straordinaria della fognatura comune a carico di tutte le società in parti uguali, ed all’art 5, dato per conosciuto il fatto che il livello della fognatura comunale di Via Lucio Perpetuo potesse superare in alcuni casi il livello degli scantinati, l’impegno di “ciascuna per proprio conto ed a proprie spese, ad adottare dispositivi atti ad evitare allagamenti dei vani bassi…”. Secondo la Corte d’appello, anche tale riparto convenzionale degli obblighi manutentivi accollava al Condominio Largo (OMISSIS) n. 19/A il dovere di adeguare le opere e gli impianti mediante costruzione della vasca di raccolta in grado di scongiurare l’allagamento della proprietà di AM. s.r.l. E’ del tutto plausibile l’interpretazione data dal giudice di merito alle due clausole della Convenzione, sulla base del criterio letterale e dal criterio logico-sistematico, e non è consentito al ricorrente di dolersi in sede di legittimità che la Corte d’appello abbia disatteso la contrapposta interpretazione da esso preferita.

Il ricorrente nel primo motivo di ricorso si limita a richiamare genericamente le regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., senza specificare i canoni che in concreto assuma violati ed il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, in pratica soltanto contrapponendo la propria interpretazione del testo negoziale, secondo la quale la costruzione della vasca rientrava nell’obbligo di manutenzione collettivo posto dall’art. 4 della Convenzione.

Il rapporto di custodia (che è l’elemento dirimente nella lite in esame e che dovrebbe perciò essere al centro dei primi quattro motivi di ricorso, i quali, invece, appena lo lambiscono) può presumersi nella titolarità dominicale della cosa e può venire meno in ragione della escludente relazione materiale da parte di un altro soggetto che, con la cosa medesima, abbia, del pari, un rapporto giuridicamente qualificato (Cass. Sez. 3, 13/05/2020, n. 8888). Coerentemente con tale principio, la Corte di Roma ha dunque concluso che le obbligazioni legali e quelle contrattuali, gravanti sul Condominio Largo (OMISSIS) n. 19/A, di provvedere alla manutenzione e all’esercizio del collettore fognario nel sottosuolo del rispettivo edificio condominiale comportavano – a suo esclusivo carico – il dovere di controllare che la cosa in custodia non arrecasse danno a terzi e, di conseguenza, l’esclusione del rapporto materiale degli altri condomini con il bene in questione.

2.3. Il motivo 5 del ricorso deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 40 c.p e 2697 c.c., nonché dell’art.2729 c.c. e dell’art. 116 c.p.c. Si assume che la mancata locazione del bene a causa della fuoriuscita del liquame dall’impianto fognario doveva essere specificamente provata dalla società attrice. A tal fine, viene criticata la rilevanza probatoria della lettera di recesso dei Testimoni di Geova, conduttori dei locali di proprietà di AM. s.r.1., che indicherebbe la fuoriuscita del liquame come semplice concausa. Vengono anche richiamate le lettere degli altri conduttori prodotte in primo grado e la visura camerale della conduttrice E.S. s.r.l., che dimostrerebbe la permanenza della stessa nei locali di AM. s.r.l. dal gennaio 2002 al giugno 2007.

Il motivo 6 deduce la violazione dell’art. 115 c.p.c., in quanto Largo (OMISSIS) n. 19/A è notoriamente nel quartiere Quadraro e non in quello Appio Claudio, quartiere meno signorile e con un valore immobiliare inferiore. Per di più, il locale che si assume danneggiato aveva cambiato destinazione d’uso da Cl a C2 solo nel 2002.

Quinto e sesto motivo possono essere decisi unitariamente e si rivelano inammissibili. Le censure sono prive di specifica attinenza al “decisum” della sentenza impugnata, come imposto dall’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c., in quanto neppure contengono l’esatta individuazione delle ragioni contenute nei rispettivi capi della pronunzia impugnata. A proposito dei motivi 5 e 6 dell’appello, la Corte di Roma ha affermato che: gli accertamenti peritali avevano conclamato l’inutilizzabilità del locale; ciò confermava la serietà delle ragioni addotte dai conduttori Testimoni di Geova; non rilevava la deduzione della mutata destinazione d’uso e della rumorosità dell’attività svolta dai conduttori; le critiche alla CTU risultavano tardivamente compiute solo nella comparsa conclusionale e comunque erano infondate.

Il ricorrente Condominio Largo (OMISSIS) n. 19/A propone, allora, questioni che implicano accertamenti di fatto in ordine al contenuto delle produzioni documentali, delle quali non si fa proprio menzione nella sentenza impugnata, e non specifica, agli effetti dell’art. 366, comma 1, nn. 4 e 6, c.p.c., né l’avvenuta tempestiva deduzione di tali questioni dinanzi al Tribunale, nel rispetto dei termini di operatività delle preclusioni relative al “thema decidendum” previsti nell’art.183 c.p.c., né il riferimento alle medesime questioni contenuto in specifici motivi di appello, ai sensi dell’art. 342 c.p.c. Il ricorrente, piuttosto, genericamente richiama documenti che si assumono inseriti nei fascicoli di parte delle pregresse fasi di merito, senza specificare quali istanze la parte avesse rivolto dapprima al Tribunale e poi alla Corte d’appello nei propri scritti difensivi per chiarire gli scopi dell’esibizione di quei documenti.

E’ comunque conforme all’orientamento consolidato di questa Corte la conclusione secondo cui la compressione o la limitazione del diritto di proprietà, che siano causate dall’altrui fatto dannoso (nella specie, tracimazione di liquami proveniente dall’impianto fognario condominiale) sono suscettibili di valutazione economica non soltanto se ne derivi la necessità di una spesa ripristinatoria (cosiddetto danno emergente) o di perdite dei frutti della cosa (lucro cessante), ma anche se la compressione e la limitazione del godimento siano sopportate dal titolare con suo personale disagio o sacrificio. In ordine alla sussistenza e quantificazione di tale danno, mentre resta a carico del proprietario il relativo onere probatorio, che può essere assolto altresì mediante presunzioni semplici, il giudice può fare ricorso anche ai parametri del cosiddetto danno figurativo, come quello del valore locativo della parte dell’immobile del cui godimento il proprietario è stato privato (cfr. Cass. Sez. 2, 17/12/2019, n. 33439; Cass. Sez. 2, 27/07/1988, n. 4779).

Nel caso in esame, la Corte d’appello di Roma, ha, come visto, riconosciuto il risarcimento della Am. s.r.l. correlato alla situazione di concreta ed effettiva indisponibilità del bene. La valutazione del fatto produttivo del danno, consistente nella impossibilità di utilizzare in tutto o in parte l’immobile a causa dell’illecito attribuito al Condominio Largo (OMISSIS) n. 19/A, spettava certamente al giudice del merito, e non è qui sindacabile, come propongono quinto e sesto motivo di ricorso, contrapponendo soluzioni logico-deduttive alternative rispetto a quella adottata nella sentenza impugnata, nel senso di desumere dalla consistenza della fuoriuscita dei liquami una diversa conclusione circa l’effettivo stato di agibilità dell’immobile.

2.4. Il motivo 7A di ricorso denuncia la violazione degli artt.112 e 700 c.p.c., non avendo Am. s.r.l. proposto nel ricorso ex art. 700 c.p.c. alcuna domanda di risarcimento dei danni per la tracimazione dei liquami, né fatto in esso alcuna espressa riserva per i danni stessi.

Il motivo è palesemente infondato.

Il procedimento cautelare, pur nella connotazione che esso assumeva prima della nuova struttura prevista per i provvedimenti anticipatori dall’art. 669-octies, comma 6, c.p.c., alla stregua del d.l. n. 35 del 2005, conv. con modif. nella l. n. 80 del 2005 (disciplina non applicabile nel caso di specie, ratione temporis), è autonomo e distinto dal giudizio di cognizione volto ad acclarare definitivamente l’esistenza del diritto sottoposto a cautela (arg. da Cass. Sez. 2, 30/06/2011, n. 14465). Nel giudizio ordinario di cognizione è perciò consentito proporre tutte le possibili domande attinenti al merito, pur se volte a far valere un diritto diverso da quello cui si riferivano le domande formulate nel procedimento cautelare; né è ravvisabile alcuna inammissibilità della domanda articolata nel giudizio di merito per diversità e, quindi, per novità di essa rispetto a quella precedentemente formulata nel ricorso diretto ad ottenere il provvedimento cautelare, mancando una qualsiasi norma processuale che, in deroga ai generali principi sulla cumulabilità delle azioni, precluda di introdurre dinanzi al giudice del processo di cognizione piena una domanda ulteriore rispetto a quella già oggetto della invocata tutela cautelare (arg. da Cass. Sez. 3, 10/11/2010, n. 22830; Cass. Sez. 2, 24/05/2000, n. 6809).

Si è al riguardo anche già precisato da questa Corte che l’onere del ricorrente in via cautelare di indicare la domanda risarcitoria (regolato, tra gli altri, dall’art. 669 octies c.p.c. nel testo, applicabile “ratione temporis”, anteriore alle modifiche apportategli dall’art. 2 del d.l. n. 35 del 2005, conv., con modif., dalla I. n. 80 del 2005) è pienamente soddisfatto allorché l’istante abbia prospettato le violazioni lamentate, manifestando, anche implicitamente, l’intenzione di voler agire giudizialmente per far cessare i comportamenti denunziati e per ottenere il risarcimento dei danni (Cass. Sez. 1, 16/11/2015, n. 23401). D’altro canto, neppure l’eventuale elusione dell’onere di completezza della domanda cautelare ex art. 700 c.p.c., quanto all’individuazione della futura (ed ormai eventuale) causa di merito, può comunque comportare una qualche conseguenza che determini la nullità della sentenza resa all’esito del giudizio di cognizione piena.

2.5. Il motivo 7B di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2935 e 2947, comma 1, c.c. Si espone che prima della richiesta risarcitoria esercitata con la citazione del 18 settembre 2002 la danneggiata aveva comunicato una sola lettera di messa in mora in data 31 luglio 1997, sicché la prescrizione quinquennale doveva comunque intendersi maturata. Al riguardo, la sentenza impugnata, sul presupposto della natura permanente dell’illecito aquiliano attribuito al Condominio Largo (OMISSIS) n. 19/A, per la mancata realizzazione dei lavori di riparazione della rete fognaria e la persistenza delle infiltrazioni sin alla data della citazione introduttiva del giudizio, ha negato che si fosse verificata alcuna prescrizione del diritto al risarcimento dei danni.

L’ottavo motivo di ricorso (numerato in rubrica come 7B) è fondato.

Secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, che la Corte d’appello di Roma non ha considerato, allorquando, come nel caso in esame, si lamenti un danno ad un immobile per effetto della creazione di uno stato di fatto e si domandi l’eliminazione di questo ed il risarcimento, sia l’illecito costituito dalla creazione dello stato di fatto in sé e per sé quale fonte di danno come tale all’immobile, sia l’illecito rappresentato dalla verificazione di danni all’immobile in quanto originatisi come effetti della presenza dello stato di fatto, hanno natura di illeciti permanenti. Ne consegue che il termine di prescrizione della pretesa di risarcimento in forma specifica mediante rimozione dello stato di fatto non decorre dall’ultimazione dell’opera che lo ha determinato, in quanto la condotta illecita si identifica nel fatto del mantenimento dello stato di fatto che si protrae ininterrottamente nel tempo, mentre il termine di prescrizione del diritto al risarcimento per equivalente dei danni subiti dall’immobile in conseguenza dell’esistenza dello stato di fatto decorre in relazione a tali danni “de die in diem”, e cioè a mano a mano che essi si verificano. In sostanza, ravvisato un comportamento illecito permanente del responsabile, va riconosciuto un diritto al risarcimento che sorge in modo continuo e che, in assenza di atti interruttivi, in modo continuo si prescrive, se non esercitato entro cinque anni dal momento in cui si produce.

La qualificazione dell’illecito come “a carattere permanente”, operata dalla stessa Corte d’appello di Roma, avrebbe, dunque, dovuto portare alla conclusione che, giacché in tal caso i danni determinano momento per momento, l’azione risarcitoria poteva essere fatta valere in ogni istante, con l’inevitabile effetto sulla decorrenza del termine di prescrizione di cinque anni (cfr. Cass. Sez. 3, 13/03/2007, n. 5831; Cass. Sez. 3, 19/06/2015, n. 12701; Cass. Sez. 2, 29/07/2011, n. 16777; Cass. Sez. 3, 18/09/2007, n. 19359; Cass. Sez. 3, 02/04/2004, n. 6512).

  1. Deve pertanto accogliersi l’ottavo motivo del ricorso del Condominio Largo (OMISSIS) n. 19/A, Roma, mentre vanno rigettati i primi sette motivi. La sentenza impugnata viene cassata, in ragione della censura accolta, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, la quale terrà conto dei rilievi svolti e si uniformerà ai richiamati principi, provvedendo anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie l’ottavo motivo del ricorso, rigetta i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata nei limiti della censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 novembre 2020.