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Cassazione Civile 26916/2023 – Domanda di accertamento negativo del credito – Contrapposta domanda riconvenzionale di pagamento – Onere della prova – Violazione del giudicato esterno

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Ordinanza 26916/2023

Domanda di accertamento negativo del credito – Contrapposta domanda riconvenzionale di pagamento – Onere della prova

Qualora l’attore proponga domanda di accertamento negativo del diritto del convenuto e quest’ultimo non si limiti a chiedere il rigetto della pretesa avversaria ma proponga domanda riconvenzionale per conseguire il credito negato dalla controparte, ambedue le parti hanno l’onere di provare le rispettive contrapposte pretese. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato la statuizione della sentenza impugnata secondo cui gravava sull’attore, che aveva proposto domanda di accertamento negativo, l’onere di provare l’eccezione di inoperatività di un accordo posto dal convenuto a fondamento della sua domanda riconvenzionale, risolvendosi tale contestazione in un’ulteriore richiesta di accertamento negativo).

Violazione del giudicato esterno

La questione della violazione del giudicato esterno, derivante dalla mancata proposizione dell’appello incidentale in un diverso giudizio, non può essere proposta per la prima volta in sede di legittimità ove tale fatto, già verificatosi nel momento in cui è andato in decisione il giudizio di merito la cui pronuncia è oggetto del ricorso per cassazione, non sia stato tempestivamente sottoposto all’esame del giudice di merito.

Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 20/09/2023, n. 26916   (CED Cassazione 2023)

Art. 2697 cc (Onere della prova)

Art. 2909 cc (Cosa giudicata)

 

FATTI DI CAUSA
1. Il Comune di Padova appaltò al Consorzio (OMISSIS) e al
Consorzio (OMISSIS) s.c.r.l., costituiti in associazione
temporanea di impresa, l’esecuzione di alcuni lavori di realizzazione
di un’opera pubblica stradale.
A seguito di tale contratto, una parte dei lavori fu subappaltata
alla società (OMISSIS).
Insorte contestazioni con il Comune a causa dell’iscrizione di
alcune riserve da parte dell’A.T.I. suindicata, si avviò un
contenzioso con due diversi giudizi, definiti con una transazione in
base alla quale il Comune si impegnò a versare all’A.T.I. la somma
complessiva di euro 2.997.650,14.
La presente causa, è bene chiarirlo in apertura, nasce per le
contestazioni insorte tra le parti per la ripartizione della somma
versata dal Comune di Padova, ripartizione regolata dall’accordo
del 16 dicembre 2011 tra la società (OMISSIS) e l’A.T.I. (OMISSIS),
quest’ultimo in persona dell’ing. (OMISSIS).
La società (OMISSIS), infatti, intraprese un primo giudizio
ottenendo dal Tribunale di Treviso un decreto ingiuntivo nei
confronti del capogruppo mandatario dell’A.T.I. (il (OMISSIS))
e del Consorzio (OMISSIS) quale mandante. Quel decreto fu
opposto dall’A.T.I. e l’opposizione fu rigettata dal Tribunale
(sentenza n. 817 del 2018, giudizio r.g. n. 6216 del 2013). La
sentenza fu impugnata e il giudizio, per quanto risulta a questa
Corte, era pendente presso la Corte d’appello di Venezia nel
momento di proposizione dell’odierno ricorso (r.g. n. 1815 del 2018
Corte d’appello).2. Il presente giudizio fu promosso, invece, con atto di
citazione notificato il 24 luglio 2013, dal Consorzio (OMISSIS), il
quale convenne in giudizio la società (OMISSIS), davanti al Tribunale di
Padova, per chiedere l’accertamento e la dichiarazione della non
debenza, da parte sua, di alcuna somma derivante dalla suindicata
scrittura privata stipulata in data 16 dicembre 2011 dalla
convenuta e dall’Associazione temporanea di imprese.

A sostegno della domanda il Consorzio (OMISSIS) espose, tra
l’altro, che l’accordo del 16 dicembre 2011 era da considerare
invalido o comunque inefficace, in quanto sottoscritto dal
procuratore speciale dell’A.T.I., ing.  (OMISSIS), ritenuto privo
del necessario potere di rappresentanza e, in subordine, che
quell’accordo non poteva operare in considerazione dell’assenza,
secondo la prospettazione del Consorzio, del previo assenso da
parte di (OMISSIS) ad accettare come pagamento una somma inferiore
ad euro 3.020.479,00.
Parte attrice dedusse, inoltre, l’insussistenza di alcun credito in
capo alla società (OMISSIS), ritenendo che la somma pagata dal
Comune di Padova all’A.T.I., in forza dell’intervenuta transazione,
si riferisse non solo al giudizio R.G. n. 2995/2010, ma in modo
forfettario e indistinto anche all’ulteriore giudizio R.G. n.
7749/2011, anch’esso pendente davanti al Tribunale di Padova tra
l’A.T.I. e l’amministrazione comunale.
Si costituì in giudizio la società (OMISSIS), chiedendo il rigetto delle
domande attoree e proponendo domanda riconvenzionale per
l’accertamento e la dichiarazione della sussistenza di un suo credito
nei confronti del Consorzio, pari al 40 per cento dell’importo
riconosciuto dal Comune di Padova all’A.T.I. in forza della citata
transazione.
Il Tribunale rigettò la domanda principale del Consorzio (OMISSIS)
e, in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta da
(OMISSIS), riconobbe a quest’ultima il diritto al pagamento della quota
del 40 per cento dell’importo complessivo dovuto dal Comune di
Padova all’A.T.I.
Il Tribunale, pertanto, condannò il Consorzio al pagamento, in
favore della società (OMISSIS), della somma di euro 789.267,92,
maggiorata di interessi legali e spese legali, determinata
sottraendo dal dovuto importo di euro 1.199.060,06 (cioè il 40 per
cento della somma versata dal Comune per la transazione), la
somma di euro 442.242, 01, percepita da (OMISSIS) in seguito all’avvio
di una procedura esecutiva.
3. La pronuncia è stata impugnata in via principale dal
Consorzio (OMISSIS) e in via incidentale dalla (OMISSIS), che ha chiesto
l’accertamento della debenza, da parte del Consorzio, dell’intera
somma prevista dalla scrittura privata del 16 dicembre 2011, pari
ad euro 1.199.060,06.
Con sentenza del 24 settembre 2020 la Corte d’appello di
Venezia ha rigettato l’appello principale ed ha accolto parzialmente
l’appello incidentale, condannando il Consorzio al pagamento, in
favore della società (OMISSIS), della somma capitale di euro
1.199.060,06, salvo detrazione delle somme già percepite o da
percepire in via definitiva all’esito del giudizio di opposizione a
decreto ingiuntivo ancora pendente presso la stessa Corte
d’appello.
3.1. Ai fini che interessano in questa sede, la Corte territoriale
ha innanzitutto respinto il primo motivo dell’appello principale,
relativo al presunto difetto di rappresentanza in capo all’Ing.
(OMISSIS), il quale aveva sottoscritto la scrittura privata in nome
dell’A.T.I.
Ha ritenuto la Corte, al riguardo, che fosse corretta la
decisione del Tribunale che aveva accertato che l’ing. (OMISSIS)
aveva «ricevuto tutti i poteri necessari per gestire il negozio cui
quel documento si riferiva»; e ciò sebbene la procura non facesse
espresso riferimento al potere di stipulare transazioni e accordi
simili a quella per cui è causa, in virtù dell’ampia clausola di
chiusura contenuta nel mandato ad negotia del 17 novembre 2006,
che conferiva all’Ing. (OMISSIS) «ogni più ampio potere e facoltà» che
si fosse reso necessario «per il buon fine del mandato conferito».
Formula, questa, che la Corte veneziana ha ritenuto tale da non
lasciare spazio a fraintendimenti circa la legittimazione dell’ing.
(OMISSIS) a sottoscrivere l’accordo del 16 dicembre 2011.
Inoltre, in ordine alla presunta assenza di operatività della
scrittura privata, stante la mancanza di un’ulteriore accettazione da
parte di (OMISSIS) dell’importo oggetto della transazione tra il Comune
di Padova e l’A.T.I., la Corte d’appello ha chiarito che il giudice di
prime cure aveva puntualmente ricercato il significato della
scrittura privata del 16 dicembre 2011, valorizzando l’espressa
previsione con la quale si era stabilito che, in caso di disaccordo tra
la società di costruzioni e (OMISSIS), sarebbe stata la decisione
dell’A.T.I. a prevalere; previsione dalla quale si deduceva che
un’ulteriore manifestazione di assenso da parte di (OMISSIS) non fosse
necessaria.
Con riferimento, infine, all’insussistenza, invocata
dall’appellante, del credito vantato dalla società (OMISSIS), in quanto la
transazione tra il Comune e l’A.T.I. non sarebbe stata unicamente
riferibile al procedimento richiamato dalla scrittura privata, il
giudice d’appello ha rilevato che, come aveva correttamente
giudicato il Tribunale, la prova circa l’imputabilità delle somme
derivanti dalla transazione a vicende diverse, cui (OMISSIS) era
estranea, incombesse sul Consorzio (OMISSIS) e che in primo grado la
prova di tale circostanza non era stata raggiunta.
3.2. Quanto all’appello incidentale, la Corte veneziana ne ha
ritenuto la fondatezza, osservando che dovevano essere condivise
le argomentazioni della società (OMISSIS) secondo cui il Tribunale
aveva errato nel sottrarre, rispetto alla complessiva somma ad
essa spettante, quella di euro 442.242,01; ciò perché quest’ultima
somma era stata ottenuta a seguito del decreto ingiuntivo emesso
dal Tribunale di Treviso, il cui giudizio di opposizione era ancora
pendente. Ragione per cui la condanna doveva essere disposta per
l’intera somma, salvo sottrazione di quella eventualmente percepita
dalla (OMISSIS) a conclusione della causa di opposizione a decreto
ingiuntivo, in quel momento ancora pendente davanti alla stessa
Corte d’appello (r.g. n. 1815 del 2018).
4. Contro la sentenza della Corte d’appello di Venezia propone
ricorso il Consorzio (OMISSIS), in liquidazione e in concordato
preventivo, con atto affidato a tre motivi.
Resiste la società (OMISSIS) con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento
all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., nullità della
sentenza impugnata derivante dall’asserita efficacia di giudicato
esterno della sentenza n. 817 del 2018 del Tribunale di Treviso.
Osserva il ricorrente che la Corte d’appello – nel rigettare il
primo motivo dell’appello principale, avente ad oggetto il difetto di
poteri di rappresentanza in capo al procuratore speciale ing.
(OMISSIS) in relazione alla scrittura privata del 16 dicembre 2011 –
ritenendo corretta la decisione del Tribunale, avrebbe deciso in
contrasto con il presunto giudicato esterno in merito all’inesistenza
di tali poteri rappresentativi in capo all’ing. (OMISSIS), quale
risultante dalla sentenza n. 817 del 2018 del Tribunale di Treviso.
Dopo aver riportato, nel corpo del motivo di ricorso, il testo
integrale di quest’ultima sentenza, il Consorzio rileva che il
Tribunale di Treviso in quella decisione aveva stabilito
espressamente che l’ing. (OMISSIS) era dotato dei poteri
rappresentativi dell’A.T.I. solo in riferimento ai rapporti con la
stazione appaltante, cioè il Comune di Padova, con esclusione dei
soggetti terzi. Ciò nonostante, il Tribunale aveva rigettato
l’opposizione al decreto ingiuntivo proposta dall’odierna ricorrente
per un’altra ragione, costituita dal principio dell’apparenza; nel
senso che la complessiva valutazione dei fatti induceva ad
affermare che la società (OMISSIS) avesse la ragionevole convinzione
che il potere di rappresentanza fosse stato effettivamente conferito
all’ing. (OMISSIS). Per tale ragione la scrittura privata del 16
dicembre 2011 è stata ritenuta riferibile all’A.T.I. e pienamente
produttiva di effetti nei confronti del Consorzio (OMISSIS).
Ciò premesso, il Consorzio ricorrente aggiunge che la citata
sentenza del Tribunale di Treviso è stata impugnata dal Consorzio e
nel giudizio di appello la società (OMISSIS) non ha svolto appello
incidentale sul punto indicato. Il che viene a significare, secondo il
ricorrente, che si sarebbe formato il giudicato esterno
relativamente al difetto dei necessari poteri di rappresentanza
dell’ing. (OMISSIS), non essendoci stata impugnazione sul punto. Di
talché la sentenza oggi impugnata sarebbe nulla per violazione del
giudicato costituito dalla sentenza trevigiana.
1.1. La Corte rileva che la complessa censura qui in esame
richiede una breve ricapitolazione dell’iter logico che ad essa è
sotteso.
Il punto in esame è ancora una volta quello della validità della
procura in base alla quale l’ing. (OMISSIS) aveva a suo tempo firmato
la scrittura privata del 16 dicembre 2011 tra le odierne parti in
causa. Nell’assunto del ricorrente, nell’altro giudizio pendente tra il
Consorzio e la (OMISSIS) (non in discussione in questa sede e ancora
pendente in appello quando l’odierno giudizio di cassazione ha
avuto inizio) sarebbe passata in giudicato l’affermazione del
Tribunale di Treviso secondo cui l’ing. (OMISSIS) era dotato dei poteri
rappresentativi dell’A.T.I. solo in riferimento ai rapporti con la
stazione appaltante, cioè il Comune di Padova, e non in relazione a
terzi. Ragione per cui la Corte veneziana avrebbe, nel presente
giudizio, violato il giudicato esterno formatosi su questo punto. Tale
violazione – è bene chiarirlo – trarrebbe il suo fondamento dalla
circostanza secondo cui nel giudizio di appello avverso la sentenza
del Tribunale di Treviso la società (OMISSIS) non aveva proposto
appello incidentale sul punto.
1.2. Così riassunti i punti salienti della tesi del Consorzio
ricorrente, giova ricordare che costituisce pacifica affermazione,
nella giurisprudenza di questa Corte, il principio secondo cui il
giudicato esterno è rilevabile in sede di legittimità, al pari del
giudicato interno, anche qualora risulti da atti che siano stati
prodotti per la prima volta in cassazione, purché il documento
nuovo costituito dalla sentenza passata in giudicato si sia formato
dopo l’esaurimento dei gradi di merito e venga prodotto con la
notifica del ricorso per cassazione, non operando in tal caso la
preclusione di cui all’art. 372 cod. proc. civ., che vieta nel giudizio
di legittimità il deposito di atti e documenti non prodotti nei
precedenti gradi; diversamente, l’eventuale contrasto tra le due
pronunzie potrebbe integrare i presupposti di un vizio revocatorio,
causando un inconveniente incompatibile con il principio di rango
costituzionale di economicità dei giudizi (sentenza 30 ottobre 2003,
n. 16376).
In tal senso sono anche, tra le altre, l’ordinanza 22 gennaio
2018, n. 1534, la quale rimarca il fatto che il divieto di cui all’art.
372 cod. proc. civ. è operante ove la parte invochi l’efficacia di
giudicato di una pronuncia anteriore a quella impugnata, che non
sia stata prodotta nei precedenti gradi del processo (si vedano pure
la sentenza 15 maggio 2018, n. 11754 e l’ordinanza 31 maggio
2019, n. 14883).
Nel caso in esame, però, come si è detto, si è verificata una
situazione particolare in quanto, secondo la prospettazione
dell’odierna parte ricorrente, il giudicato esterno non deriverebbe
da una sentenza pronunciata tra le stesse parti, bensì dal fatto che
la controparte – cioè la società (OMISSIS) – non avrebbe impugnato con
appello incidentale una sentenza di primo grado, che peraltro era
stata comunque per essa favorevole, nella parte in cui conteneva
una determinata affermazione (cioè il difetto di procura dell’ing.
(OMISSIS) in relazione alla scrittura privata suindicata, quanto ai
rapporti tra il Consorzio e le parti diverse dal Comune).
1.3. Questi essendo i corretti termini, in fatto e in diritto, della
questione sulla quale la Corte è chiamata a pronunciarsi, ne risulta
in modo evidente la sua inammissibilità.
Com’è stato rilevato dalla difesa della società (OMISSIS) nel
controricorso, infatti, il presunto giudicato esterno derivante dalla
mancata proposizione dell’appello incidentale nell’altro giudizio si
sarebbe perfezionato una volta ottenuta la costituzione in giudizio
della (OMISSIS) (in sede di appello) in quel giudizio (rubricato al n.
1815 del 2018 della Corte d’appello di Venezia). Ma se così è – e
non può che essere così – è palese che il Consorzio ricorrente
avrebbe potuto e dovuto porre la questione del giudicato esterno
davanti alla medesima Corte d’appello nell’odierno giudizio; che è
stato trattenuto in decisione, come risulta dall’epigrafe della
sentenza qui impugnata, all’udienza di discussione del 23 marzo
2020, cioè in una data ben successiva rispetto a quella nella quale
il presunto giudicato esterno si sarebbe maturato.
In altri termini, il Consorzio ricorrente non può porre per la
prima volta in sede di legittimità la questione della violazione del
giudicato esterno derivante dalla mancata proposizione dell’appello
incidentale in un diverso giudizio, se tale fatto – pacificamente già
verificatosi nel momento in cui è andato in decisione il giudizio di
merito la cui pronuncia è oggetto del ricorso per cassazione – non
sia stato (tempestivamente) sottoposto all’esame del giudice di
merito. La rilevabilità d’ufficio del giudicato esterno, cioè, non può
costituire una sorta di scudo per porre rimedio a manchevolezze
della parte perfezionatesi nel giudizio di merito.La tardività della prospettazione, rispetto alla quale il
Consorzio, in effetti, nulla ha detto (nemmeno in sede di memoria),
rende inammissibile la censura posta col primo motivo di ricorso.

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento
all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione degli
artt. 1362 e 1363 cod. civ., in quanto la Corte d’appello, nella
valutazione compiuta sulla scrittura privata del 16 dicembre 2011,
avrebbe violato i canoni ermeneutici che impongono la ricerca della
comune intenzione delle parti.
Dopo aver trascritto il testo integrale della scrittura privata del
16 dicembre 2011, con particolare riferimento al suo punto n. 4, il
ricorrente rivendica l’interpretazione a sé favorevole, secondo la
quale le parti, in realtà, avevano raggiunto un accordo definitivo
esclusivamente per l’ipotesi in cui il Comune di Padova avesse
riconosciuto all’ATI un importo superiore ad euro 3.020.479,00;
unico scenario in ordine al quale (OMISSIS) aveva preventivamente
accettato l’importo che le sarebbe spettato, per come calcolato su
quello risultante dalla transazione tra l’Amministrazione comunale e
l’ATI. Invece, qualora la somma riconosciuta dal Comune fosse
stata inferiore a quella indicata, in caso di mancata successiva
adesione alla transazione tra ATI e Comune da parte di (OMISSIS),
quest’ultima si sarebbe riservato il potere di agire autonomamente
per le somme di propria spettanza. Alla luce di siffatta ricostruzione
la previsione, inserita nella scrittura privata, secondo la quale “in
caso di disaccordo tra le parti, prevarrà la decisione dell’ATI”,
sarebbe da considerare esclusivamente finalizzata a consentire
all’ATI di accordarsi con il Comune anche per una somma inferiore
ad euro 3.020.479,00, ma non a permettere alla società (OMISSIS) di
esigere il 40 per cento della somma risultante da quell’accordo.
Pertanto, essendo stato raggiunto un accordo transattivo per
una somma inferiore ad euro 3.020.479, e stante l’assenza del
successivo assenso da parte di (OMISSIS) alla conclusione dello stesso
accordo, la Corte d’appello, correttamente applicando i criteri
ermeneutici di cui agli artt. 1362 e 1363 cod. civ., avrebbe dovuto
escludere l’operatività del punto n. 4 dell’accordo, con cui si
riconosceva a favore della società di costruzione una somma
corrispondente al 40 per cento dell’importo risultante dalla
transazione.
2.1. Il motivo, per certi aspetti inammissibile, è comunque
privo di fondamento.
Com’è noto, la costante giurisprudenza di questa Corte è nel
senso che l’attività di interpretazione del contratto costituisce un
compito tipico rimesso al giudice di merito, non potendo detta
interpretazione essere contestata in sede di legittimità al solo
scopo di invocarne una diversa e a sé più favorevole. È stato di
recente ribadito, infatti, in linea con un orientamento pacifico, che,
poiché l’accertamento della volontà delle parti in relazione al
contenuto di un negozio giuridico si traduce in un’indagine di fatto
affidata al giudice di merito, il ricorrente per cassazione, al fine di
far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione
contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., non solo deve fare
esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante
specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai
principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale
modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia
discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li
abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od
insufficienti; non potendo, invece, la censura risolversi nella mera
contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta
nella sentenza impugnata (così l’ordinanza 9 aprile 2021, n. 9461,
in linea, ex plurimis, con le precedenti ordinanze 15 novembre
2017, n. 27136, e 28 novembre 2017, n. 28319).Da tale principio consegue che la censura prospettata potrebbe
essere addirittura ritenuta inammissibile, in quanto volta a
sollecitare in questa sede una diversa valutazione di merito.
Volendo tralasciare questa possibilità, la Corte osserva che la
sentenza impugnata ha affrontato la questione con una
motivazione piuttosto scarna la quale, però, è sufficiente per dare
conto del ragionamento svolto dalla Corte d’appello, che resiste alla
proposta censura. La sentenza ha stabilito, al riguardo, che la
doglianza proposta dal Consorzio nel secondo motivo di appello non
era in grado di scalfire la motivazione resa dal Tribunale, il quale
aveva «valorizzato il significato letterale della stessa scrittura
privata del 16 dicembre 2011, ove si prevede che in caso di
disaccordo tra A.T.I. e (OMISSIS) sarebbe prevalsa la decisione
dell’A.T.I, senza necessità di alcuna altra manifestazione di volontà
da parte di (OMISSIS)».

Ad avviso del Collegio, il pensiero della Corte d’appello è
pienamente comprensibile e non in dissenso rispetto al tenore del
punto n. 4 dell’accordo che il ricorrente ha trascritto nel ricorso.
L’interpretazione proposta in questa sede dal ricorrente, anzi,
appare assai meno lineare rispetto a quella fatta propria dalla Corte
veneziana. Ed invero – fermo restando quanto si è detto a
proposito della spettanza al giudice di merito dei poteri di
interpretazione del contratto – la clausola in questione prevede
semplicemente che, in caso di transazione col Comune di Padova
per una somma inferiore ad euro 3.020.479, le parti avrebbero
dovuto valutare la congruità dell’offerta e che, in caso di dissenso
tra loro, sarebbe prevalsa la decisione dell’ATI. Qualora l’offerta
fosse stata accettata, il riparto sarebbe stato, come poi stabilito
dalla sentenza qui in esame, in ragione del 60 per cento a favore
dell’A.T.I. e del 40 per cento a favore di (OMISSIS). Di talché appare
evidente come non solo l’interpretazione del giudice di merito non
sia in contrasto con alcuno dei criteri ermeneutici (peraltro
genericamente) invocati dalla parte ricorrente; ma anzi, al
contrario, come risulti capziosa l’interpretazione proposta nel
motivo in esame, posto che il fatto che sia stata conclusa una
transazione per una somma inferiore rispetto a quella di euro
3.020.479, non può certo significare che sarebbe stata necessaria
un’ulteriore volontà di accettazione dell’accordo da parte della
(OMISSIS). Senza contare che, come correttamente rileva quest’ultima
nel controricorso, tale accettazione si sarebbe potuta comunque
considerare perfezionata per facta concludentia.
Il motivo, pertanto, va rigettato.
3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento
all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., la violazione
dell’art. 2697 cod. civ., in quanto la sentenza impugnata avrebbe
erroneamente ripartito tra le parti l’onere probatorio circa la
sussistenza del credito vantato da (OMISSIS).
Osserva il ricorrente che la pretesa avanzata in via
riconvenzionale dalla società (OMISSIS) e derivante dalla scrittura
privata del 16 dicembre 2011 si fondava sulla transazione conclusa
tra il Comune di Padova e il Consorzio A.T.I.; transazione in base
alla quale il Comune si era impegnato a versare la somma
complessiva di euro 2.997.650,14. Senonché questa somma era
stata concordata a chiusura del contenzioso costituito da due
diversi giudizi, rubricati rispettivamente, davanti al Tribunale di
Padova, ai numeri di r.g. 2995 del 2010 e 7749 del 2011. Ma
l’accordo del 16 dicembre 2011 riguardava il solo giudizio rubricato
al n. 2995 del 2010, che aveva ad oggetto le somme spettanti alla
società (OMISSIS).
La sentenza impugnata, quindi, avrebbe erroneamente posto
in capo al Consorzio ricorrente l’onere di indicare quale parte della
somma transatta fosse da attribuire all’un giudizio e quale all’altro.
In questo modo, secondo il Consorzio ricorrente, la Corte
territoriale si sarebbe posta in contrasto con il richiamato
orientamento giurisprudenziale in materia di onere della prova del
fatto negativo, secondo il quale, sebbene nelle azioni di
accertamento negativo l’onere della prova incomba sull’attore,
quanto ai fatti negativi trova applicazione il principio di vicinanza o
inerenza della prova; e poiché la (OMISSIS) era parte attrice in
relazione alla domanda riconvenzionale, essa avrebbe dovuto
fornire la prova del fondamento del suo credito.
3.1. Il motivo pone una censura riguardante solo le regole
sull’onere della prova, come la stessa parte ricorrente ha cura di
precisare là dove osserva che non intende mettere in discussione il
problema della «diversa imputazione delle somme percepite con la
transazione».
Ciò premesso, la censura è priva di fondamento.
Nelle sentenza impugnata la corte di merito ha rigettato il
motivo di appello avente ad oggetto la questione qui in esame
rilevando che, «se la pattuizione tra ATI e (OMISSIS) concerneva aspetti
diversi dalla richiesta di riserve iscritte in contabilità, era onere di
(OMISSIS) provarlo». Tale affermazione, benché molto sintetica,
resiste alle censure proposte.
Questa Corte ha già stabilito che, qualora l’attore proponga
domanda di accertamento negativo del diritto del convenuto e
quest’ultimo non si limiti a chiedere il rigetto della pretesa
avversaria ma proponga domanda riconvenzionale per conseguire il
credito negato dalla controparte, ambedue le parti hanno l’onere di
provare le rispettive contrapposte pretese (sentenza 15 febbraio
2007, n. 3374). Analogamente, è stato affermato che in tema di
riparto dell’onere della prova ai sensi dell’art. 2697 cod. civ.,
l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto grava sempre su colui
che si afferma titolare del diritto stesso ed intende farlo valere,
ancorché sia convenuto in un giudizio di accertamento negativo
(ordinanza 4 ottobre 2012, n. 16917, e sentenza 10 novembre
2010, n. 22862).Facendo applicazione di questi principi al caso di specie, si ha
che la causa odierna ha avuto inizio con la domanda di
accertamento negativo proposta dal Consorzio oggi ricorrente nei
confronti della società (OMISSIS); la quale, nel costituirsi, non si è
limitata a chiedere il rigetto della domanda principale, ma ha
proposto domanda riconvenzionale per l’accertamento e la
dichiarazione della sussistenza di un suo credito nei confronti del
Consorzio, pari al 40 per cento dell’importo riconosciuto dal
Comune di Padova all’A.T.I. in forza della transazione di cui si è
detto; il Consorzio ha posto, in relazione alla domanda
riconvenzionale, un’ulteriore eccezione.

La corte di merito ha ritenuto infondata la domanda di
accertamento negativo e fondata, viceversa, la domanda
riconvenzionale. A questo punto, l’ulteriore affermazione del
Consorzio ricorrente – secondo cui la somma pattuita con l’accordo
del 16 dicembre 2011 doveva essere riferita ad uno solo dei giudizi
in corso con il Comune – si risolve, in sostanza, in un’ulteriore
richiesta di accertamento negativo, rispetto al quale l’onere della
prova grava necessariamente a carico del Consorzio stesso; che è
quanto ha correttamente stabilito la Corte d’appello.
Anche volendo tralasciare tutte le osservazioni in fatto
contenute nel controricorso su questo aspetto della vicenda (pp.
11-12) – che non possono essere prese in considerazione in sede di
legittimità – resta il fatto, decisivo, che doveva essere il Consorzio
a dimostrare che la somma di euro 2.997.605,14 riconosciuta dal
Comune con l’atto di transazione, poi assunta dalla Corte d’appello
come parametro per liquidare la somma riconosciuta alla (OMISSIS) (40
per cento), non si riferisse alla causa di cui al r.g. n. 2995 del 2010
ricompresa nell’accordo del 16 dicembre 2011.
Non giova alla parte ricorrente il richiamo alla sentenza di
questa Corte 26 settembre 2019, n. 24051, la quale, tra l’altro,
aveva ad oggetto una fattispecie completamente diversa da quella
odierna (pattuizione di interessi ultralegali in un contratto
bancario).
L’affermazione tratta da quella sentenza e riportata nel ricorso
non è pertinente, posto che questa Corte ha in quell’occasione
ribadito che nei giudizi di accertamento negativo l’onere della prova
incombe sull’attore, mentre quanto ai fatti negativi il principio di
vicinanza ribalta l’onere della prova a carico del convenuto; il che
non ha nulla a che vedere col caso odierno. Rileva il Collegio, anzi,
che proprio il principio di vicinanza della prova richiamato dalla
sentenza n. 24051 del 2019 conduce, nel caso in esame, a ritenere
sussistente in capo al Consorzio, e non certo alla (OMISSIS), l’onere di
provare la circostanza di cui sopra.
4. Il ricorso, pertanto, va rigettato.
A tale esito segue la condanna della parte ricorrente alla
rifusione delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del
d.m. 10 marzo 2014, n. 55.
Sussistono inoltre le condizioni di cui all’art. 13, comma 1-
quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da
parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in
complessivi euro 10.200, di cui euro 200 per spese, oltre spese
generali e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio
2002, n. 115, dà atto della sussistenza delle condizioni per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se
dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza
Sezione Civile, il 5 aprile 2023.