Ordinanza 2682/2022
Usucapione – Interruzione e sospensione – Effettiva conoscenza del possesso da parte del preteso danneggiato – Esclusione
In tema di usucapione, ai fini della qualificazione del possesso come non clandestino, è sufficiente che esso sia stato acquistato ed esercitato pubblicamente, cioè in modo visibile e non occulto, così da palesare l’animo del possessore di volere assoggettare la cosa al proprio potere, senza che sia necessaria l’effettiva conoscenza da parte del preteso danneggiato. La clandestinità ricorre, infatti, quando l’azione sia sottratta alla conoscenza dell’interessato in modo da impedirne la reazione ed il ricorso ai rimedi di legge. (CED Cassazione 2022)
Elementi costitutivi dell’usucapione – Coltivazione del fondo
Ai fini della prova degli elementi costitutivi dell’usucapione – il cui onere grava su chi invoca la fattispecie acquisitiva – la coltivazione del fondo non è sufficiente, perché, di per sé, non esprime, in modo inequivocabile, l’intento del coltivatore di possedere, occorrendo, invece, che tale attività materiale, corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da univoci indizi, i quali consentano di presumere che essa è svolta uti dominum.
Cassazione Civile, Sezione 2, Ordinanza 28-1-2022, n. 2682
Art. 1158 cc (Usucapione di beni immobili e dei diritti reali immobiliari) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Bari ha confermato la decisione del Tribunale della stessa città, con la quale era stata accertata, in favore di Sp. Ce., l’usucapione di particelle di proprietà del Comune di Conversano, il quale propone ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.
Sp. Ce. rimane intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 822, comma 2, e dell’art. 826 c.c.
Si sostiene che la Corte d’appello di Bari non avrebbe considerato che le aree per le quali è stato accertato l’acquisto della proprietà per usucapione erano state espropriate in quanto erano state inserite nel piano regolatore generale per gli insediamenti produttivi della zona annonaria.
In particolare, la Corte d’appello non avrebbe considerato che il vincolo di destinazione sulle aree in contesa rendeva le stesse assoggettabili al regime demaniale e, dunque, non suscettibili di usucapione. Il motivo è infondato. In base all’art. 826, comma 3, c.c., fanno parte del patrimonio indisponibile pubblico quei beni che siano comunque destinati a consentire lo svolgimento di un pubblico servizio.
I beni del patrimonio indisponibile sono da distinguere da quello del demanio in senso proprio in quanto questi ultimi debbono rivestire i caratteri di stretta analogia con beni enumerati nell’art. 822 c.c., e sono destinati a soddisfare una pubblica utilità in modo diretto e immediato, mentre appartengono invece alla categoria del patrimonio indisponibile tutti quegli altri beni che sono sottoposti a un uso pubblico soltanto mediato e meramente strumentale, in connessione alle esigenze del pubblico servizio a cui sono destinati (Cass. n. 2162/1943).
Questa Corte ha affermato che un bene, in tanto può considerarsi appartenente al patrimonio indisponibile per essere destinato a pubblici servizi a norma del terzo comma dell’art 826 c.c., in quanto abbia un’effettiva destinazione a quel servizio, non essendo sufficiente la determinazione dell’ente pubblico di imprimere al bene il carattere di patrimonio indisponibile (Cass. n. 652/1974). In altre parole, affinché un bene non appartenente al demanio necessario possa rivestire il carattere pubblico proprio dei beni patrimoniali indisponibili, in quanto destinati a un pubblico servizio ai sensi dell’art. 826, comma 3, c.c., deve sussistere il doppio requisito (soggettivo e oggettivo) della manifestazione di volontà dell’ente titolare del diritto reale pubblico (e, perciò, un atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell’ente di destinare quel determinato bene a un pubblico servizio) e dell’effettiva e attuale destinazione del bene al pubblico servizio (Cass. S.U., n. 26990/2020; n. 26990/2020; n. 26402/2009).
In contrasto con questi principi, il Comune ricorrente identifica la destinazione dell’area al pubblico servizio nel solo fatto che essa fu espropriata al fine della realizzazione di un piano di insediamento produttivo. È stato invece chiarito che non c’è automatismo fra l’atto amministrativo e l’insorgere del vincolo di destinazione (cfr. Cass. n. 24563/2010).
La censura, pertanto, sotto questo essenziale profilo, non scalfisce la correttezza della decisione impugnata, avendo la Corte d’appello considerato come fatto acquisito l’assenza dell’attuale destinazione del terreno a un pubblico servizio. Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 1163 c.c. La sentenza è oggetto di censura nella parte in cui la Corte d’appello ha ritenuto che ricorresse il requisito della pubblicità del possesso, nonostante l’interclusione del fondo. Si sostiene che non è pubblico il possesso esercitato su particelle intercluse, qualora l’accesso non sia consentito tramite servitù di passaggio.
Il motivo è infondato.
In tema di usucapione, ai fini della qualificazione del possesso come non clandestino, e sufficiente che esso sia stato acquistato ed esercitato pubblicamente, cioè in modo visibile e non occulto, cosi da palesare l’animo del possessore di volere assoggettare la cosa al proprio potere senza che sia necessaria l’effettiva conoscenza da parte del preteso danneggiato (Cass. n. 2800/1979).
È stato anche chiarito che il requisito della non clandestinità va riferito non agli espedienti che il possessore potrebbe attuare per apparire proprietario, ma al fatto che il possesso sia stato acquistato ed esercitato pubblicamente, cioè in modo visibile a tutti o almeno ad un’apprezzabile ed indistinta generalità di soggetti e non solo dal precedente possessore o da una limitata cerchia di persone che abbiano la possibilità di conoscere la situazione di fatto soltanto grazie al proprio particolare rapporto con quest’ultimo (Cass. n. 11465/2021).
L’accertamento relativo alla qualificazione del possesso ed alla determinazione del decorso del tempo utile al verificarsi dell’usucapione è devoluto al giudice del merito ed il relativo apprezzamento è incensurabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici (Cass. n. 26633/2021).
Ora, la sentenza impugnata non rivela errori nell’identificazione della nozione di clandestinità, che ricorre quando l’azione sia tale da tale da sottrarsi alla conoscenza dell’interessato, in modo da impedirne la reazione e il ricorso ai rimedi di legge (Cass. n. 346/1967). Invero, la pretesa del ricorrente, di far discendere la clandestinità dalla interclusione del fondo (negata in fatta dalla Corte d’appello), costituisce petizione di principio.
Il terzo motivo denuncia l’erronea valutazione circa la sussistenza del possesso utile per l’usucapione, che non è integrato, nel caso di terreni agricoli, dalla semplice coltivazione del terreno.
Il motivo è fondato. L’assunto fatto proprio dalla Corte d’appello di Bari, la quale ha riconosciuto, sufficiente, ai fini della prova del possesso utile per l’usucapione, la coltivazione del fondo, contrasta, infatti, con il recente orientamento della seconda sezione civile di questa Corte, secondo cui «ai fini della prova degli elementi costitutivi dell’usucapione – il cui onere grava su chi invoca la fattispecie acquisitiva – la coltivazione del fondo non è sufficiente, perché, di per sé, non esprime, in modo inequivocabile, l’intento del coltivatore di possedere, occorrendo, invece, che tale attività materiale, corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da univoci indizi, i quali consentano di presumere che essa è svolta uti dominum (così Cass. n. 17376/18; conformi Cass. n. 18215/13).
Tale più recente orientamento è stato condiviso da Cass. n. 6123 del 2020, con la significativa precisazione che l’accertamento del coipuspossessionis è accertamento di fatto, che il giudice di merito deve operare caso per caso/esaminando l’intero reticolo dei poteri concretamente esercitati su un bene; cosicché nel relativo apprezzamento non ci si può limitare a considerare l’attività di chi si pretende possessore (nella specie, la coltivazione del fondo) ma è necessario considerare anche il modo in cui tale attività si correla con il comportamento del proprietario.
La sentenza, pertanto, deve essere cassata in relazione a tale motivo e la corte di rinvio dovrà accertare la esistenza del possesso utile per l’usucapione attenendosi al principio di cui sopra. Il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 1158 c.c.
Le particelle, per le quali è stata domandata l’usucapione, non esistevano prima del 2001, allorquando furono individuate e frazionate; quindi, al momento della proposizione della domanda, nel 2011, non era decorso il tempo occorrente per l’acquisto a titolo originario del diritto.
Il motivo è infondato. Qualora con sentenza sia accertata l’usucapione di un immobile, l’omessa indicazione dei dati catastali nel dispositivo o nella motivazione non si risolve in un vizio della pronuncia per indeterminatezza dell’oggetto, ove dalla stessa risultino certe l’individuazione e la consistenza del bene, atteso che l’identificazione catastale è richiesta al fine di consentire la trascrizione che non ha alcuna efficacia sostanziale, adempiendo alla limitata funzione di rendere l’atto opponibile ai terzi in caso di conflitto tra più acquirenti del medesimo immobile (Cass. n. 16853/2005).
Consegue da quanto sopra che, sul piano sostanziale, ben può configurarsi il possesso utile per usucapione di una porzione priva di identificazione catastale autonoma, in quanto parte di una più ampia consistenza.
Il quinto motivo denuncia violazione del d.m. 55 del 2015 e dell’art. 15 c.p.c.
La causa, riguardante beni immobili, non era di valore indeterminabile, ma occorreva applicare l’art. 15 c.p.c.
Il motivo è assorbito. In conclusione è accolto il terzo motivo, sono rigettati il primo, il secondo e il quarto motivo, è assorbito il quinto.
La sentenza deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata alla Corte d’appello di Bari in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il terzo motivo; rigetta il primo, il secondo e il quarto motivo; dichiara assorbito il quinto motivo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte d’appello di Bari in diversa composizione anche per le spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 19 ottobre 2021