Ordinanza 26511/2022
Notificazione dell’atto di impugnazione presso lo studio di un difensore diverso da quello che rappresentava la parte – Inesistenza o nullità
L’inesistenza della notificazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. Tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, “ex lege”, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza della corte territoriale che aveva ritenuto inesistente, anziché nulla, la notifica dell’atto di appello presso lo studio di un difensore diverso da quello che effettivamente rappresentava la parte e presso il quale era stato eletto domicilio nel giudizio di primo grado).
Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 8-9-2022, n. 26511 (CED Cassazione 2022)
FATTI DI CAUSA
1. I dottori Ga. Or. Ar., Se. Ia. e Gr. Co. convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Catania, la Presidenza del Consiglio dei ministri e – assumendo di aver conseguito la specializzazione, rispettivamente, in urologia, fisioterapia e ortopedia e igiene e medicina preventiva, con immatricolazione per il primo nell’anno accademico 1979-1980, per la seconda negli anni accademici 1982-1983 e 1989-1990, e per la terza nell’anno accademico 1981-1982 – chiesero che fosse riconosciuto l’inadempimento dello Stato italiano in ordine al recepimento delle direttive comunitarie regolatrici delle scuole di specializzazione, con condanna al pagamento dell’adeguata retribuzione ovvero al risarcimento dei relativi danni, non avendo essi percepito alcun compenso per tale attività.
Si costituì in giudizio il convenuto, eccependo la prescrizione del diritto e chiedendo, nel merito, il rigetto della domanda.
Nel giudizio intervennero i dottori Sa. Ma. e Ma. Sa., i quali avanzarono analoghe domande in relazione alle specializzazioni da loro conseguite in reumatologia e ginecologia, cominciate negli anni accademici 1984-1985 e 1980-1981.
Intervennero, altresì, i dottori Gi. Gu. e Co. Cu., proponendo analoghe domande.
Il Tribunale accolse in parte le domande e condannò la Presidenza del Consiglio dei ministri al pagamento delle seguenti somme: al dott. Ar., euro 6.713,94; alla dottoressa Ia., euro 46.997,58; alla dottoressa Co., euro 13.427,88; al dott. Ma. euro 26.855,76 e alla dottoressa Sa. euro 6.713,94; il tutto col maggior danno ai sensi dell’art. 1224, secondo comma, cod. civ.; furono invece rigettate le domande degli altri medici.
2. La sentenza è stata impugnata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e la Corte d’appello di Catania, con sentenza del 13 giugno 2018, ha rigettato l’appello e ha compensato le spese del grado.
2.1. Ha osservato la Corte territoriale, per quanto di interesse in questa sede, che la sentenza di primo grado doveva ritenersi passata in giudicato in relazione alla dottoressa Sa.. L’atto di appello, infatti, era stato notificato al difensore della stessa, Avv. Ca., nel domicilio eletto a Catania, Viale (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. Ge.; mentre nel giudizio di primo grado ella aveva eletto domicilio a Catania, Via (OMISSIS), nello studio dell’Avv. Gi., presso l’Avv. Ca. dal quale era rappresentata e difesa. Data l’irrituale notifica dell’appello, la sentenza impugnata era ormai da considerare definitiva. Quanto al dott. Sa. Ma., l’appellante aveva sostanzialmente prestato acquiescenza alla sentenza, non avendo proposto alcuna richiesta di riforma della stessa.
2.2. Passando, poi, all’esame delle altre posizioni, la Corte etnea ha osservato che la questione posta nell’appello – relativa al fatto che le specializzazioni dei dottori Ar., Ia. e Co. avevano avuto inizio prima dell’anno 1982 – era da ritenere risolta in base alla sentenza 24 gennaio 2018, n. 616, della Corte di giustizia dell’Unione europea, la quale ha stabilito che ai medici specializzandi spetta l’equa remunerazione, a partire dal 10 gennaio 1983, anche se i corsi hanno avuto inizio in un anno accademico precedente. Sicché l’appello era da ritenere infondato nei confronti dei medici suindicati.
3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Catania propone ricorso la Presidenza del Consiglio dei ministri, con atto affidato a tre diverse censure relative alle singole posizioni dei medici.
Resistono i dottori Ar., Ia., Co. e Sa. con un unico controricorso affiancato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 156, 157, 160, 291, 330, 350 e 4 359 cod. proc. civ., sul rilievo che erroneamente la Corte di merito avrebbe dichiarato il passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale.
Il ricorrente rileva che il giudice di appello, anziché dichiarare l’irritualità (cioè l’inesistenza) della notifica dell’atto di appello, avrebbe dovuto dichiararne la nullità, disponendone perciò la rinnovazione ai fini dell’integrità del contraddittorio. Dopo aver confermato che la dottoressa Sa. era domiciliata in primo grado a Catania, Via (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. Gi., e difesa dall’avv. Ca., la Presidenza del Consiglio richiama la sentenza delle Sezioni Unite 20 luglio 2016, n. 14916, che ha distinto la categoria dell’inesistenza da quella della nullità della notifica. Esistendo, nella specie, l’atto di appello e sussistendo gli elementi necessari per rendere qualificabile l’atto come notificazione, il ricorrente sottolinea l’errore della Corte distrettuale e chiede che venga dichiarata la nullità della sentenza in relazione alla posizione della dottoressa Sa..
1.1. Il motivo è fondato.
Com’è noto, le Sezioni Unite di questa Corte hanno distinto la nullità della notifica dell’atto di impugnazione dall’inesistenza della medesima. Con la sentenza 20 luglio 2016, n. 14916, è stato stabilito che l’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. Tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, ex lege, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa.
In base a tale principio, al quale il Collegio odierno intende dare ulteriore continuità, la notifica della quale la Corte d’appello ha dichiarato l’inesistenza era, invece, una notifica nulla. Nella specie, infatti, la notifica dell’atto di appello era avvenuto presso il procuratore e difensore Avv. Ca., nel domicilio eletto a Catania presso l’Avv. Ge., a mani della segretaria; mentre la dottoressa Sa. aveva eletto domicilio a Catania, ma presso lo studio dell’Avv. Gi., dove era sito lo studio del suo effettivo difensore, l’Avv. Gi. Ca.. Ora non c’è dubbio che, pur essendo la notifica avvenuta presso un soggetto che nessun legame processuale aveva con la parte – com’è evidente per il fatto che la notifica ha avuto luogo presso lo studio di un diverso difensore – tuttavia tale notifica era da ritenere nulla, e non inesistente, sussistendo entrambi gli elementi indicati dalla citata sentenza delle Sezioni Unite.
Consegue da ciò che la Corte d’appello, lungi dal ritenere passata in giudicato la sentenza di primo grado (per l’inesistenza della notifica), avrebbe dovuto dichiarare la nullità della notifica dell’atto di appello e ordinarne la rinnovazione; per cui la sentenza deve essere cassata sul punto.
1.2. L’accoglimento del motivo, però, non giova alla parte ricorrente. Ritiene il Collegio, infatti, che sussistano tutti gli elementi di fatto idonei alla decisione della causa nel merito (art. 384, secondo comma, cod. proc. civ.).
Risulta dalla sentenza impugnata e dal ricorso che la dottoressa Sa., iscritta alla specializzazione in ginecologia e ostetricia nell’anno accademico 1980-1981, conseguì la relativa specializzazione in data 4 luglio 1984, al termine del prescritto periodo quadriennale. In suo favore il Tribunale di Catania ha riconosciuto la spettanza della somma di euro 6.713,94, pari ad un’annualità di corso, ai sensi dell’art. 11 della legge n. 370 del 1999 (lire tredici milioni).
La sussistenza o meno del diritto alla percezione degli emolumenti fissati dalla legge (in particolare l’art. 11 cit.) per i c.d. medici specializzandi a cavallo, cioè quei medici che hanno frequentato e positivamente concluso uno dei corsi di specializzazione riconosciuti in sede europea cominciando prima del 1982 e terminando in data successiva al 1° gennaio 1983, ha dato luogo ad un intenso contenzioso giurisprudenziale, che non occorre in questa sede ripercorrere per intero.
Giova invece osservare come, a conclusione di un lungo iter, a seguito della rimessione operata dalle Sezioni Unite di questa Corte con l’ordinanza interlocutoria 29 ottobre 2020, n. 23901, la Corte di giustizia dell’Unione europea si è pronunciata con la sentenza 3 marzo 2022 (in causa C-590/20), nella quale ha stabilito che l’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), e l’articolo 3, paragrafi 1 e 2, nonché l’allegato della direttiva 75/363/CEE del Consiglio, concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative per le attività di medico, come modificata dalla direttiva 82/76/CEE del Consiglio, del 26 gennaio 1982, devono essere interpretati nel senso che qualsiasi formazione a tempo pieno o a tempo ridotto come medico specialista, iniziata prima dell’entrata in vigore, il 29 gennaio 1982, della direttiva 82/76 e proseguita dopo la scadenza, il 10 gennaio 1983, del termine di trasposizione di tale direttiva, deve, per il periodo di tale formazione a partire dal 1 gennaio 1983 e fino alla fine della formazione stessa, essere oggetto di una remunerazione adeguata, ai sensi dell’allegato sopra citato, a condizione che la formazione in parola riguardi una specializzazione medica comune a tutti gli Stati membri ovvero a due o più di essi e menzionata negli articoli 5 o 7 della direttiva 75/362/CEE del Consiglio, del 16 giugno 1975, concernente il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli di medico e comportante misure destinate ad agevolare l’esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi.
Le Sezioni Unite di questa Corte, con la successiva sentenza 23 giugno 2022, n. 20278, hanno confermato il principio suindicato.
Ne consegue che la decisione del Tribunale di Catania è da ritenere corretta, perché ha riconosciuto che il diritto alla remunerazione di cui alle suindicate direttive sussiste anche per i medici che abbiano intrapreso il percorso della specializzazione anteriormente al 1982, a condizione che lo stesso si sia concluso successivamente al 10 gennaio 1983. E, facendo applicazione dei principi fissati dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale, ha ristretto il riconoscimento del diritto alla remunerazione ad un solo anno, perché evidentemente solo per quel limitato periodo la specializzazione conseguita dalla dottoressa Sa. era da intendere svolta in una data successiva al 10 gennaio 1983. L’interessata, d’altronde, non ha contestato la decisione in alcun modo, per cui sull’entità della somma dovuta non sussistono più ragioni di discussione.
Per cui, in ultima analisi, all’accoglimento del motivo di ricorso segue la cassazione della sentenza in parte qua e la decisione nel merito, con rigetto dell’appello e conferma della sentenza del Tribunale.
2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione delle direttive comunitarie n. 75/362, n. 75/363, n. 82/76 e n. 93/16 CEE, della legge n. 370 del 1999, dell’art. 117 Cost., dell’art. 1218 cod. civ. in relazione alla posizione dei dottori Ar., Co. e Sa..
Osserva la Presidenza del Consiglio che i citati dottori si sono immatricolati nei rispettivi corsi di specializzazione in data antecedente il 10 gennaio 1982 e, quindi, prima della scadenza del termine per il recepimento delle menzionate direttive. Non potrebbero valere, quindi, i principi della citata sentenza 24 gennaio 2018 della Corte UE, perché l’obbligo di provvedere all’adeguata remunerazione sarebbe scattato solo per i corsi cominciati nel 1982, e non prima. Di conseguenza, la ricorrente sostiene che ai citati dottori non spetterebbe alcuna remunerazione.
2.1. Il motivo non è fondato, per le ragioni che si sono già indicate a proposito del primo motivo in relazione alla dottoressa Sa..
La circostanza, riportata nel ricorso, in base alla quale il dott. Ar. aveva cominciato il suo percorso di specializzazione nell’anno accademico 1979-1980 e la dottoressa Co. nell’anno accademico 1981-1982 non muta i termini del problema, posto che la sentenza 24 gennaio 2018 della Corte di giustizia è da ritenere integrata e completata da quella del 2022 in precedenza richiamata. D’altra parte, al dott. Ar. è stata riconosciuta la somma di euro 6.713,94 (pari ad un solo anno di corso) e alla dottoressa Co. la somma di euro 13.427,88 (pari a due anni di corso), il che è del tutto coerente con i principi indicati dalla Corte di giustizia e dalle Sezioni Unite di questa Corte.
3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione delle direttive comunitarie n. 75/362, n. 75/363, n. 82/76 e n. 93/16 CEE, della legge n. 370 del 1999, dell’art. 117 Cost., dell’art. 1218 cod. civ. in relazione alla posizione della dottoressa Ia..
Rileva il ricorrente che la sentenza avrebbe erroneamente riconosciuto, in favore della stessa, il diritto alla remunerazione per la specializzazione in fisioterapia per l’intera durata del corso, e non solo a decorrere dal 10 gennaio 1983. Poiché il corso era cominciato nell’anno 1982, alla dottoressa Ia. sarebbe spettato il compenso solo a partire dal 10 gennaio 1983, fino alla sua conclusione. Ciò in linea con l’ormai pacifica giurisprudenza di legittimità, confermata dalla sentenza 18 luglio 2018, n. 19107, delle Sezioni Unite della Corte di cassazione. Le date dell’iscrizione sono pacifiche e risultano in atti, per cui il motivo sarebbe meritevole di accoglimento.
3.1. Il motivo non è fondato.
Le argomentazioni ivi contenute sono corrette in linea di principio, ma non si confrontano con la globalità delle argomentazioni fatte proprie dalla Corte d’appello. Dalla lettura della sentenza, infatti, risulta che la dottoressa Ia. conseguì due diverse specializzazioni, l’una in fisioterapia (a partire dall’anno accademico 1982-1983) e l’altra in ortopedia e traumatologia (a partire dall’anno accademico 1989-1990).
Ne consegue che, come correttamente rileva il controricorso, senza che la parte ricorrente ne abbia in alcun modo contestato il contenuto, alla citata dottoressa spettava il riconoscimento della remunerazione per entrambe le specializzazioni (v. sul punto l’ordinanza 25 luglio 2019, n. 20095), con esclusione del primo anno del corso di fisioterapia, evidentemente svoltosi in data antecedente il 1° gennaio 1983. Il che vuol dire un totale complessivo di sette anni, che è esattamente quanto i giudici di merito hanno riconosciuto.
4. In conclusione, sono rigettati il secondo e il terzo motivo di ricorso, mentre è accolto il primo.
La sentenza impugnata è cassata in relazione e la causa può essere decisa nel merito quanto alla dottoressa Ma. Sa., rigettando l’appello proposto dalla Presidenza del Consiglio dei ministri nei suoi confronti.
In considerazione delle numerose oscillazioni della giurisprudenza in materia e delle due diverse rimessioni alla Corte di giustizia dell’Unione europea, ritiene il Collegio che le spese del giudizio di cassazione debbano essere integralmente compensate; e tale compensazione vale anche, in relazione alla dottoressa Sa., per le spese del giudizio di appello.
P.Q.M.
La Corte rigetta il secondo e il terzo motivo di ricorso, accoglie il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione e, decidendo nel merito, rigetta l’appello proposto dalla Presidenza del Consiglio dei ministri nei confronti della dottoressa Ma. Sa..
Compensa integralmente le spese del giudizio di cassazione e, quanto alla dottoressa Ma. Sa., anche quelle del giudizio di appello.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 7 luglio 2022.