Sentenza 264/2006
Contratto di mutuo – Azione di risarcimento danni da parte del terzo acquirente di immobili ipotecati – Onere della prova del pregiudizio
In tema di mutuo ipotecario, agli effetti dell’azione di risarcimento dei danni, il terzo acquirente di immobili ipotecati – cui l’art. 2858 cod. civ. attribuisce il diritto potestativo di pagare i creditori iscritti ovvero di rilasciare i beni ovvero di liberarli dalle ipoteche – deve dimostrare di avere effettivamente tenuto una di tali condotte, dovendosi distinguere, in mancanza di prova di un effettivo pregiudizio, tra pericolo di danno e pericolo che determina un danno attuale, come nel caso di impossibilità o di ritardo nel rivendere il bene a terzi. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto la congruità della motivazione della sentenza impugnata che aveva accertata l’insussistenza dell’attualità del danno dedotto dal terzo acquirente dei beni ipotecati, siccome individuato nel mero pericolo di esecuzione da parte del creditore ipotecario e nella permanenza del vincolo che, pur potendo agire sulla commerciabilità dei beni stessi, avrebbe richiesto la prova concreta della mancata vendita o delle difficoltà incontrate nella vendita stessa).
Contratto di mutuo – Obbligo del mantenimento del rapporto fra somma mutuata e valore cauzionale in capo all’istituto di credito
Ai sensi dell’art. 2 del d.P.R. n. 7 del 1976 l’obbligo, in tema di credito fondiario, del mantenimento del rapporto tra somma mutuata e valore cauzionale in capo all’istituto di credito sussiste solo all’atto dell’erogazione del mutuo, ovvero con riferimento al momento dell’originaria stipulazione, e non anche fino all’estinzione (e, quindi, con riguardo agli eventuali terzi acquirenti).
Frazionamento del mutuo
Nella vigenza della disciplina normativa antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 385 del 1993 (T.U. in materia bancaria e creditizia), il frazionamento del mutuo fondiario garantito da ipoteca era solo formalmente un contratto con il mutuatario perché esso, consistendo in una rinuncia all’indivisibilità dell’ipoteca, costituiva un diritto del creditore ipotecario, al quale solo quest’ultimo poteva rinunciare.
Buona fede nell’esecuzione del contratto
La buona fede nell’esecuzione del contratto si sostanzia in un generale obbligo di solidarietà che impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra a prescindere tanto da specifici obblighi contrattuali, quanto dal dovere extracontrattuale del “neminem laedere”, trovando tale impegno solidaristico il suo limite precipuo unicamente nell’interesse proprio del soggetto, tenuto, pertanto, al compimento di tutti gli atti giuridici e/o materiali che si rendano necessari alla salvaguardia dell’interesse della controparte nella misura in cui essi non comportino un apprezzabile sacrificio a suo carico. (Nella fattispecie, la S.C. ha confermato la correttezza della sentenza impugnata che aveva escluso, in tema di credito fondiario, la sussistenza di un obbligo specifico dell’istituto mutuante di procedere al frazionamento nei confronti del terzo acquirente e, quindi, la violazione, da parte dello stesso istituto, di un non meglio precisato dovere di buona fede).
Trascrizione – Incertezza sull’identificazione dei singoli beni
I principi in tema di trascrizione sono finalizzati, in via principale, a dirimere il possibile conflitto fra più acquirenti dello stesso immobile o bene mobile registrato, con la conseguenza che all’eventuale inesattezza della nota di trascrizione (nella specie riferibile all’insufficiente descrizione di beni immobili gravati da vincolo ipotecario, siccome indicati senza riportare i numeri di foglio e di mappa) – oggetto di un apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità – consegue soltanto l’inopponibilità nei confronti del terzo in buona fede, essendo la trascrizione, a tal fine, invalida.
Atto pubblico di trasferimento immobiliare – Obbligo del notaio di procedere alle visure catastali – Inosservanza di tali obblighi accessori – Responsabilità del notaio
Per il notaio richiesto della preparazione e stesura di un atto pubblico di trasferimento immobiliare, la preventiva verifica della libertà e disponibilità del bene e, più in generale, delle risultanze dei registri immobiliari attraverso la loro visura, costituisce, salvo espressa dispensa per concorde volontà delle parti, obbligo derivante dall’incarico conferitogli dal cliente e, quindi, fa parte dell’oggetto della prestazione d’opera professionale, poiché l’opera di cui è richiesto non si riduce al mero compito di accertamento della volontà delle parti, ma si estende a quelle attività preparatorie e successive necessarie perché sia assicurata la serietà e certezza dell’atto giuridico da rogarsi ed in particolare la sua attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico di esso e del risultato pratico voluto dalle parti partecipanti alla stipula dell’atto. Conseguentemente, l’inosservanza dei suddetti obblighi accessori da parte del notaio dà luogo a responsabilità “ex contractu” per inadempimento dell’obbligazione di prestazione d’opera intellettuale, a nulla rilevando che la legge professionale non contenga alcun esplicito riferimento a tale peculiare forma di responsabilità.
Ricorso per cassazione – Copia del ricorso notificata – Mancanza di una pagina
Ai fini del riscontro degli atti processuali deve aversi riguardo agli originali e non alle copie, per cui l’eventuale mancanza di una pagina nella copia del ricorso per cassazione notificata può assumere rilievo soltanto se lesiva del diritto di difesa. Ciò, peraltro, va escluso quando (come nella specie) la pagina omessa risulti irrilevante al fine di comprendere il tenore della difesa avversaria e quando l’atto di costituzione della parte contenga una puntuale replica alle deduzioni contenute nell’atto notificato, comprese quelle contenute nella pagina mancante.
Ricorso per cassazione – Vizio di omessa pronuncia
Il vizio di omessa pronuncia è configurabile solo con riguardo alla mancanza di una decisione da parte del giudice in ordine ad una domanda che richieda una pronuncia di accoglimento o di rigetto, e va escluso ove ricorrano gli estremi di una reiezione implicita o di un suo assorbimento in altre statuizioni.
Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 11-1-2006, n. 264 (CED Cassazione 2006)
Art. 1218 cc (Responsabilità del notaio) – Giurisprudenza
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con distinti atti di citazione i coniugi Gi. Sp. ed Po. An. Sa. e Ro. Be. convenivano in giudizio la (OMISSIS) Banca s.p.a. ed il notaio Ag. La. per sentire accertare e dichiarare che nulla era dovuto alla prima, essendo stata estinta la quota di mutuo su di essi attori gravante e, per l’effetto, ordinare al Conservatore dei RR.II. la cancellazione delle ipoteche iscritte, con condanna della (OMISSIS) e del notaio La. al risarcimento dei danni; in subordine domandavano di determinare il residuo eventualmente dovuto alla (OMISSIS) e, per l’effetto, condannare il notaio La. a manlevarli dei danni patiti e patiendi. Esponevano a tal fine di avere acquistato con atti di compravendita in data 07/11/1990 e 15/01/1991, entrambi a rogito notaio La., due immobili ad uso commerciale facenti parte di un più ampio complesso immobiliare; che in entrambe le compravendite era stato convenuto che, al pagamento di parte del prezzo, doveva provvedersi mediante accollo di una quota del mutuo fondiario contratto dalla venditrice No. s.p.a. con l’Istituto di Credito (OMISSIS), ora (OMISSIS) Banca s.p.a., e che, nonostante il pagamento dell’intero prezzo, comprensivo della predetta quota di mutuo, l’istituto di credito rifiutava la cancellazione dell’ipoteca, mai frazionata, in conseguenza della mancata estinzione dell’intero mutuo erogato, benché, per altri acquirenti, lo stesso mutuante avesse concesso lo svincolo dell’ipoteca; che, ancora, gravemente colposo si era dimostrato il comportamento del notaio rogante avendo questi omesso, in violazione degli obblighi professionali, di rendere edotti essi acquirenti delle conseguenze del mancato frazionamento. Si costituivano in giudizio entrambi i convenuti.
L’Istituto Bancario chiedeva il rigetto delle domande eccependo l’indivisibilità dell’ipoteca, ai sensi dell’art. 2809 c.c.. Il La. chiedeva il rigetto delle domande proposte nei suoi confronti deducendo di avere correttamente adempiuto le proprie obbligazioni professionali.
Con sentenza in data 01/06/2000 il tribunale respingeva la domanda proposta dagli attori nei confronti della (OMISSIS) Banca s.p.a., mentre accoglieva quella proposta nei confronti del La. che condannava al pagamento, in favore di Gi. Sp. ed Po. An. Sa., della somma di L. 118.000.000, nonché delle ulteriori somme pagate a titolo di interessi sulla somma capitale di L. 21.855.120 per il rimborso alla (OMISSIS) Banca s.p.a. della quota parte del mutuo fondiario, oltre, sulle somme indicate, gli interessi legali dalla domanda al saldo.
Condannava, altresì, Ag. La. al pagamento, in favore di Ro. Be., della somma di L. 107.000.000, nonché delle ulteriori somme pagate a titolo di interessi sulla somma capitale di L. 23.210.995 per il rimborso alla (OMISSIS) Banca s.p.a. della quota parte del mutuo fondiario, oltre, sulle somme indicate, gli interessi legali dalla domanda al saldo; compensava le spese del giudizio tra gli attori e la (OMISSIS) Banca s.p.a. e condannava il La. al pagamento delle spese giudiziali in favore degli attori.
Avverso tale sentenza proponeva appello principale il notaio La. chiedendone la riforma.
Negava il notaio La. di avere omesso di rappresentare agli acquirenti i rischi relativi all’acquisto di beni ipotecati, poiché la situazione di fatto – incontestata dalle parti – aveva reso edotti gli attori dello stato dei beni che acquistavano; lamentava, poi, che il tribunale era, comunque, incorso nel vizio di extra o ultra petizione, per avere ritenuto attuale un danno che poteva al più rappresentarsi come meramente potenziale e, come tale, essere semmai oggetto di condanna condizionata.
Si costituivano Ro. Be., An. Sa. Po. (in proprio e quale erede del marito Gi. Sp. deceduto), Re. Sp., Da. Sp. e Ma. De. chiedendo il rigetto della proposta impugnazione e proponendo, a loro volta, appello incidentale avverso la sentenza di primo grado, lamentando, a tal fine, in particolare l’esiguità del danno liquidato rispetto a quello effettivamente subito.
Nel corso del giudizio, essendo deceduto il notaio La. Ag., si costituivano gli eredi minori So., Ca. ed An. La. rappresentati dai genitori La. Fr. Ro. e Cr. Fa., nonché Fr. La. usufruttuaria di tutti i beni del defunto, riportandosi alle difese già assunte dal loro dante causa. Con sentenza in data 12 marzo 2002 la Corte d’Appello così provvedeva: “a) dichiara inammissibile l’intervento di La. Fr.; b) in parziale riforma dell’impugnata sentenza 20/04 – 01/06/2000 del tribunale di Venezia, che nel resto conferma, respinge la domanda proposta da Be. Ro. e dai consorti Sp. – Po. nei confronti di La. Ag. e, quindi, dei suoi eredi come in epigrafe indicati; c) ordina la cancellazione delle frasi ingiuriose, meglio precisate nella parte motiva, contenute a pag. 20 e 23 della comparsa conclusionale degli appellati – appellanti incidentali; d) compensa interamente tra – costoro e gli appellanti principali le spese di entrambi i gradi di giudizio; e) condanna infine gli appellati – appellanti incidentali, ferma restando la compensazione delle spese di primo grado, alla rifusione in favore di (OMISSIS) Banca s.p.a. delle spese della presente fase di giudizio, che liquida in complessive L. 8.950.000, di cui L. 3.500.000 per diritti e L. 5.000.000 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge”.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione Be. Ro., An. Sa. Po., in proprio e quale erede di Gi. Sp., Da. e Re. Sp. e Ma. De. affidandosi a nove motivi.
Resistono con controricorso la (OMISSIS) s.p.a. – Banca (OMISSIS), già (OMISSIS) Banca s.p.a., e So., An. e Ca. La. rappresentati dai loro genitori Fr. Ro. La. e Cr. Fa., i quali ultimi hanno anche proposto ricorso incidentale affidandosi a sette motivi. Le ricorrenti principali resistono al ricorso incidentale con controricorso.
Le ricorrenti principali ed i ricorrenti incidentali hanno anche presentato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Vanno preliminarmente riuniti i due ricorsi, principale ed incidentale, proposti avverso la stessa sentenza, ai sensi dell’art. 335 c.p.c.. In via preliminare va dichiarata l’inammissibilità del controricorso proposto dalla (OMISSIS) s.p.a., per mancanza del requisito di specialità della procura.
Infatti, la procura in forza della quale i legali di (OMISSIS) s.p.a. – Banca (OMISSIS) si sono costituiti in giudizio è procura generale alle liti che risulta conferita anteriormente alla pubblicazione della sentenza impugnata (Cass. 31/05/2005 n. 11583). Con il primo motivo del ricorso principale le ricorrenti denunciano la “Violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3:
sull’obbligo della banca di procedere al frazionamento. Violazione del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 39, comma 6, in relazione al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 161, comma 6, in relazione al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 161, comma 6, e, D.P.R. n. 7 del 1976, art. 3, comma 5”.
Rilevano che la Corte di merito ha respinto le domande proposte dalle attuali ricorrenti nei confronti della (OMISSIS) Banca s.p.a. di cancellazione dell’ipoteca gravante sui rispettivi immobili e di condanna al risarcimento del danno sul presupposto che, in base alla normativa disciplinante il contratto di mutuo in esame (D.P.R. n. 7 del 1976), non sussisteva un diritto al frazionamento dell’ipoteca,
introdotto solo con il D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 39, comma 6. In mancanza di un tal diritto, non sussiste – secondo la sentenza impugnata – un obbligo dell’istituto mutuante al frazionamento derivante da un dovere di correttezza e buona fede operante solo in materia contrattuale e la cui violazione al di Cuori di un rapporto contrattuale è fonte di responsabilità solo in quanto concreti la violazione dell’altrui diritto, non rinvenibile nel caso di specie. Ritengono che in base al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 161, comma 6, restano regolati dalle norme anteriori, ora abrogate, solo “i contratti già conclusi e i procedimenti esecutivi in corso alla data di entrata in vigore del testo Unico”.
Da tale disposizione si evince che non sussiste limitazione al diritto al frazionamento in capo al terzo acquirente. Non sussiste, infatti, fra quest’ultimo e la banca alcun rapporto contrattuale, con la conseguenza che, non essendo la fattispecie riconducibile a quella dei “contratti già conclusi”, la stessa esula dall’applicazione del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 161, comma 6. Anche vigente il D.P.R. n. 7 del 1976, il frazionamento doveva ritenersi un atto dovuto da parte della banca, in quanto la normativa speciale sul credito fondiario individuava già all’epoca una diversa disciplina rispetto al generale principio di indivisibilità ipotecaria di cui all’art. 2809 c.c.. Ed anche il D.P.R. n. 7 del 1976, art. 3, comma 5, (poi L. n. 175 del 1991, art. 5, comma 5) prevedeva la k possibilità di suddivisione
del mutuo in quote e, correlativamente il frazionamento dell’ipoteca sulle varie unità immobiliari che compongono il complesso condominiale.
Inoltre, deve aggiungersi che la disciplina del credito fondiario prevede espressamente l’ipotesi che la vendita giudiziaria si effettui per lotti (D.P.R. n. 7 del 1976, ora D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 41, comma 5), in sintonia con gli artt. 576, 577 e
578 c.p.c.. Questo tipo di vendita comporta la suddivisione del mutuo ed il frazionamento dell’ipoteca con i criteri della divisione (cioè identità e proporzionalità delle quote con la consistenza dei lotti).
Il giudice dell’esecuzione, una volta avviata la procedura esecutiva da parte della banca, deve stabilire con l’ordinanza di vendita o di assegnazione il prezzo che l’aggiudicatario o l’assegnatario debbono versare alla banca in base al D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 141; ciò che appare oltremodo difficile in assenza di un
frazionamento dell’ipoteca.
Conclusivamente sul punto sussistono elementi logico-interpretativi che inducono a considerare il frazionamento un atto dovuto dalla banca a richiesta anche del terzo acquirente.
Con il terzo motivo del ricorso incidentale i ricorrenti incidentali denunciano la “Violazione del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 3, comma 6 e D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 161, comma 1 e 6,
– Violazione del giudicato interno – Motivazione contraddittoria – art. 360 c.p.c., n. 3, 4 e 5”. Rilevano l’erroneità della sentenza di merito che ha ritenuto che al rapporto ipotecario intercorrente tra l’Istituto di credito e le ricorrenti principali (terze acquirenti) si applichi la riserva della legislazione previgente di cui al D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 161, comma 6, trattandosi di contratto concluso prima del 1
gennaio 1994. Quindi al rapporto ipotecario poteva applicarsi soltanto il D.P.R. n. 7 del 1976, art. 3, e non la nuova normativa. Rilevano i ricorrenti incidentali che in tal modo il giudice di merito ha violato il disposto D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 161, comma 6, ed anche il giudicato interno che aveva affermato
l’inesistenza di un rapporto contrattuale fra le ricorrenti principali e l’Istituto di credito.
Infatti, solo i contratti, D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, ex art. 161, comma 6, restano soggetti alla precedente regolamentazione
normativa; non gli altri rapporti che legano i proprietari degli immobili ipotecari all’Istituto di credito fondiario. Se, quindi, il rapporto ipotecario era avulso dal contratto di mutuo, perché i terzi acquirenti dell’immobile gravato non ne erano parti e non erano vincolati, il rapporto non poteva non essere soggetto alla nuova normativa che sanciva l’obbligo dell’istituto di procedere al frazionamento.
La sentenza è anche contraddittoria non potendosi ad un tempo affermare l’esistenza e la vincolatività del contratto di mutuo nei confronti delle ricorrenti principali ed, al contempo, negare tutte le conseguenze che da tale vincolatività derivano, in particolare sotto il profilo dell’obbligo di buona fede nell’esecuzione del contratto.
I due motivi, relativi al ricorso principale ed incidentale, riguardando le medesime censure, vanno esaminati congiuntamente. I motivi sono infondati.
In proposito deve osservarsi che – come correttamente statuito dalla Corte d’Appello – ai sensi del combinato disposto del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 39, comma 6, e art. 161, comma 6, del D.P.R. n. 7 del 1976, art. 3, comma 5, il diritto alla suddivisione in quote del
finanziamento concesso al debitore originario e della relativa garanzia ipotecaria riconosciuto ai terzi acquirenti può affermarsi solo con riferimento ai contratti stipulati dopo il 01/01/1994 data di entrata in vigore della cd. nuova legge bancaria.
Viceversa per quelli conclusi, come nella fattispecie in esame, anteriormente a tale data vige il disposto D.P.R. n. 7 del 1976, art. 3, per il quale il frazionamento configura una rinuncia facoltativa
del creditore ipotecario all’indivisibilità dell’ipoteca (Cass. 12/02/2003 n. 2073). Infatti, il frazionamento è solo formalmente un contratto con il mutuatario perché esso, consistendo in una rinuncia all’indivisibilità dell’ipoteca, costituisce un diritto del creditore ipotecario, diritto al quale solo quest’ultimo può rinunciare.
Quindi, il contratto di finanziamento in realtà consacra tale rinuncia unilaterale dell’istituto di credito all’indivisibilità;
rinuncia in ordine alla quale il terzo acquirente dell’immobile, già ipotecato, non può avere alcun diritto contrario e prevalente, non potendo influire sulla rinuncia stessa (Cass. 14/12/1990 n. 11916). Nè può dirsi che al terzo acquirente appartenga un tale diritto sul presupposto che non è parte del contratto concluso con l’ente mutuante, per le ragioni più sopra evidenziate.
Con il secondo motivo del ricorso principale denunciano la “Violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3:
sull’obbligo della banca di mantenimento del rapporto tea la somma mutuata e valore cauzionale.
Violazione del D.P.R. n. 7 del 1976, art. 2, lett. a)”. Rilevano l’erroneità della decisione di merito che ha ritenuto non sussistere in capo all’Istituto di credito l’obbligo del mantenimento del rapporto tra somma mutuata e valore cauzionale.
In proposito si deve tenere conto che già il D.P.R. n. 7 del 1976 prevedeva che la concessione del mutuo poteva avvenire per una percentuale pari, come importo massimo, al 50% del valore cauzionale (art. 2 decreto citato, lett. a).
E le stesse percentuali fissate dalla legge per la concessione del mutuo devono essere necessariamente rispettate nel procedere al frazionamento dell’ipoteca, assolutamente indispensabile nel caso di ipoteca costituita su complesso condominiale al fine di determinare la quota di mutuo gravante su ogni singolo immobile.
Nel caso di specie, pertanto, nel procedere al frazionamento dell’ipoteca, la banca avrebbe dovuto imputare a ciascun immobile una quota di mutuo pari al 41,17% del valore del bene.
Con il terzo motivo del ricorso principale denunciano la “Violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3: sull’applicabilità al caso di specie del principi di correttezza e buona fede”. Contestano la decisione del giudice di merito che ha escluso l’applicabilità, al caso di specie, dei principi di correttezza e buona fede (quali fonti dell’obbligo di procedere a frazionamento) sul presupposto che tra il creditore ipotecario (la (OMISSIS)) ed i terzi acquirenti degli immobili non vi sarebbe alcun rapporto contrattuale.
Infatti, se è vero che tra i terzi acquirenti e la banca non è intercorso alcun rapporto contrattuale, tuttavia al terzo acquirente è espressamente riconosciuta dall’art. 2858 c.c. la facoltà di pagare il creditore ipotecario al fine di ottenere la liberazione del bene dall’ipoteca.
Tale facoltà riconosciuta al terzo acquirente è un vero e proprio diritto potestativo. Ne consegue che in capo all’istituto di credito vi è l’obbligo di cooperare al fine di consentire il pagamento da parte del terzo acquirente ed il mancato rispetto in tal senso dei principi di correttezza e buona fede, integra il diritto al risarcimento del danno.
Errata è anche l’interpretazione del giudice di merito che ha ritenuto non applicabile alla fattispecie concreta il principio del neminem laedere di cui all’art. 2043 c.c., in quanto non sussiste alcun diritto al frazionamento che è stato violato.
Anche, nell’ipotesi, infatti, che non sussista un vero e proprio diritto in capo ai terzi acquirenti degli immobili, il diritto, a fronte del quale s’impone alla banca di rispettare il principio del neminem laedere, è il diritto a potere pagare il creditore iscritto riconosciuto dall’art. 2858 c.c. agli stessi. Con il quarto motivo del ricorso principale denunciano la “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5: sulla mala gestio dell’istituto di credito”.
Rilevano che la pronuncia di merito appare priva di motivazione con riguardo alla contestazione di mala gestio avanzata nei confronti della banca.
Il giudice di merito si è, infatti, limitato ad affermare che “Nè ancora, può affermarsi la ipotizzata mala gestio dell’istituto che, se riferita al preteso obbligo di conservare il rapporto con il valore cauzionale, è privo di ogni contenuto…”.
L’argomentazione del giudice di merito che non sussisteva l’obbligo di conservare il rapporto con il deposito cauzionale – con la conseguenza della insussistenza della mala gestio – risulta inidonea a rivelare la ratio decidendi.
Infatti, anche ammettendo che non vi sia l’obbligo di mantenimento del rapporto tra valore cauzionale e debito, il rispetto dei doveri di corcettezza e buona fede imponevano alla banca di non svincolare la quasi totalità degli immobili facenti parte del complesso condominiale e di mantenere un’adeguata garanzia al fine di evitare che a garanzia di un credito di entità rilevante rimanessero solo tre immobili, con evidente pregiudizio per i proprietari degli stessi.
Con il quinto motivo del ricorso incidentale i ricorrenti incidentali denunciano la “Violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede e degli artt. 117, 1375, 1324 e 2043 c.c. – art. 360 c.p.c., n. 3 e 5”. Rilevano che erroneamente la Corte di merito aveva escluso un comportamento contrario ai doveri di correttezza e buona fede da parte dell’Istituto di credito ritenendo che: “Nè, escluso per il terzo acquirente, alla stregua della legislazione operante nella specie, il diritto al frazionamento, può ragionevolmente ascriversi all’Istituto mutuante un non meglio precisato dovere di buona fede, che imporrebbe di consentire comunque al frazionamento, non solo perché trattasi di principio operante in materia contrattuale (nessun rapporto negoziale è mai sorto tra la (OMISSIS) rimasta estranea al negozio di compravendita e gli appellanti incidentali, neanche per i pagamenti da costoro effettuati, riconducibili all’adempimento del terzo), ma anche, e soprattutto, perché la violazione di siffatto dovere (per quanto, ma è dubbio riconducibile al più generale obbligo del neminem laedere) in tanto può essere fonte di responsabilità in quanto concreti la violazione dell’altrui diritto, nel caso che occupa non rinvenibile”.
“Nè sarebbe ipotizzabile una mala gestio dell’Istituto per non avere conservato il rapporto con il valore cauzionale, mentre non si potrebbe invocare l’art. 2866 c.c., comma 2, perché questa disposizione opera solo quando “il terzo sia chiamato a rispondere dell’intero debito del suo dante causa”, mentre tale norma opererebbe esclusivamente nei rapporti tra debitore originario e creditore ed ogni profilo risarcitorio potrebbe essere fatto valere dal terzo acquirente solo nei confronti di tali soggetti.
Tali affermazioni – secondo la tesi dei ricorrenti incidentali contengono errori di diritto rilevanti ex art. 360 c.p.c., n. 3. In primo luogo, l’obbligo di correttezza e buona fede deve improntare tutti i comportamenti giuridici, traggano gli stessi titolo da rapporti di natura contrattuale, da rapporti in cui ad uno dei soggetti viene attribuita una posizione di preminenza, da diritti potestativi, o anche in ipotesi di rapporti non nati da un contratto. Tali doveri di correttezza e buona fede sono richiamati in moltissime disposizioni del codice civile e, soprattutto, negli artt. 1175 e 1375 c.c., che impongono rispettivamente a creditore e debitore di comportarsi secondo correttezza e di eseguire i contratti secondo buona fede.
Tali norme si applicano, per il richiamo di cui all’art. 1324 c.c., anche agli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale e comunque ad ogni rapporto obbligatorio; e, quindi, anche ai diritti ed ai poteri che al terzo creditore spettano in forza dell’ipoteca nei confronti del terzo acquirente.
Anche la relazione tra creditore ipotecario e terzo acquirente dell’immobile gravato da ipoteca va pur sempre qualificato come rapporto obbligatorio, sebbene non nasca da un contratto concluso dai suoi due soggetti, con la conseguente applicazione dei principi sopraenunciati, di portata generale. “Al creditore ipotecario, come ad ogni titolare di diritti, e così fatto obbligo di conservare le posizioni giuridiche delle persone che sono nei suoi confronti legate, almeno nella misura in cui questo non incida sulle proprie posizioni giuridiche”.
Ne consegue che l’affermazione della Corte di merito secondo cui le norme sull’esecuzione dei contratti non sarebbero applicabili alla fattispecie concreta è errata ed in violazione degli artt. 1175 e 1324 c.c.. Ad eguale risultato deve pervenirsi anche in ordine all’affermazione, contenuta nella sentenza di merito, secondo la quale neppure il principio del neminem laedere e l’art. 2043 c.c. sarebbe stato violato, poiché le ricorrenti principali non potrebbero lamentare “la violazione dell’altrui diritto, nel caso che occupa non rinvenibile”.
In altri termini, il comportamento della (OMISSIS) Banca non avrebbe causato danno ingiusto, per difetto di lesione di una posizione soggettiva dei terzi acquirenti qualificabile come diritto soggettivo perfetto.
Erronea – secondo i ricorrenti incidentali – è tale affermazione, posto che le ricorrenti principali erano titolari del diritto di proprietà su beni ipotecati, diritto di proprietà violato dal comportamento contrario ai doveri di correttezza e buona fede. Egualmente per ciò che concerne la violazione dell’obbligo “dell’ente mutuante di conservare, sino all’estinzione del mutuo, e dunque con riferimento anche ad eventuali terzi acquirenti, quel rapporto (50%) inderogabilmente previsto dal D.P.R. n. 7 del 1976, art. 2, tra l’ammontare del mutuo ed il valore cauzionale
dell’immobile”.
Secondo la Corte di merito tale obbligo “deve ritenersi sussistente, atteso il chiaro tenore della disposizione del citato art. 2, solo all’atto dell’erogazione, e cioè dell’originaria stipulazione;
contrariamente opinando si perverrebbe, per altra strada, al diritto al frazionamento, superando così il disposto del successivo art. 3, comma 5, decreto citato”.
Ad avviso dei ricorrenti incidentali, “anche a dare per ammesso che l’obbligo del rapporto tra importo dato a mutuo e valore cauzionale cessi al momento della conclusione del contratto, esso è pur sempre indice di un dovere, dell’Istituto di Credito fondiario, di operare con criteri di trasparenza e di tranquillità”.
Eguali considerazioni valgono per ciò che concerne l’applicabilità dell’art. 2866 c.c., comma 2. La sentenza di merito afferma che non è ipotizzabile una mala gestio dell’Istituto, tenendo presente “il diritto del terzo acquirente, che ha soddisfatto la quota relativa al proprio immobile, di subingresso ex art. 2866 c.c., comma 2, nelle ipoteche iscritte sugli altri beni del debitore inadempiente”. Tale disposizione opera solo “quando il terzo sia chiamato a rispondere dell’intero debito del suo dante causa” ed “esclusivamente nei rapporti tra questi due soggetti”. Anche in tal caso il giudice di merito ha ignorato l’obbligo di buona fede e di conservazione delle posizioni dell’obbligato che gli artt. 1375 e 1175 c.c. impongono anche nel rapporto tra creditore
ipotecario e terzo acquirente.
Il secondo, terzo e quarto motivo del ricorso principale ed il quinto motivo del ricorso incidentale riguardano le medesime censure e possono essere esaminati congiuntamente.
I motivi sono infondati.
In ordine all’erroneità della decisione di merito che ha ritenuto non sussistere in capo all’Istituto di credito l’obbligo del mantenimento del rapporto tra somma mutuata e valore cauzionale deve rilevarsi che il giudice del merito non è incorso in alcuna violazione delle norme citate.
Infatti, ai sensi del D.P.R. n. 7 del 1976, art. 2, tale obbligo sussiste soltanto all’atto della erogazione, vale a dire dell’originaria stipulazione (Cass. 01/09/1995 n. 9219). Correttamente, quindi, il giudice del merito ha ritenuto non sussistere un obbligo per l’ente mutuante di conservare, fino all’estinzione del mutuo – e quindi con riferimento agli eventuali terzi acquisenti -, quel rapporto inderogabilmente previsto dall’art. 2 citato.
Quanto alla violazione dei principi di correttezza e buona fede, deve rilevarsi che la buona fede nell’esecuzione del contratto si sostanzia in un generale obbligo di solidarietà che impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra a prescindere tanto da specifici obblighi contrattuali, quanto dal dovere extracontrattuale del neminem laedere, trovando tale impegno solidaristico il suo limite precipuo unicamente nell’interesse proprio del soggetto, tenuto, pertanto, al compimento di tutti gli atti giuridici e o materiali che si rendano necessari alla salvaguardia dell’interesse della controparte nella misura in cui essi non comportino un apprezzabile sacrificio a suo carico (Cass. 30/07/2004 n. 14605). Nel caso di specie, di fronte all’insussistenza di un obbligo dell’istituto mutuante di procedere al frazionamento nei confronti del terzo acquirente, correttamente il giudice del merito ha ritenuto che “Nè, escluso per il terzo acquirente, alla stregua della legislazione operante nella specie, il diritto al frazionamento, può ragionevolmente ascriversi all’istituto mutuante un non meglio precisato dovere di buona fede, che imporrebbe di consentire comunque al frazionamento, non solo perché trattasi di principio operante in materia contrattuale, ma anche, e soprattutto, perché la violazione di un siffatto dovere in tanto può essere fonte di responsabilità in quanto concreti la violazione dell’altrui diritto, nel caso che occupa non rinvenibile”.
Trattasi di motivazione puntuale e corretta, resa in conformità ai principi sopra richiamati.
Quanto, poi, alla ipotizzata mala gestio deve rilevarsi che di fronte alla insussistenza dell’obbligo di mantenere il rapporto tra valore cauzionale e debito, per le ragioni più sopra evidenziate, correttamente il giudice del merito ha ritenuto che l’istituto di credito non è venuto meno ad alcun dovere di correttezza e buona fede, difettando, pertanto, la configurabilità, nella fattispecie concreta, di un’ipotesi di mala gestio.
Con il quinto motivo del ricorso principale denunciano la “Omessa, Insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5: sulla pretesa assenza “di attualità del danno”.
Preliminarmente deve rilevarsi che in ordine a tale motivo i ricorrenti incidentali ne assumono l’inammissibilità, in quanto la copia notificata del ricorso principale non contiene la pag. 20 in cui il motivo è trattato.
Il rilievo è infondato.
Ai fini del riscontro degli atti processuali deve aversi riguardo agli originali e non alle copie, per cui l’eventuale mancanza di una pagina dell’atto notificato può assumere rilievo soltanto se lesiva del diritto di difesa. Ciò che va in ogni caso escluso quando la pagina omessa risulti irrilevante ai fine di comprendere il tenore della difesa avversaria e quando l’atto di costituzione della parte contenga una puntuale replica alle deduzioni contenute nell’atto notificato, comprese quelle contenute nella pagina mancante (Cass. 15/04/2004 n. 7200; Cass. 28/04/1998 n. 4334).
Nel caso di specie il motivo è trattato da pag. 17 a pag. 21 del ricorso principale ed i ricorrenti incidentali si sono puntualmente difesi sulle questioni nel motivo trattate. Nessun diritto di difesa è stato, pertanto, violato.
Nel merito le ricorrenti principali rilevano che la sentenza è sprovvista di adeguata motivazione con riguardo al capo in cui statuisce che non sussiste, nel caso di specie, l’attualità del danno.
Errata è la tesi affermata, a sostegno della inattualità del danno, in base alla quale la Be., avendo ceduto alla (OMISSIS) s.n.c. l’immobile, non ha sofferto alcun nocumento dalla permanenza dell’iscrizione ipotecaria.
La Be., infatti, assieme al marito Di. Be. è socia della (OMISSIS) s.n.c. e la cessione del bene è stata dettata da ragioni di natura esclusivamente fiscale.
Tale circostanza, pertanto, non giustifica la pretesa inattualità di pregiudizi economici in capo alla ricorrente, atteso che l’iscrizione ipotecaria, sia per la Be., sia per le altre ricorrenti, ha certamente reso il bene non commerciabile ed è stata fonte di una vicenda giudiziaria non ancora conclusa, con forti ripercussioni sul piano personale.
Neppure corrisponde al vero quanto afferma il giudice di merito secondo cui l’esecuzione da parte della banca non risulta essere mai stata minacciata, posto che la ricorrente ha documentato che in ben due occasioni la banca ha notificato al proprietari precetti per circa L. 2.500.000.000.
Errata è anche l’affermazione che non sussiste il danno lamentato anche perché la banca non ha ancora avviato la procedura esecutiva per cui non potrebbe pronunciarsi ne’ sentenza di condanna generica (per la quale si richiede specifica domanda che qui non è stata proposta), ne’ sentenza di condanna condizionata (la quale richiede che l’evento futuro e incerto dal quale dipende il danno non debba essere soggetto al controllo di altri accertamenti di merito in un ulteriore giudizio di cognizione).
Con riguardo all’attualità del danno la Corte di Cassazione ha osservato che in tali casi il danno “è connesso all’esistenza stessa dell’ipoteca e discende dalla eventuale espropriazione che l’acquirente subisca, con la conseguente perdita del bene, ovvero, anche in mancanza di espropriazione, dall’impossibilità di conseguire taluni vantaggi, quali quelli derivanti da una vendita vantaggiosa o alla fine, quanto meno, dalla necessità della purgazione dell’ipoteca, a norma degli artt. 2889 c.c. e s.s.” (Cass. 03/01/1994 n. 6). Inoltre, anche ammettendo che il danno non possa considerarsi attuale, il giudice del merito ben poteva pronunciare una condanna condizionale.
La Corte di Cassazione ha avuto, infatti, occasione di esaminare la fattispecie, affermando che il terzo acquirente ha diritto di ottenere il risarcimento dei danni consistenti in tutte le somme eccedenti la quota del mutuo accollata che si sarebbe visto costretto a corrispondere all’istituto di credito.
In tali ipotesi il giudice del merito deve accogliere la domanda e pronunciare sentenza di condanna condizionale al verificarsi dell’evento del pagamento delle predette somme superiori alla quota di mutuo accollata (Cass. 14/12/1990 n. 11916). Il motivo non è fondato.
Agli effetti dell’azione di risarcimento dei danni, il terzo acquirente di immobili ipotecati – cui l’art. 2858 c.c. attribuisce il diritto potestativo di pagare i creditori iscritti ovvero di rilasciare i beni ovvero di liberarli dalle ipoteche – deve dimostrare di avere effettivamente tenuto una di tali condotte, dovendosi distinguere, in mancanza di prova di un effettivo pregiudizio, tra pericolo di danno e pericolo che determina un danno attuale come nel caso di impossibilità o di ritardo nel rivendere il bene a terzi (Cass. 12/05/2000 n. 6123; Cass. 30/06/2005 n. 13957). Nel caso di specie, il giudice del merito ha ritenuto che una serie di elementi puntualmente indicati, quali il pieno godimento dell’immobile da parte dei signori Sp. e Po. e la cessione, da parte della Be. alla Sat s.n.c. – escludessero la sussistenza di un danno attuale, quale presupposto del risarcimento richiesto, concludendo sul punto che “ne consegue dunque, come dedotto dagli appellanti, la non attualità del danno, che gli appellanti incidentali individuano proprio nel pericolo di esecuzione da parte del creditore ipotecario e, sia pure senza la dovuta chiarezza, nella permanenza del vincolo, vincolo che agendo, peraltro, sulla commerciabilità del bene necessiterebbe della prova – non fornita nè offerta – della mancata vendita o delle difficoltà che ha frapposto alla vendita”.
Trattasi di motivazione corretta e puntuale, non smentita dalle censure sopra indicate, avanzate dalle ricorrenti che, oltre a non fornire – come rilevato dal giudice del merito – prove in ordine alle difficoltà nella commerciabilità del bene, per il permanere del vincolo, non hanno neppure indicato nel ricorso per Cassazione in quali atti siano contenute le contestazioni in ordine alla non veridicità della circostanza affermata dal giudice di merito secondo cui l’esecuzione da parte della banca non risulta essere mai stata minacciata, “posto che la ricorrente ha documentato che in ben due occasioni la banca ha notificato ai proprietari precetti per circa L. 2.500.000.000” e non ne hanno riportato neppure il contenuto, con ciò violando il principio di autosufficienza.
Neppure fondata è la censura secondo la quale, anche ammettendo che il danno non possa considerarsi attuale, il giudice del merito avrebbe potuto pronunciale una condanna condizionale. Nell’ordinamento processuale vigente sono ammesse sentenze di condanna condizionate, quanto alla loro efficacia, al verificarsi di un determinato evento futuro ed incerto, alla scadenza di un termine prestabilito o ad una controprestazione specifica, sempre che la circostanza tenuta presente sia tale per cui il suo verificarsi non richieda ulteriori accertamenti di merito da compiersi in un nuovo giudizio di cognizione (Cass. 01/10/2004 n. 19657; Cass. 25/08/2003 n. 12444). Nel caso di specie il giudice del merito ha correttamente ritenuto l’insussistenza del presupposti per la pronuncia di un sentenza di condanna condizionata rilevando che “se anche la condanna nella specie potrebbe astrattamente ricondursi all’espropriazione del bene e dunque all’esecuzione eventualmente promossa dal creditore ipotecario, è del tutto evidente che, verificatosi l’evento, la quantificazione del danno abbisognerebbe – necessariamente – di un nuovo giudizio di merito”.
Trattasi di valutazione di merito resa con motivazione puntuale, in linea con i principi sopra espressi.
Con il sesto motivo del ricorso principale denunciano la “Omessa pronuncia su un punto della controversia: sulla domante di accertamento dell’importo ancora dovuto alla banca in forza dell’ipoteca iscritta sugli immobili e sulla domanda di manleva”. violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c, n. 3: sul diritto potestativo del terzo acquirente di pagare il creditore iscritto. Violazione dell’art. 285 c.c.. Rilevano che il giudice di appello è caduto in un evidente error in procedendo avendo omesso di pronunciarsi su di una specifica domanda proposta, seppure in via subordinata, dagli attuali ricorrenti, cioè di “determinare quanto ancora dovuto alla (OMISSIS) con riferimento al mutuo fondiario di cui agli atti 28/01/1977 n. 31.551 e 04/12/1979 n. 36123 di rep. del notaio La Rosa di Padova, gravante sugli immobili dei deducenti e … condannarlo a manlevare i deducenti, nonché … al risarcimento dei danni effettivamente patiti e patiendi dagli stessi nella misura che sarà ritenuta di giustizia”.
“Alla luce di tale domanda avanzata sin dall’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado con riferimento alla quale era stata richiesta l’ammissione di apposita consulenza tecnica, è evidentemente del tutto fuori di luogo la tesi sostenuta dal giudice di appello, secondo cui l’accertamento del danno nel caso in esame necessiterebbe d’instaurare un ulteriore giudizio di cognizione”. Il motivo non è fondato.
Infatti, agli effetti dell’azione di risarcimento dei danni, il terzo acquirente di immobili ipotecati – cui l’art. 2858 c.c. attribuisce il diritto potestativo di pagare i creditori iscritti ovvero di rilasciare i beni ovvero di liberarli dalle ipoteche – deve dimostrare di avere effettivamente tenuto una di tali condotte, dovendosi distinguere, in mancanza di prova di un effettivo pregiudizio, tra pericolo di danno e pericolo che determina un danno attuale come nel caso di impossibilità o di ritardo nel rivendere il bene a terzi (Cass. 12/05/2000 n. 6123; Cass. 30/06/2005 n. 13957). In mancanza di una prova siffatta il giudice del merito ha implicitamente rigettato la domanda.
D’altra parte il vizio di omessa pronuncia è configurabile solo con riguardo alla mancanza di una decisione da parte del giudice in ordine ad una domanda che richieda una pronuncia di accoglimento o di rigetto e va escluso ove ricorrano gli estremi di una pronuncia implicita o di un suo assorbimento in altre statuizioni (Cass. 08/03/2001 n. 3435). Nel caso di specie sussistevano gli estremi della decisione implicita e dell’assorbimento della domanda, una volta che la decisione sulla domanda di manleva era stata superata dall’affermazione correttamente resa dal giudice del merito in ordine all’inattualità del danno. Con il settimo motivo del ricorso principale denunciano la “Omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia: sull’accertamento della responsabilità professionale del notaio”.
Rilevano, a tal fine, che il giudice di appello, pur enunciando nella parte motiva della sentenza, di ritenere corretta la decisione di primo grado in ordine alla responsabilità professionale del notaio, nella parte dispositiva della sentenza così statuisce: “… b) in parziale riforma della sentenza 20/04 – 01/06/2000 del Tribunale di Venezia, che nel resto conferma, respinge la domanda proposta da Be. Ro. e dai consorti Sp. – Po. nei confronti di La. Ag. e, quindi, dei suoi eredi come in epigrafe indicati;…”.
Nella sentenza, pertanto – seppure la portata della decisione non va desunta soltanto dalla formula conclusiva adottata, ma va ricavata dalla motivazione – non è precisato che la domanda rigettata e solo quella relativa al risarcimento del danno da parte del notaio e non quella di accertamento della responsabilità professionale dello stesso.
In tal senso i ricorrenti evidenziano l’omissione in cui è incorso il giudice di appello “per l’eventualità che la stessa possa determinare un’omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia”.
Il motivo è infondato.
Invero, è principio pacifico che la portata precettiva di una sentenza va individuata con riferimento non solo al dispositivo, ma anche alla motivazione e trova applicazione tutte le volte che il giudice abbia pronunciato una sentenza di merito (di accertamento o di condanna) il cui dispositivo, in conseguenza della indeterminatezza o incompletezza del suo contenuto precettivo, si presti ad una integrazione (Cass. 11/01/2005 n. 360). D’altra parte, poiché il dispositivo ha la funzione di esprimere in forma riassuntiva la decisione, l’incertezza interpretativa emergente per la mancata riproduzione nel dispositivo di una parte della decisione non può che essere sciolta nel senso della prevalenza della motivazione (Cass. 04/03/2005 n. 4741). Con l’ottavo motivo del ricorso principale denunciano la “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5; sulla cancellazione delle pretese frasi ingiuriose contenute nella comparsa conclusionale delle ricorrenti nel giudizio di appello”. Rilevano a tal fine che la decisione impugnata è priva di motivazione con riguardo al capo con il quale è stata disposta la cancellazione di frasi ingiuriose contenute nella comparsa conclusionale dei deducenti.
Si legge nella sentenza: “La natura offensiva di tali espressioni (i deducenti sono stati convinti dal venditore, con la complicità del notaio… risulta in modo inconfutabile che egli abbia preso parte ai raggiri “atteggiamento compiacente del notaio nei confronti del venditore”) e la gratuità delle stesse sono fuor di dubbio”. I ricorrenti deducono di avere offerto di provare per testimoni le circostanze in base alle quali hanno ritenuto di desumere la complicità del notaio ed il suo atteggiamento compiacente nei confronti del venditore.
Il motivo è inammissibile.
Infatti, la valutazione, da parte del giudice di merito, sul carattere sconveniente o offensivo di espressioni contenute nelle difese delle parti e sulla loro estraneità all’oggetto della lite, nonché l’emanazione o meno dell’ordine di cancellazione delle medesime a norma dell’art. 89 cod. proc. civ. integrano esercizio di potere discrezionale, non censurabile in sede di legittimità, e l’istanza volta alla cancellazione costituisce una mera sollecitazione per l’applicazione dell’anzidetto potere discrezionale (Cass. 07/07/2004 n. 12479). Con il nono motivo denunciano la “Omessa, Insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5: sulla compensazione delle spese tra gli appellanti principali e gli appellanti incidentali”. Rilevano la illogicità e la contraddittorietà della sentenza di merito nella parte in cui compensa le spese tra gli appellanti principali (gli eredi del notaio e la legataria Fr. La.) e gli attuali ricorrenti.
Assume il giudice di merito che “motivi di giustizia consigliano l’integrale compensazione tra gli appellanti principali e gli appellati – appellanti incidentali per entrambi i gradi di giudizio”. Con riguardo all’appellante principale Fr. La., intervenuta nel giudizio a seguito del decesso del notaio, la Corte d’Appello ha dichiarato inammissibile tale intervento sul presupposto che l’interveniente non è erede, bensì legataria del notaio. L’applicazione del principio della soccombenza imponeva, pertanto, al giudicante di condannare Fr. La. alla rifusione delle spese in favore degli attuali ricorrenti principali.
Con riguardo agli altri appellanti la Corte ha confermato la responsabilità degli stessi, quali eredi del notaio, per i danni derivanti agli appellati appellanti incidentali dai gravi inadempimenti commessi dal loro dante causa nell’esercizio della propria attività professionale, seppure ritenendo di non potere accogliere alla stato la conseguente domanda di risarcimento del danno e/o manleva per presunta non attualità del danno. Il motivo è infondato.
Va, infatti, rilevato che la valutazione dell’opportunità della compensazione, totale o parziale, delle spese processuali, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca sia in quella della ricorrenza di giusti motivi, rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito e non richiede specifica motivazione, restando perciò incensurabile in sede di legittimità, salvo che risulti violato il principio secondo cui le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa ovvero che, a fondamento della decisione del giudice di merito di compensare le spese, siano addotte ragioni palesemente illogiche e tali da inficiare, per la loro inconsistenza o evidente erroneità, lo stesso processo formativo della volontà decisionale (Cass. 04/05/2005 n. 9260; Cass. 01/09/2003 n. 12744). Ciò che, nella fattispecie concreta, non sussiste.
Con il primo motivo del ricorso incidentale i ricorrenti denunciano la “Violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. – art. 360 c.p.c., n. 3 e 4”. Rilevano che la Corte di merito ha ritenuto inammissibili, costituendo domande nuove, i primi tre motivi di appello proposti dal notaio La. e dai suoi eredi con cui era stata censurata la sentenza del giudice di primo grado nella parte in cui aveva respinto la domanda degli originari attori, oggi ricorrenti principali. In tal modo gli esponenti avevano fatto proprie le domande proposte dai consorti Sp. – Be. contro la (OMISSIS) Banca s.p.a.. Si tratterebbe di domanda nuova, posto che a tale domanda delle ricorrenti principali gli attuali ricorrenti incidentali mai avrebbero aderito in primo grado.
Il motivo è in primo luogo inammissibile, ma anche infondato. Sotto il primo profilo deve sottolinearsi che il motivo, come proposto, viola il principio di autosufficienza, non essendo riportati in ricorso i primi tre motivi di appello proposti dal notaio La.; il che non consente neppure alla Corte di esaminare il motivo sotto il denunciato aspetto della novità della domanda. Peraltro, deve ritenersi anche infondato se – come è dato intuire – riguarda i profili di responsabilità evidenziati dagli attuali ricorrenti principali nei confronti della (OMISSIS) Banca s.p.a., posto che, come più sopra rilevato nell’esaminare i motivi del ricorso principale, gli stessi sul punto sono stati ritenuti infondati.
Con il secondo motivo denunciano la “‘Violazione dell’art. 1421 c.c., art. 1239 c.c., n. 7, artt. 2826, 2841 e 280 c.c. – art. 360 c.p.c., n. 3 e 4”. Rilevano di avere sollevato, sia pure solo nella comparsa conclusionale d’appello il rilievo che “i beni oggetto della rinnovazione sono stati identificati con il richiamo al comune di ubicazione (ed alle vie ove sono situati) nonché alle schede planimetriche e non già, invece, con riferimento, come imporrebbe l’art. 2826 c.c. al n. di foglio e di mappa; detta – insufficiente – descrizione del bene gravato dal vincolo comporterebbe, a norma del successivo art. 2841 c.c. l’invalidità dell’iscrizione, essendo incerta l’identità dei singoli beni, invalidità che, comportando la caducazione del vincolo, escluderebbe ogni ragione di danno per gli acquirenti degli immobili”.
Erroneamente, quindi, il giudice del merito ha ritenuto che “all’inesattezza della nota di trascrizione non consegue la nullità dell’iscrizione ipotecaria, in quanto tale rilevabile anche d’ufficio, ma piuttosto la sua inopponibilità al titolare del bene sul quale grava; in altri termini la irregolarità riscontrate – quand’anche sussistenti – opererebbero sul piano dell’efficacia e non già della validità, con la conseguenza che la relativa eccezione (in senso stretto) si palesa irrimediabilmente tardiva”. Contestano a tal fine la qualificazione della loro eccezione. Infatti – secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione – le incertezze rilevanti ex artt. 2839, 2826 e 2841 c.c. comportano l’invalidità dell’iscrizione; “il che è quanto dire la sua nullità. Naturalmente, da questa nullità deriva anche l’inopponibilità ai terzi; ma ciò non toglie che il vizio primigenio sia quello della nullità”.
Ne consegue che il giudice di merito aveva l’onere, ai sensi dell’art. 1421 c.c., di controllare d’ufficio la validità della rinnovazione dell’iscrizione ipotecaria, con la conseguenza che, se fosse stata accertata la nullità, nessuna ulteriore pronunzia avrebbe potuto essere resa, in particolare sui rapporti tra le ricorrenti principali e gli attuali ricorrenti incidentali. Il motivo è infondato.
I principi in tema di trascrizione sono finalizzati, in via principale, a dirimere il possibile conflitto fra più acquirenti dello stesso bene immobile o mobile registrato.
Ne consegue che all’eventuale inesattezza della nota di trascrizione – oggetto di un apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità – consegue soltanto l’inopponibilità nei confronti del terzo in buona fede, essendo la trascrizione, a tal fine, invalida (Cass. 22/04/1997 n. 3477). Correttamente, quindi, il giudice di merito ha ritenuto l’eccezione, sollevata soltanto nella comparsa conclusionale d’appello, tardiva. Con il quarto motivo denunciano l’Omesso esame di un punto decisivo – Violazione dell’art. 112 c.p.c. – art. 360 c.p.c., n. 3, 4 e 5″. Rilevano che la Corte di merito non ha esaminato la questione, sollevata dagli attuali ricorrenti incidentali, relativa al frazionamento dell’ipoteca che, ai sensi del D.P.R. n. 7 del 1976, art. 3, può essere oggetto di rinuncia del creditore ipotecario al diritto all’indivisibilità dell’ipoteca e perciò riconducibile ad un atto unilaterale.
Ed il frazionamento del mutuo e – conseguentemente dell’ipoteca – sia pure solo in via amministrativa altro non era che quell’atto unilaterale in cui giuridicamente consiste.
La questione è decisiva soprattutto nell’ipotesi di applicazione alla fattispecie del disposto del solo D.P.R. n. 7 del 1976, art. 3, comma 5. Infatti “se il frazionamento in via amministrativa è il consenso unilaterale previsto da tale norma, ogni problema circa la sussistenza dell’ipoteca sugli immobili delle ricorrenti è risolto in radice; ed in senso che, essendo pacifico che la quota frazionata di mutuo era stata pagata, anche l’ipoteca doveva ritenersi estinta”. Il motivo è infondato.
Come già rilevato, il diritto al frazionamento può essere affermato soltanto con riferimento ai contratti conclusi dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 385 del 1993, mentre per quelli conclusi in epoca anteriore è applicabile la norma del D.P.R. n. 7 del 1976, art. 3, che prevede la mera facoltà dell’istituto mutuante di
consentire il frazionamento, facoltà che nel caso di specie l’istituto di credito ha ritenuto, legittimamente, di non esercitare. Con il sesto motivo denunciano la “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e delle regole sulla ripartizione dell’onere della prova – Omesso esame di punto decisivo – Motivazione errata e contraddittoria sul punto decisivo art. 360 c.p.c., n. 3, 4 e 5”. Deducono che la Corte di merito è incorsa nella violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., nell’omettere l’esame di un punto decisivo della controversia e che la decisione non è adeguatamente motivata in ordine alla affermazione della responsabilità professionale del notaio.
Sostengono a tal fine che incombeva alle attuali ricorrenti principali provare – ciò che non è stato – la responsabilità del notaio, poiché l’obbligo di informazione cui era tenuto il notaio costituiva un obbligo accessorio.
Il motivo è infondato.
Correttamente, invece, il giudice del merito ha ritenuto che il mancato adempimento all’obbligo di informazione da parte del notaio integrasse un elemento essenziale della sua prestazione professionale ed il suo inadempimento costituisse violazione delle obbligazioni derivanti dal contratto di prestazione d’opera professionale, con la conseguenza che era onere dello stesso notaio dimostrare il corretto adempimento delle obbligazioni sullo stesso gravanti. Di ciò ha dato atto nella decisione impugnata rilevando che il notaio si era limitato a sostenere di avere “oralmente spiegato ai clienti gli effetti (non meglio precisati) della stipulazione mai negando però di averli dissuasi dalla stipulazione”.
Infatti, per il notaio richiesto della preparazione e stesura di un atto pubblico di trasferimento immobiliare, la preventiva verifica della libertà e disponibilità del bene e, più in generale, dei registri immobiliari attraverso la loro visura, costituisce, salvo espressa dispensa per concorde volontà delle parti, obbligo derivante dall’incarico conferitogli dal cliente e, quindi, fa parte dell’oggetto della prestazione d’opera professionale, poiché l’opera di cui è richiesto non si riduce al mero compito di accertamento della volontà delle parti, ma si estende a quelle attività preparatorie e successive necessaria perché sia assicurata la serietà e certezza dell’atto giuridico da rogarsi ed in particolare la sua attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico di esso e del risultato pratico voluto dalle parti dell’atto (Cass. 13/06/2002 n. 8470). Con il settimo motivo denunciano la “Violazione del principi in tema di responsabilità del notaio – Motivazione insufficiente e contraddittoria – art. 360 n. 3 e 5”.
Rilevano che la motivazione della sentenza impugnata è insufficiente e contraddittoria nella parte in cui riconosce la responsabilità del notaio nel non avere dissuaso i compratori dall’acquistare, poiché il notaio ha un rapporto professionale sia con gli acquirenti, sia con i venditori, con la conseguenza che una diversa condotta avrebbe potuto sollevare le rimostranze dei venditori.
Il motivo è infondato.
Va a tal fine sottolineato che, nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio dell’attività di notaio, il professionista è tenuto ad una prestazione che, pur rivestendo i caratteri dell’obbligazione di mezzi e non di risultato non può ritenersi circoscritta al compito di mero accertamento della volontà delle parti ed alla direzione della compilazione dell’atto, estendendosi, per converso, a tutte quelle ulteriori attività preparatorie e successive, funzionali ad assicurare la serietà e la certezza del rogito ed, in particolare, la sua attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico del negozio voluto dalle parti, con la conseguenza che l’inosservanza di tali obblighi accessori da luogo a responsabilità “ex contractu” per inadempimento dell’obbligazione di prestazione d’opera intellettuale, a nulla rilevando che la legge professionale non contenga alcun esplicito riferimento a tale peculiare forma di responsabilità (Cass. 28/01/2003 n. 1228). La Corte di merito ha fatto corretto uso di tali principi ponendoli alla base della propria decisione.
Conclusivamente entrambi i ricorsi vanno rigettati. Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio di Cassazione fra le parti.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese del giudizio di Cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 22 settembre 2005. Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2006