Ordinanza 26888/2023
Giudizio di appello – Trasferimento di domanda nei confronti di un soggetto diverso non avente causa dall’originario convenuto – Domanda nuova – Inammissibilità – Soggetto già presente nel processo – Rilevanza – Esclusione
Non è ammissibile il trasferimento di una domanda, rivolgendola nei confronti di persona diversa rispetto all’originario convenuto e non avente causa da quest’ultimo (e, dunque, al di fuori delle ipotesi dell’art. 110 c.p.c. o dell’art. 111, commi 2 e 3, c.p.c.), in quanto comporta l’introduzione di una domanda nuova, senza che assuma rilievo la circostanza che il differente destinatario sia presente nel processo, non essendo comunque parte in rapporto all’originaria domanda. (Principio affermato in relazione a fattispecie in cui la parte, dopo aver proposto in primo grado, in via principale, una domanda volta alla declaratoria di nullità di due contratti con condanna delle controparti contrattuali al risarcimento danni e, in via subordinata, una domanda volta all’accertamento della responsabilità precontrattuale anche di un terzo soggetto, in appello aveva rivolto la domanda principale anche nei confronti di quest’ultimo, il quale, peraltro, non era stato parte di tali contratti).
Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 20/09/2023, n. 26888 (CED Cassazione 2023)
Art. 345 cpc (Domande ed eccezioni nuove nel giudizio di appello)
Rilevato che:
Per quanto qui interessa, (OMISSIS) nel 2009 conveniva
davanti al Tribunale di Roma (OMISSIS) SGR S.p.A., (OMISSIS) S.A. e
(OMISSIS), chiedendo che fossero dichiarati nulli il contratto di
collocamento stipulato da lui con (OMISSIS) e il contratto di assicurazione stipulato da
lui con (OMISSIS), con conseguente condanna delle due società convenute a
corrispondergli, a titolo di restituzione o di risarcimento, la somma di euro
1.276.778,18 oltre interessi e rivalutazione dall’esborso; chiedeva altresì in
subordine di accertare il grave inadempimento delle convenute per violazione
della normativa finanziaria e assicurativa nel collocamento della polizza che egli
aveva stipulato con (OMISSIS) e nella gestione del sottostante fondo, “disponendo la
risoluzione” dei due contratti di cui in tesi aveva chiesto di dichiarare la nullità,
con condanna delle due società a corrispondergli la medesima somma indicata
come restituzione o risarcimento in conseguenza della dichiarazione di nullità;
in ulteriore subordine, chiedeva di pronunciare ai sensi degli articoli 1394 s.s.
c.c. l’annullamento degli stessi due contratti con condanna delle due società a
corrispondergli la stessa somma; in estremo subordine, chiedeva di accertare la
responsabilità precontrattuale, contrattuale o extracontrattuale di tutti i
convenuti per violazione di obblighi di informazione e di comportamento e
conseguentemente di condannarli in solido a risarcire il danno nella misura di
euro 580.000 o nella misura diversa di giustizia, “oltre a interessi e rivalutazione
… dall’esborso”.
I convenuti si costituivano, resistendo.
Durante il giudizio, (OMISSIS) veniva messa in liquidazione coatta amministrativa; ne
conseguiva l’interruzione, per cui (OMISSIS) riassumeva soltanto nei confronti
di (OMISSIS) e (OMISSIS), concludendo nel senso di chiedere la dichiarazione di nullità
del contratto di assicurazione stipulato tra lui e (OMISSIS) con conseguente condanna
di quest’ultima a corrispondergli la somma di euro 1.276.778,18; in subordine,
accertare il grave inadempimento dei due convenuti per violazione della
normativa finanziaria e assicurativa nel collocamento della polizza che egli aveva
stipulato con (OMISSIS) e nella gestione del sottostante fondo, “disponendo la
risoluzione” del contratto di assicurazione con condanna delle controparti a
corrispondergli la suddetta somma; in ulteriore subordine, dichiarare ai sensi
degli articoli 1394 s.s. c.c. l’annullamento del contratto di assicurazione con
condanna dei convenuti a corrispondergli la stessa somma; in estremo
subordine, accertare la responsabilità precontrattuale, contrattuale o
extracontrattuale dei due convenuti per violazione di obblighi di informazione e
di comportamento e conseguentemente di condannarli in solido a risarcire il
danno nella misura di euro 580.000 o nella misura diversa di giustizia, “oltre a
interessi e rivalutazione … dall’esborso”.
Il Tribunale, con sentenza n. 17118/2014, rigettava ogni domanda compensando
le spese.
(OMISSIS) proponeva appello principale; (OMISSIS) e (OMISSIS) proponevano appello
incidentale sulla compensazione delle spese.
Con nota depositata il 5 marzo 2019 (OMISSIS) dichiarava di avere concluso
transazione con (OMISSIS), che gli liquidava la polizza al valore (risultante dal
rendiconto del 28 febbraio 2019) di euro 1.082.809,14 e gli versava altresì la
somma di euro 150.000; chiedeva dichiararsi la cessazione della materia del
contendere.
All’udienza del 6 marzo 2019 (OMISSIS) dava atto della transazione e chiedeva
dichiararsi la cessazione della materia del contendere; (OMISSIS) dichiarava di
voler proseguire la lite avverso (OMISSIS), nei cui confronti concludeva chiedendo
di accertarne il grave inadempimento per violazione della normativa finanziaria
e assicurativa nel collocamento della polizza, con conseguente condanna al
risarcimento del danno, pari a interessi legali e rivalutazione da calcolare
sull’intero capitale investito e a decorrere dal versamento dei relativi premi, o
comunque condanna alla diversa somma di giustizia; in subordine, accertare la
responsabilità precontrattuale, contrattuale, extracontrattuale del (OMISSIS) per
inadempimento degli obblighi di informazione e di comportamento con
conseguente identica condanna.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 28 gennaio 2020, ha dichiarato
cessata la materia del contendere tra (OMISSIS) e (OMISSIS), rigettato l’appello
principale nei confronti di (OMISSIS), rigettava l’appello incidentale proposto da
quest’ultimo e condannato (OMISSIS) a rifondergli le spese di lite.
È il caso fin d’ora di riassumere il contenuto della sentenza della corte territoriale.
La corte perviene al rigetto dell’appello principale – ridottosi a quello nei
confronti di (OMISSIS) nell’ultima versione – disattendendolo sotto più profili.
In primis, “la domanda è nuova”, come risultante dal raffronto con le conclusioni
di primo e secondo grado, onde sarebbe incorsa nell’inammissibilità ex articolo
345 c.p.c.
In secondo luogo, la domanda riguarderebbe sostanzialmente interessi e
rivalutazione del capitale investito; la domanda degli interessi però non sarebbe
proponibile indipendentemente dalla domanda riguardante la obbligazione
principale, mentre qui le domande di nullità e di risoluzione del contratto
sarebbero state abbandonate e, “quanto al risarcimento da inadempimento”,
(OMISSIS) riconoscerebbe di avere ricevuto l’ulteriore importo risarcitorio di euro
150.000 “senza precisare quale frazione di debito sarebbe rimasta in ipotesi non
soddisfatta”.
Ancora, (OMISSIS) sosterrebbe che (OMISSIS) e (OMISSIS) “abbiano concorso” a
causare il danno: di qui la responsabilità solidale ai sensi dell’articolo 2055 c.c.,
e quindi si argomenta sul riflesso della transazione sulla posizione del
condebitore solidale e sulla possibile fruizione ex articolo 1304, primo comma,
c.c. per la dichiarazione di volerne profittare, rilevando che però (OMISSIS) e
(OMISSIS) non “hanno ritualmente prodotto la transazione”, il che non consente a
(OMISSIS) l’esercizio dei diritti del condebitore solidale né consente alla corte
territoriale “di conoscere i termini dell’accordo”, di interpretarlo e di verificare
che (come affermato da (OMISSIS) in conclusionale) si sia specificamente
stabilito che la transazione non riguarda l’intero debito, ma solo “la posizione e
la pretesa quota di debito” di (OMISSIS) “con espressa esclusione della posizione e del
debito” di (OMISSIS). Pertanto estraneo al contraddittorio o comunque
inesaminabile sarebbe il “documento allegato alla memoria di replica” di
(OMISSIS) perché datato 4 marzo 2019, cioè prima della precisazione delle
conclusioni, per cui avrebbe potuto essere depositato entro tale precisazione.
(OMISSIS) ha presentato ricorso basato su due motivi, da cui (OMISSIS) si difende
con controricorso.
Il ricorrente e il controricorrente hanno depositato memoria.
Considerato che:
1. Con il primo motivo si denuncia, ex articolo 360, primo comma, nn. 3 e 4
c.p.c., violazione dell’articolo 345 c.p.c. per avere il giudice d’appello ritenuta
inammissibile come nuova la domanda di risarcimento dei danni “promossa in
appello”.
1.1 Si raffronta la domanda di accertamento di grave inadempimento di (OMISSIS) e
(OMISSIS) in ordine alla violazione della normativa finanziaria e assicurativa nel
collocamento della polizza e nella gestione del fondo sottostante, chiedendo
pertanto la risoluzione del contratto di assicurazione con conseguente condanna
a corrispondere la somma di euro 1.276.778,18, con la domanda “emendata”
nelle conclusioni d’appello, cioè accertare il grave inadempimento di (OMISSIS)
per violazione della normativa finanziaria e assicurativa nel collocamento della
polizza, con conseguente condanna al risarcimento del danno, pari a interessi
legali e rivalutazione da calcolare sull’intero capitale investito e a decorrere dal
versamento dei relativi premi, o comunque condanna alla diversa somma di
giustizia. Tra le due domande sussisterebbe soltanto una mera differenza sul
piano soggettivo per la intervenuta rinuncia alla domanda nei confronti di (OMISSIS) e
sul piano oggettivo per la differenza del quantum (cioè la sua riduzione). Ad
avviso del ricorrente tali modifiche “si limitano correttamente a recepire la
sopravvenuta transazione”, per cui non sussiste la mutazione vietata dall’articolo
345 c.p.c.
Si invoca poi giurisprudenza sulla inscindibilità pro quota della domanda
originariamente presentata per la totalità (Cass. 24597/2019).
1.2 Inoltre si sostiene che il giudice d’appello aggiunge una “incidentale ed
extravagante affermazione” per cui una domanda per i soli interessi non sarebbe
proponibile indipendentemente dall’obbligazione principale. Ciò sarebbe
inconferente: la domanda, come ridotta in appello nei confronti del solo
(OMISSIS), non avrebbe ad oggetto “i soli accessori di un capitale mai richiesto”,
bensì “un risarcimento del danno quantificato <<in misura pari ad interessi e
rivalutazione … da calcolarsi sull’intero capitale investito>>”. Quindi l’ “intero
capitale investito” sarebbe stato “il parametro principale della quantificazione
risarcitoria”, il danno subito dal ricorrente dovendosi risarcire anzitutto con il
rimborso di una somma pari a esso; inoltre, per “attualizzare il danno”, su ciò
andavano calcolati interessi e rivalutazione.
Perciò il quantum damni originariamente chiesto ai due convenuti in solido era
composto da una somma corrispondente all’intero capitale investito e da
interessi e rivalutazione. Sulla somma corrispondente all’intero capitale investito
il ricorrente “risultava di fatto … ristorato a seguito della transazione” con (OMISSIS);
restava dunque il suo credito di interessi e rivalutazione nei confronti dell’unico
altro coobbligato solidale.
1.3 Il motivo si conclude chiedendo la formulazione di un principio di diritto per
cui ex articolo 345 c.p.c. è consentito al creditore che transige con un
condebitore durante il giudizio di modificare l’originaria domanda solidale
proposta avverso i convenuti in una domanda che, fondandosi sul medesimo
titolo, sia diretta ad ottenere la condanna pro quota del restante condebitore.
2. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’articolo 360, primo comma,
nn. 3 e 4 c.p.c., violazione degli articoli 1304 e 2055 c.c., violazione degli articoli
115 c.p.c. e 2734 c.c., violazione degli articoli 112 c.p.c. e 2697 c.c. nonché dei
principi di allegazione e prova e dei limiti del potere officioso; si denuncia altresì,
in relazione all’articolo 360, primo comma, n.4 c.p.c., violazione dell’articolo 132
c.p.c. per motivazione perplessa e apparente; e ancora, si denuncia, in relazione
all’articolo 360, primo comma, n.5 c.p.c., omesso esame di fatto decisivo, cioè
la non contestazione del contenuto della transazione.
Come già preavvisa l’eterogenea rubrica, il motivo è assai esteso (pagine 17-35
del ricorso) per sostenere anzitutto che, dopo avere qualificato inammissibile la
domanda in punto di rito, la corte territoriale l’avrebbe rigettata nel merito, il
che sarebbe inammissibile.
Si riporta poi un passo della motivazione (pagine 18-19 del ricorso) ravvisandovi
“errori giuridici” riguardo all’articolo 1304 c.c., invocando pure gli articoli 2055
c.c., 115 c.p.c. e 2734 c.c. sul profittamento della transazione da parte dei
coobbligati non transigenti. Si sostiene che sarebbe stato onere non del
ricorrente, bensì di (OMISSIS) produrre copia della transazione ai fini dell’articolo
1304 c.c., e si osserva che, vista la dichiarazione di fruirne emessa da (OMISSIS)
in conclusionale, lo stesso ricorrente l’ha comunque prodotta in replica
(commentando: “e quando altrimenti?”).
La Corte d’appello avrebbe compiuto due “gravissimi errori”: non avrebbe tenuto
conto del rilievo della non contestazione di (OMISSIS) del contenuto della
transazione e altresì avrebbe violato contraddittorio e diritto di difesa non
ammettendo poi la produzione di copia della transazione di (OMISSIS). La sua
motivazione sarebbe pertanto incomprensibile.
Inoltre si argomenta ampiamente sul debito che avrebbe (OMISSIS) verso il
ricorrente e in ordine all’articolo 1304 c.c., per affermare che, considerata la
ripartizione degli oneri di allegazione e di prova, sarebbe spettato a (OMISSIS)
allegare e provare la decurtazione e la sua misura; comunque lo stesso
ricorrente avrebbe decurtato in misura corretta.
3. I due motivi, alquanto eterogenei (soprattutto il secondo), sono
sufficientemente comprensibili e valutabili in modo congiunto.
3.1 (OMISSIS), come emerge dall’illustrazione dei fatti da lui offerta nel ricorso
(ove per evidente lapsus calami viene definito “l’Appellante”: ricorso, pagina 3),
aveva nel 2006 stipulato due contratti: il contratto di collocamento di una polizza
“unit linked” di (OMISSIS), stipulato da lui con (OMISSIS); il contratto di assicurazione
relativo a tale polizza, stipulato da lui con (OMISSIS). Per quel che il ricorrente stesso
evidenzia nella illustrazione appunto dei fatti, (OMISSIS) non è stato parte di
nessuno dei due contratti, bensì ha svolto attività di promotore finanziario; egli
era all’epoca anche presidente e amministratore delegato di (OMISSIS), ma ciò,
ovviamente, non significa che il contratto di collocamento che l’attuale ricorrente
dichiara di avere stipulato con (OMISSIS) – che era società di capitali – sia stato
stipulato (anche) con lui.
(OMISSIS) e (OMISSIS) possono semmai avere stipulato tra di loro un altro
contratto, come parrebbe evincibile dalla domanda presentata in estremo
subordine in primo grado, cioè la domanda di accertare la responsabilità
precontrattuale, contrattuale o extracontrattuale di tutti i convenuti. Tuttavia, è
indiscutibile proprio per l’inequivoca formulazione della domanda in tesi, rispetto
alla quale tutte le altre sono infatti subordinate, che il contratto di collocamento
è stato stipulato tra (OMISSIS) e (OMISSIS) e che il contratto di assicurazione è stato
stipulato tra (OMISSIS) e (OMISSIS).
Nelle conclusioni originarie, dunque, in tesi (OMISSIS) chiede che sia dichiarata
la nullità del contratto di collocamento e del contratto di assicurazione, con
conseguente condanna delle due società convenute, a titolo di restituzione o di
risarcimento, di corrispondergli una sorte – euro 1.277.778,18 – nonché interessi
e rivalutazione a decorrere da quando ne avvenne l’esborso. Lo stesso petitum
viene presentato nella seconda domanda – la prima in subordine – che chiede la
risoluzione dei due contratti, come conseguenza di tale dichiaranda risoluzione.
Identico petitum si ripresenta nella terza domanda – quella in ulteriore subordine
– di annullamento dei due contratti, sempre come conseguenza
dell’annullamento stesso.
In quella che viene definita come presentata in estremo subordine, invece, il
quadro cambia: mentre nelle domande precedenti la condanna si chiedeva nei
confronti delle “convenute”, cioè nei confronti delle due società, e per una sorte
corrispondente evidentemente a quanto (OMISSIS) aveva versato in quella che
era stata – da quanto risulta sia nel ricorso, sia nella sentenza – una operazione
di investimento, nella domanda proposta in estremo subordine si chiede la
condanna di tutti i convenuti, per responsabilità precontrattuale, contrattuale o
extracontrattuale (in questo contesto non è ben identificabile a quale contratto
si faccia riferimento, e tale indefinito contratto si prospetta comunque
avvicendabile con una responsabilità extracontrattuale), indicando una sorte del
tutto diversa: euro 580.000 o la diversa somma di giustizia, cui aggiungere
interessi e rivalutazione “dall’esborso”. L’esborso, se è da intendersi quello
dell’appena rilevata operazione di investimento, vale però qui non a costituire la
sorte, bensì il dies a quo di una sorte diversa, tant’è che può essere persino
extracontrattuale.
Si può, dunque, fin d’ora rilevare che la domanda proposta in estremo subordine
è un aliud rispetto a tutte le domande precedenti, che comportavano infatti
condanne diverse e nei confronti di soggetti non coincidenti, nel senso che alle
due convenute si aggiungeva in quest’ultima un terzo potenzialmente
condannato, cioè proprio (OMISSIS).
3.2 Emerge dalla ricostruzione della vicenda processuale, ed è pacifico, che (OMISSIS)
nel corso del processo di primo grado esce di scena per sopravvenuta
liquidazione coatta amministrativa. Con (OMISSIS) esce di scena pure il contratto di
collocamento, perché, riassumendo la causa interrotta, (OMISSIS) non vi fa più
alcun riferimento, nelle sue conclusioni – che diventano poi quelle rese alla
udienza di precisazione delle conclusioni del primo grado -, sicché la
regiudicanda si restringe.
Nella nuova versione delle pretese attoree, dunque, rimangono tutte le domande
nella scala già descritta, con l’unica differenza che, appunto, scompare il
contratto di collocamento. E l’esito del primo grado viene a concretarsi in una
completa sconfitta dell’attuale ricorrente. E’ quindi logico presumere che, pur
essendo raggiunta dopo cinque anni, la transazione si è aperta come alternativa
soluzione per l’attore-appellante, e peraltro anche per (OMISSIS): così il 5 marzo 2019
(OMISSIS) dichiara di averla conclusa depositando un’apposita nota e chiedendo
dichiararsi la cessazione della materia del contendere con chi l’ha stipulata con
lui, ovvero la compagnia assicuratrice; il che viene confermato il giorno dopo,
all’udienza del 6 marzo 2019, nella quale la compagnia dà atto a sua volta della
transazione e a sua volta chiede di dichiarare la cessazione della materia del
contendere, mentre (OMISSIS), togliendo ogni dubbio sull’ambito di tale
cessazione, dichiara di voler continuare la lite con (OMISSIS). Di qui le conclusioni,
che sarebbero, per come si argomenta poi in questo ricorso, un mero
aggiornamento rispetto a quanto era avvenuto nel processo: si abbandona il
riferimento al contratto di assicurazione, si abbandona il riferimento ad ogni
profilo precontrattuale o extracontrattuale, si mantiene, di quella domanda che
era originariamente presentata in estremo subordine, la prospettazione di grave
inadempimento di (OMISSIS) per violazione della normativa finanziaria e
assicurativa nel collocamento della polizza e si mantiene una conseguente
condanna. Tuttavia, quest’ultima non appare più coincidente con quella che
presentava la domanda proposta in estremo subordine, ovvero la condanna a
risarcire un danno di euro 580.000 o di diversa somma “oltre agli interessi e
rivalutazione … dall’esborso”. La condanna ancora è di risarcimento di un danno,
che però è “pari” agli interessi legali e rivalutazione sull’intero capitale investito
a decorrere dal versamento dei relativi premi, o comunque di diversa somma di
giustizia. Segue una ulteriore domanda subordinata, rispetto al mancato
accoglimento della quale, però, il ricorso non si spende, evidentemente
abbandonandola.
3.3 La corte territoriale (si vedano le pagine 8-9 della sentenza) non ravvisa in
questa domanda un mero aggiornamento all’evoluzione processuale, bensì la
definisce un novum. E spiega tale sua qualità non arrestandosi, come appare
prima facie, a un formale “raffronto con le conclusioni spiegate dall’odierno
appellante in primo e secondo grado”, perché, a ben guardare, i successivi
argomenti di cui si avvale (pur inserendo l’avverbio “inoltre”) non costituiscono
un’ulteriore ratio decidendi, bensì completano la definizione di domanda nuova
con la spiegazione del suo contenuto, e pertanto della sua conseguente e
inammissibile novità.
La domanda – rileva la corte – “ha sostanzialmente ad oggetto interessi e
rivalutazione sull’importo del capitale investito, ma una domanda per i soli
interessi non può essere proposta indipendentemente dall’obbligazione
principale alla quale deve necessariamente accedere. Nella presente fattispecie,
tuttavia, la domanda di risoluzione del contratto o di declaratoria di sua nullità
sono abbandonate e quanto al risarcimento da inadempimento la stessa parte
appellante riconosce di aver conseguito l’importo ulteriore risarcitorio di euro
150.000,00 senza precisare quale frazione di debito sarebbe rimasta in ipotesi
non soddisfatta”. Segue poi quella che è effettivamente una ulteriore ratio
decidendi, a proposito dell’articolo 1304 c.c., e che a tacer d’altro non è rilevante
per quel che si verrà ora a osservare in ordine alla inammissibilità della domanda
come nuova.
4. Il rilievo espletato dal giudice d’appello sull’assenza di domanda relativa alla
sorte deve essere precisato e in parte rettificato in relazione alla configurazione
processuale della questione, che, ovviamente, va esaminata anteriormente a
quella sostanziale, la quale è solo eventuale perché quella processuale può tutto
dirimere.
4.1 La giurisprudenza di questa Suprema Corte insegna che è domanda nuova,
e dunque non proponibile per la prima volta in appello ai sensi dell’articolo 345
c.p.c., la domanda che muti anche uno solo dei presupposti della domanda
iniziale, introducendo un petitum diverso e più ampio oppure una diversa causa
petendi, fondata su un fatto giuridico costitutivo del diritto radicalmente diverso
(così, p. es., tra gli arresti massimati, Cass. sez.1, 19 settembre 2016 n. 18299).
Naturalmente, una mera deminutio del quantum richiesto e quindi del petitum
non comporta un novum, come è stato riconosciuto in ipotesi di sopravvenuta
ripartizione pro quota del quantum di una domanda originariamente di condanna
solidale (Cass. sez. 1, 2 ottobre 2019 n. 24597, invocata dal ricorrente stesso,
riguardante appunto un caso in cui la domanda originaria veniva ripartita tra i
soci di una cooperativa cancellata dal registro delle imprese; analoga la soluzione
si rinviene in Cass. sez. 3, 21 gennaio 2020 n. 1148, che nel caso di
sopravvenuto decesso del convenuto qualifica non nuova, e dunque ammissibile,
la domanda pro quota nei confronti dei suoi eredi). Nella fattispecie in esame,
però, non sussiste una mera ripartizione del petitum.
Come si è visto, infatti, la sorte rappresentata dalla somma investita da
(OMISSIS), cioè euro 1.276.778,18, era presente in tutte le domande tranne
l’ultima, quella della condanna in estremo subordine; e in tutte le domande
tranne l’ultima la condanna era chiesta nei confronti dapprima delle due società
convenute – (OMISSIS) e (OMISSIS) -, e in seguito, dopo l’uscita dal processo di (OMISSIS), nei
confronti di (OMISSIS). Il fondamento era originariamente una “coppia” di contratti
oggetto di dichiarazione di nullità o annullamento o dichiarazione di risoluzione,
l’uno stipulato dall’attuale ricorrente con (OMISSIS) (contratto di collocamento) e l’altro
da lui stipulato con (OMISSIS).
Uscita (OMISSIS) e uscito il contratto di collocamento, tutte le domande non di estremo
subordine si rapportavano al contratto di assicurazione: erano la dichiarazione
di nullità o l’annullamento o la risoluzione del contratto di assicurazione che
avrebbero generato la conseguente condanna alla restituzione del capitale e
degli accessori, e tale domanda di condanna era stata sempre proposta avverso
la società. Avverso (OMISSIS), invece, la domanda di condanna era proposta
appunto in estremo subordine e non aveva come oggetto la restituzione della
sorte e degli accessori del contratto di assicurazione, che non vi era menzionato,
bensì era domanda di risarcimento di danno di euro 580.000, oltre accessori.
4.2 È dunque evidente che la corte territoriale non ha errato identificando un
novum. Se, infatti, gli interessi e la rivalutazione oggetto della domanda
venivano identificati come “pari” agli accessori del capitale investito, è chiaro
che, a tacer d’altro, viene “spostata”, seppur parzialmente, una domanda che
fino ad allora non era stata rivolta nei confronti di (OMISSIS), bensì nei confronti
di (OMISSIS). Vale a dire, per la prima volta nei confronti di (OMISSIS) questa domanda
viene proposta in appello, e non costituisce quindi una modifica – ammissibile se
a livello di emendatio – di una domanda anteriormente rivolta avverso (OMISSIS).
Il trasferimento di una domanda, già presente ma come proposta nei confronti
di altro soggetto, nei confronti di un soggetto diverso, qualora quello nei cui
confronti essa viene trasferita non sia avente causa di chi in riferimento ad essa
era originariamente il convenuto (ovvero qualora non ricorra la fattispecie di cui
all’articolo 110 c.p.c. né la fattispecie di cui all’articolo 111, commi secondo e
terzo, c.p.c.), non è ammissibile, in quanto costituisce l’introduzione di una
domanda nuova. E su ciò non incide il fatto che il soggetto diverso era già
presente nel processo, in quanto non era parte in rapporto a tale domanda.
4.3 Deve infine precisarsi che nel caso in esame l’attuale ricorrente aveva
proposto la domanda relativa alla risoluzione dei due contratti indicando come
presupposto l’accertamento del grave inadempimento come da parte di tutti i
convenuti; tuttavia, anche qui non sussisteva domanda nei confronti di
(OMISSIS), dal momento che la risoluzione avrebbe dovuto investire i contratti
stipulati dall’attore con altri soggetti – quello di collocamento con (OMISSIS) e quello
di assicurazione con (OMISSIS) -, soltanto le “convenute” dovendo essendo poi
conseguentemente essere condannate a corrispondere la sorte di euro
1.276.778,18 e, appunto, i relativi accessori. L’inserimento del (OMISSIS) nel
relativo capo di conclusione, dunque, non aveva l’effetto di investire anche lui
della domanda risolutiva.
5. Quanto rilevato sulla inammissibile natura di novum propria della domanda
su cui il ricorrente si impernia conduce, assorbita evidentemente ogni altra
questione, al rigetto del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente stesso
a rifondere a controparte le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da
dispositivo.
P.Q.M.
La corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere a controparte le
spese giudizio di cassazione, liquidate in un totale di € 12.000, oltre a € 200 per
gli esborsi, al 15% per spese generali e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2002 dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso a
norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 5 aprile 2023