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Cassazione Civile 26360/2017 – Condominio – Danni alle parti comuni causati da singolo condomino – Riconoscimento o accertamento giudiziale della responsabilità

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Ordinanza 26360/2017

Condominio – Danni alle parti comuni causati da singolo condomino – Riconoscimento o accertamento giudiziale della responsabilità – Necessità

Il condomino risponde dei danni da lui causati alle parti comuni, solo se vi sia stato riconoscimento di responsabilità o all’esito di un accertamento giudiziale, non potendo l’assemblea, in mancanza di tali condizioni, porre a suo carico l’obbligo di ripristino, o imputargli a tale titolo alcuna spesa, ed essendo obbligata ad applicare, come criterio di ripartizione della spesa, la regola generale stabilita dall’art. 1123 c.c.

Cassazione Civile, Sezione 2, Ordinanza 7-11-2017, n. 26360   (CED Cassazione 2017)

Art. 1123 cc (Ripartizione delle spese) – Giurisprudenza

Art. 2043 cc (Risarcimento per fatto illecito) – Giurisprudenza

 

 

PREMESSO IN FATTO CHE:

1. La società (OMISSIS) srl e l’ (OMISSIS) hanno proposto appello nei confronti della sentenza, resa dal Tribunale di Gorizia, che, dichiarato il difetto di legittimazione attiva dell’Associazione, aveva rigettato le domande, di impugnazione delle deliberazioni assembleari del 3/5/2005 e del 13/10/2005, proposte in primo grado contro il (OMISSIS).

2. La Corte d’appello di Trieste, con sentenza del 15 ottobre 2013, ha, in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiarato la legittimazione attiva dell’Associazione, per il resto rigettando l’appello e confermando la pronuncia di primo grado.

3. La società (OMISSIS) e l’ (OMISSIS) hanno proposto ricorso in cassazione, articolato in nove motivi.

Il Condominio ha proposto controricorso, con cui ha eccepito l’inammissibilità del ricorso in quanto i nove motivi si limiterebbero a riprendere alla lettera le deduzioni e le argomentazioni svolte in primo e in secondo grado.

Le ricorrenti hanno presentato memoria, nella quale, in risposta all’eccezione di inammissibilità proposta dal Condominio, pongono in essere un’ermeneutica dei motivi proposti con il ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO CHE:

1. Con il primo motivo le ricorrenti denunciano “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., in relazione (…) alla sentenza numero 315/2013 della Corte d’appello di Trieste”. La Corte d’appello, nella pronuncia impugnata, non avrebbe “tenuto nella dovuta considerazione” la sentenza appena menzionata, della stessa Corte.

Il motivo è infondato. La Corte d’appello afferma infatti di attenersi “al proprio precedente – appunto la sentenza n. 315/2013 – circa la legittimazione dell’Associazione” e precisa poi che la sentenza riguarda l’impugnazione di un’altra deliberazione assembleare, del 21 settembre 2006, e che non vi è neppure coincidenza soggettiva, essendo parte del presente giudizio anche la società (OMISSIS).

2. Con il secondo, il quarto e il nono motivo, come chiariscono le ricorrenti nella memoria, si lamenta il vizio della motivazione. I motivi sono inammissibili: si denuncia infatti un parametro (l’omissione e insufficienza della motivazione) non applicabile ratione temporis alla fattispecie.

3. Con il terzo motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1123 c.c., e dell’art. 1135, nn. 2 e 3. Il costo indicato per gli “spurghi” non può – ad avviso delle ricorrenti essere imputato alla sola (OMISSIS) in base a una mera “opinione” dell’amministratore sulle cause dell’evento.

Il motivo è fondato. L’assemblea condominiale del 13 ottobre 2005, con all’ordine del giorno “approvazione del consuntivo e riparto spese ordinarie” ha infatti deliberato di addebitare alla proprietà (OMISSIS) i costi dello spurgo “in quanto l’amministratore ritiene che i lavori di ristrutturazione della proprietà stessa abbiano causato l’intasamento”. La relativa deliberazione è invalida. Il singolo condomino risponde infatti verso gli altri condomini dei danni da lui causati, ma fino a quando egli non abbia riconosciuto la propria responsabilità o questa non sia stata accertata in sede giudiziale “l’assemblea non può porre a suo carico detto obbligo, nè imputargli a tale titolo alcuna spesa, non potendo l’assemblea disattendere l’ordinario criterio di ripartizione, nè la tabella millesimale e dovendo, invece, applicare la regola generale stabilita dall’art. 1123 c.c.” (Cass. n. 7890/1999, e, più recentemente, Cass. n. 10053/2013).

4. Con il quinto, il sesto, il settimo e l’ottavo motivo l’attenzione si sposta sulla deliberazione del 3 maggio 2005 – avente questa ad oggetto la turnazione dei posti auto – e viene, per tutti i motivi, denunciata l’omessa pronuncia in relazione all’art. 112 c.p.c..

I motivi sono inammissibili. Sono infatti riproposte censure in fatto (circa l’attribuzione delle quote e lo svolgimento della turnazione) che sono sottratte al sindacato di questa Corte di legittimità.

5. Rigettati tutti i motivi di ricorso con l’eccezione del terzo, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto; decidendo nel merito viene quindi accolta l’impugnazione della deliberazione della assembleare del 13/10/2005 proposta dalla società (OMISSIS) e dall’ (OMISSIS) ed è dichiarata la nullità della deliberazione.

La parziale soccombenza delle ricorrenti giustifica la compensazione delle spese di lite per tutti i gradi del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta i motivi di ricorso con l’eccezione del terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie la domanda di impugnazione della deliberazione assembleare del 13/10/2005 proposta dalle ricorrenti, dichiarandone la nullità.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione seconda civile, in data 11 luglio 2017.