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Cassazione Civile 26934/2023 – Ricorso per cassazione –  Doppia conforme ex art. 348 ter, comma 5, cpc – Successione nel diritto controverso intervenuta tra primo e secondo grado 

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Ordinanza 26934/2023

Ricorso per cassazione –  Doppia conforme ex art. 348 ter, comma 5, cpc – Successione nel diritto controverso intervenuta tra primo e secondo grado

Nell’ipotesi di “doppia conforme” ex art. 348 ter, comma 5, c.p.c., è onere del ricorrente indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e del rigetto dell’appello, dimostrando che sono tra loro diverse e detto onere non viene meno in caso di successione nel diritto controverso tra primo e secondo grado, giacché il sopravvenuto mutamento del soggetto titolare della posizione sostanziale dedotta in giudizio non implica necessariamente la diversità tra le ragioni di fatto alla base della sentenza di primo grado e quelle della conferma in grado di appello.

Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 20.09.2023, n. 26934   (CED Cassazione 2023)

 

 

FATTI DI CAUSA

1. Con citazione notificata il giorno 8 marzo 2012,
(OMISSIS) – premesso che il 23 luglio 2009, aveva rilasciato alla Banca
(OMISSIS) una fideiussione omnibus, fino a concorrenza
dell’importo massimo di 60.000 Euro, a garanzia del finanziamento di
pari importo da erogarsi a (OMISSIS), un amico di suo figlio
Iseo; che, nell’occasione, gli era stato riferito che questo finanziamento
era già garantito da un pegno dell’importo di 20.000 Euro, costituito
dallo stesso (OMISSIS); che il 7 agosto successivo aveva inviato alla
banca una raccomandata con la richiesta di attendere la sua
autorizzazione prima di procedere all’elargizione del finanziamento; e
che, malgrado ciò, senza che vi fossero state altre comunicazioni, in
data 15 settembre 2011, aveva ricevuto una lettera con cui la banca lo
aveva invitato a pagare la somma di Euro 52.992,60, a fronte di uno
scoperto di conto corrente del (OMISSIS) – convenne in giudizio il citato
istituto di credito dinanzi al Tribunale di Padova, domandando, tra
l’altro e per quanto ancora rileva: a) la declaratoria di nullità della
fideiussione, per essere stata la garanzia redatta su un formulario
predisposto dall’Associazione Bancaria Italiana (ABI) con violazione
della legge antitrust n. 287 del 1990, accertata con provvedimento
della Banca d’Italia del 2005, su parere dell’Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato; b) la declaratoria di inefficacia della
fideiussione, per mancato avveramento della condizione sospensiva cui
era stata sottoposta, ovverosia la sua autorizzazione al finanziamento;
c) la declaratoria di nullità o di estinzione della fideiussione per
violazione dei doveri di buona fede oggettiva e correttezza, ex artt.
1175 e 1376 cod. civ., nonché ex art. 1956 cod. civ..

Costituitosi l’istituto di credito convenuto (cui poi sarebbe
succeduta la Banca Popolare (OMISSIS) s.p.a.), proseguito il
processo da Iseo (OMISSIS) dopo la morte del padre Armando e
dichiaratosi territorialmente incompetente l’adìto Tribunale di Padova,
la causa fu riassunta dinanzi al Tribunale di Vicenza, che rigettò la
domanda con sentenza n. 2630/2017.

2. Con sentenza 9 ottobre 2019, n. 4308, la Corte d’appello di
Venezia, all’esito dell’intervento in giudizio di (OMISSIS) s.r.l.,
costituitasi – a mezzo della procuratrice (OMISSIS) Banca s.p.a. – nella
qualità di cessionaria del credito vantato dalla Banca Popolare
(OMISSIS) s.p.a., ha rigettato l’impugnazione proposta da Iseo (OMISSIS) e
ha integralmente confermato la decisione di primo grado, condannando
l’appellante a rimborsare le spese del grado sia all’originaria appellata
che alla terza intervenuta.

3. Avverso la sentenza della Corte lagunare propone ricorso per
cassazione Iseo (OMISSIS) sulla base di undici motivi.

Non svolgono difese le intimate Banca Popolare (OMISSIS)
s.p.a. e (OMISSIS) s.r.l..

La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale, ai
sensi dell’art.380-bis.1 cod. proc. civ..

Il ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo viene denunciata, ai sensi dell’art.360 n.4
cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione dell’art.132 n.3
cod. proc. civ. e dell’art.112 cod. proc. civ..

Il ricorrente deduce che, in seguito alla fissazione dell’udienza di
precisazione delle conclusioni nel giudizio di appello, aveva presentato
due note di precisazione delle conclusioni: l’una antecedente, l’altra
successiva all’intervento in giudizio di (OMISSIS), avvenuto il 14 marzo
2019.

Mentre con la prima nota, recante la data del 4 marzo 2019, si era
limitato a riproporre le conclusioni già rassegnate con l’atto
introduttivo, con la seconda nota, recante la data del 25 marzo 2019
(e richiamata, nel contenuto, anche all’udienza di precisione delle
conclusioni del successivo 26 marzo, nonché negli scritti conclusionali),
aveva altresì contestato la legittimazione ad intervenire di (OMISSIS)
s.r.l.: rilevando, per un verso, che dall’ “avviso di cessione di crediti
pro soluto”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, relativo all’acquisto in
blocco, da parte di (OMISSIS), di un portafoglio di crediti del quale
faceva parte quello vantato dalla Banca Popolare (OMISSIS),
risultava che essi erano stati trasferiti, unitamente ai privilegi e alle
garanzie, con esclusione, tuttavia, delle fideiussioni omnibus e delle
garanzie similari; ed evidenziando, per altro verso, che la cessione,
avvenuta in base alla legge n. 130 del 1999 sulle “cartolarizzazioni”,
aveva avuto ad oggetto il credito, non il contratto, sicché non aveva
comportato il trasferimento in capo al cessionario della legittimazione
processuale.

Ciò dedotto, il ricorrente evidenzia che nella sentenza impugnata
sono state trascritte solo le conclusioni rese con la nota del 4 marzo
2019, non anche quelle rese con la nota del 25 marzo successivo e
sostiene che la Corte di merito non avrebbe affrontato, nella
“sostanza”, la questione della legittimazione processuale di (OMISSIS),
poiché non avrebbe tenuto conto del contradittorio sviluppatosi in
seguito al suo intervento in giudizio.

La sentenza d’appello sarebbe quindi nulla per due ordini di errores
in procedendo: da un lato, sul piano formale, per la trascrizione solo
parziale delle conclusioni rese dall’appellante, con violazione
dell’art.132 n.3 cod. proc. civ.; dall’altro lato, sul piano sostanziale, per
omessa pronuncia sulla questione della legittimazione processuale
dell’interveniente, quale sedicente cessionaria del credito, con
violazione dell’art.112 cod. proc. civ..

2. Il primo motivo presenta ragioni di connessione col (e va quindi
trattato unitamente al) secondo motivo, con il quale viene denunciata,
sempre ai sensi dell’art.360 n.4 cod. proc. civ., la nullità della sentenza
per violazione dell’art.132 n.4 cod. proc. civ. e dell’art.118 disp. att.
cod. proc. civ..

Il ricorrente indugia ancora sulla riscontrata mancata trascrizione e
sull’asserita mancata considerazione, da parte della Corte territoriale,
delle conclusioni da lui rese successivamente all’intervento in giudizio
di (OMISSIS), per sostenere che tali omissioni determinerebbero, oltre
a quelli già denunciati con il primo motivo, un terzo ordine di errores
in procedendo, traducendosi in un vizio di motivazione
costituzionalmente rilevante per «omessa esposizione di tutte le
questioni discusse durante il processo».

2.1. Gli illustrati motivi sono infondati.

2.1.a. Va ricordato, al riguardo, il consolidato orientamento di
questa Corte, secondo cui la mancata o incompleta trascrizione nella
sentenza delle conclusioni delle parti costituisce, di norma, una mera
irregolarità formale, irrilevante ai fini della sua validità, salvo che abbia
in concreto inciso sull’attività del giudice, traducendosi in un vizio con
effetti invalidanti della sentenza stessa, per omessa pronuncia sulle
domande o eccezioni delle parti, oppure per difetto di motivazione
costituzionalmente rilevante (Cass. 05/05/2010, n. 10853; Cass.
22/09/2015, n. 18609; Cass. 09/05/2018, n. 11150).

In altre parole, l’omessa, inesatta o incompleta trascrizione delle
conclusioni delle parti nell’intestazione della sentenza ne determina la
sua nullità solo quando le conclusioni formulate non siano state prese
in esame, di guisa che sia mancata, in concreto, una decisione sulle
domande o eccezioni ritualmente proposte; al contrario, quando dalla
motivazione della sentenza risulti che le conclusioni delle parti, non
ostante l’omessa, inesatta o incompleta trascrizione, siano state
esaminate e decise, il vizio si risolve in una semplice imperfezione
formale, irrilevante ai fini della validità della sentenza
(Cass.23/02/2007, n. 4208; Cass. 22/06/2015, n. 12864;
Cass.04/02/2016, n.2237).

2.1.b. Nel caso di specie, nonostante l’omessa trascrizione
nell’epigrafe della sentenza impugnata delle conclusioni rese
dall’appellante con la seconda nota del 25 marzo 2019, la Corte
territoriale ha espressamente esaminato e deciso la questione con essa
sollevata, concernente la contestata legittimazione ad intervenire di
(OMISSIS) s.r.l..

In proposito, il giudice del merito (v. pp.14-15 della sentenza
impugnata), rilevato che (OMISSIS) s.r.l., in data 5 luglio 2018, era
divenuta cessionaria del credito vantato dalla Banca Popolare
(OMISSIS) in confronto di (OMISSIS) – e ritenuto che, a seguito
della successione nella posizione creditoria, la cessionaria avesse
conservato la garanzia fideiussoria già prestata in favore della cedente
– ha affermato che essa assumeva, sul piano processuale, la veste di
successore a titolo particolare nel diritto controverso, con conseguente
applicabilità del regime di cui all’art.111 cod. proc. civ.: per un verso,
dunque, la vicenda successoria non aveva inciso sulla persistente
legittimazione processuale della cedente, stante la regola per cui, salva
l’ipotesi – non verificatasi – della sua concordata estromissione, il
processo sarebbe comunque proseguito tra le parti originarie; per altro
verso, neppure poteva escludersi la (sopravvenuta) legittimazione
processuale della cessionaria, quale legittimazione ad intervenire nel
processo.

2.1.c. Al di là dalla correttezza, in iure, di tali argomentazioni, esse
comunque danno conto, in primo luogo, della circostanza che la Corte
di merito ha espressamente esaminato e deciso la questione della
legittimazione processuale di (OMISSIS), sollevata dall’appellante con
la nota del 25 marzo 2019 e discussa all’udienza di precisazione delle
conclusioni del giorno successivo, nonché, in secondo luogo, del fatto
che tale decisione è stata corredata di articolata e coerente
motivazione.

Deve pertanto escludersi sia la dedotta omessa pronuncia sia il
denunciato vizio motivazionale costituzionalmente rilevante, con
conseguente necessità di rigettare i primi due motivi del ricorso per
cassazione.

3. Con il terzo motivo viene denunciata la violazione dell’art. 58
del d.lgs. 1° settembre 1993, n.385 (Testo unico delle leggi in materia
bancaria e creditizia), degli artt.1 e 4 della legge 30 aprile 1999, n. 130
(Disposizioni sulla cartolarizzazione dei crediti) e dell’art. 1260 cod. civ..

Il ricorrente deduce che la Corte d’appello – nel ritenere che, a
seguito della successione nella posizione creditoria, la cessionaria
(OMISSIS) avesse acquistato anche la garanzia rilasciata da
(OMISSIS) in favore della cedente Banca Popolare (OMISSIS) – non
avrebbe tenuto conto della circostanza che dall’avviso di avvenuta
cessione, concernente la cessione in blocco, a (OMISSIS), del
portafoglio di crediti comprendente quello vantato dalla Banca Popolare
(OMISSIS) in confronto di (OMISSIS) (avviso pubblicato
sulla Gazzetta Ufficiale per iniziativa della stessa società cessionaria, ai
sensi dell’art.4 della legge n. 130 del 1999 e dell’art.58 TUB) risultava
esplicitamente che tali crediti erano stati trasferiti con esclusione delle
fideiussioni omnibus e delle garanzie similari.

Ove avesse tenuto conto di questa decisiva circostanza (che aveva
formato oggetto di discussione tra le parti perché evidenziata nella
seconda nota di precisazione delle conclusioni del 25 marzo 2019), la
Corte di merito avrebbe preso atto che la fideiussione omnibus prestata
da (OMISSIS) era stata esclusa dalla cessione intercorsa tra la
Banca Popolare (OMISSIS) e (OMISSIS) ed avrebbe quindi rigettato
la domande proposte dalla società intervenuta, ponendo a suo carico
le spese del relativo rapporto processuale.

3.1. Il motivo è inammissibile.

3.1.a. La Corte d’appello, dopo avere reputato documentalmente
provato, in fatto, che il 5 luglio 2018 (OMISSIS) aveva acquistato dalla
Banca Popolare (OMISSIS) il credito da questa vantato verso
(OMISSIS), ha correttamente ritenuto, in diritto, che la
fattispecie fosse regolata dalla legge 30 aprile 1999, n.130, il cui art.4
stabilisce espressamente l’applicabilità, alle cessioni onerose di crediti
pecuniarie realizzate nell’ambito delle operazioni di cartolarizzazione,
delle disposizioni contenute nell’articolo 58, commi 2, 3 e 4, del testo
unico bancario.

Avuto riguardo alla disposizione dell’art.58, comma 3, di questo
testo unico – la quale prevede che i privilegi e le garanzie di qualsiasi
tipo, da chiunque prestati o comunque esistenti a favore del cedente,
conservano la loro validità e il loro grado a favore del cessionario, senza
bisogno di alcuna formalità o annotazione, e che restano altresì
applicabili le discipline speciali, anche processuali, stabilite per i crediti
ceduti – la Corte territoriale ha quindi ritenuto che la fideiussione
omnibus prestata da (OMISSIS) a favore della Banca Popolare
(OMISSIS) avesse conservato la sua validità ed efficacia anche in
favore di (OMISSIS), la quale sarebbe quindi subentrata nel diritto
controverso, assumendo processualmente la veste di successore ex
art.111 cod. proc. civ..

3.1.b. Il ricorrente assume che, nel ritenere applicabile la predetta
disposizione, la Corte d’appello non avrebbe considerato la specifica
circostanza di fatto che, nella fattispecie concreta, le stesse parti
contraenti avrebbero deciso, nell’esercizio della loro autonomia
negoziale, di escludere il credito dalla operazione di cartolarizzazione.

Al di là della formale intestazione nella relativa rubrica, con il
motivo in esame non viene quindi denunciato, nella sostanza, il vizio di
violazione o falsa applicazione di norme di diritto (rientrante nel
paradigma di cui all’art.360 n. 3 cod. proc. civ.), bensì il diverso vizio
di omesso esame di fatto decisivo e controverso (di cui al diverso
paradigma dell’art. 360 n.5 cod. proc. civ.), poiché viene dedotta
l’omessa considerazione di un fatto storico (la circostanza che
dall’avviso di avvenuta cessione pubblicato in Gazzetta Ufficiale
risultasse l’esclusione delle fideiussioni omnibus e delle garanzie
similari dal novero dei diritti reali e personali di garanzia trasferiti
unitamente ai crediti) che si assume abbia formato oggetto di
discussione tra le parti e di cui si predica il carattere di decisività.

3.1.c. Così rettamente qualificato il terzo motivo di ricorso, esso si
palesa allora inammissibile, avuto riguardo alla regola di cui all’art.
348-ter, ultimo comma, cod. proc. civ., applicabile ratione temporis, la
quale esclude la possibilità di ricorrere per cassazione ai sensi del
numero 5 dell’art. 360 dello stesso codice, nell’ipotesi in cui la sentenza
di appello impugnata rechi l’integrale conferma della decisione di primo
grado (c.d. “doppia conforme”); in proposito, questa Corte ha da tempo
chiarito che la predetta esclusione si applica, ai sensi dell’art. 54,
comma 2, del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti
con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la
notificazione dal giorno 11 settembre 2012, e che il presupposto di
applicabilità della norma risiede nella c.d. “doppia conforme” in facto,
sicché il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del
motivo, ha l’onere – nella specie non assolto – di indicare le ragioni di
fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base
della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra
loro diverse (Cass. 18/12/2014, n. 26860; Cass. 22/12/2016, n.
26774; Cass. 06/08/2019, n. 20994; da ultimo, Cass. 28/02/2023, n.
5947).

Tale onere – deve precisarsi, avuto riguardo alla peculiarità della
fattispecie – non viene meno nell’ipotesi in cui tra il primo e il secondo
grado si sia verificata una successione nel diritto controverso con
conseguente intervento del successore ex art.111, terzo comma, cod.
proc. civ., giacché il sopravvenuto mutamento del soggetto titolare
della posizione sostanziale dedotta in giudizio non implica
necessariamente la reciproca diversità tra le ragioni di fatto poste a
base della sentenza di primo grado e quelle poste a fondamento della
sua conferma in grado di appello; diversità che, invece, in quanto
presupposto di ammissibilità del ricorso per cassazione proposto ai
sensi dell’art.360 n.5 cod. proc. civ., è onere del ricorrente allegare e
dimostrare.

3.1.d. Non può d’altro canto sottacersi che la conservazione della
validità e del grado a favore del cessionario, da parte delle garanzie e
dei privilegi di qualsiasi tipo da chiunque prestati o comunque esistenti
a favore del cedente, costituisce un effetto naturale delle cessioni dei
crediti poste in essere ai sensi della legge n. 130 del 1999, che si
determina – in virtù del richiamo effettuato dall’art.4, comma 1, della
legge stessa alle disposizioni contenute nell’art.58, commi 2, 3 e 4 del
Testo Unico Bancario di cui al d.lgs. n. 385 del 1993 – senza bisogno
di alcuna formalità o annotazione.

4. Con il quarto motivo viene denunciata la violazione degli artt. 1,
3 e 4 della legge n.130 del 1999, degli artt. 1260 e ss. cod. civ., e degli
artt. 100 e 111 cod. proc. civ., «circa la cessione del contratto e la
successione a titolo particolare della terza intervenuta».
Il ricorrente deduce che le cessioni in blocco di crediti pecuniari,
finalizzate alla realizzazione di operazioni di cartolarizzazione, regolate
dalla legge n. 130 del 1999, non implicherebbero il trasferimento del
rapporto contrattuale sottostante, in quanto i crediti che ne formano
oggetto costituirebbero un patrimonio separato da quello della società
di cartolarizzazione, destinato in via esclusiva al soddisfacimento dei
diritti incorporati nei titoli emessi per finanziare l’acquisto dei crediti e
al pagamento dei costi dell’operazione, sicché non sarebbe consentito
al debitore ceduto proporre nei confronti del cessionario eccezioni di
compensazione o domande giudiziali fondate su crediti vantati verso il
cedente nascenti dal rapporto con quest’ultimo (viene citata, al
riguardo, la sentenza di questa Corte n. 21843 del 2019).

La circostanza che, nella fattispecie, concernente una cessione di
credito cartolarizzato, non vi fosse stato il trasferimento della titolarità
del rapporto contrattuale dalla società cedente alla società cessionaria,
avrebbe dovuto indurre la Corte di merito ad escludere la
legittimazione processuale della seconda società, atteso che la
domanda proposta in giudizio aveva ad oggetto proprio l’accertamento
della nullità o dell’inefficacia del contratto stipulato da
(OMISSIS) con la Banca Popolare (OMISSIS) (già Banca Popolare di
(OMISSIS)), nella cui titolarità (OMISSIS) (mera acquirente del credito
garantito) non era succeduta, sicché la legittimazione processuale era
rimasta concentrata unicamente in capo all’originaria convenuta.

4.1. Anche il quarto motivo è inammissibile.

4.1.a. Va precisato che l’interesse del ricorrente a contestare la
legittimazione ad intervenire di (OMISSIS) sussiste unicamente ai fini
della cassazione della statuizione accessoria avente ad oggetto la sua
condanna al rimborso delle spese processuali sostenute in grado
d’appello dalla società intervenuta, non anche ai fini della cassazione
della statuizione principale di rigetto della domanda avente ad oggetto
l’accertamento della nullità ed inefficacia della fideiussione.
Questa statuizione non è stata emessa nei confronti di (OMISSIS)
bensì nei confronti della Banca Popolare (OMISSIS), quale parte
originaria non estromessa con cui il processo era proseguito, ai sensi
della regola generale di cui all’art. 111, primo comma, cod. proc. civ.,
pur dopo l’intervento in giudizio di (OMISSIS).

Quest’ultima, infatti, era intervenuta in grado di appello,
esercitando la legittimazione, distinta e non sostitutiva, ma autonoma
rispetto a quella della propria dante causa, riconosciutale dalla regola
di cui al terzo comma del medesimo art.111 cod. proc. civ.
(Cass.12/04/2006, n. 8515; Cass.28/02/2020, n. 5529; Cass.
20/01/2021, n. 996; Cass.16/03/2022, n.8624) e – sull’allegazione di
avere acquistato pro soluto dalla Banca Popolare (OMISSIS), ai
sensi degli artt. 1 e 4 della legge n. 130 del 1999, un portafoglio di
crediti comprendente quello vantato nei confronti di (OMISSIS) –
non aveva formulato una distinta ed ulteriore domanda ma aveva
aderito alle conclusioni già rassegnate dalla cedente (cfr. la sentenza
impugnata, p.8, in fine).

4.1.b. Il rilievo dell’omesso trasferimento del rapporto contrattuale
in esito all’operazione di cartolarizzazione del credito oggetto di
cessione, non assume dunque alcuna importanza ai fini della invocata
cassazione delle statuizioni contenute nella sentenza impugnata,
atteso, per un verso, che quella principale di rigetto della domanda di
nullità ed inefficacia della fideiussione è stata emessa nei confronti
della Banca Popolare (OMISSIS) (parte originaria); e considerato,
per altro verso, che, la legittimazione ad intervenire di (OMISSIS),
quale successore a titolo particolare nel diritto controverso
(legittimazione che portava con sé quella ad essere destinataria di una
pronuncia, favorevole o sfavorevole, sulle spese, sia pure limitata al
grado in cui l’intervento era stato dispiegato: Cass. 10/11/2015, n.
22955; Cass. 25/06/2020, n. 12663; Cass. 06/0472021, n. 9264) è
stata riconosciuta dal giudice del merito, avuto riguardo alla sua qualità
di cessionaria del credito (in tema, da ultimo, Cass. 19/04/2023,
n.10442) e non a quella di successore nel rapporto contrattuale della
società cedente.

5. Con il quinto motivo viene denunciata la violazione e falsa
applicazione dell’art.58 del d.lgs. 1° settembre 1993, n.385 (Testo
unico delle leggi in materia bancaria e creditizia) e dell’art.2697 cod.
civ., «circa la prova della cessione del credito».

Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha
ritenuto documentalmente provata la circostanza che (OMISSIS),
costituitasi in giudizio nell’imminenza dell’udienza di precisazione delle
conclusioni nel grado di appello, avesse acquistato, in data 5 luglio
2018, il credito già vantato nei suoi confronti dalla Banca Popolare
(OMISSIS).

La prova della cessione del credito, infatti, sarebbe stata desunta
dalla Corte territoriale dall’avviso di cessione pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale ad iniziativa della cessionaria, ovverosia da un documento
privo di efficacia probatoria al riguardo.

5.1. Il motivo è manifestamente inammissibile.
Ad onta della formale intestazione, non risulta con esso denunciata
la violazione o falsa applicazione di norme di diritto ma attiene a profili
di fatto e tende a suscitare dalla Corte di cassazione una valutazione
della prova documentale alternativa quella espressa dal giudice del
merito, cui è insindacabilmente riservata.

5.1.a. La Corte territoriale, infatti, ha ritenuto documentalmente
provato, «per tabulas» (p.14 della sentenza impugnata), che Futura
SPV era divenuta, in data 5 luglio 2018, cessionaria del credito vantato
nei confronti di (OMISSIS), con annesse garanzie (ivi compresa
la fideiussione rilasciata da (OMISSIS)), per averlo acquistato
pro soluto nell’ambito di una più ampia operazione di cessione in blocco
di crediti.

Il ricorrente contesta tale giudizio sul rilievo che il deposito
dell’avviso di cessione pubblicato in Gazzetta Ufficiale, da cui il giudice
d’appello avrebbe tratto la prova documentale della cessione, «pur
essendo astrattamente idoneo a fondare di per sé la legittimazione»,
nel caso di specie non avrebbe permesso «l’individuazione senza
incertezze dei rapporti oggetto della cessione», limitandosi ad operare
«un rinvio a un elemento estrinseco, ossia l’elencazione pubblicata sul
sito www.(OMISSIS).it (sito della società procuratrice generale di Futura
SPV) dei “dati indicativi dei Crediti”» (p.18 del ricorso).

La doglianza è manifestamente inammissibile in quanto,
censurando il rilievo probatorio attribuito dalla Corte territoriale alla
citata documentazione, il ricorrente omette di considerare che tanto
l’apprezzamento delle circostanze di fatto quanto la valutazione delle
risultanze istruttorie spettano al giudice del merito e restano
incensurabili in sede di legittimità ove, come nella specie, siano
adeguatamente motivati.

5.1.b. Giova, in ogni caso, ricordare che, secondo l’univoco
orientamento di questa Corte, di recente ribadito, in caso di cessione
“in blocco” dei crediti da parte di una banca ex art. 58 d.lgs. n. 385 del
1993, la produzione dell’avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale
che rechi l’indicazione per categorie dei rapporti ceduti “in blocco” è
sufficiente a dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario,
senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno dei rapporti
oggetto della cessione, allorché gli elementi che accomunano le singole
categorie consentano di individuarli senza incertezze (Cass.
29/1272017, n. 31188; Cass. 1/02/2023, n. 4277).

Ciò posto, resta comunque devoluta al giudice di merito la
valutazione dell’idoneità asseverativa, nei termini sopra indicati, del
suddetto avviso, alla stregua di un accertamento di fatto non
censurabile in sede di legittimità in mancanza dei presupposti di cui
all’art. 360 n. 5, cod. proc. civ..

6. Con il sesto motivo viene denunciata la violazione degli artt.1418
e 1956 cod. civ., per avere la Corte di merito ritenuto che l’effetto della
violazione di quest’ultima disposizione consista nella estinzione della
garanzia e non nella nullità, rilevabile d’ufficio, del negozio fideiussorio.

6.1. Il motivo è inammissibile per difetto di specificità in relazione
al tenore della decisione impugnata, in quanto non si confronta con la
ratio decidendi della statuizione di rigetto della domanda fondata sulla
dedotta violazione dell’art.1956 cod. civ..

6.1.a. La Corte di merito, affermata la piena applicabilità, alla
fattispecie, della predetta disposizione codicistica – previo rilievo della
nullità della clausola derogatoria contenuta nel negozio fideiussorio che
dispensava la banca dal chiedere al fideiussore la preventiva speciale
autorizzazione da essa prevista, in funzione dell’erogazione del credito
al terzo debitore – ha, tuttavia, ritenuto che l’attore-appellante non
avesse fornito la prova della sussistenza dei presupposti ai quali la
disposizione medesima subordina la liberazione del fideiussore,
ovverosia quello oggettivo della concessione di un ulteriore
finanziamento successivo al deterioramento delle condizioni
economiche del debitore e sopravvenuto alla prestazione della
garanzia, nonché quello soggettivo della consapevolezza di tale
deterioramento da parte del creditore (pp.12-13 della sentenza
impugnata).

6.1.b. La liberazione del garante è stata dunque esclusa dal giudice
d’appello, non già sulla base del rilievo (pur contenuto, quale
affermazione di carattere generale, nel corpo della motivazione della
sentenza impugnata: p.12) che la violazione dell’art.1956 cod. civ.
determinerebbe, anziché la nullità, rilevabile d’ufficio, del negozio
fideiussorio, la mera estinzione della garanzia, bensì sul diverso rilievo
della mancata prova di tale violazione.
Il sesto motivo è dunque inammissibile, in quanto si traduce nella
proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure non
pertinenti rispetto al decisum della sentenza impugnata.

7. Con il settimo motivo viene denunciata la violazione degli
artt.115 cod. proc. civ., 2727, 2729 cod. civ., 101, 102, 103 del
Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), 2 legge 10
ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del
mercato).

Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha
dichiarato inammissibile la domanda avente ad oggetto la declaratoria
di nullità della fideiussione per essere stata la garanzia redatta su un
formulario elaborato dall’Associazione Bancaria Italiana (ABI),
dichiarato frutto di un’intesa anticoncorrenziale e quindi lesivo della
disciplina antitrust recata dalla legge n. 287 del 1990 con
provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2 maggio 2005, su parere
dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato n.14251 del
2005.

La Corte d’appello (pp.9-10 della sentenza impugnata) ha
dichiarato inammissibile questa domanda per genericità, in quanto
proposta: a) senza indicare quali clausole specifiche risultassero affette
da nullità tra tutte quelle contenute nello schema negoziale astratto
predisposto dall’ABI; b) senza chiarire se esse fossero state
effettivamente riprodotte nel negozio di fideiussione stipulato da
(OMISSIS) e se avessero trovato concreta applicazione nella
fattispecie; c) senza spiegare perché la nullità di dette clausole avrebbe
travolto l’intera fideiussione, stante la regola dell’art.1419 cod. civ.,
secondo cui la nullità parziale o di singole clausole importa la nullità
dell’intero contratto solo se risulta che esso non sarebbe stato concluso
senza la parte che risulta affetta da nullità.

Il ricorrente osserva, in contrario, che egli, sin dall’originario atto
di citazione, aveva dedotto – anche mediante richiami alla
giurisprudenza di legittimità (è stata citata la pronuncia n. 29810 del
2017 di questa Corte) – che la ragione della nullità del contrato andava
individuata nella violazione, “a monte”, dell’art.2 della legge antitrust,
consumatasi mediante la predisposizione e adozione uniforme di uno
schema contrattuale restrittivo della concorrenza, la quale avrebbe
determinato, “a valle”, la nullità tutti i contratti stipulati – come quello
per cui è causa – in conformità al predetto schema.

Soggiunge che nella comparsa conclusionale aveva specificamente
analizzato tre clausole del contratto concluso con la Banca Popolare
(OMISSIS) (già Banca (OMISSIS)), ovverosia, la clausola
che imponeva al fideiussore di tenere indenne la banca creditrice da
vicende successive all’adempimento comportanti la restituzione del
pagamento (c.d. clausola di “reviviscenza”), la clausola di deroga alla
disposizione dell’art.1957 cod. civ. e la clausola che estendeva la
garanzia agli obblighi di restituzione del debitore derivanti
dall’invalidità del rapporto principale.

Sostiene che dal confronto tra queste clausole e quelle contenute
dello schema-tipo di contratto elaborato dall’ABI, era emersa la loro
perfetta corrispondenza alle clausole considerate lesive del diritto
anticoncorrenziale dalla Autorità Garante della Concorrenza e del
Mercato e dalla Banca d’Italia.

Deduce che la circostanza che tali clausole fossero state riprodotte
nel negozio concluso da (OMISSIS) non aveva formato oggetto
di contestazione, mentre la questione se esse avessero o meno trovato
concreta applicazione doveva ritenersi irrilevante, alla luce della
evidenziata corrispondenza del negozio stipulato “a valle” con lo
schema contrattuale astratto, frutto della violazione della libera
concorrenza perpetrata “a monte”.

Sottolinea, infine, che negli atti difensivi era pure contenuta
l’allegazione secondo cui le tre clausole censurate avevano costituito
elementi essenziali nell’economia del negozio fideiussorio, tali che
senza di esse il contratto non sarebbe stato stipulato.

7.1. Il motivo è infondato.

7.1.a. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che i
contratti di fideiussione “a valle” di intese dichiarate parzialmente nulle
dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli
artt. 2, comma 2, lett. a), della legge n. 287 del 1990 e 101 del TFUE,
sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3, della legge
citata e dell’art. 1419 cod. civ., in relazione alle sole clausole che
riproducono quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata
– perché restrittive, in concreto, della libera concorrenza – , salvo che
sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa
volontà delle parti (Cass., Sez. Un., 30/12/2021, n. 41994).

7.1.b. Nel caso di specie, lo stesso ricorrente afferma che con l’atto
di citazione aveva (infondatamente) invocato la declaratoria della
nullità totale del negozio di fideiussione solo perché stipulato “a valle”
di intesa anticoncorrenziale, mentre solo nei successivi atti difensivi –
e, in ispecie, in comparsa conclusionale – aveva dedotto che tale nullità
poteva essersi determinata per propagazione di quella di singole
clausole, specificamente individuate ed analizzate, che erano state
poste a confronto con quelle contenute nel modulo predisposto
dall’ABI.

7.1.c. Al di là dei caratteri di indubbia novità (e di conseguente
inammissibilità) di tali deduzioni rispetto alla (infondata) causa petendi
originaria, resta il fatto che la mera allegazione secondo cui quelle
specifiche clausole avrebbero costituito elementi essenziali
nell’economia del negozio fideiussorio, è rimasta sfornita, nel giudizio
di merito della Corte territoriale, del supporto di elementi concreti in
base ai quali potesse essere ricostruita una volontà delle parti intesa a
ritenerle irrinunciabili, poiché il giudice d’appello ha reputato
inammissibile la domanda sull’insuperabile rilievo, tra gli altri, che
l’appellante non avesse spiegato perché la nullità di esse clausole
avrebbe travolto l’intera fideiussione.

Si tratta, nuovamente, di un apprezzamento di fatto, riservato al
giudice del merito, come tale insindacabile in sede di legittimità.

Il settimo motivo, pertanto, va rigettato.

8. Con l’ottavo motivo viene denunciata la violazione dell’art.2697
cod. civ., per avere la Corte d’appello «ritenuto gravante sul fideiussore
l’onere della prova dei requisiti previsti dalla norma di cui all’art. 1956
cod. civ.».

Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui, dopo
avere affermato la piena applicabilità alla fattispecie della disposizione
contenuta nell’art. 1956 cod. civ. – previo rilievo della nullità della
clausola derogatoria contenuta nel negozio fideiussorio che dispensava
la banca dal chiedere al fideiussore la preventiva speciale
autorizzazione da essa prevista, in funzione dell’erogazione del credito
al terzo debitore – ha tuttavia rigettato la domanda avente ad oggetto
al declaratoria di nullità o di estinzione della fideiussione basata sulla
dedotta violazione di tale disposizione e dei criteri di correttezza e
buona fede che ne costituiscono il fondamento.

La Corte di merito, come si è già detto, ha fondato tale statuizione
sul rilievo che l’attore-appellante non avesse fornito la prova della
sussistenza dei presupposti ai quali l’art.1956 cod. civ. subordina la
liberazione del fideiussore, ovverosia quello oggettivo della
concessione di un ulteriore finanziamento successivo al deterioramento
delle condizioni economiche del debitore e sopravvenuto alla
prestazione della garanzia, nonché quello soggettivo della
consapevolezza di tale deterioramento da parte del creditore (pp.12-
13 della sentenza impugnata).

Il ricorrente sostiene che il giudice di appello abbia violato la regola
di riparto dell’onere della prova, in quanto, configurando l’art.1956 cod.
civ. «un’obbligazione cui è tenuto il creditore» (viene citata, al
riguardo, la pronuncia n. 32774 del 2019 di questa Corte), dovrebbe
spettare a quest’ultimo l’onere di provarne l’esatto adempimento.

8.1. Il motivo è manifestamente infondato.

8.1.a. In primo luogo, va rilevato che la Corte di merito ha fatto
doverosa e corretta applicazione del principio – affermato sin da epoca
risalente da questa Corte e più volte ribadito – secondo cui il fideiussore
che chieda la liberazione della garanzia prestata invocando
l’applicazione dell’art. 1956 cod. civ. ha l’onere di provare, ai sensi
dell’art. 2697 cod. civ., l’esistenza degli elementi richiesti a tal fine, e
cioè che, successivamente alla prestazione della fideiussione per
obbligazioni future, il creditore, senza la sua autorizzazione, abbia fatto
credito al terzo pur essendo consapevole dell’intervenuto
peggioramento delle sue condizioni economiche (Cass.22/05/2003, n.
8040; Cass.07/02/2006, n. 2524; Cass.17/11/2016, n. 23422;
Cass.24/11/2022, n. 34685).

8.1.b. In secondo luogo, diversamente da quanto sostenuto dal
ricorrente deve escludersi che tale consolidato principio sia stato
contraddetto nella citata decisione n. 32774 del 2019 di questa Corte:
questa decisione infatti, dopo avere individuato la sussistenza, in capo
al creditore garantito, di un’obbligazione di protezione dell’interesse del
fideiussore per un’obbligazione futura a vedere conservata la garanzia
patrimoniale del debitore, ha coerentemente ritenuto che incomba sul
creditore medesimo, debitore dell’obbligazione di protezione – laddove
abbia concesso credito al terzo nella consapevolezza di un mutamento
delle sue condizioni patrimoniali, tale da rendere notevolmente più
difficile il soddisfacimento del credito da parte del fideiussore – l’onere
di provarne l’esatto adempimento, dimostrando di avere debitamente
informato dell’aggravamento delle condizioni del debitore il garante
inconsapevole e di avergli debitamente richiesto l’autorizzazione prima
di erogare ulteriore credito, al fine di consentirgli di sottrarsi, negando
l’autorizzazione medesima, all’adempimento di un’obbligazione
divenuta, senza sua colpa, più gravosa.

L’onere del creditore di provare l’esatto adempimento della sua
obbligazione di protezione nei confronti del fideiussore non incide,
tuttavia, sul persistente onere del fideiussore medesimo, che invoca la
liberazione dalla sua obbligazione di garanzia per la mancata richiesta
della predetta autorizzazione, di dimostrare l’avvenuta consapevole
concessione di un ulteriore finanziamento dopo la stipulazione del
contratto di garanzia nella consapevolezza del sopravvenuto
peggioramento delle condizioni economiche del debitore.

Vale infatti il principio, di cui la Corte d’appello ha fatto corretta
applicazione, secondo il quale è onere della parte che la invoca provare
gli elementi della fattispecie normativa di cui all’art. 1956 cod. civ.
(cfr., già, Cass. 23/05/2005, n. 10870).

L’ottavo motivo, pertanto, deve essere rigettato.

9. Con il nono motivo viene denunciata la violazione dell’art. 115
cod. proc. civ., in relazione all’art.360 n. 4 cod. proc. civ., per avere la
Corte d’appello affermato «che l’unico finanziamento concesso al
(OMISSIS) sarebbe stato quello di Euro 199.300 accreditato in data 31
luglio 2009 non considerando i finanziamenti consistiti in prelievi per
contanti avvenuti nel settembre 2009».

10. Il nono motivo presenta ragioni di connessione col (e va
pertanto esaminato unitamente al) decimo motivo, con cui viene
denunciata la violazione degli artt.1375, 1418, 1956, 2697 cod. civ.,
in relazione all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., per avere la Corte
territoriale escluso la ricorrenza delle condizioni di cui all’art.1956 cod.
civ., «omettendo la valutazione di elementi fattuali che, sia soli che nel
lor complesso, sono palesemente idonei a ribaltare integralmente il
giudizio».

Il ricorrente censura ancora la statuizione di rigetto della domanda
avente ad oggetto la declaratoria di nullità od estinzione della garanzia
per violazione, da parte del creditore, dei canoni di correttezza e buona
fede che costituiscono il fondamento della prescrizione di cui all’art.
1956 cod. civ.; statuizione fondata sulla mancata prova, da parte
dell’appellante, della sussistenza dei presupposti – oggettivo e
soggettivo – ai quali la citata norma codicistica subordina la liberazione
del fideiussore (pp.12-13 della sentenza impugnata).

Iseo (OMISSIS) sostiene che la valutazione negativa sulla
dimostrazione degli elementi della fattispecie contemplata dall’art.
1956 cod. civ. – quand’anche si accedesse alla non condivisa opinione
che il relativo onere incombe sul fideiussore – sarebbe comunque
viziata, nella fattispecie, per un verso, dalla mancata considerazione
delle risultanze della prova documentale, dovendosi reputare
dimostrato, per tabulas, che, tra il 3 e il 28 settembre 2009 (dunque
successivamente al rilascio della fideiussione da parte di Armando
(OMISSIS)), (OMISSIS) aveva ottenuto dalla banca creditrice un
“finanziamento” dell’importo di 56.000 Euro, attraverso
l’autorizzazione ad effettuare quattro prelievi di contanti e ad emettere
un assegno bancario; per altro verso, dall’omesso esame di talune
circostanze decisive ai fini della dimostrazione della malafede
dell’istituto di credito, quali, oltre a quella della concessione del detto
finanziamento di 56.000 Euro all’insaputa del garante, la circostanza
che la somma richiesta a quest’ultimo con la comunicazione del 15
settembre 2011 corrispondeva proprio alla scopertura creatasi sul
conto corrente del (OMISSIS) per effetto del finanziamento erogatogli
nel settembre 2009, nonché, soprattutto, l’ulteriore circostanza che,
nel luglio 2009, sempre all’insaputa del fideiussore, era stato erogato
al debitore garantito un finanziamento dell’importo di Euro 199.300,
che, con evidente anomalia, gli era stato accreditato in data 31 luglio
2009 (successiva alla sottoscrizione della fideiussione) ma con valuta
riferita al 15 giugno precedente.

Ove avesse tenuto contro di tali circostanze – conclude il ricorrente
– la Corte di merito avrebbe dovuto ritenere integrati i presupposti
della fattispecie liberatoria del fideiussore per obbligazione futura di cui
all’art.1956, prendendo atto che (OMISSIS), determinatosi a
sottoscrivere una garanzia fideiussoria per l’importo di 60.000 Euro, si
era invece trovato inconsapevolmente a garantire un credito di valore
molto più elevato (pari a circa 260.000 Euro), senza essere stato
informato dalla banca creditrice del rischio di insolvenza del debitore
garantito a cui era stato esposto.

10.1. I motivi in esame sono inammissibili.

La Corte di merito ha escluso la prova degli elementi costitutivi
della fattispecie di cui all’art.1956 cod. civ. ritenendo, da un lato, che
l’unico finanziamento erogato al soggetto garantito fosse quello, per
l’importo di Euro 199.300 accreditatogli in data 31 luglio 2007, ma con
valuta al 15 giugno precedente, dunque anteriormente alla
sottoscrizione della fideiussione; e rilevando, dall’altro lato, che
l’escussione del pegno di Euro 20,0000 (che la banca aveva ottenuto
dallo stesso debitore garantito), lungi dal determinare un
aggravamento delle condizioni patrimoniali di quest’ultimo
successivamente al rilascio della garanzia, ne aveva, al contrario,
ridotto il debito, tanto che questo, alla data del 16 febbraio 2012, era
diminuito sino all’importo finale di Euro 37.281,62; importo addirittura
inferiore a quello di 40.000 Euro che (OMISSIS) aveva inteso
garantire (p.13 della sentenza impugnata).

10.1.a. Avuto riguardo alle argomentazioni contenute nella
sentenza impugnata, deve, in primo luogo, escludersi la sussistenza
del denunciato omesso esame di circostanze decisive, poiché il giudice
del merito ha tenuto in considerazione sia (espressamente) il
finanziamento dell’importo di 199.300 Euro attribuito al (OMISSIS) con
valuta 15 giugno 2009 (reputandolo irrilevante in quanto anteriore al
rilascio della fideiussione), sia (implicitamente) lo scoperto di contocorrente

creatosi dopo il rilascio della fideiussione, in base al quale era
stato determinato l’importo richiesto al garante con la lettera del 15
settembre 2011, peraltro successivamente ridottosi anche con
l’escussione del pegno di Euro 20.000 ottenuto dallo stesso debitore
garantito.

10.1.b. In secondo luogo, neppure sussiste il dedotto travisamento
delle risultanze della prova documentale, atteso che, pur non facendo
espressa e partitica menzione dei prelievi effettuati dal debitore
(unitamente all’emissione di assegno bancario) nel settembre 2009, la
sentenza di merito, all’esito di un esame generale delle predette
risultanze, ha valutato la complessiva evoluzione in melius della
situazione debitoria al tempo dell’escussione della garanzia rispetto a
quella esistente all’atto della costituzione del rapporto fideiussorio.

10.1.c. Né va dimenticato, infine, che l’accertamento degli
elementi costitutivi della fattispecie liberatoria ex art.1956 cod. civ. è
riservato al giudice del merito, cui compete non solo la valutazione
delle prove ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di
quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse
sottesi (Cass. 04/07/2017, n. 16467; Cass.23/05/2014, n. 11511;
Cass. 13/06/2014, n. 13485; Cass. 15/07/2009, n. 16499).

11. Con l’undicesimo motivo viene denunciata la violazione dell’art.
1333 cod. civ., per avere la Corte d’appello ritenuto priva di effetti la
comunicazione effettuata con lettera raccomandata dell’ agosto 2009,
con cui il fideiussore (OMISSIS) aveva chiesto alla banca
creditrice di attendere sue precise istruzioni prima di consentire
l’utilizzo delle somme da parte del debitore (OMISSIS).

La Corte d’appello ha ritenuto che la comunicazione in parola non
costituisse né un atto di recesso dal negozio fideiussorio né una
condizione sospensiva apposta allo stesso; ciò, sul rilievo che il
fideiussore non aveva il potere di recedere unilateralmente dal negozio
fideiussorio, mentre l’apposizione di una posizione sospensiva allo
stesso ne avrebbe comportato una modifica che non avrebbe potuto
essere realizzata unilateralmente, richiedendo il consenso di entrambi
i contraenti.

Secondo il ricorrente, la prima affermazione sarebbe erronea in
iure, in quanto la proposta contrattuale presenterebbe il crisma
dell’irrevocabilità, ai sensi dell’art. 1333, primo comma, cod. civ., solo
nell’ipotesi in cui da essa derivino obbligazioni a carico esclusivamente
del proponente, non anche nella diversa ipotesi in cui – come nella
fattispecie, in cui dalla fideiussione sarebbe derivata, oltre
l’obbligazione di garanzia del fideiussore, anche quella di protezione
dello stesso in capo alla banca creditrice – la proposta abbia ad oggetto
un contratto con obbligazioni a carico di entrambe le parti.

La proposta contrattuale formulata da (OMISSIS) sarebbe
dunque restata revocabile anche dopo essere giunta a conoscenza della
banca destinataria, sicché egli era autorizzato a recedere dalla stessa
finché non fosse intervenuta l’accettazione della banca medesima.

Del pari erronea – secondo il ricorrente – sarebbe la seconda
affermazione contenuta nella statuizione impugnata, atteso che
l’art.1333, secondo comma, cod. civ., nell’assegnare al destinatario
della proposta uno spatium deliberandi (in relazione alla natura
dell’affare o agli usi) ai fini dell’accettazione o del rifiuto, attribuirebbe
altresì al proponente la facoltà di integrare la proposta medesima
durante lo stesso spazio temporale.

11.1. Il motivo è manifestamente infondato, attesa l’evidente non
pertinenza del richiamo all’art.1333 cod. civ., per giungere, sulla base
di una interpretazione a contrario di tale disposizione, a ritenere
revocabile l’impegno manifestato da (OMISSIS).

Questa disposizione, infatti, riguarda la proposta di contratto con
obbligazioni a carico del solo proponente, mentre, nel caso di specie,
la Corte d’appello ha accertato che la comunicazione del 7 agosto 2009
non era stata effettuata dal fideiussore in pendenza della proposta
contrattuale (sia pure con obbligazioni a carico di entrambe le parti),
bensì dopo che il negozio fideiussorio era stato concluso.
In tal senso, del resto, depone lo stesso tenore della detta
raccomandata del 7 agosto 2009, per come trascritta nel ricorso (p.35),
nella quale (OMISSIS) aveva dato atto della già avvenuta
stipulazione del negozio fideiussorio con l’espressione «mi sono
prestato da garante».

La circostanza che, al momento della comunicazione del 7 agosto
2009, non fosse pendente una semplice proposta contrattuale ma fosse
stato già concluso il negozio fideiussorio esclude la possibilità di
riconoscere al garante un potere di revoca o di integrazione del negozio
medesimo e rende conto della correttezza in iure delle affermazioni del
giudice di appello circa l’insussistenza della facoltà di recesso e
l’impossibilità di modifica unilaterale del contenuto del contratto, con
conseguente necessità di rigettare l’undicesimo motivo di ricorso.

12. In definitiva, il ricorso per cassazione proposto da Armando

(OMISSIS) deve essere rigettato.

13. Non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di
legittimità, atteso che le parti intimate non hanno svolto difese in
questa sede.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002,
inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto
della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte
del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso
art. 13, se dovuto;

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione
Civile in data 3 aprile 2023