Sentenza 26277/2014
Responsabilità civile della P.A. – Illegittimo annullamento di una licenza edilizia precedentemente rilasciata
Nel caso in cui una P.A. (nella specie, un Comune) sia chiamata a rispondere ex art. 2043 cod. civ. per illegittimo esercizio della funzione pubblica (nella specie, per illegittimo annullamento di una licenza edilizia precedentemente rilasciata), il giudice è chiamato ad accertare d’ufficio, sulla base degli elementi probatori ritualmente acquisiti agli atti, la sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito e, dunque, anche se la violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buon andamento sia stata determinata da un errore scusabile nell’applicazione della legge (in ipotesi, l’art.17 della legge 6 agosto 1967, n. 765). Tale errore non è, pertanto, annoverabile tra le cause di giustificazione, incidenti sulla mera antigiuridicità del fatto, sicché la relativa allegazione, in assenza di un’espressa previsione di legge, non può essere qualificata come eccezione in senso stretto.
Corte di Cassazione, Sezione 1 civile, Sentenza 15 dicembre 2014, n. 26277 (CED Cassazione 2014)
Articolo 2043 c.c. annotato con la giurisprudenza
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. – (OMISSIS) convenne in giudizio il Comune di Arenzano, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni causati dall’annullamento in autotutela della licenza edilizia n. (OMISSIS), avente ad oggetto la sopraelevazione di un fabbricato industriale sito alla via (OMISSIS). A fondamento della domanda, espose che il provvedimento di annullamento, emesso dal Sindaco il 1 marzo 1975, era stato a sua volta annullato dal Consiglio di Stato con sentenza del 26 giugno 1996, n. 880/96.
Si costituì il Comune, ed eccepì il difetto di legittimazione dell’attore, per effetto dell’avvenuto trasferimento a terzi dei suoi diritti sull’immobile, nonchè la prescrizione del diritto azionato e l’infondatezza della domanda: sostenne infatti che il (OMISSIS) aveva rinunciato al risarcimento, avendo ottenuto il rilascio della concessione edilizia, in virtù della quale aveva realizzato una copertura del locale sottostante, che aveva fatto venir meno la possibilità di costruire la sopraelevazio-ne prevista dalla licenza illegittimamente annullata.
1.1. – Con sentenza dell’11 aprile 2003, il Tribunale di Genova rigettò la domanda.
2. – L’impugnazione proposta dal (OMISSIS) è stata rigettata dalla Corte d’Appello di Genova con sentenza del 19 aprile 2006, che ha rigettato anche il gravame incidentale proposto dal Comune.
Premesso che la domanda era fondata sulla lesione del diritto alla sopraelevazione subita dal (OMISSIS) nel periodo anteriore al trasferimento della nuda proprietà del fabbricato, la Corte ha ritenuto sussistente la legittimazione dell’attore all’esercizio dell’azione risarcitoria. Ha inoltre escluso l’efficacia della rinuncia al risarcimento effettuata dal (OMISSIS) con atto del 28 aprile 1988, osservando che la condizione apposta alla stessa non si era avverata: il progetto di variante in corso d’opera dei lavori di manutenzione straordinaria dell’edificio, alla cui realizzazione era subordinata la rinuncia, era stato infatti approvato, con il consenso dell’attore, senza pregiudizio dell’esame relativo alla copertura; quest’ultima aveva costituito invece oggetto di una successiva concessione edilizia, la quale, tuttavia, recava la prescrizione, impugnata dall’attore dinanzi al Giudice amministrativo, che il locale sottotetto avrebbe dovuto essere adibito esclusivamente a volume tecnico.
La Corte ha ritenuto pertanto superati anche i rilievi sollevati dal (OMISSIS) in ordine alla prescrizione del diritto azionato, affermando che il rilascio della nuova concessione e la realizzazione della sopraelevazione non incidevano sulla cessazione dell’illecito, ma sull’entità dei danni da liquidare, ferma restando la questione riguardante la pregiudiziale amministrativa, in ordine alla quale il Comune non aveva proposto impugnazione.
Nel merito, precisato che anche in caso di violazione del diritto di edificare l’oggetto della tutela risarcitoria non è costituito da un diritto soggettivo, ma da un interesse legittimo oppositivo, ha ritenuto che la dichiarazione d’illegittimità del provvedimento di annullamento della licenza edilizia non comportasse automaticamente il riconoscimento della colpa dell’Amministrazione, dovendosi a tal fine accertare se l’atto fosse stato adottato in violazione delle regole d’imparzialità, correttezza e buona amministrazione alle quali deve ispirarsi l’esercizio della funzione amministrativa. Al riguardo, ha ritenuto irrilevante che l’annullamento d’ufficio avesse fatto seguito ad altro provvedimento, anch’esso annullato dal Giudice amministrativo, con cui il Comune aveva dichiarato la decadenza dalla concessione edilizia per la durata eccessiva di una sospensione dei lavori; premesso che la violazione dell’articolo 17 della Legge 6 agosto 1967, n. 765, sulla quale era fondato l’autoannullamento, era stata ritenuta insussistente dal Consiglio di Stato sulla base di un principio di diritto, all’epoca controverso, la cui applicabilità era stata esclusa dal Giudice amministrativo di primo grado, ha ritenuto configurabile nella specie un errore di diritto scusabile, idoneo a giustificare l’esclusione della colpa del Comune: ha infatti osservato che ciò che era apparso illegittimo al Giudice amministrativo di primo grado non poteva essere ritenuto frutto di violazione dolosa o colposa delle regole d’imparzialità, correttezza e buona amministrazione, per il solo fatto che fosse stata preferita nella zona l’edilizia residenziale a quella industriale.
3. – Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, per un solo motivo, illustrato anche con memoria, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in qualità di eredi con beneficio d’inventario del (OMISSIS), deceduto successivamente alla conclusione del giudizio d’appello. Il Comune ha resistito con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale condizionato, per tre motivi, anch’essi illustrati con memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Con l’unico, complesso motivo d’impugnazione, i ricorrenti denunciano la violazione e/o la falsa applicazione dell’articolo 43 cod. pen., degli articoli 2043, 2697, 2727, 2729 e 2909 cod. civ., degli articoli 97 e 113 Cost., della Legge 7 agosto 1990, n. 241, articolo 21-nonies dei principi generali in materia di errore scusabile e di annullamento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi e degli articoli 112, 277 e 324 cod. proc. civ., nonchè l’omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Premesso che nel giudizio amministrativo è stata definitivamente accertata, con efficacia di giudicato, l’illegittimità del provvedimento di annullamento della licenza edilizia in conseguenza della violazione di una norma di legge avente carattere sostanziale, sostengono che, ai fini della configurabilità dell’elemento soggettivo dell’illecito, non assumeva alcun rilievo la valutazione della colpa della Amministrazione come apparato. Il reiterato comportamento sfavorevole del Comune, posto in relazione con il vizio sostanziale dell’atto di annullamento, risultava infatti di per sè sufficiente a far ritenere provata la colpa degli organi comunali, derivante non già da imprudenza, negligenza o imperizia, ma dalla mancata osservanza della Legge n. 765 del 1967, articolo 17 in occasione sia del rilascio della licenza che dell’annullamento della stessa, e quindi configurabile come colpa specifica, in assenza di elementi idonei ad escludere la possibilità di muovere qualsiasi rimprovero alla Amministrazione. Peraltro, anche a voler prescindere dalla configurabilità di una colpa specifica, il giudicato di annullamento dell’atto amministrativo comportava una presunzione di colpa che poneva a carico dell’Amministrazione l’onere di allegare e provare la sussistenza di fatti positivi idonei a dimostrare la scusabilità della violazione di legge, e ciò anche in considerazione del fatto che l’annullamento in autotutela della licenza edilizia costituiva esercizio di una potestà amministrativa rigidamente vincolata all’osservanza della Legge n. 765 del 1967, articolo 17, comma 3.
1.1. – Affermano i ricorrenti che, nell’escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito, la Corte di merito ha omesso di pronunciare in ordine ai motivi di appello con cui il (OMISSIS) aveva sostenuto la configurabilità della colpa specifica, astenendosi dalla spiegazione delle ragioni per cui ha ritenuto che l’illegittimità sostanziale del provvedimento di annullamento non desse luogo ad un’ipotesi d’inosservanza di legge ai sensi dell’articolo 43 cod. pen..
1.2. – Nella parte in cui ha escluso la rilevanza del giudicato amministrativo di annullamento ai fini sia della configurabilità della colpa specifica che di una presunzione di colpa a carico del Comune, la sentenza impugnata ha d’altronde trascurato che quest’ultimo non aveva allegato nè provato alcun elemento di fatto idoneo ad escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito.
1.3. – In ogni caso, ad avviso dei ricorrenti, la sentenza impugnata ha erroneamente escluso la rilevanza del comportamento pregresso del Comune, a fronte della violazione della Legge n. 765 del 1967, articolo 17 non avendo considerato che tale vizio non riguardava la licenza edilizia, ma il successivo provvedimento di annullamento in autotutela, che, in quanto emanato a seguito della constatazione della ripresa dei lavori in virtù dell’annullamento da parte del Giudice amministrativo della precedente dichiarazione di decadenza dalla licenza edilizia, costituiva un elemento sintomatico della volontà dell’Amministrazione di bloccare in ogni modo l’esecuzione dei lavori.
1.4. – La Corte di merito ha altresì errato nel conferire rilievo, ai fini dell’esclusione della colpa, alle contrastanti decisioni assunte dal Giudice amministrativo in primo ed in secondo grado, avendo esaminato d’ufficio una questione che avrebbe dovuto costituire oggetto di un’eccezione in senso proprio, mai sollevata dal Comune, o comunque avendo preso in considerazione una causa di giustificazione o di esonero dalla responsabilità, mai allegata nè provata dall’Amministrazione.
1.5. – La difformità delle predette decisioni non poteva ritenersi comunque sufficiente ai fini della configurabilità di un errore scusabile, per la cui sussistenza era necessario che l’errore fosse riconducibile ad un’oggettiva oscurità della norma violata o fosse altrimenti inevitabile, in quanto determinato da cause oggettive e-stranee all’agente, tali da rendere inesigibile una diversa condotta. Nel ricollegare l’errore scusabile all’interpretazione della Legge n. 765 del 1967, articolo 16 la sentenza impugnata non ha fatto alcun riferimento all’oscurità del dettato normativo, nella specie insussistente, o all’esistenza di contrasti giurisprudenziali, mai registratisi in ordine alla norma in esame, ma si è limitata a rilevare che il giudice di appello era pervenuto ad una decisione di segno opposto a quella del giudice di primo grado, senza neppure accennare all’inevitabilità dell’errore. A riprova della scusabilità dello stesso, essa ha richiamato la sentenza amministrativa di primo grado, senza considerare che la relativa valutazione avrebbe dovuto essere effettuata ex ante, cioè ponendosi nella stessa posizione in cui si trovava l’agente allorchè incorse in errore, e quindi sulla base dello stato della giurisprudenza formatosi all’epoca dell’adozione del provvedimento annullato. Erroneamente, infine, ad avviso dei ricorrenti, la Corte di merito ha ritenuto che il (OMISSIS) avesse addotto, a sostegno dell’affermata sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito, la preferenza accordata dal Comune di Arenzano all’edilizia residenziale anzichè a quella industriale, avendo egli fatto invece valere il vizio in cui era incorsa l’Amministrazione, per aver esercitato il potere di autotutela al solo scopo d’impedire la realizzazione di un’opera edilizia già autorizzata, anzichè di ripristinare la legalità violata.
2. – Le predette censure sono accompagnate dalla formulazione di distinti interrogativi, con cui i ricorrenti chiedono a questa Corte di stabilire, in sintesi, a) se il giudicato amministrativo di annullamento del provvedimento illegittimo rendesse configurabile una colpa specifica dell’Amministrazione o una presunzione di colpa a carico di quest’ultima, b) se il mancato accertamento della predetta colpa si sia tradotto in un’omissione di pronuncia o in un vizio di motivazione della sentenza impugnata, c) se l’affermata irrilevanza del giudicato amministrativo abbia comportato un indebito esonero dell’Amministrazione dalla prova delle circostanze idonee ad escludere la colpa, d) se ai fini della sussistenza della colpa fosse sufficiente l’accertata illegittimità del provvedimento di autoannullamento della licenza edilizia o dovesse tenersi conto anche dell’illegittimità del comportamento pregresso dell’Amministrazione, e) se l’elemento soggettivo dell’illecito potesse essere escluso anche d’ufficio, in assenza dell’allegazione e della prova di cause giustificative o di circostanze idonee ad escludere la colpa dell’Amministrazione, f) se il contrasto tra la sentenza amministrativa di primo grado e quella d’appello fosse sufficiente a far ritenere scusabile l’errore commesso dall’Amministrazione nell’adozione del provvedimento annullato.
È pertanto infondata l’eccezione d’inammissibilità sollevata dalla difesa del Comune, secondo cui le modalità di proposizione dei motivi d’impugnazione risultano inidonee a soddisfare le prescrizioni di cui all’articolo 366 c.p.c., n. 4 e articolo 366-bis cod. proc. civ., avendo i ricorrenti accomunato in un unico contesto indifferenziato censure riflettenti violazioni della legge sostanziale ed inosservanza di norme processuali, nonchè denunce di violazione di legge e vizio di motivazione, in tal modo rendendo estremamente difficoltosa la comprensione del ricorso. La proposizione cumulativa di censure riconducibili rispettivamente allo articolo 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5 non è di per sè sufficiente, infatti, ad escluderne l’ammissibilità, ove, come nella specie, le doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione di norme di diritto, oltre ad essere illustrate con argomentazioni intellegibili ed esaurienti volte a dimostrare il contrasto della decisione impugnata con specifiche disposizioni di legge, siano chiaramente distinguibili dai profili attinenti alla ricostruzione del fatto, anch’essi chiaramente individuati (cfr. Cass., Sez. 2, 23 aprile 2013, n. 9793; Cass., Sez. 5, 26 marzo 2009, n. 7261; Cass., Sez. 1, 18 gennaio 2008, n. 976), anche per effetto della separata formulazione del quesito di diritto prescritto dalla prima parte dell’articolo 366-bis e del momento di sintesi richiesto dalla seconda parte della medesima disposizione (cfr. Cass., Sez. Un., 31 marzo 2009, n. 7770; Cass., Sez. 3, 20 maggio 2013, n. 12248; Cass., Sez. 5, 12 settembre 2012, n. 15242).
2.1. – Il motivo è peraltro infondato, in tutte le sue articolazioni.
A fondamento della decisione, la Corte distrettuale ha richiamato il principio, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite 22 luglio 1999, n. 500, secondo cui, ai fini dell’accertamento della responsabilità per illegittimo esercizio della funzione amministrativa, non è sufficiente l’intervenuto annullamento in sede giurisdizionale di un atto amministrativo lesivo di un interesse rilevante per l’ordinamento, occorrendo, oltre alla sussistenza del danno ingiusto, anche l’imputabilità dello stesso a colpa della Amministrazione, non ravvisabile in re ipsa sulla base del mero dato obiettivo dell’illegittimità del provvedimento, ma configurabile soltanto allorchè l’adozione e l’esecuzione dell’atto abbiano avuto luogo in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buon andamento cui dev’essere necessariamente improntato l’esercizio dell’attività amministrativa (cfr. tra le più recenti, Cass., Sez. 6, 15 marzo 2012, n. 4172; Cass., Sez. 3, 28 ottobre 2011, n. 22508; 27 maggio 2009, n. 12282).
Com’è noto, l’affermazione di tale principio ha comportato il superamento dell’orientamento giurisprudenziale, prevalente in epoca anteriore, che distingueva la lesione delle posizioni soggettive dei privati cagionata da un provvedimento amministrativo annullato da quella conseguente ad un’attività materiale della Pubblica Amministrazione, escludendo nel primo caso la necessità di accertare l’elemento soggettivo, in considerazione della pluralità degli organi che normalmente concorrono all’emanazione dell’atto e della conseguente impossibilità di ricostruirne unitariamente l’atteggiamento psicologico, ovvero del rischio che tale indagine si traducesse in un sindacato sul merito dell’azione amministrativa, o ancora dell’intrinseca volontarietà dell’atto amministrativo, espressione di un potere il cui esercizio, dovendo essere improntato al principio di legalità, consentiva, in caso d’illegittimità, di ritenere senz’altro configurabile la colpa dell’Amministrazione (cfr. Cass., Sez. 1, 1 settembre 1997, n. 8297; 13 maggio 1997, n. 4186; Cass., Sez. 3, 9 giugno 1995, n. 6542).
2.2. – I ricorrenti contestano il predetto principio, sottolineando in linea principale la duplicità della tipologia in cui, ai sensi dell’articolo 43 cod. pen., si articola la nozione di colpa, e la conseguente inidoneità della colpa c.d. generica ad p esaurire le ipotesi d’imputazione soggettiva della responsabilità per illecito non doloso, con la connessa necessità di prendere in considerazione anche le ipotesi di colpa c.d. specifica, che, in quanto consistenti nell’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline, dovrebbero ritenersi configurabili, in caso d’illegittimo esercizio della funzione pubblica, per il solo fatto dell’accertata contrarietà dell’atto amministrativo a norme giuridiche.
Il rilievo non può essere tuttavia condiviso, avuto riguardo alla particolare struttura dell’illecito in esame, in cui l’illegittimità del provvedimento amministrativo si configura come un fattore d’illiceità della condotta, riconducibile all’elemento oggettivo della fattispecie (cfr. Cass., Sez. 3, 21 ottobre 2005, n. 20358), e lo stesso elemento soggettivo non è agevolmente inquadrabile nella nozione di colpa c.d. generica, in quanto il parametro di valutazione della condotta tenuta dall’Amministrazione non è costituito dall’osservanza delle comuni regole di diligenza o prudenza o delle c.d. leges artis, ma dal rispetto dei canoni di imparzialità, correttezza e buon andamento della pubblica amministrazione, che si pongono come limiti esterni alla discrezionalità amministrativa. In tale prospettiva, la violazione di legge che determina l’annullamento dell’atto amministrativo non può considerarsi di per sè sufficiente a giustificare l’imputazione soggettiva dell’illecito all’Amministrazione, occorrendo a tal fine un quid pluris, da ricercarsi, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, nella colpa della Pubblica Amministrazione come apparato, con la conseguente irrilevanza dell’atteggiamento tenuto dal singolo funzionario che ha agito in concreto.
Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui, pur avendo dato atto del giudicato formatosi in ordine all’illegittimità del provvedimento di autoannullamento della licenza edilizia, ha tralasciato l’esame della questione n riguardante la configurabilità della colpa specifica, riproposta dal (OMISSIS) nell’atto di appello: in quanto logicamente e giuridicamente incompatibile con la predetta figura, l’adesione della Corte di merito al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità consente infatti di escludere la sussistenza di un vizio di omessa pronuncia, ravvisabile unicamente allorchè sia stato totalmente pretermesso il provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, e non anche quando, come nella specie, la decisione adottata comporti l’implicito rigetto delle ragioni prospettate dalla parte, nonostante l’assenza di specifiche argomentazioni al riguardo (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. 3, 25 settembre 2012, n. 16524; Cass., Sez. 1, 9 maggio 2007, n. 10636; 8 marzo 2007, n. 5351).
2.3. – Quanto all’ulteriore rilievo, sviluppato dai ricorrenti in via subordinata, secondo cui l’intervenuto annullamento del provvedimento lesivo determina un’inversione dell’onere della prova, ponendo a carico della Pubblica Amministrazione l’onere di dimostrare la sussistenza di eventuali cause di giustificazione o la scusabilità dell’errore che ha dato origine all’atto annullato, non è necessario, in questa sede, stabilire se, pur in assenza di un’apposita previsione normativa, il valore sintomatico che alcuni precedenti di legittimità hanno riconosciuto all’accertamento giurisdizionale dell’illegittimità del provvedimento amministrativo consenta di ricollegarvi in via di fatto una presunzione di colpa, idonea a gravare l’Amministrazione della prova contraria, ai fini dell’esonero dalla responsabilità per atto illecito (cfr. Cass., Sez. 3, 27 luglio 2005, n. 15686; 9 febbraio 2004, n. 2424; Cass., Sez. lav., 23 aprile 2004, n. 7733). L’omesso esame della predetta questione non ha infatti impedito alla Corte di merito di procedere alla verifica della sussistenza in concreto della colpa del Comune, all’esito della quale la sentenza impugnata ha concluso che l’illegittimo annullamento della licenza edilizia rilasciata al (OMISSIS) non era riconducibile ad una violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buon andamento della Pubblica Amministrazione, essendo stato determinato da un errore scusabile nell’applicazione della Legge n. 765 del 1967, articolo 17 dipendente dall’esistenza di contrastanti opinioni in ordine all’interpretazione di tale disposizione.
Non può condividersi, in proposito, l’affermazione dei ricorrenti, secondo cui il predetto errore, configurandosi come una causa di giustificazione o di esclusione della colpa, e quindi come un fatto impeditivo della pretesa azionata dall’attore, non avrebbe potuto essere rilevato d’ufficio dal giudice, ma avrebbe dovuto essere specificamente dedotto dall’Amministrazione, costituendo oggetto di un’eccezione in senso proprio: in quanto idoneo ad escludere la colpa del soggetto agente, l’errore non è infatti annoverabile tra le cause di giustificazione, che incidono invece sull’antigiuridicità del fatto, ma è riconducibile all’elemento soggettivo dell’illecito, la cui sussistenza dev’essere accertata dal giudice ai fini dell’accoglimento della domanda, trattandosi di uno degli elementi costitutivi della fattispecie; esso può quindi essere rilevato anche d’ufficio da parte del giudice, sulla base di elementi probatori ritualmente acquisiti agli atti, non configurandosi la relativa allegazione come un’eccezione in senso stretto, ravvisabile esclusivamente nel caso in cui la legge riservi espressamente alla parte il potere di rilevazione del fatto modificativo, estintivo o impeditivo della pretesa azionata o la relativa deduzione corrisponda all’esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio da parte del titolare (cfr. Cass., Sez. 2, 5 giugno 2014, n. 12677; Cass., Sez. 3, 5 agosto 2013, n. 18602).
2.4. – Come si è detto, l’imputabilità del provvedimento illegittimo a colpa dell’Amministrazione è stata esclusa dalla sentenza impugnata in virtù dell’obbiettiva incertezza sussistente in ordine all’applicazione dei limiti di edificabilità stabiliti, per i Comuni sprovvisti di strumento urbanistico, dalla Legge 17 agosto 1942, n. 1150, articolo 41-quinquiesintrodotto dalla Legge n. 765 del 1967, articolo 17 il quale prevedeva una disciplina differenziata per l’edificazione a scopo residenziale e per quella rivolta a finalità produttive, adottando per la prima un criterio fondato sul volume, e facendo invece riferimento, per la seconda, al rapporto tra la superficie coperta e l’area di proprietà. A riprova della controvertibilità della questione, la Corte di merito ha evidenziato la diversità delle decisioni adottate dal Tar e dal Consiglio di Stato in ordine al ricorso giurisdizionale proposto dal (OMISSIS), ravvisando nelle contrastanti conclusioni cui sono pervenuti rispettivamente il Giudice amministrativo di primo grado e quello d’appello l’espressione di dubbi interpretativi idonei a far apparire scusabile l’errore commesso dal Comune nel procedere all’emissione ed all’annullamento della licenza edilizia.
È in quest’ottica che dev’essere correttamente interpretata anche l’osservazione conclusiva della sentenza impugnata, secondo cui la violazione dei principi di imparzialità, correttezza e buona amministrazione non avrebbe potuto essere individuata nella mera preferenza manifestata dal Comune per l’edilizia a scopo residenziale rispetto a quella per finalità produttive: con tale affermazione, la Corte di merito si è infatti limitata a ribadire che l’esclusione della possibilità di sopraelevare il fabbricato industriale del (OMISSIS), oggettivamente derivante dall’annullamento d’ufficio della licenza edilizia, in tanto avrebbe potuto essere considerata fonte di responsabilità per l’Ente pubblico, in quanto la rimozione del provvedimento fosse stata determinata dall’inescusabile applicazione di limiti più rigorosi di quelli imposti dalla legge all’edilizia per scopi produttivi.
Non merita consenso, al riguardo, l’obiezione sollevata dai ricorrenti, secondo cui il richiamo alle decisioni adottate dai Giudici amministrativi in ordine all’impugnazione del provvedimento lesivo ha determinato un’inversione dell’iter logico preordinato all’accertamento della colpa dell’Amministrazione, il quale, dovendo aver luogo con riferimento all’epoca in cui è stato adottato il provvedimento illegittimo, non avrebbe potuto tener conto di accadimenti successivi. È pur vero, infatti, che la valutazione riguardante la scusabilità dell’errore dev’essere compiuta ex ante, con riguardo cioè alle condizioni di fatto ed al quadro normativo e giurisprudenziale riscontrabili all’epoca dell’emanazione del provvedimento illegittimo, e quindi tenendo conto delle incertezze interpretative eventualmente determinate sia dall’oscurità delle norme applicabili che dall’esistenza di contrasti giurisprudenziali, indipendentemente dalle decisioni adottate nel giudizio che ha condotto all’annullamento dell’atto (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. 1, 10 novembre 2011, n. 23496;Cass., Sez. 3, 5 giugno 2007, n. 13061; 9 febbraio 2004, n. 2424). Nella specie, tuttavia, le predette decisioni non sono state affatto utilizzate quale parametro di riferimento ai fini dell’apprezzamento in questione, ma sono state correttamente richiamate al solo scopo di segnalare la possibilità d’interpretazioni diverse della norma addotta a giustificazione dell’annullamento d’ufficio della licenza edilizia, quale indice di ambiguità della sua formulazione, e quindi di escludere la colpa dell’Amministrazione per la sola preferenza da essa accordata alla lettura poi disattesa dal Giudice amministrativo di secondo grado. Tale conclusione, i-neccepibile sotto il profilo logico-giuridico, trova d’altronde conferma nell’esame della giurisprudenza amministrativa formatasi in epoca anteriore all’annullamento d’ufficio della licenza edilizia, dal quale può agevolmente desumersi l’insussistenza di precedenti specifici riguardanti la problematica affrontata dal provvedimento in questione, la cui idoneità ad orientare in senso diverso l’azione amministrativa avrebbe potuto indurre ad escludere la scusabilità e l’inevitabilità dell’errore commesso dal Comune.
2.5. – L’autonoma incidenza attribuita dalla sentenza impugnata al predetto errore, ritenuto idoneo a determinare una violazione di diritto sostanziale di rilevanza tale da relegare in secondo piano l’illegittimità di altri provvedimenti precedentemente adottati dall’Amministrazione, deve poi considerarsi di per sè sufficiente a giustificare, sotto il profilo logico, l’esclusione della possibilità di fondare la colpa dell’Ente pubblico sul collegamento del provvedimento annullato con il comportamento pregresso dell’Ente pubblico, per il cui riconoscimento sarebbe risultata necessaria la dimostrazione che l’annullamento d’ufficio della licenza edilizia s’inquadrava in una sequenza di atti singolarmente e complessivamente connotati da scarsa considerazione verso le posizioni soggettive del privato coinvolto nell’esercizio della funzione amministrativa.
3. – Il ricorso principale va pertanto rigettato, con il conseguente assorbimento del ricorso incidentale, con cui l’Amministrazione ha riproposto, in via subordinata, le questioni preliminari attinenti alla legittimazione dell’attore, alla rinuncia al risarcimento ed alla prescrizione della pretesa, già sollevate nelle precedenti fasi processuali e disattese dalla sentenza impugnata.
In proposito, è appena il caso di richiamare l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, al di là delle indicazioni espressamente fornite dal controricorrente, il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, ha natura di ricorso condizionato, e pertanto, anche alla stregua del principio costituzionale di ragionevole durata del processo, che individua il fine primario del giudizio nella realizzazione del diritto delle parti ad ottenere una risposta nel merito, dev’essere esaminato con priorità soltanto se le predette questioni, rilevabili d’ufficio, non siano state oggetto di decisione esplicita o implicita da parte del giudice di merito, mentre qualora, come nella specie, detta decisione sia intervenuta, l’impugnazione incidentale dev’essere esaminata soltanto in presenza di un interesse attuale, configurabile unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale (cfr. Cass., Sez. Un., 25 marzo 2013, n. 7381; 4 novembre 2009, n. 23318; 6 marzo 2009, n. 5456).
4. – Le spese del giudizio seguono la soccombenza, e si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato, e condanna (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in complessivi euro 5.200,00, ivi compresi euro 5.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.