Sentenza 26724/2018
Patto occulto di maggiorazione del canone – Nullità insanabile
È nullo il patto con il quale le parti di un contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo concordino occultamente un canone superiore a quello dichiarato; tale nullità “vitiatur sed non vitiat”, con la conseguenza che il solo patto di maggiorazione del canone risulterà insanabilmente nullo, a prescindere dall’avvenuta registrazione.
Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 23-10-2018, n. 26724
FATTI DI CAUSA
- Con ricorso depositato il 20 ottobre 2010 Ar. Ri. s.n.c. di Ar. Mi. & C. adiva il Tribunale di Bologna chiedendo, quale conduttrice in contratto di locazione ad uso non abitativo stipulato con Ma. Pa. Di Ce. in data 2 aprile 2001, e per cui la locatrice il 9 dicembre 2009 aveva intimato disdetta per finita locazione, la condanna della locatrice a pagarle per vari titoli delle somme, tra i quali la somma di € 69.000 quale restituzione di parte del canone versata “in nero” e la metà della somma pagata per la tassa di registro.
La Di Ce. si costituiva, resistendo e chiedendo il rigetto di tutte le domande.
Con sentenza del 16 maggio 2012 il Tribunale accoglieva parzialmente le domande attoree, rigettando la domanda di restituzione della parte del canone versata “in nero” e della metà di quanto pagato per la tassa di registro, e compensava le spese.
Avendo Ar. Ri. s.n.c. presentato appello, ed essendosi controparte costituita resistendo, con sentenza del 24 luglio 2013 la Corte d’appello di Bologna rigettava il gravame.
- Ha presentato ricorso Ar. Ri. s.n.c. sulla base di quattro motivi.
2.1 n primo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.4 c.p.c., nullità della sentenza per violazione dell’articolo 112 c.p.c.: il giudice di merito avrebbe ritenuto che vi fosse simulazione relativa del contratto quanto alla determinazione del canone, ma ciò non sarebbe stato né addotto né eccepito dalle parti. Il ricorrente si sarebbe limitato a chiedere di dichiarare nullo ex articolo 79 I. 392/1978 l’accordo verbale di pagamento di una parte del canone (non indicata nel contratto scritto) “in nero”, e la sua controparte si sarebbe limitata a negare l’esistenza di tale pattuizione.
2.2 n secondo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione o falsa applicazione degli articoli 112 e 183, quarto comma, c.p.c.: la corte territoriale non avrebbe esaminato le ragioni di diritto proposte nell’appello sulla violazione del contraddittorio, non avendo le parti potuto svolgere compiutamente le difese sulla questione della simulazione, che il giudice avrebbe dovuto segnalare loro ex articolo 183, quarto comma, c.p.c., mentre se ne sarebbe occupato soltanto in sede decisoria.
2.3 Il terzo motivo, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 1414 c.c. e 79 I. 392/1978: quest’ultima norma sarebbe stata “svuotata” ritenendo che un patto aggiuntivo come quello in questione ai sensi di essa non sia nullo. L’articolo 79 si applica pure alle locazioni non abitative e tutela il contraente debole, cioè il conduttore. Il ricorrente è una società commerciale e non può fiscalmente detrarre il canone pagato “in nero”. Il reale scopo della locatrice nel caso in esame sarebbe stato quello di frodare il fisco, e l’accordo stipulato tra locatrice e conduttrice sarebbe quindi nullo anche per abuso del diritto sotto il profilo fiscale.
2.4 n quarto motivo, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 115, 116, 167 e 416 c.p.c. nonché 2697 c.c.
Il giudice di merito avrebbe respinto la domanda del rimborso del 50% dell’importo versato dalla ricorrente per la tassa di registro ritenendo non provato tale versamento; è vero che “non sono stati prodotti i versamenti” ma solo le richieste della locatrice, ma ciò sarebbe prova sufficiente in quanto la locatrice “ha preso posizione sulla specifica domanda solo in sede di memoria riassuntiva autorizzata” e perciò tardivamente, violando la preclusione del rito del lavoro, onde ex articolo 115 c.p.c. il giudice avrebbe dovuto ritenere non contestato il fatto.
Si è difesa con controricorso Ma. Pa. Di Ce.. La ricorrente ha depositato memoria.
Con ordinanza interlocutoria 24 ottobre 2016 la causa e stata rinviata a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite richiesta dall’ordinanza interlocutoria n. 16604/2016.
In data 9 ottobre 2017 è stata depositata la conseguente sentenza delle Sezioni Unite – n. 23601 appunto del 2017 – che ha enunciato i seguenti principi di diritto:
“(A) La mancata registrazione del contratto di locazione di immobili è causa di nullità dello stesso;
(B) Il contratto di locazione di immobili, quando sia nullo per (la sola) omessa registrazione, può comunque produrre i suoi effetti con decorrenza ex tunc, nel caso in cui la registrazione sia effettuata tardivamente;
(C) È nullo il patto con quale le parti di un contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo concordino occultamente un canone superiore a quello dichiarato; tale nullità vitiatur sed non vitiat, con la conseguenza che il solo fatto di maggiorazione del canone risulterà insanabilmente nullo, a prescindere dall’avvenuta registrazione”. A seguito del suddetto intervento delle Sezioni Unite la causa è stata poi discussa all’udienza pubblica dell’8 giugno 2018, in relazione alla quale la Di Ce. ha presentato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
- Il ricorso è parzialmente fondato.
3.1 La corte territoriale – è opportuno esporre in premessa – ha respinto l’appello proposto dall’attuale ricorrente affermando che il primo giudice aveva “correttamente motivato la ingiustificata richiesta della conduttrice di restituzione della somma richiesta a titolo di integrazione cosiddetta in “nero” del canone richiamando la consolidata giurisprudenza del Supremo Collegio in materia di interpretazione dell’art. 79 legge sull’equo canone” per cui nei contratti di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso dall’abitazione l’ammontare del canone è rimesso alla libera determinazione delle parti, avendone il legislatore limitato l’autonomia contrattuale esclusivamente quanto all’aggiornamento del canone e all’entità del deposito cauzionale ai sensi degli articoli 32, 11 e 41 I. 392/1978, onde soltanto la pretesa di somme ulteriori rispetto a quella originariamente pattuita incorre nella sanzione di nullità ex articolo 79 I. 392/1978. Quindi il Tribunale correttamente avrebbe “ritenuto che la pattuizione contestuale all’accordo scritto (come nella fattispecie è risultato provato e non contestato) di corrispondere un’ulteriore somma a titolo di canone” integra un’ipotesi di simulazione relativa del contratto riguardo alla misura del corrispettivo, che non sarebbe nulla ex articolo 79. Pertanto la corte territoriale ribadisce l’assenza di nullità nell’ “accordo tra le parti contemporaneo ed ulteriore relativo alla determinazione di un canone locativo più elevato rispetto a quello risultante dal contratto scritto e registrato”, in particolare richiamando, come una fra le tante, Cass. sez. 3, 9 febbraio 2007 n. 2901 (“In materia di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da abitazione, l’ammontare del canone è rimesso alla libera determinazione delle parti, avendo il legislatore limitato l’autonomia contrattuale solamente in relazione all’aggiornamento del canone medesimo e all’entità del deposito cauzionale (artt. 32, 11 e 41 legge n. 392 del 1978), sicché soltanto la pretesa di somme ulteriori rispetto a quella originariamente pattuita incorre nella sanzione di nullità prevista dall’art. 79 legge n. 392 del 1978, in quanto volta ad attribuire al locatore veri e propri aumenti del canone), relativa proprio a un caso in cui questa Suprema Corte aveva confermato una pronuncia di merito che aveva escluso la nullità di un iniziale complessivo accordo in ordine al canone come composto da quanto stabilito nel contratto e altresì da quanto stabilito in una contemporanea “scrittura integrativa”.
Da ciò poi la corte territoriale ha desunto l’infondatezza dell’ulteriore motivo d’appello per cui vi sarebbe stata violazione dell’articolo 112 c.p.c. avendo il primo giudice fondato la decisione su un’eccezione di simulazione relativa del contratto che nessuna parte avrebbe sollevato: ritiene la corte che non vi sia stata discrasia di corrispondenza tra il chiesto il pronunciato essendo stata la decisione impugnata fondata semplicemente su “principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti”. E su questo, come si è visto, sono stati poi incardinati il primo e il secondo motivo del ricorso per cassazione.
3.2 È agevole quindi constatare che i primi tre motivi devono essere vagliati congiuntamente e che la sostanza del terzo include, nel caso di suo accoglimento, l’assorbimento dei primi due.
E il terzo motivo risulta fondato proprio in forza delle attese Sezioni Unite. S.U. 9 ottobre 2017 n. 23601, infatti, afferma, quale terzo principio di diritto, la nullità del patto con cui le parti di un contratto locatizio ad uso non abitativo “concordino occultamente un canone superiore a quello dichiarato; tale nullità vitiatur sed non vitiat, con la conseguenza che il solo fatto di maggiorazione del canone risulterà insanabilmente nullo, a prescindere dall’avvenuta registrazione” (conforme, tra gli arresti massimati, Cass. sez. 3, 2 marzo 2018 n. 4922).. È stata pertanto abbandonata – portando all’assoluta fondatezza il terzo motivo del ricorso – la precedente e prevalente interpretazione restrittiva, che confinava la nullità alle modifiche “in corso d’opera”, ovvero durante la vita del negozio quale contratto di durata, esimendone la conformazione originaria del canone che – con evidente ripercussione fiscale – venisse ad essere composto di una quota “in nero”. Non essendo più configurabile, quindi, nell’accordo determinante un surplus nascosto del canone alcuna simulazione, bensì cadendo tale accordo in una piena nullità, ogni questione sollevata in ordine alla simulazione dal primo e dal secondo motivo risulta assorbita.
3.3 Il quarto motivo sostiene l’applicazione dell’articolo 115 c.p.c. per avere solo tardivamente la controparte contestato la domanda di ripetizione del 50% dell’importo versato dall’attuale ricorrente a titolo di tassa di registrazione.
Il motivo non è dotato di una congrua autosufficienza in quanto si basa su un generico rinvio ai “docc.4-7 del fascicolo di parte ricorrente di primo grado” (ricorso, pagina 23), senza nulla al riguardo specificare. E pure nella premessa in fatto non emerge alcuna specificità in tema. Anzi, al contrario, vi si espone che la Di Ce. “si costituiva in giudizio… contestando la tesi attorea e chiedendo in via principale il rigetto delle domande proposte” dalla controparte (ricorso, pagina 2), così da rendere del tutto ragionevole affermare che la Di Ce. aveva effettivamente contestato la domanda di ripetizione.
Il motivo, dunque, patisce inammissibilità ai sensi dell’articolo 366, primo comma, n.6 c.p.c.
In conclusione, del ricorso deve essere accolto il terzo motivo, con assorbimento conseguente del primo e del secondo, mentre deve essere dichiarato inammissibile il quarto; la sentenza impugnata va quindi cassata in relazione con rinvio alla stessa corte territoriale, in diversa composizione, anche per le spese.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo del ricorso, assorbiti il primo e il secondo, dichiara inammissibile il quarto, cassa in relazione con rinvio alla Corte d’appello di Bologna anche per le spese.
Così deciso in Roma 1’8 giugno 2018